chapter five.
「 a JAMES BEAUFORT fanfiction 」
⋆ chapter five ⋆
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Se qualche settimana fa mi avessero detto, che un bel giorno mi sarei ritrovata James Beaufort in casa mia, avrei probabilmente chiamato la polizia.
"Sì. Sì, con i vestiti d'epoca vittoriana. Sì, questo sarà il tema del gala. Quella è perfetta, certo" il ragazzo si trovava vicino la porta d'ingresso, ed era impegnato a parlare con qualcuno al telefono.
Feci un colpo di tosse, richiamando la sua attenzione
"Faremo in fretta, grazie" chiuse la chiamata e mi riservò un mezzo sorrisetto
"Finalmente mi hai degnato della tua presenza!"
"Quando Dorothea mi ha detto che c'era qualcuno che aveva bisogno di me, non pensavo di certo a te" scesi le scale e mi diressi verso la cucina
"Cosa ci fai in casa mia?" chiesi, sentendo i suoi passi. Segno che mi stava seguendo.
"Percy è fuori, pronto per accompagnarci a Londra" rispose.
Mi fermai di scatto, mi girai e lo fissai incredula.
"E per quale motivo? Vuoi uccidermi e sotterrare il mio cadavere in città?" inclinai il capo.
"All'Atelier abbiamo dei vestiti in stile vittoriano che sono perfetti per il manifesto. Andiamo, facciamo delle foto e torniamo a casa" mi spiegò il suo piano. Sbattei più volte le palpebre e lui mi scimmiottò, con conseguenza che gli feci il dito medio.
Insomma, d'accordo che la tempesta si era calmata dopo la chiacchierata a casa sua, ma non pensavo fino a quel punto.
"E se non fossi d'accordo?" poggiai il peso sulla gamba destra, e incrociai le braccia al petto.
"Non è una proposta e poi James Beaufort non accetta un no come risposta" scrollò le spalle.
"Addirittura parli di te stesso in terza persona, la situazione sta degenerando" alzai gli occhi al cielo, entrando nell'ampia cucina.
Presi dal frigorifero una brocca d'acqua e poi un bicchiere dal ripiano. Non mi curai neanche di offrirne un po' all'ospite indesiderato.
"Ignorerò questo tuo inutile commento" scacciò l'aria con una mano
"Non hai scelta. Oppure vuoi che il gala sia un disastro e non vuoi quella lettera di referenza?" me lo trovai ad un palmo dal mio viso. Sbuffai.
"D'accordo!" quasi mi strozzai con l'acqua
"Devo un attimo indossare vestiti decenti. Aspettami in auto, non vorrei che Percy si sentisse solo!" gli diedi una pacca sulla spalla per poi avviarmi verso le scale.
"E io che pensavo che saresti uscita con questo magnifico pigiama fucsia!" ammiccò poggiandosi alla ringhiera delle scale, che portavano alla zona notte della casa, nonché anche alla mia camera.
"Conosci l'uscita! In caso contrario chiedi a Dorothea" lo guardai male, per poi correre al piano di sopra e cambiarmi.
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Quando dall'auto intravidi un'enorme manifesto azzurro con lo stemma dei Beaufort, capii di essere arrivata a destinazione.
"Signorina Waldorf" James mi aprii lo sportello dell'automobile, porgendomi addirittura la mano.
"Questa cosa dell'età vittoriana ti sta condizionando troppo" scesi senza il suo aiuto.
"Sei proprio una guastafeste" si lamentò ed io in risposta gli feci una linguaccia.
Entrammo nell'atelier dove ci accolse il maestro sarto, Tristan, che ci accompagnò alla stanza dove erano conservati gli abiti che ci servivano.
"Questo è il salone di esposizione della collezione Beaufort che risale al 1848. Abbiamo preparato alcuni abiti per voi" l'uomo indicò vari abiti, ma uno in particolare attirò la mia attenzione.
"Lo riconosco! È stato esibito l'anno scorso al Victoria and Albert Museum, vero?" mi piazzai di fronte l'indumento verde smeraldo, dotato di una gonna pomposa e di merletti all'altezza del corpetto.
"Assolutamente vero. In occasione sulla mostra della regina Victoria" rispose Tristan.
"Mia madre mi ha mostrato delle foto, scattate nel suo soggiorno a Londra di un anno fa" sorrisi, contemplando ancora una volta il vestito. Era semplicemente splendido.
"Allora, può esserti utile?" domandò James, che nel frattempo si era accomodato su una poltroncina ed era intento a bere dello champagne.
"È perfetto" gli sorrisi
"Posso scattare delle foto?" mi rivolsi poi al maestro sarto.
"Faccia pure" annuì.
Presi il telefono e cominciai a scattare delle foto, da ogni angolazione.
Mi fermai quando udii lo scatto di una foto che non proveniva dal mio cellulare. Bensì da quello di James, e il soggetto della sua fotografia, ero io.
"Posta sui social quella foto ed io ti denuncio" gli puntai un dito contro.
