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𝐏𝐫𝐨𝐥𝐨𝐠𝐨. 𝐈𝐥 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐨 𝐬𝐭𝐮𝐝𝐞𝐧𝐭𝐞


Cosa consiglio di ascoltare: "Tell me" di Johnny Jewel (feat. Saoirse Ronan).

https://youtu.be/Kycje9D5F4Q

Alexander chiuse lo sportello dell'armadietto con un secco tonfo.

Non aveva alcuna voglia di tornare di nuovo in quel dannato posto chiamato scuola.

Aveva sempre odiato andarci e malgrado si guardasse bene dall'esternare l'insofferenza nei confronti di tale istituzione, bastava osservare con attenzione un qualsiasi professore per capire subito che Alexander Woomingan non fosse una presenza gradita agli occhi degli insegnanti. L'avversione del ragazzo per la scuola era aumentata a livelli esponenziali da quando si era ritrovato in quel provinciale liceo da quattro soldi a causa del padre: era un medico chirurgo ed era stato trasferito quasi due anni prima all'ospedale locale. Naturalmente l'unico figlio del dottor Woomingan aveva dovuto seguirlo per forza e, nel farlo, aveva dovuto rinunciare alle proprie amicizie e al proprio posto privilegiato in una delle più facoltose scuole di Seattle.

Quando era venuto a conoscenza della grande notizia il ragazzo aveva provato per diversi giorni precedenti alla partenza il desiderio irrefrenabile di scappare di casa e andarsene a vivere dal suo migliore amico, Chuck; in seguito era però giunto alla conclusione che forse le cose non sarebbero poi state così male e aveva dunque rinunciato, preferendo concedere a quella nuova avventura il beneficio del dubbio.

Non lo avesse mai fatto! Se solo avesse saputo prima di che razza di buco si sarebbe rivelata quella maledetta città, avrebbe tirato dritto secondo i propri piani, mollato il padre in quattro e quattr'otto e buonanotte al secchio. Era più che convinto che il signor Woomingan non si sarebbe neppure accorto della sua assenza o non gliene sarebbe comunque importato, impegnato com'era.

Il dottor Woomingan aveva sempre avuto la tendenza a tenere di più al lavoro e ai pazienti piuttosto che al figlio e questa era stata la ragione primaria che aveva spinto quel geniaccio della madre di Alexander a lasciare il marito e a trasferirsi a Miami, per poi risposarsi con un avvocato più giovane di lei di ben dieci anni e dandogli persino una figlia.

Alex non aveva mai incontrato di persona la sorellastra e ogni tanto Wanda gli mandava delle foto e dei messaggi via posta elettronica, chiedendogli le cose basilari che sempre erano solite chiedere le madri assenti e incuranti come lei. Il ragazzo a malapena ricordava il nome della marmocchia e, a dirla tutta, non ci teneva neanche a farlo. Bastava pensare che quasi mai rispondeva ai messaggi di Wanda e si rifiutava categoricamente di farsela passare quando la donna si prendeva la titanica briga di telefonare all'ex-marito; più volte era arrivato all'atto di estremo disprezzo del chiudere la chiamata in faccia alla madre senza il benché minimo rimorso. Daniel, suo padre, poche volte si era arrischiato a fargli la predica, ma il giovane, per tutta risposta, gli aveva chiuso la porta della propria camera in faccia o era uscito di casa per andare ad allenarsi con Chuck per il football. Delle scuse di sua madre o delle paternali di un uomo che si ricordava della sua esistenza solamente quando gli faceva comodo non poteva fregargliene alcunché. L'unico insegnamento che aveva tratto dal loro esempio era che a meno persone si teneva e meglio si stava. Rendeva la vita molto più semplice e priva di spiacevoli conseguenze del tutto evitabili.

Volendo scacciare quei cupi pensieri per evitare di sprofondare nel male di vivere a inizio mattinata, estrasse lo smartphone e con gesti veloci si fece una fotografia, la caricò su PicNow e dopo aver inserito qualche hashtag la postò sul profilo già pieno zeppo di scatti d'ogni genere. Le immagini più quotate risultavano essere, chissà come mai, quelle che lo ritraevano in costume da bagno durante la vacanza in Florida con la famiglia di Chuck dove aveva la pelle scurita dal sole e un addome scolpito. Malgrado odiasse non essere chissà quanto alto, ciò non gli aveva impedito di lavorare sui muscoli, pur senza esagerare. Gli piaceva solo assicurarsi di fare bella figura quand'era privo della maglietta e, soprattutto, compiacersi delle occhiate apprezzanti delle ragazze, così come di quelle invidiose dei coetanei.

