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𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐈𝐈. 𝐑𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐜𝐨𝐧 𝐦𝐞

Consiglio di ascoltare: "Wake Me Up" di Tommee Profitt feat. Fleurie.

https://youtu.be/tOjIa5PLqDo

Alex si era più o meno immaginato che cosa sarebbe successo al suo ritorno a casa dopo sì e no tre giorni nei quali si era sentito con il padre solamente tramite il telefono, eppure lo aveva sorpreso comunque varcare la soglia di casa propria solo per vedere Daniel e Christian caracollarsi all'ingresso e fissarlo come se avesse fatto ritorno per puro miracolo dal fronte.

Il dottor Woomingan dapprima lo aveva stretto con forza tra le braccia, tanto che il ragazzo si era visto costretto a fargli presente che di quel passo lo avrebbe stritolato, ma poi ecco che Daniel aveva iniziato a parlare, anzi a starnazzare ogni genere di ramanzina e di rimprovero. Sbraitando come un'anatra inferocita gli aveva chiesto che diamine gli fosse passato per la testa di sparire nel nulla e fargli venire i capelli bianchi anzitempo, e quello non era che un frammento della tirata epocale del signor Woomingan il quale, dopo mezz'ora di ininterrotti rimbrotti e minacce di severe conseguenze nel caso ad Alex fosse tornata la voglia di un altro colpo di testa della medesima risma, ecco che finalmente era giunto il verdetto con annessa la punizione: tre settimane di reclusione pressoché totale, eccezion fatta per il tragitto da casa a scuola e viceversa. Niente uscite infrasettimanali e nei fine settimana né, tantomeno, visite a casa da parte di amici. Stabilito ciò Daniel, ignorando Christian che gli aveva consigliato di andarci piano, aveva requisito al figlio il laptop, la Play Station e, giusto per uno scrupolo in più, ogni singolo videogioco utilizzabile tramite la consolle.
Per ultimo il furente dottor Woomingan lo aveva avvertito che se lo avesse anche solo pescato ad accostare la mano al telecomando del televisore, poi sì che avrebbe preso in considerazione l'idea di prolungare il castigo fino a raggiungere la durata di ben due mesi tondi. Ciliegina sulla torta, era andato lamentandosi dell'assenza della leva obbligatoria nel loro Paese, perché a parer suo un po' di sana disciplina militare non gli avrebbe fatto male.

Per fortuna, aveva pensato fra sé Alex, la televisione in sé per sé non gli era mai interessata particolarmente, se non, appunto, per usare la Play Station che purtroppo gli era stata negata per un lungo mese. Quanto alla faccenda del servizio militare, quest'ultima non lo aveva impensierito neppure per un istante. Una minaccia vuota, senza dubbio.

In un primo momento lo aveva colto la tentazione di raccontare al padre e al futuro patrigno di quanto successo al parco, ma poi si era detto che sarebbe stato molto meglio tacere. La paura di esser preso per matto proprio come già era successo con Brian lo aveva frenato dall'aprir bocca in merito alla questione. Senza contare, poi, che Daniel avrebbe sempre potuto vedere in quella storia bislacca e ai limiti dell'assurdo una panzana come tante altre per giustificare un comportamento definito dall'uomo inaccettabile, del tutto in contrasto con la maniera con cui aveva cercato di crescerlo.

A quel punto dei fatti Christian, dal canto proprio, non aveva potuto far altro se non rivolgere al ragazzo un'occhiata compassionevole, seppur indurita da un fondo di preoccupazione e severo giudizio verso un'autentica bravata tipicamente da adolescente con troppi grilli per la testa.

Per molteplici motivi, ad ogni modo, Daniel era stato costretto a lasciargli se non altro il permesso di usare il cellulare. Ormai era pressoché impossibile girare per il mondo senza di esso e sarebbe stato troppo complicato per molteplici ragioni privarlo dell'unico strumento di comunicazione rimastogli.

Nonostante tutto questo e non appena era salito in camera, Alex si era reso conto che non gliene fosse importato poi un granché di esser stato privato della consolle e del computer. Reduce dalla visita a casa dei Collins, l'unica cosa alla quale era riuscito sino ad allora a pensare era stato il ricordo del tempo trascorso con Andrew e di ciò che l'immediato futuro avrebbe riservato a entrambi loro.
Conscio di dover almeno attendere che suo padre e Christian si fossero coricati per la notte, aveva deciso di ingannare il tempo che lo separava dal poter sentirsi per telefono con Brian e, soprattutto, con Andrew. Eccolo dunque lì a saccheggiare, ben poco fiducioso, la libreria presente nello studio dove lui stesso, di tanto in tanto e in assenza di Daniel, si era rintanato per studiare o, semplicemente, oziare e fingere di fare i compiti quando non aveva voglia di scervellarsi sulle noiose pagine di chimica.

Fino ad allora la ricerca di qualcosa, qualunque cosa da leggere o almeno da sfogliare, si era risolta con un enorme buco nell'acqua. Dovunque frugasse scorgeva solamente noiosi volumi inerenti alla medicina e alla chirurgia oppure, ancora, pesanti tomi di saggistica capaci di attrarlo quanto un intero pomeriggio trascorso a fissare una parete vuota.
Possibile, si chiese a un certo punto snervato, che quell'uomo non avesse neppure un minimo di interesse per la narrativa o almeno, ad esempio, per i classici della letteratura?
Non che lui stesso fosse chissà quanto un topo di biblioteca, però che diamine!

«Accidenti!» si lamentò sottovoce, sbuffando e sprofondando nella solida poltrona di pelle marrone. Scostò dal viso una ciocca ribelle sfuggita al nodo che teneva unito il resto dei capelli e passò ancora in rassegna con lo sguardo i sei scaffali stracolmi di libri che lo attorniavano come austeri guardiani di un sapere che, per quel che lo riguardava, erano liberi di tener per sé. Non che avesse le idee chiare circa cosa fare nella vita dal punto di vista lavorativo, ma diventare un medico era al di sopra delle sue capacità e della sua tolleranza quando si trattava di sangue e quant'altro. Gli bastava commettere l'errore di voltarsi e osservare per sbaglio la provetta che andava riempiendosi mentre si sottoponeva a un semplice prelievo per ritrovarsi con giramenti di testa o, come gli era capitato un paio di volte, incorrere in autentici e imbarazzanti mancamenti.
Niente da fare. La vita in corsia non faceva assolutamente per lui.

Quello stato d'inerzia lo condusse prima a ripensare a Andrew, ma poi ecco che dalla sua mente affiorarono di nuovo quei sinistri occhi nelle tenebre che da azzurri, in pochi attimi, erano divenuti scarlatti. Ricordò ancora una volta il terrore provato in quei minuti che erano parsi scorrere come secoli e la consapevolezza di aver per un soffio abbracciato la morte. Aveva tentato di non pensarci, di non indugiare con lo sguardo su tale verità, ma un ricordo del genere era impossibile da ignorare fino in fondo.

Non voleva pensarci. Non voleva e basta.