"Preparo i miei legali" controbatté, porgendomi un calice con lo champagne
"Vuoi provarlo?" mi chiese. Lo guardai con fare interrogativo mentre presi un sorso della bevanda.
"Cosa? No! Non mi sembra il caso e non penso che abbiamo tempo" scossi il capo. Lui mi guardò male.
"Ho una riunione tra quasi un'ora, pensi che per infilare un vestito ci voglia tutto questo tempo?" cercò di convincermi.
Io alternavo lo sguardo dai suoi occhi azzurri, alla figura del maestro sarto, che annuiva entusiasta.
"Solo se lo fai anche tu" patteggiai, indicando con lo sguardo un abito maschile. Lui distolse lo sguardo dalla mia figura per posarla sul completo vittoriano; si girò nuovamente verso di me e fece un mezzo sorriso. Segno che aveva accettato.
Nei camerini mi lasciai aiutare da una delle dipendenti dell'atelier: da sola non sarei mai riuscita in quell'impresa. Quel vestito, seppur stupendo, era pesante e pieno di bottoni.
L'unica cosa che indossai da sola, senza l'aiuto della donna, furono le scarpe. E per poco non inciampai nella gonna.
"Grazie dell'aiuto" le sorrisi per poi uscire e scendere al piano di sotto dove eravamo poco tempo prima. Dove James, abbigliato dell'abito scelto da me, era intento a suonare il pianoforte.
La melodia prodotta dal biondo, si interruppe nel momento in cui mi notò, mentre scendevo le scale.
"Che succede? Perché hai smesso?" scesi l'ultimo gradino e raggiunsi il ragazzo
"E perché mi guardi così?" corrucciai le sopracciglia.
"Niente, è che... stai molto bene. Tristan per favore immortala questo momento" deglutì e si alzò dallo sgabellino.
"La parte del gentiluomo non fa per te" alzai l'angolo destro della bocca.
"Solo perché ti odio non significa che io non debba essere oggettivo!" alzò le mani in segno di resa.
"Perchè tu mi odi, vero?" lo sfidai.
"Parecchio" annuì, avvicinandosi e porgendomi la mano.
"Buono a sapersi" borbottai, acconsentendo al suo invito.
Non appena la mia mano, entrò in contatto con la sua, James si inchinò per poi lasciarle un delicato bacio sul dorso ricoperto dal guanto bianco. Sorrisi.
In quel momento non sembrava il James che incarnava tutti gli aggettivi negativi del nostro mondo, al contrario. E per questo iniziai a dubitare del motivo di questo suo cambio di atteggiamento.
"Lo stai facendo per quello che succede tra i nostri genitori? Non è così?" sussurrai.
Mi lasciò andare, facendo scontrare i nostri occhi, tenendo uno sguardo deluso.
"Cosa?"
"Per quello che mi hai detto qualche giorno fa" gli rinfrescai la memoria.
"Pensi che mio padre mi abbia chiesto di fare quello che sto facendo?" sul suo viso si dipinse un'espressione incredula.
"Non puoi mica biasimarmi, James" risposi
"Insomma, d'un tratto cambi atteggiamento, dopo aver scoperto che la collaborazione tra la Young Beaufort e Maison Waldorf dipende un po' dal nostro rapporto..." diedi voce ai miei pensieri.
"È tutto chiaro, d'accordo" abbassò lo sguardo sull'orologio
"Non ho più tempo, devo andare alla riunione" disse guardando fuori dalla finestra. Io annuì, allontanandomi e andandomi a cambiare.
Quando ebbi finito, scesi giù, con l'intenzione di scusarmi con il ragazzo, che nel frattempo era tornato con indumenti provenienti dal nostro secolo. Non gli avevo dato neanche il beneficio del dubbio.
"Beaufort, ascoltami..." cominciai.
"Che piacere rivederti, mia cara! James tu sei pronto per la riunione?" una presenza femminile fece il suo ingresso nella stanza.
Erano la madre del biondo, seguita poi dal padre.
"Vedo che James ha seguito il mio consiglio, finalmente" sentii dire da Mortimer, alternando lo sguardo da me a suo figlio.
Sembrò che anche James l'avesse sentito, difatti puntò subito lo sguardo su di me.
"Ed io che pensavo che non fossi il burattino di tuo padre e che potessi scegliere cosa farne della tua vita" sibilai a denti stretti, per non farmi sentire dagli altri presenti
"Pensare che volevo anche scusarmi" scossi il capo.
"Percy ti aspetta fuori, ti riporta a casa" rispose semplicemente, tenendo lo sguardo fisso davanti a se. Sapeva che la frase detta da suo padre era un palese riferimento alla nostra situazione.
"Non ne ho bisogno, il mio autista è già per strada, tornerò con lui" presi la borsa in spalla e mi diressi verso l'uscita
"Arrivederci"
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cavolo james!
eri quasi riuscito a farti perdonare da amy :(
speriamo nel prossimo capitolo :P
come sempre se il capitolo vi è piaciuto lasciate una stellina e fatemi sapere cosa ne pensate <3
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