C'era ancora chi sosteneva con fermezza che l'aspetto esteriore non contasse niente e non avesse tutta questa importanza, ma tali individui erano solo degli idioti che avevano bisogno di un bel ripasso di come andava veramente il mondo. La bellezza apriva molte più porte e nessuno, ai giorni loro, aveva il tempo di fermarsi per conoscere meglio il proprio interlocutore e riscoprirne la ‟bellezza interiore". Corbellerie da sciroccati, ecco cosa ne pensava Alexander di tutto ciò. Solo scemenze.

Ripose il telefono, sbuffò sonoramente e si avviò per i corridoi gremiti di studenti schiamazzanti che erano impegnati nel raccontarsi a vicenda di come avessero trascorso le vacanze estive, di cos'avessero fatto durante l'estate e altre fesserie.

Beati loro, pensò Alex con una punta di invidia e di risentimento. A me è toccato restare qui, invece. Quello stronzo di mio padre aveva troppo da fare al lavoro. 

Se pensava che erano finiti a Hanging Creek per via non solo di una brutta faccenda legale con la famiglia di un paziente che era morto durante un'operazione e aveva infine causato l'allontanamento di Daniel dall'ospedale di Seattle, ma anche delle troppe chiacchiere che avevano cominciato a fioccare qui e là nei corridoi dell'ospedale sul conto del dottore, la voglia di scappare di casa tornava con prepotenza a punzecchiare la mente del giovane Woomingan. 

Per consolarsi cercò di ripetere a se stesso che avrebbe dovuto stringere i denti solo fino alla fine di quell'anno, visto che poi se ne sarebbe andato al college, da bravo ragazzo di buona famiglia qual era.

Una pacca sulla spalla lo riportò del tutto alla realtà, facendolo sussultare. Non aveva dormito granché bene, come più o meno accadeva ormai con frequenza da qualche anno a quella parte. Pur non ricordando quasi mai i sogni che faceva, sapeva di svegliarsi di tanto in tanto madido di sudore e tremante come una foglia. Faceva incubi che non riusciva a rimembrare, ma in compenso lo mettevano in una specie di stato d'allerta per un po' di tempo. Cercava di non pensarci e, addirittura, di riderci sopra, ma era sfibrante non poter riposare con un minimo di decenza per via di terrori notturni senza nome e senza volto. 

Se solo fosse stato un ragazzo superstizioso, anziché un convinto e miscredente ateo sprezzante delle storielle dell'orrore e della presenza di eventuali spiritelli, avrebbe potuto persino affermare che, da quando era arrivato a Hanging Creek, gli incubi si fossero fatti più frequenti, le loro conseguenze meno tollerabili.

«Alex! Nemmeno saluti, adesso?»

La voce di uno dei ragazzi della sua cricca di amici, Brian, lo strappò del tutto ai suoi cupi e indolenti pensieri, lo incoraggiò a rilassarsi e a smetterla di indulgere in stupide elucubrazioni; il broncio cedette il posto a un sorriso smagliante e perlaceo mentre passava in rassegna con gli occhi grigi i quattro, scostandosi con una mano i capelli dorati dal viso color avorio. Non diede ovviamente a vedere quanto tale espressione fosse forzata.

«Scusate, ma l'aria scolastica mi mette di cattivo umore» si giustificò roteando gli occhi. Non si sognava neppure per sbaglio di metterli a parte di cosa gli vorticava davvero nel cervello. Non voleva mica passare per matto o per scemo!

Gli altri lo guardarono con fare comprensivo e solidale, poi Cole tentò di risollevare gli animi di tutti e disse: «Se non altro siamo all'ultimo anno. Dobbiamo soltanto resistere fino alla fine e poi ci libereremo per sempre di questa gente».

«E poi», intervenne Duncan, «non bisogna scordarsi che anche quest'anno daremo il benvenuto alle matricole. Pensate a che bella faccia farà Johnson vedendoci di nuovo arrivare all'intervallo per ficcargli la testa nel cesso!»

Scoppiarono tutti e cinque in una fragorosa risata.

Johnson era un loro coetaneo che aveva la sfortuna di essere un pochino tardo di mente, una preda perfetta per il quintetto più malfamato della scuola. Willy cadeva sempre nei loro tranelli e anche quando gli scherzi erano pessimi rideva come un idiota oppure credeva persino alle peggiori fesserie che i suoi compagni gli propinavano.