A sottrarlo alle grinfie dei ricordi fu la vibrazione nella tasca dei jeans che lo avvisò dell'arrivo di un messaggio.
Si scrollò di dosso l'inquietudine riemersa nel suo cuore come un animale feroce e affamato da una caverna, poi estrasse l'apparecchio; sullo schermo lesse il nome di Andrew seguito dall'anteprima del testo che, breve e diretto, gli domandava se fosse ancora tutto intero dopo aver fatto ritorno a casa con davanti a sé la prospettiva di una ramanzina coi fiocchi.
Il ragazzo si guardò in giro e tese l'orecchio per assicurarsi che non vi fosse nessuno nei pressi dello studio o in corridoio, poi cedette alla voglia matta che aveva di sentire la voce di Collins e decise di telefonare direttamente a quest'ultimo.

«Non mi vedi da neppure mezz'ora e già inizi ad avere nostalgia del sottoscritto?» lo prese in giro Andrew, tra il serio e il faceto.

«Ah ah ah, divertente!» lo rimbeccò a tono Woomingan, tornando a sedersi sulla poltrona, anzi raggomitolandovisi sopra. «Non è andata male come temevo. Sai, con mio padre.»

«Elabora, prego.»

«Beh, ecco... niente PC né Play Station, niente uscite né visite di amici e tutto il resto del solito pacchetto base del castigo, ma...», Alexander, per sicurezza, abbassò il tono di voce. «Si è dimenticato l'iPod e mi ha permesso di tenere il cellulare! Non è andata poi così male!»

Dall'altro capo si udì con chiarezza Collins esalare un lungo sospiro e Woomingan riuscì a figurarselo vividamente alzare gli occhi al cielo e metter su un'espressione di sussiegoso rimprovero nei suoi riguardi. «Sei una vera canaglia. Non ho parole

«Oh, ma andiamo! Posso vivere senza il PC e i videogiochi, ma toglimi la musica e sono praticamente morto e defunto! Dico davvero!» si difese Alex. «E poi sono già abbastanza depresso alla prospettiva di non poter uscire per un mese intero. Insomma...»
Il giovane quarterback, come al solito, avvertì una vampata di calore prender possesso delle sue guance. «E-Ecco... m-magari potevamo andare... n-non lo so, al cinema o roba simile» biascicò.

Andrew fece una pausa, poi replicò: «Sì, anche a me scoccia un pochino questa situazione, ma devi ammettere di essertela andata a cercare. Tuo padre... beh, a discapito di come l'hai dipinto mentre parlavi di lui giorni fa, direi si sia comportato come un genitore di tutto rispetto! È il suo mestiere farti rigare dritto, dopotutto».

Era snervante, a volte, constatare fin dove fosse capace di spingersi Collins con quel suo essere il bravo ragazzo della porta accanto per eccellenza, pensò Alex. «Dimmi che a volte anche tu ti sei beccato qualche punizione da parte di tua madre o vado a seppellirmi in giardino.»

«Uhm... no, mai

«Ora sì che mi sento depresso.» Woomingan si alzò e si diresse alla finestra per sbirciare fuori senza uno scopo preciso. Giusto per fare qualcosa mentre parlava con Andrew. Esitò. «Ehi, posso... posso dire una cosa senza venire accusato di banalità, di essere sdolcinato o... beh, entrambe le cose?»

«Ormai ci ho fatto il callo» scherzò l'altro ragazzo. Qualcosa nella sua voce indusse subito Alexander a capire che stava sorridendo e tale pensiero fece fare una capriola al suo cuore. «Su, avanti, spara.»

«Oggi è stata una delle giornate più belle di tutta la mia vita» snocciolò senza fronzoli né rimpianti Alex, sincero ed emozionato. «Sì, lo so che ora mi trovo in punizione e che sarà un mese estenuante, però... cavolo, ne è valsa la pena!»

Un'altra pausa. «In effetti hai appena detto una cosa molto sdolcinata e banale, sentita e risentita» concesse Andrew. « Di tanto in tanto, però, un po' di semplicità a colpo sicuro non guasta e in fin dei conti... penso la stessa cosa. Voglio dire... è da un po' che non mi sentivo così e solo ora mi rendo conto di quanto ne sentissi la mancanza.»
Alex fece per rispondere, più emozionato che mai, ma si bloccò e sentì ben presto un po' del buonumore scemare e un velo di ansia riemergere da un anfratto della mente quando Andrew, dopo qualche attimo di silenzio, gli chiese: «Non per smorzare l'atmosfera, ma... è da quando eri a casa mia che volevo domandartelo. Hai detto di essere andato a Enswell, due giorni fa, ma molti dettagli continuano a suggerirmi che tu mi stia nascondendo qualcosa, Alex. Prendimi per uno scemo o uno fissato con dettagli da investigatore di terz'ordine, però... ho visto le tue mani. Non sei tranquillo e prima non le avevi in quello stato. È come se... non lo so, come se qualcosa ti stesse divorando dentro e più ci rifletto più ripenso alla tua strana assenza da scuola. Siamo onesti, se ti fossi recato a Enswell per divertirti, sono sicuro che avresti convinto Brian o qualche altro tuo amico a seguirti in una bravata del genere. Non mi sembri il tipo da marinare la scuola per conto tuo, capisci? E comunque ricordo bene in che stato eri prima che io mi recassi a scuola e ti lasciassi lì per strada da solo. Non sembravi dell'umore adatto per andartene a zonzo a goderti, tra parentesi, un tempaccio coi fiocchi».

Alex si rese conto in pochi attimi di esser stato inchiodato come uno scemo. «E-Ecco... io...»

«Alex, dimmi cos'è successo veramente quella sera. Non sei andato a Enswell ed eri pressoché impossibile da rintracciare. Non rispondevi al telefono a nessuno, neppure a tuo padre, e quando ore fa ti ho accompagnato alla porta ti ho visto mentre ti guardavi in giro come se ti aspettassi che da un momento all'altro spuntasse fuori dall'altro capo della strada chissà che cosa. Sprizzavi ansia da ogni poro e continuavi a lanciare occhiate verso gli alberi» insisté implacabile Andrew, riferendosi a quando Alex, senza poter evitarlo, per qualche secondo aveva gettato lo sguardo in direzione della porzione di bosco visibile da dove si trovava la casa dei Collins. La zona del quartiere in questione, effettivamente, in parte confinava con i famigerati boschi di Hanging Creek, gli stessi dai quali pareva provenire il fantomatico Mostro.
Alex non era riuscito a contenersi e, ancora memore di quel che era accaduto nel parco, per lui era stato istintivo sincerarsi che non vi fossero due paia di occhi azzurro intenso a brillare nella penombra della foresta.
Andrew non aveva apparentemente dato segno di averci fatto caso e forse solo in un secondo momento aveva riesaminato dentro di sé la scena e iniziato a unire i punti.

«V-Va bene, Sherlock» biascicò Woomingan, fra l'imbarazzato e il colpevole. «T-Ti dirò cos'è successo, ma devi promettermi che non ne farai parola con nessuno. Lo sa solamente Brian, per ora, e non ho intenzione di coinvolgere nessun altro.»

«Alex, fuori il rospo e basta, se non vuoi che inizi a preoccuparmi sul serio.»

