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𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐕𝐈𝐈𝐈. 𝐄𝐬𝐚𝐦𝐞 𝐝𝐢 𝐜𝐨𝐬𝐜𝐢𝐞𝐧𝐳𝐚


Cosa consiglio di ascoltare: "Wings" di Birdy.

https://youtu.be/_Ht9saqPuTM

Il mattino successivo si aprì con pessime notizie, come se già gli avvenimenti del giorno precedente non avessero già fatto sprofondare abbastanza Alex. Non aveva chiuso occhio tutta la notte, anche se sarebbe stato molto meglio dire che nei rari intervalli in cui era riuscito ad assopirsi, subito aveva rivissuto in sogno la lite avuta con Andrew Collins. Assurdo, ma vero, negli incubi tutto gli era apparso peggiore, saturato fino all'estremo di emozioni spiacevoli e fin troppi sentimenti turbinanti ai quali non era ancora in grado di dare un nome ben preciso. Dopo essersi ridestato di colpo per la terza volta, bagnato di freddo sudore e sull'orlo delle lacrime, si era arreso e aveva atteso semplicemente di udire la sveglia del cellulare suonare; quando ciò era infine avvenuto, Alex era sgusciato fuori dal letto come avrebbe fatto una preda fortunata dalle fauci della belva che aveva tentato di divorarla tutta intera. Nella fretta era persino inciampato nelle lenzuola che gli si erano attorcigliate attorno a una gamba, perciò la prima cosa degna di nota che era avvenuta quella mattina era stato lo spiacevole incontro ravvicinato con il parquet.

C'era chi si svegliava tra le braccia di qualcuno e ne riceveva il bacio del buongiorno e poi c'erano gli idioti come lui che cadevano di faccia sulle assi del pavimento.

Ad ogni buon conto, Alexander a malapena si era specchiato dopo essersi fatto la doccia e aver terminato di prepararsi per la scuola; non gli importava granché di avere i capelli un po' in disordine come uno di quelli che facevano parte di una band musicale grunge stile anni novanta. Quando scese per fare colazione, per quanto non avesse per niente fame e avvertisse persino un accenno di nausea, trovò Christian in cucina intento a guardare il telegiornale locale. Vi era una tazza di caffè accanto al gomito sinistro dell'uomo, ma la bevanda sembrava esser stata del tutto dimenticata.

Alex, il quale dopo la lite con Andrew pareva aver perso del tutto la voglia anche solo di provare fastidio o antipatia nei riguardi del futuro patrigno, borbottò un saluto prima di guardare a sua volta verso lo schermo. Chris non gli rispose, ma solo perché troppo occupato a fissare con orrore e preoccupazione il notiziario che stava trasmettendo un servizio incentrato proprio su ulteriori sviluppi sulla faccenda di Hanging Creek. La familiare giornalista bionda stava snocciolando una sequela di sterili e macabre informazioni con la solita efficiente professionalità; alle spalle della donna, in lontananza, erano presenti il famigerato bosco e una miriade di persone tra poliziotti, ambulanza, forensi e via discorrendo.


‟Pare che la scia di sangue iniziata con l'omicidio di Jessica Queenship e Theresa Briarshore stia continuando a mietere nuove vittime. Stavolta si tratta di un ventinovenne di nome Ezra Woodwick. L'uomo risultava esser scomparso da almeno due giorni e non si era più presentato al lavoro in ospedale, ma quando un suo collega si è recato a casa sua e non ha trovato nessuno, ha cercato di contattare Woodwick, senza tuttavia ricevere mai risposta. L'uomo afferma che ad ogni chiamata il risultato tendeva a essere sempre lo stesso, come se il cellulare della vittima fosse stato spento."


Col fiato sospeso, Alexander fece un passo avanti, senza riuscire a spostare lo sguardo dallo schermo. I suoi occhi sbarrati rispecchiavano alla perfezione il terrore che provava nell'animo. Quella storia del killer di Hanging Creek cominciava sul serio a degenerare e si era aggiunta un'altra vittima all'arsenale di nefandezze di quel mostro privo di nome. Un'altra vita spentasi senza una ragione, se non per il sadico piacere di un pazzo dall'anima tanto nera quanto perversa.