Una volta, l'anno addietro, gli avevano inventato che il giorno seguente sarebbe finito il mondo e allora lui aveva cominciato a correre come un matto per i corridoi gridando e piangendo, continuando nel frattempo a ripetere che se il mondo fosse finito allora non ci sarebbero più state le ciambelle alla crema.

Non era difficile immaginare quanto ci avessero riso su Alex e il resto della banda.

Tornando ai ragazzi, quella mattina il buonumore si ripresentò un po' alla volta. Le lezioni iniziarono e proseguirono con la solita flemma, il tempo sembrava non passare mai fra spiegazioni e controlli dei compiti estivi, e tutto sarebbe stato noioso come di consueto se solo, durante l'ora di Letteratura, qualcuno non avesse bussato quasi in maniera impercettibile alla porta della classe in cui si trovava Alex.

La professoressa Silvers smise di spiegare e si voltò verso la porta. Con la sua inconfondibile voce dolce e squillante disse a chiunque vi si stesse trovando dietro di entrare. Era nuova o quasi. Trasferita in quella scuola di provincia l'anno precedente, si era guadagnata un pochino il favore di alcuni allievi solo per l'aspetto gradevole. 

Alex, che mai avrebbe ammesso apertamente di gradire in realtà Letteratura, troppo affezionato al ruolo da indolente rampollo privilegiato che se la cavava solo grazie alla fama paterna, si stava scambiando dei messaggi al telefono con la fidanzata, proprio sotto il banco, mentre Brian sonnecchiava sulle pagine che parlavano di Hemingway. Da che ne sapeva Alexander, Brian Herden era molto più portato per le materie scientifiche e, se proprio doveva pronunciarsi circa le sue preferenze di lettura, gradiva di più le opere di autori come Stephen King, tanto per fare un esempio, o incentrate sulla fantascienza. Almeno era ciò che aveva affermato quasi due anni addietro, ma forse i suoi gusti erano variati nel frattempo.

Il giovane Woomingan sogghignò al messaggio che Natasha, la ragazza con la quale attualmente usciva, gli aveva appena inviato. Si trovava a un altro corso e, testuali parole, avrebbe preferito di gran lunga riuscire a sgusciare in bagno e farsi raggiungere da lui per averlo tra le proprie cosce e rendere la mattinata meno tediosa. 

Andava chiarito, però, che fra di loro non vi fosse alcunché di serio; lei era la solita cheerleader sexy, una di quelle che si salvava solo per l'aspetto, perché di cervello sotto quei lunghi boccoli ve n'era ben poco, e più volte lo aveva dimostrato. Se non altro non era perfida come le squinzie presenti nei film degli anni Novanta che parevano avere come principale scopo di esistenza il rendere quella della protagonista sbadata e sensibile un vero inferno. Natasha non era una cattiva ragazza, solo che... insomma, sin dall'inizio della relazione aveva messo in chiaro di voler stare con Alex perché lui era il quarterback della squadra di football del liceo e una simile accoppiata avrebbe fatto arrivare la popolarità di entrambi alle stelle. 

Ad un certo punto, malgrado la solleticante, bollente e sottintesa proposta della fidanzata, Lex sollevò lo sguardo con noncuranza e sì, con una punta di improvviso e ingiustificato fastidio. Non che non lo allettasse la promessa di una sveltina ad alto rischio nel bagno delle ragazze, ma tendeva a non voler avere rapporti carnali quando doveva fare sport e quel giorno ci sarebbero state le selezioni e lui avrebbe dovuto confermare ancora una volta la propria presenza nella squadra. Si concentrava meglio quand'era in astinenza. 

Mentre pensava a un modo per declinare l'offerta di Natasha senza causarne la funesta ira, qualcosa lo incoraggiò a congedarsi dalla conversazione senza troppe parafrasi e a metter via il cellulare. Dalla porta dell'aula, infatti, fece il proprio ingresso un ragazzo con una felpa scura e i capelli neri quanto gli abiti.

Aveva un'aria malinconica e i suoi grandi occhi verdi guardarono la Silvers quasi a volersi scusare per essersi presentato in ritardo.

Con lo sguardo che scintillava, Alex trattenne un sorrisetto, passando in rassegna il tipo e pensando che forse lui e gli altri si fossero appena trovati un nuovo sollazzo. Diede un colpetto di gomito a Brian, il quale si riprese dal dormiveglia e, trattenendo uno sbadiglio, ci mise qualche secondo per capire il motivo del brusco risveglio. 