«V-Va bene, va bene.» Lex respirò profondamente. Non sapeva da dove cominciare, ma forse era meglio entrare nel vivo della vicenda. «Io... n-non lo so che cosa ho realmente visto. Da un lato mi verrebbe da dire che tua sorella aveva ragione a dire che le sue compagne di scuola non sono state uccise da un animale, ma dall'altro... è troppo assurdo e folle! Non ha alcun senso e secondo Brian ho solo avuto una gran fifa e ho scambiato un animale selvatico per qualcos'altro. È vero, ero terrorizzato quando lui mi ha raggiunto al parco, ma... io so cosa ho visto, anche se è totalmente da pazzi. È una follia!» Un brivido lungo la colonna lo spinse a tornare alla poltrona e a raggomitolarvisi sopra come un bambino. «C'è davvero qualcosa in quei boschi, Andrew, e per poco non facevo la fine di quelle due bambine e del ragazzo che hanno trovato morto lì, vicino al lago. La cosa assurda è che sono sicuro di aver intravisto una figura umana, non di un animale. Era un uomo e aveva questi... questi occhi che brillavano nel buio. Per un attimo è stato come se fossi sprofondato in una specie di ipnosi e poi... ecco che torno padrone di me stesso e mi accorgo che quella cosa si sta avvicinando e vuole prendermi. Sono scappato come un razzo e a momenti Brian mi ha messo sotto con l'auto. Qualunque cosa ci sia fra quegli alberi, umana o meno, è reale e tornerà a colpire, se non la acciufferanno.»

Andrew, il quale fino ad allora era rimasto in silenzio e lo aveva ascoltato, finalmente riprese parola e, in maniera stringata e con voce seria, disse: «Vengo subito da te. Dobbiamo parlarne faccia a faccia e voglio vederci chiaro».

Memore del fatto che le strade, di sera, non fossero più sicure come una volta e che in ogni caso fossero le otto passate, Alex scosse la testa. «No, Andrew. Non è il caso che tu esca e comunque... te l'ho detto, è stata una sera folle, quella, e non sono sicuro se ciò che ho visto fosse reale o meno! Non ne vale la pena.»

«Hai voglia di scherzare? Prima vieni a casa mia a sciorinarmi discorsi strappalacrime e poi ecco che vengo a sapere che tre giorni fa stavi per essere ammazzato da quell'essere! E quel che è peggio è che Brian lo sapeva e mi ha rifilato quella cazzata su Enswell!»

«L-L'ho pregato io di dirtelo.»

«Ancora peggio! Appena mi ricapita a tiro...!»

«Non mi andava di... v-voglio dire...non volevo coinvolgerti.»

«Alex, non è questo il punto! Non del tutto!» Andrew sembrava sul serio adirato. «Non capisci? Sei un testimone oculare! Hai visto coi tuoi occhi il probabile assassino di ben tre vittime innocenti! Devi dirlo allo sceriffo! Non potrà far finta di niente o continuare a battere la pista sbagliata, dopo aver udito la tua testimonianza!»

Il telefono quasi cadde di mano ad Alexander. «Cosa?» esclamò questi stridulo, chiedendosi se all'altro ragazzo avesse dato di volta il cervello. «Ma sei matto? Keegan mi butta fuori a calci nel culo dal suo ufficio se vado lì e gli racconto di quella sera al parco! Non ha voluto credere a tua sorella, figurati se prenderebbe per buone le mie, di parole! No, no, no! Non se ne parla!»

«Ma insomma! Non ti sto dicendo di raccontargli degli occhi che brillavano! Ti sto solo chiedendo di dirgli che hai visto una persona, non un puma, un orso o qualche altra belva! Per l'amor del cielo, Alex, sono morte tre persone e tu stavi per essere la quarta vittima! Non dovrei neppure implorarti di dire la verità a Keegan! Dovresti esser andato subito da lui di tua spontanea volontà! È una faccenda seria e altri innocenti ci andranno di mezzo, se non proverai almeno a spiegare a Keegan ciò che hai visto!»

«Non è così semplice, Andrew, e lo sai.»

«Non ho detto che lo sia!» Collins fece un respiro profondo per calmarsi. «Verrò con te. Non dovrai fare tutto da solo. Non sarebbe giusto e comunque ci sono dentro fino al collo anch'io, no? Glielo diremo insieme.»

Alex tacque e per un istante si concentrò sul tremore tornato a impadronirsi delle sue mani: paura, anzi terrore. Era reale, tutto lo era stato. Non aveva preso un abbaglio e in cuor proprio lo sapeva molto bene. Non era possibile provare un simile timore per qualcosa che non esisteva, dopotutto, e lui sapeva per certo di esser sano di mente.
Andrew aveva ragione: doveva almeno tentare di dire la verità allo sceriffo, per quanto assurda. C'erano in gioco vite innocenti e solo Dio sapeva quando quel mostro sarebbe tornato a colpire, specialmente dopo esser rimasto a bocca secca. V'era il rischio concreto che le prossime aggressioni sarebbero state più feroci e sanguinose. Non poteva semplicemente voltarsi altrove e far finta di niente. Doveva fare un tentativo e avere coraggio, proprio come Andrew gli stava ribadendo in quel preciso istante.

Purché consapevole che se ne sarebbe pentito e che Keegan non avrebbe preso sul serio neppure per mezzo secondo la sua testimonianza, con un filo di voce Alexander acconsentì alla proposta di Collins.

«Dunque...» Lo sceriffo Keegan si sistemò sulla seggiola, fissando i due ragazzi seduti alla sua scrivania. «Mi state forse dicendo che in realtà dietro agli omicidi vi sia un mostro dalle fattezze umane e con la malsana ossessione per il sangue di povere vittime innocenti?» ricapitolò, osservandoli a turno di sottecchi con lo scetticismo dipinto a regola d'arte sul volto.

Alex e Andrew si scambiarono una breve occhiata.

Circa una settimana dopo aver confessato a Collins quant'era successo al parco, Alex e il coetaneo si erano ritagliati del tempo per raccogliere il coraggio e andare dritti dallo sceriffo per segnalare finalmente l'accaduto alle autorità di competenza. Quello stesso pomeriggio, dunque, appena erano usciti da scuola si erano diretti subito alla centrale e chiesto di parlare con Keegan. Il racconto era stato lineare, pulito e senza infiorettature, ma ricco di precisi dettagli e, soprattutto, preciso nel delineare quel po' di aspetto fisico del presunto assassino che Alex riusciva a rimembrare. 
Malgrado la buona volontà dei due giovani studenti, era tutto questo a render scettico lo sceriffo e a fargli credere di aver a che fare con una pessima burla. Insomma, si disse l'uomo, davvero avrebbe dovuto credere a un racconto del genere? Un essere umano che se ne rimaneva acquattato nella foresta come una belva e con gli occhi che risplendevano come fanali nella notte?

Alex, incoraggiato dal cenno impercettibile che gli rivolse Andrew, inumidì le labbra e annuì. «Sì, sceriffo Keegan. È tutto ciò che ricordo e le assicuro che è accaduto sul serio.»

«E poi combacia con quanto raccontato da mia sorella, no?» gli venne in aiuto Collins. 

Keegan, ancora una volta, li passò in rassegna con molta serietà finché, sospirando e scuotendo la testa, si accomodò meglio sulla poltrona e raddrizzò la schiena, negli occhi un'ombra tanto autoritaria quanto cupa. «Capisco che alla vostra età abbiate ancora una fervida immaginazione, in fin dei conti siete poco più che ragazzini, ma qui stiamo prendendo seriamente questa storia degli omicidi. Sono morte tre persone nell'arco di poco e non abbiamo di certo tempo per correr dietro alle vostre ragazzate. Sicuramente ti hanno fatto uno scherzo, Alexander. Dubito possa esistere una creatura del genere in natura, men che meno un uomo dagli occhi a fanale o quello che sia. Probabilmente sarà stato uno scherzo della luce e...»

Alex lo fissò a bocca aperta. «Ma se era notte!» protestò. «E non ho detto che aveva gli occhi a fanale! Brillavano nel buio come quelli di un felino o roba simile! Ha presente i leoni? Solo che li aveva rossi!»

«Beh, cambia poco. Un'allucinazione, ecco tutto. Sicuramente sei stato influenzato dalla suggestione e dalla paura. Forse un tuo amico ha voluto tirarti qualche brutto scherzo e indossava strane lenti a contatto colorate o qualcosa del genere. Perfettamente e scientificamente spiegabile.»

Woomingan non riuscì a credere a quel che stava sentendo. Sul serio Keegan lo aveva appena definito un fifone visionario? E quella corbelleria delle lenti a contatto, poi...!

«Ma andiamo, signor Keegan!» si intromise Andrew, giunto al limite della pazienza. «Le pare che io e Alex siamo venuti fin qui solo per prenderla per i fondelli? Per chi ci ha presi?»

Lo sceriffo si concentrò su di lui, lo sguardo più severo che mai. «Infatti mi meraviglio di te, Andrew. Con quel che è accaduto a tua sorella dovresti capire più di chiunque altro quanto sia importante rimanere lucidi e obiettivi in simili circostanze.»

Collins lo fissò con tanto d'occhi. «Ma cosa...» balbettò. O era matto lui o era Keegan a non comprendere più una sola parola d'inglese. «È proprio perché ci sono dentro fino al collo che non mi presenterei mai fin qui per dar man forte a una stronzata!»

«Linguaggio, giovanotto.»

Andy gonfiò le guance per trattenersi dallo sbuffare. E lui che pensava che almeno Keegan sarebbe stato dalla loro parte.

«Ad ogni modo e se non c'è altro», riprese lo sceriffo, «adesso vi invito cortesemente a tornare a casa a fare i compiti e a meditare sul vostro comportamento. O così o giuro che chiamo i vostri genitori e li avverto che mi avete fatto perdere quasi mezz'ora di tempo per rifilarmi una storiella balorda.»

«Storiella balorda? Sceriffo, non abbiamo affatto...» Andrew si rivolse al coetaneo e accennò a Keegan. «Insomma, Lex, diglielo anche tu!»

Alexander deglutì. «Sceriffo Keegan, la prego... cerchi di riflettere un attimo su...»

«Non ripeterò una seconda volta» lo interruppe l'uomo, categorico. «Fuori e dritti a casa. È pericoloso stare in giro di questi tempi.»

Fu Andrew, furente, il primo a scattare in piedi e a uscire dall'ufficio. Alex, invece, esitò e rivolse un'ultima occhiata delusa e frustrata allo sceriffo. Un attimo dopo seguì il compagno di scuola fuori dalla centrale e, ignorandone l'occhiataccia, non ce la fece più e si accese una sigaretta. «I-Io... scusa, m-ma... ne ho bisogno, abbi pietà» lo implorò. 

Per una volta Collins scelse di dargli requie e agitò una mano. «Tranquillo. Io sto per sbattere la testa contro qualcosa, quindi...!», sbuffò sonoramente. «Incredibile! Assurdo! Hai sentito che mi ha detto?» aggiunse poi stizzito, indicando col pollice la porta principale della centrale di polizia. «Come può averci accusati di averlo preso in giro? Sono morte delle persone, porca miseria!» gesticolava come un matto. Era un puro concentrato di collera, tanto che tra non molto Woomingan non sarebbe rimasto stupito se di colpo lo avesse visto emettere del fumo dalle narici come un drago sputafuoco.

Lex espirò del fumo e sollevò il capo per guardare l'altro ragazzo. «Te l'avevo detto che non mi avrebbe creduto. È un piedi piatti, Andrew, e loro non credono mai a niente» ribatté amareggiato. «Voglio dire... quanti anni ci vollero ai poliziotti per acciuffare Bundy? Andrà a finire alla stessa maniera, sempre che Van Helsing in persona scelga di unirsi a Keegan nella caccia al mostro.» Si scompigliò i lunghi capelli leonini. «Piuttosto, datti una calmata. Arrabbiarsi serve a poco, no?»
Non nascondeva che quel lato peperino e irruente di Andrew un po' lo affascinasse e attraesse, ma era sempre meglio non strafare e lo preferiva quando sorrideva. 
Deglutì e fece un altro tiro di sigaretta, sperando che il rossore appena comparso sulle sue gote non venisse notato da Collins. Era più forte di lui e non poteva far a meno di sentirsi irretito da quel ragazzo, dai suoi occhi ora in tempesta, dai suoi capelli che persino sotto la grigia luce pomeridiana possedevano riflessi nero bluastri. La verità era che se Andrew era accanto a lui tutto, persino i ricordi del mostro di Hanging Creek, passava in secondo piano.

Collins gli lanciò una breve occhiata, sospirò profondamente e fece un cenno con la testa: «Okay, okay. Sono tranquillo».

«Ecco, bravo» lo apostrofò Alexander, abbozzando un sorriso. «Presto si accorgeranno che avevamo ragione e spero solo che non debba rimetterci la vita altra gente.»

«È proprio per quello che sono arrabbiato. Non hanno nemmeno una dannata pista da seguire, eppure si ostinano a voler per forza fare come gli pare. Sono un branco di caproni. Uno cerca di collaborare e viene ripagato con una porta sbattuta in faccia.» Andrew roteò gli occhi e rifilò un'occhiata astiosa alla porta della centrale come se essa, proprio come Keegan, gli avesse fatto un torto gravissimo.

«Sono poliziotti! Qualcuno li definisce "maiali in blu" per un motivo ben preciso!» commentò Alexander con ovvietà, sghignazzando impunemente. Andrew gli rifilò dapprima un'occhiataccia, poi tuttavia rise, contagiato dal lieve accesso d'ilarità del coetaneo. «Sei un idiota» sentenziò, ma nei suoi occhi v'era soltanto pura e semplice tenerezza. Benché avrebbe voluto dargli una botta in testa per aver ceduto alla tentazione di fumare, sotto sotto lo trovava attraente persino nel guardarlo avvolgere quelle labbra rosee attorno alla sigaretta. Prima ancora di rendersi conto di quel che diceva, chiese: «Ehi, posso... posso provare a fare un tiro?»

Alex lo fissò a occhi spalancati e rimase con la mano che reggeva la sigaretta a mezz'aria. «Come dici?»

Andrew si fece coraggio, fece un passo verso di lui e, senza aggiungere mezza sillaba, gli sottrasse delicatamente la sigaretta e, dopo aver esitato, fece un tiro a propria volta. Neppure a dirlo, ciò scaturì in più di un colpo di tosse. Woomingan agitò una mano. «N-Non dovresti... insomma... la tua salute!»