«Guarda un po' chi è arrivato, Herden!» sghignazzò Woomingan a bassa voce e, nel farlo, somigliando molto ad un bimbo che aveva da poco ricevuto per Natale un nuovo giocattolino.

«A quanto pare», commentò Brian, squadrando da capo a piedi il nuovo studente, «quest'anno abbiamo un dark fra di noi. Ehi, Lex, dici che ascolterà musica satanica?»

«Nah, troppo innocente» replicò Alex, ghignando ancora e scambiandosi una complice occhiata con l'amico.

Tacquero e osservarono il novellino parlare e dire con voce bassa e timida, ma dall'inflessione quasi atona, di chiamarsi Andrew Collins e di esser appena arrivato in quella scuola.

La Silvers annuì, con un lampo in un certo senso intenerito nello sguardo, poi sorrise e indicò un banco vuoto in prima fila: «Non preoccuparti, Andrew. Capisco che non sia ancora facile per te orientarti e per oggi sei giustificato. Puoi sederti lì e finché non avrai il nostro materiale, potrai seguire la lezione e prender appunti o, magari, chiedere a uno dei tuoi nuovi compagni di condividere con te il proprio libro. La lezione è su Hemingway, ad ogni modo».

Andrew accennò un flebile sorriso e fece un cenno: «La ringrazio, ma penso che oggi mi limiterò a seguire in classe e a usare il materiale della mia vecchia scuola. Quello nuovo dovrebbe arrivare domani e per un giorno posso farcela anche così», e detto ciò andò a sedersi. Posò il proprio libro di testo sul banco e ignorò i mormorii e gli sguardi curiosi degli altri ragazzi.

Alex guardò Brian e sorrise nuovamente. Sfoggiò il sorriso che di solito non lasciava presagire nulla di buono. Lui e la sua banda avevano trovato, quel giorno, un nuovo amichetto con cui giocare, questo era più che ovvio.

Non negava di esser rimasto un pochino incuriosito da quell'Andrew, il quale pareva la quintessenza della tristezza fatta persona, ma ciò che davvero gli stava già da allora permettendo di pregustare il divertimento era che, ad occhio e croce, Collins fosse il tipo perfetto, il classico ragazzo che sicuramente si sarebbe rivelato fragile e dunque una facile preda per i suoi, i loro scherzetti.

Ci divertiremo molto con lui, ne sono sicuro, pensò, senza smettere di osservare l'oggetto dei suoi biechi sogni ad occhi aperti. Per tutto il tempo restante della lezione i suoi occhi grigi non lasciarono neppure una volta Andrew Collins, il quale invece si limitò a tacere e seguire in silenzio la lezione, del tutto ignaro del proprio destino. Una sola volta si arrischiò a perdere la concentrazione e a dar ascolto all'istinto primordiale che era solito avvertire un essere vivente quand'era osservato con insistenza. A un certo punto, infatti, si voltò e i suoi occhi verdi incrociarono, fra tanti altri, proprio quelli di Alexander Woomingan. Quest'ultimo gli restituì un lieve sorriso cordiale, quello di un perfetto esempio di bravo ragazzo di quartiere, e, inaspettatamente, dopo aver parlottato con una ragazza che sedeva di fronte a lui, fece consegnare a Collins il proprio libro di Letteratura.

Andrew lo fissò dapprima con aria sì e no inebetita, poi decise di accettare, seppur con fatica, quel gesto di gentilezza. Rivolse ad Alex un cenno del capo e una pallida, forzata imitazione di sorriso, poi si concentrò sul libro che gli era stato dato in prestito. In un angolo della pagina, scritta con una grafia a tratti incomprensibile, lesse la frase: ‟È bello vedere finalmente una faccia nuova in questo mortorio. Mi chiamo Alex, comunque. Piacere di conoscerti, Andrew".

Collins deglutì e di nuovo tornò a guardare il coetaneo, scrutandone gli occhi grigi e in apparenza cristallini, privi di ombre, dell'oscurità che non risparmiava, ai loro giorni, neppure i giovani e li rendeva spesso dei crudeli adulti futuri. Lui ci aveva sbattuto la testa, purtroppo, e fu proprio quel pensiero a impedirgli di rivolgere un sorriso più convinto e di gratitudine al compagno di scuola. 

«Signor Woomingan, Hemingway si trova sul libro di Herden, non sulla faccia del signor Collins.»

Gli sguardi dei due si separarono al suono della voce della professoressa Silvers che li aveva visti più di una volta distrarsi.

«Le chiedo scusa» disse alla donna Andrew, mortificato. «Può... può dirmi, per favore, a quale pagina ci troviamo?»

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