Collins, però, scelse di ritentare e finalmente riuscì a portare a termine quell'improvvisa bravata senza eccessivi intoppi. «Beh...» fece infine mentre restituiva all'altro la sigaretta ed espirava il fumo attraverso le labbra socchiuse. «Non è poi così male, tutto sommato» sentenziò, la voce un po' arrochita. Si accigliò quando Alexander riparò con le mani il viso e volse altrove il capo. «Che c'è?»

Accidenti, pensò intanto Woomingan, disperato. Perché doveva arrossire ad ogni singola azione compiuta da Andrew? Perché, proprio in quel momento, gli era saltata in testa la malsana idea di baciarlo con trasporto? 
Nel vederlo fumare lo aveva trovato sensuale e... cielo, quello lì lo avrebbe mandato al camposanto, se lo sentiva!

«N-Niente» biascicò. «U-Un po' di fumo m-mi è andato negli occhi, tutto qui!» 

Di progressi in pochi giorni ne avevano fatti e più il tempo passava e più si conoscevano meglio e lui aveva addirittura proposto a Andrew di accompagnarlo al matrimonio di Daniel e Christian, se tutto fosse andato per il meglio fino a quell'estate. Glielo aveva chiesto per semplice supporto e conforto, non solo perché sarebbe stato bello avere proprio Andrew, fra tanti altri, accanto a lui in quell'occasione.
Ormai era del tutto preso da Collins, tanto da non pensare più alla scommessa né ai propri amici coi quali si era sentito sporadicamente, eccezion fatta per Brian che era andato in brodo di giuggiole non appena aveva saputo del suo rappacificamento con Andrew.

Non gli importava più di cose che un tempo aveva reputato fondamentali. Era come se oramai ogni cosa ruotasse attorno al ragazzo che gli stava al momento di fianco. Si stavano pian piano avvicinando ed era sempre più evidente la crescente complicità fra di loro. Andy, fra tante altre cose, si era persino intestardito nel dargli una mano a rinvigorire i suoi voti a scuola nelle materie in cui era carente. Diamine! Lo aveva messo sotto con lo studio e quando non studiavano assieme parlavano, si confidavano e chiacchieravano a vicenda dei reciproci interessi. 

A volte era come trovarsi in un sogno ad occhi aperti e se era quella la verità, se davvero si trattava di un miraggio, di una visione notturna vivida e magnifica, allora non desiderava altro che dormire per l'eternità come la Bella Addormentata. Dormire con la speranza che poi sarebbe stato proprio Andrew a farlo ridestare con un tanto agognato bacio.
Talvolta si sentiva infantile nel pensare tutto ciò, ma non gli importava. Se quel piccolo universo attorno a loro era una sorta di regno, allora ormai Andrew Collins era a tanto così dal venir presto incoronato come re di ogni singola cosa, compreso il suo cuore.

Alex pensò a questo e a tanto altro ancora mentre teneva le mani ben salde sul volante e guidava diretto a casa propria con Andrew ancora al suo fianco. 
Guardò ancora una volta con la coda dell'occhio il coetaneo e si mordicchiò il labbro inferiore. «Hai pensato a cosa farai una volta preso il diploma?» gli domandò, curioso. Un'altra scusa bella e buona per bearsi della sua voce, anche.
Era uno di quei giorni in cui avrebbero dovuto entrambi studiare come matti e già che c'era... si sentiva finalmente pronto per presentare a suo padre e a Christian Andrew, dato che tutti e due avevano la giornata libera.
Andy non era l'unico col quale Alexander fosse riuscito a riavvicinarsi, in quei giorni. Visto e considerato che il castigo gli imponeva di rimanere a casa per gran parte della giornata, di tanto in tanto aveva scelto di annullare un po' alla volta la distanza fra sé e il padre, nonché il patrigno.
Fra una chiacchierata e l'altra, alla fine, ecco che il nome di Andrew era saltato fuori. Prima qualche accenno, poi ecco che Alex aveva ammesso di essersi preso una cotta fenomenale per il compagno di scuola, lasciando di sasso soprattutto Daniel.

I due promessi sposi non si erano aspettati nulla del genere, specie quando era stato proprio Alex ad opporsi per primo a certe questioni ed era stato allora, soltanto allora, che il giovane Woomingan aveva aperto il proprio cuore sino in fondo e si era scusato con entrambi per l'atteggiamento adottato nei loro confronti.
Non era tipo da chieder scusa così su due piedi, questo lo sapevano anche i sassi, eppure era talmente cambiato da quando aveva conosciuto Andrew da non aver provato fatica alcuna nel dire che gli fosse dispiaciuto essersi comportato male con il padre e il futuro patrigno.

Il dottor Woomingan e compagno per interminabili secondi erano rimasti a fissarlo un po' inebetiti, poi Daniel, dopo anni e anni in cui non si era mai lasciato andare ad aperte dimostrazioni di affetto nei suoi riguardi per svariati motivi, aveva spezzato tale abitudine abbracciandolo forte e addirittura finendo per scoppiare a piangere sulla sua spalla.
Per Lex era stato strano e alieno tale momento, ma in un angolo del proprio cuore aveva capito di aver per anni desiderato da parte del padre un abbraccio, una parola gentile, una chiara manifestazione della sua paterna presenza dopo anni di silenzio e chiacchierate ridotte all'osso che avevano sempre avuto la durata di massimo dieci minuti.
Nel giro di pochi istanti si era ritrovato a piangere insieme a suo padre e a benedire il provvidenziale incontro con Andrew. Più che mai era convinto di aver a che fare con un angelo custode sotto mentite spoglie, anziché un normale essere umano. Non aveva mai creduto nei miracoli, ma iniziava sul serio a ricredersi.

Le cose non potevano che migliorare, a quel punto. Ne era sicuro.

«Drew?» fece Alexander, tornando al presente e richiamando l'attenzione del pensieroso coetaneo con un nomignolo del tutto spontaneo e proveniente dal cuore. 

Andrew si riscosse e allontanò gli occhi verdi dal finestrino, guardando il ragazzo che sedeva al posto del guidatore con aria un po' smarrita. «Drew?»

Ancora una volta Alexander si ritrovò con le gote imporporate. «S-Scusa, ho... ho parlato senza riflettere» balbettò, schiarendosi la voce. «Non farci caso.»

Collins scosse la testa e sorrise di sbieco, lo sguardo riscaldato dall'ennesimo accesso di tenerezza nei riguardi di Woomingan. «No. Mi piace!» lo rassicurò. «Chiamami pure in quel modo.» Ed era sincero. Gli faceva piacere che Alex avesse trovato un nomignolo diverso da quello usato, ad esempio, da sua madre e Samantha. Era differente e speciale. 

Alex sorrise raggiante, gli occhi grigi che scintillavano di gioia sincera. «Allora lo userò sempre!» esclamò entusiasta, quasi come un bambino nel giorno di Natale. «Comunque, prima ti ho chiesto quali progetti avessi per te stesso una volta che avrai finito la scuola.»

Andrew, senza smettere di sorridere di sbieco, si strinse nelle spalle. «Beh, pensavo a qualcosa come il giornalismo o roba del genere. Mi piace scrivere, come sai già, e oltre al giornale di scuola ho un blog personale che aggiorno più o meno tutti i giorni. Come se non bastasse, sono sì e no fissato col tenermi al passo con quanto accade nel mondo e sono piuttosto ficcanaso. Insomma... sarebbe bello venire ammesso e vivere di ciò che adoro fare» replicò, senza celare nella voce una punta di personale orgoglio e di sicurezza nelle proprie capacità. Se si era bravi in qualcosa nasconderlo aveva ben poco senso. Guardò di nuovo Alexander da sotto le lunghe ciglia scure. «Tu, invece? So che i giocatori di football scolastico, se abbastanza in gamba, possono guadagnarsi una borsa di studio.» Gli importava davvero di sapere quali progetti avesse invece Lex per il futuro e non immaginava minimamente di aver fatto pressione su un tasto assai dolente. 

Alexander deglutì e strinse appena di poco le labbra, il viso ora oscurato da un velo di amarezza e, soprattutto, livore nei riguardi di se stesso. Poteva confermare che Andrew avesse un vero talento per la scrittura, visto che si era divorato ogni singolo trafiletto firmato da lui, ma era stato proprio ricordare questo ad averlo spinto a pensare di non essere forse all'altezza di un ragazzo come Collins. Drew era intelligente, serio e coscienzioso, aveva le idee già chiare su ciò che voleva, ma lui...
Cambiò marcia e si inumidì le labbra. «B-Beh... diciamo che ultimamente faccio un pochino schifo con il football. La squadra ha già perso diverse partite per colpa mia e se continuo così la borsa di studio me la gioco di sicuro. Non fanno che parlarne tutti quanti, ultimamente.»
I risultati sul campo dei Big Lizards parlavano da soli, d'altronde.
Benché Andrew, se messo alle strette, preferisse di gran lunga il tennis al football, era impossibile che non avesse udito neppure mezza chiacchiera per i corridoi di una scuola piena zeppa di pettegoli. Che detestasse lo sport, comunque, era materia appurata e sin dai primi giorni Alex lo aveva spesso visto mancare alle lezioni di ginnastica o rimanere in disparte a leggere o a ripassare in vista della lezione successiva. Ricordava di non aver mai perso una sola occasione per fermarsi a osservare quel compagno di scuola che sin dal principio aveva suscitato la sua curiosità, scommessa o non scommessa. Lo aveva osservato e ottenuto in risposta un bel po' di scontrose e diffidenti occhiatacce, un po' come accadeva quando si tentava di seguire i movimenti di una creatura dei boschi molto schiva e sfuggente. 

Non proprio uno zuccherino, anzi gli era apparso la persona più cupa e scoraggiante che avesse mai solcato quella città, eppure, come ben si sapeva, non era stato sufficiente a farlo demordere e aveva infine scovato, dentro quell'oscura e minacciosa fortezza, un autentico e inestimabile tesoro. Stentava ancora a credere di trovarsi lì, ora, in compagnia di quel ragazzo così speciale e di progetti per il futuro.

A fronte di tante cose si domandava cosa avesse visto Andrew in lui per spingerlo a dargli una possibilità. Non era talmente sciocco da non riconoscere di avere tante mancanze e di non essere la persona più arguta del pianeta. Forse, anzi, era ancora più stupido di quanto lui stesso fosse consapevole. 

«Probabilmente andrà a finire che dovrò arrangiarmi per conto mio» aggiunse, tornando a guardare la strada e trattenendo un lungo sospiro. «Poco ma sicuro, non voglio ricevere alcun aiuto da mio padre e voglio provare a cavarmela da solo. Se dovrò lavorare per guadagnarmi un posto al college, allora così sia. Ci sono cose peggiori al mondo, no?»

Andrew, rimasto sino ad allora in silenzio, fece spallucce. «Sia come sia, non darti per vinto in partenza e cerca di concentrarti. Se lo sport non va, allora impegnati di più e focalizzati sull'obiettivo. So che sembro il perfettino della classe e un cervellone, ma credimi quando ti dico che rimango sui libri per ore ed ore. È faticoso, a volte vorrei spararmi in testa, ma è quando vedi i risultati del tuo lavoro che capisci che ne è valsa la pena. Tu... tu sei intelligente, sotto sotto. Ti perdi in un bicchier d'acqua, verissimo, ma adesso che ho imparato a conoscerti meglio... sarebbe ingiusto definirti un completo scemo. Devi solo lavorarci sopra, Alex, e se vuoi che ti aiuti in questo, sappi che sarei ben felice di rendermi utile.» Gli parlò con un tono di voce incoraggiante e spontaneo; schietto come sempre, certo, ma lo stesso badò di essere delicato. Ad ulteriore riprova della buona fede che lo animava, allungò una mano e strinse quella di Alexander serrata sulla leva del cambio. 

Woomingan sentì il cuore accelerare e il calore invadergli di nuovo le guance, gli occhi pizzicargli e uno strano groppo in gola. Andrew aveva un effetto destabilizzante su di lui, quasi come una specie di droga che lentamente gli stava friggendo il cervello e mandando in tilt i pochi neuroni sani di cui disponeva. La cosa assurda? Adorava tutto ciò e vi sguazzava beatamente. 
Piano piano spostò lo sguardo dalle loro mani unite al viso di Collins. Aveva la bocca secca e i suoi polmoni parevano aver dimenticato come fare il loro lavoro. «I-Io... io penso che tu sia fin troppo buono con il sottoscritto, sai?»
A dirla tutta, Andrew era troppo buono per un mondo come quello e, soprattutto, per lui che era una persona peggiore di quanto lasciasse trasparire. Non tutto ciò che luccicava era oro. Forse, pensò, un giorno avrebbero scritto tale massima sulla sua lapide, visto che racchiudeva sì e no tutta la vita che sino ad allora aveva condotto. 

Avrebbe tanto voluto pronunciarla a voce alta, quasi a voler rivolgere un monito a Andrew, ma le parole gli morirono in gola. Era chiaro che la sua coscienza stesse urlando a squarciagola e provando in ogni maniera a dirgli che non fosse una buona idea procrastinare qualcosa di inevitabile. Qualcosa che avrebbe dovuto far presente a Andrew sin da quando si erano confrontati: la scommessa e il fatto che lui, Alex, avesse sino a poco tempo addietro detestato i gay, i diversi, chiunque avesse osato non rispettare gli sterili canoni della società moderna.

Avrebbe dovuto dirglielo, ma si sentiva morire al pensiero di veder spegnersi negli occhi di quel ragazzo quella tenerezza, quel calore avvolgente e sublime che lo faceva sentire a pochi passi dalle porte del Paradiso. 
Sapeva che più avrebbe procrastinato e più sarebbe stato arduo affrontare quell'argomento, ma ogni giorno continuava a rimandare, a dire a se stesso: "Solo un altro po', ti prego". Un altro po' di tempo trascorso a bearsi di quel calore, della compagnia di Andrew, della sua vicinanza. Solo un altro po' della tenerezza di cui mai aveva capito di aver bisogno, ma della quale oramai era incapace di privarsi.
Solo un altro po', si disse disperato, ricambiando per un istante la stretta di Collins prima di tornare a stringere il volante. Il cuore che intanto minacciava di schizzargli via dal torace.

Collins lo squadrò in silenzio prima di scuotere il capo e sbuffare una debole risata: «Ma andiamo, andiamo! Piantala di svalutarti. Solo perché in un certo senso stiamo insieme non vuol dire che tu debba cambiare ciò che sei. In fin dei conti sei divertente quando alimenti da solo il tuo ego con battute squallide o ti perdi in auto-celebrazioni capaci di durare da qui a Natale! Fanno parte del tuo fascino, suppongo!»
Si rese sul serio conto di quel che aveva detto solo quando scorse lo sguardo che aveva Alex. Alex che aveva appena parcheggiato alla bell'e meglio l'auto sul ciglio della strada e tirato il freno con forse un po' troppa energia prima di fissarlo a quel modo. Sembrava senza fiato, uno che stava per tuffarsi da una scogliera e non sapeva se ridere o piangere di tanta avventatezza.

Il punto era che Andrew pareva non capire affatto quale effetto avessero le sue parole sulle persone, specialmente su di lui. Lui che ormai era a dir poco in estasi come un fedele che aveva appena visto comparirgli di fronte la Beata Vergine. Aveva detto che stavano insieme... Andrew aveva detto che stavano insieme! Lo aveva sentito!

«Lex?» fece Andrew, spaesato e sì, un po' preoccupato. Alex se ne stava lì senza dire una parola, senza fare niente, e lo guardava. Aveva gli occhi straripanti di lacrime e respirava a malapena. 

Alexander invano tentò di respirare, di calmarsi. Si scostò i capelli dal viso, desideroso di fare tante, troppe cose.
Okay, ora basta! Non ce la faccio più!
Fu un impulso dettato dalla parte più profonda del suo tormentato e palpitante cuore quello di mandare al diavolo ogni cosa, afferrare per il colletto della felpa grigia Drew, attirarlo a sé e unire le loro labbra. Non lo fece con irruenza, nient'affatto. In quel bacio v'era impazienza, forse insicurezza, ma soprattutto la buon vecchia dolcezza impetuosa e giovanile di un qualsiasi innamorato alle prime armi. 

Innamorato...

Era mai possibile che fosse bastato così poco tempo, così poca vicinanza, per far sussultare le corde del suo cuore fino a tal punto, fino a farlo rimanere così folgorato?
Possibile che esistesse un amore simile? Uno lesto e accecante come un fulmine ed impetuoso e strepitante come il tuono durante una tempesta?

Una cosa del genere sarebbe potuta esistere solamente in un film della Disney o in qualsiasi opera narrante le vicende di due amanti, ma lì erano nella realtà!

Possibile che Collins lo avesse turbato fino a tal punto?

Ti prego, pensò Alexander. Ti prego, non respingermi ancora.
Era certo che se fosse stato respinto come giorni prima il crepacuore lo avrebbe stroncato. Gli pareva quasi che la sua vita intera dipendesse ormai da un bacio concesso o negato.
Ti prego, non allontanarmi di nuovo.

Smise di porsi inutili domande e di pensare nello stesso istante in cui sentì le labbra di Andrew schiudersi lentamente dopo un attimo d'interminabile, eterna immobilità. Si schiusero, accolsero le sue e per la prima volta il gesto di Alex venne ricambiato volentieri, quasi con la medesima impazienza.

Un fremito attraversò la colonna di Alexander; un brivido di quelli inarrestabili e che lo fece tremare come una casa alla mercé di un terremoto, e lui... oh, buon Dio! Eccome se si stava beando di tutto ciò! 
Si sentiva vivo e in quell'istante comprese di essersi fino ad allora limitato a sopravvivere, ad esistere solamente. Era vivo, davvero tale, e lo doveva solo a lui, a quel ragazzo meraviglioso che aveva appena trovato il coraggio di baciare per la seconda volta.

Il suo cuore batteva frenetico, minacciava di uscirgli dal petto e andarsene per i fatti propri e dannazione se si rallegrava di quei pulsanti rintocchi nelle orecchie. Si trovava letteralmente in piena estasi e ogni singolo dettaglio, ogni sensazione erano sublimi. 
Le sue mani vagarono alla cieca, tremanti, prima di affondare fra i capelli neri come la notte di Andrew; le sue labbra continuarono insaziabili a cercare e a glorificare quelle di Drew, benedicendone la sorprendente morbidezza e il paradisiaco tepore; gli occhi di entrambi erano chiusi. Erano pronti a lasciarsi andare, a saltare insieme dalla scogliera verso un esaltante ignoto e a chiuder fuori il resto di quel maledetto mondo marcio fino al midollo. Il mondo che condannava i più deboli e gli innocenti mentre metteva invece su di un piedistallo le persone più abbiette e corrotte.

Lo calciarono fuori, proprio come abbandonarono tutto il resto, ogni singola cosa facente parte delle loro vite. Bandirono da quel suolo sacro che avevano appena scoperto tutto ciò che potesse aver risvegliato nel tempo le loro più intime, nascoste sofferenze e, insieme, abbracciarono quel prezioso istante. Prezioso come un gioiello antico, come una nuova, palpitante e fragile vita appena affacciatasi al domani. Era lì, fra i loro cuori, protetta, pronta a crescere e a fortificarsi e loro non dovevano far altro che tenerla al caldo. 

Alex, inaspettatamente, percepì all'improvviso il salato sapore delle proprie lacrime sulle labbra sia sue che di Andrew. Erano lacrime prive di nome, eppure sapeva che non portavano nella loro cristallina epifania alcun segno di tristezza o dolore. Era qualcosa che pareva davvero cantare in armonia con la gioia che solo un bambino felice avrebbe potuto provare.
Gioia, sollievo, leggerezza. Concetti astratti e infiniti racchiusi in un minuscolo spazio fatto d'acqua ed emozioni. Dio, com'era felice. Per la prima volta in vita sua sapeva di esser davvero felice e al sicuro. 

Spinse dolcemente indietro Andrew fino a quando la schiena di questi non fu un tutt'uno col finestrino e poi si sporse a propria volta, avanzò fino a quando non gli fu cavalcioni. Per impedirgli di perdere il poco equilibrio dato da quella posizione non proprio comoda Andrew gli cinse i fianchi e la schiena con le braccia, lo trasse di più a sé, ormai a sua volta inebriato dal bacio, dal profumo di Alex e, in breve, da tutto quanto.

Nessuno dei due era animato da idee strane o poco caste. La vicinanza di l'uno, semplicemente, era come una droga per l'altro. Più ve n'era e più ne volevano, senza mai essere sufficiente.
Alex, soprattutto, desiderava star talmente vicino a Andrew da poter fondersi con lui, diventare un unico, fremente corpo.

Fu Collins a separarsi da lui, quanto bastava per recuperare un po' di respiro e accarezzargli il viso con una dolcezza straziante. Una dolcezza che Woomingan si era guadagnato solo dopo essersi veramente guardato allo specchio e aver affrontato il demone peggiore di tutti: se stesso.

«Stai... stai piangendo?» sussurrò senza fiato Drew, continuando a sfiorargli prima la guancia, poi lo zigomo e soffermandosi, infine, sulla bocca di Alexander. Era più turgida e rosea del consueto grazie al bacio che si erano scambiati. Ammaliante, certo, ma scossa da un leggero tremore. 
Fu su di essa e poi sul resto del viso del quarterback che gli occhi di Andrew, al momento lucidi, quasi febbrili, e sprizzanti di vita così come di emozione, indugiarono.

Era bellissimo, pensò Alex in un misto di disperazione e adorazione. Mai la sua vista aveva ammirato qualcosa di più incantevole e stupefacente. 
Si morse il labbro inferiore e neppure tentò di frenare le nuove lacrime che in un attimo tornarono a bagnargli il volto. Si concesse qualche altro secondo per ammirare Andrew, per imprimere nella propria memoria ogni dettaglio che lo riguardasse. Con innata delicatezza cercò di rimettergli in ordine i capelli corvini, poi sorrise sincero. Il sorriso di uno che finalmente era stato liberato da un peso gravoso che lo aveva asfissiato per tanti, troppi anni. Si sentiva libero, leggero come l'aria, e lo doveva soltanto a lui, a Andrew.

Piangeva perché la sua gioia era troppo immensa e non sapeva in quale altra maniera esternarla. 

«Sono felice» replicò con semplicità, posando la fronte contro quella del coetaneo e ricambiando, intanto, le sue carezze. Se solo fossero potuti restare abbracciati, dentro quella bolla di pace, per sempre...

Andrew sorrise e gli pettinò alcune ciocche di capelli ribelli dietro un orecchio. «Credo di esserlo anche io.» Si sporse e gli baciò una guancia come a voler scacciare ogni singola lacrima. 

Alexander non rispose. Non esisteva una parola, una frase, con cui rispondere alla felicità. C'erano solo i gesti, persino i più minimi ed insignificanti, coi quali poter condividerla e assaporarla assieme e lui sapeva di averla appena trovata, per la prima volta nella vita.
Sapeva che la felicità era arrivata sotto le spoglie di Andrew e tale pensiero bastò a colmare la sua anima di una beatitudine mai provata fino ad allora.

Sorrise a sua volta, chiuse gli occhi e posò la fronte contro la spalla destra di Drew, inspirando a pieni polmoni il suo profumo, la sua essenza, tutto di lui, e Andrew avvertì dei leggeri, piacevoli brividi attraversargli il corpo intero nel percepire il respiro caldo di Alex soffiare piano sui suoi vestiti. Fu istintivo per lui lasciargli un bacio sul capo, cosa che gli permise di restare inebriato dal lieve sentore di rose che avvolgeva Alexander da un po' di tempo a quella parte. Un profumo delicato e soave che per un istante gli fece immaginare il coetaneo giacere su un tappeto di bianchi e sublimi petali dal medesimo aroma. 

Era strano che stesse provando qualcosa di molto simile a quel che aveva provato dopo la prima volta che era stato insieme a Dylan. Simile, ma non fino in fondo. C'era qualcosa di diverso, d'immensamente più forte e viscerale, specialmente perché non v'era stata alcuna unione carnale. 
Erano stati i loro spiriti a danzare in perfetta armonia e questo nemmeno il più focoso amante avrebbe potuto eguagliarlo.

Era innamorato? Forse, non ne era del tutto certo e neanche gli importava, a dirla tutta. Non in quel momento.

Nessuno dei due sapeva se si trattasse di amore oppure di qualcosa che vi si avvicinasse di molto, ma sapevano che un legame fra di loro si stava pian piano formando. Sapevano che ormai fosse quasi impossibile per uno stare senza l'altro. Era come se avessero stabilito un legame simbiotico.

In un certo senso si erano salvati a vicenda. Quella era la verità. Chi avesse salvato per primo chi era irrilevante.

Sospirò profondamente, con abbandono, e ripercorse con l'indice la colonna di Alex, anzi... Lexie. «Chi mai avrebbe detto che tu fossi un tale cucciolone» sussurrò con scherzoso affetto e autentico sentimento. 

Alex sollevò la testa e incontrò i suoi occhi, sbuffando una risata lacrimosa. «Da quando ti ho conosciuto non mi spaventa più legarmi agli altri. Non mi fa più paura abbracciare qualcuno né voler bene al prossimo. Io... io avevo paura di tante cose, ma tu mi hai dato coraggio, Andrew.»

Collins, commosso, sorrise di sbieco. «Direi che siamo pari, allora.»

«Drew?» sussurrò l'altro, la voce sul punto di spezzarsi. Sentiva un groppo in gola allucinante. Erano così tante le cose che provava da aver ormai raggiunto il limite di tolleranza e capienza. In minima parte quella felicità lo spaventava.

Andrew lo guardò in attesa, accarezzandogli nuovamente il viso mentre lo guardava in paziente attesa e saggiava nel frattempo ogni più piccolo particolare di lui con autentica meraviglia nello sguardo. Mai si sarebbe immaginato di scorgere in Alex una persona bellissima e dal cuore d'oro che un semplice scherzo della sorte aveva scelto di porre lungo il sentiero della sua vita. 
Tanta era la sua meraviglia da tramutarsi in calore, in dolce e struggente gioia. Una gioia così grande da fargli male al cuore; quello stesso cuore che pareva serrato in una morsa tanto asfissiante quanto sublime. Una morsa capace di togliere il respiro. 

Era felice che Woomingan non avesse gettato la spugna con lui, che avesse insistito e lottato per lui. 

Alexander esitò, guardò in basso e di nuovo diede a Andrew l'impressione di esser ancora, sotto sotto e nel profondo, poco più di un bambino, e in fin dei conti era così che adesso Alex si sentiva: un fragile, inerme e impotente ragazzino lasciato da solo a fronteggiare un mondo troppo grande per lui. Erano anni che si sentiva così, d'altronde, solo che sino ad allora era stato bravo a mascherare tutto quanto dietro a una spavalderia in realtà inesistente. «Non andartene, ti prego» lo supplicò con un filo di voce. «Non lasciarmi da solo anche tu. L-Lo hanno già fatto in passato e s-se anche tu mi lasciassi non resterebbe niente di me, mi ridurrei a un totale nulla e...»

Andrew pose un indice sulle sue labbra, impedendogli di terminare la frase. Lo guardò dritto negli occhi con disarmante sincerità. Sembrava sul punto di pronunciare un immortale giuramento. «Io non vado da nessuna parte, capito? Resterò sempre con te. Sicuramente mi farai incazzare almeno cinque giorni su sette e di tanto in tanto tornerò a chiedermi chi diavolo me l'abbia fatto fare, ma non ti abbandonerò.» Gli prese una mano e se la portò al cuore. «Lo senti? Come potrei mai privarmi di tutto questo?»

Batteva, pensò Collins, come se nessuno lo avesse mai infranto sino ad allora. Batteva per Alex, nel profondo dell'animo Andrew lo sapeva.

Per dar credito alle proprie parole gli posò un dolce, intenso bacio sulla fronte e poi rimasero in quel modo, abbracciati e forse, chi poteva saperlo... davvero innamorati.

Entrambi finalmente con un posto speciale e lontano dal mondo dove rifugiarsi. Un posto nel quale vivere serenamente il loro giovane, palpitante amore.

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