 ‟ La fidanzata della vittima e la sua famiglia non avevano più sue notizie dal giorno della sparizione, ma pare che Woodwick fosse solito recarsi a pesca o in campeggio col suo cane presso il lago nella zona ovest del bosco di Hanging Creek. Non ottenendo di nuovo risposta dopo diverse chiamate al cellulare, la fidanzata di Ezra ha deciso di allertare lo sceriffo della città che si è recato subito al lago perché, come ha affermato lui stesso, temeva che il misterioso assassino di Hanging Creek potesse aver colpito di nuovo. È stato uno shock per lui e la sua squadra ritrovare il corpo esanime del ragazzo poco lontano dalla riva del lago e dalla carcassa del suo compagno a quattro zampe. Entrambi erano deceduti da almeno due giorni e il cadavere di Woodwick riportava gli stessi segni ritrovati sui resti delle prime due vittime."


Scioccato per quella scoperta, Alex guardò Christian a bocca aperta. L'uomo finalmente distolse lo sguardo dallo schermo e ricambiò l'occhiata del ragazzo; pareva esser stato colpito in maniera particolare da quelle notizie agghiaccianti. Deglutì e si passò una mano sul viso, provando invano ad articolare parole che non riuscì tuttavia a formulare. Alla fine, però, fece un profondo respiro e disse: «Ezra era mio amico. Lavoravamo insieme all'ospedale e per giunta nello stesso reparto. Prima che scomparisse, proprio due sere fa, ci siamo ritrovati a bere una birra nel pub dall'altra parte della città. Ricordo di averlo salutato come al solito, convinto che ci saremmo rivisti non appena fosse tornato da una delle sue escursioni. Avrei dovuto sapere che qualcosa non andava, m-ma pensavo che fosse troppo in gamba per cacciarsi nei guai o incorrere in dei pericoli. Ezra non era uno alle prime armi, aveva un buon senso dell'orientamento e non andava mai in giro per i boschi senza portarsi dietro un'arma per sicurezza. Io, però, avevo uno strano presentimento e ieri ho cercato invano di contattarlo. Anche se non ha risposto, mi sono detto che forse non c'era campo nella zona dove si era accampato, ma ora so che forse avrei potuto fare la differenza. Probabilmente la polizia contatterà anche me vedendo il mio numero di telefono fra le ultime chiamate ricevute da Ezra e... n-non so proprio cosa dire allo sceriffo. Mi vergognerei troppo ad ammettere che forse avrei dovuto subito allertare le autorità. M-Magari, adesso, Ezra non sarebbe...»
Chris non riuscì a proseguire e serrò gli occhi, inspirando forte dalle narici. «Dio mio... povero Ezra.»

Alex si sentì molto in difficoltà. Non aveva un minimo di rapporto con Christian e non sapeva cosa dire o fare, mai lo aveva saputo. Era stato così sin da subito con l'attuale fidanzato di suo padre e iniziava a pensare che il problema fosse solamente suo e di nessun altro. Era lui a non aver mai superato del tutto il modo spiacevole in cui la sua famiglia si era disintegrata e forse, ai suoi occhi, l'unica colpa di Christian era stata di risultare ai suoi occhi una sorta di intruso pronto a sottrargli suo padre, l'unico genitore sul quale lui, a conti fatti, potesse ancora contare. 

Eppure c'era dell'altro dietro a quell'incapacità di consolare chicchessia. In situazioni come quella era sempre stato tutto fuorché in grado di mostrare il dispiacere che magari dentro di sé provava e tuttavia non riusciva a esternare, ma era pur sempre vero che ultimamente il suo modo di fare e il suo carattere avessero preso una piega strana e ben diversa dal consueto. 

Magari furono il ricordo della lite con Andrew o la presa di coscienza circa il proprio egoismo e il proprio modo di fare da persona ignobile a dargli una piccola spinta e a incoraggiarlo a tentare di dire qualcosa al compagno di suo padre. Qualcosa che potesse porre fine a quel silenzio triste e imbarazzante al tempo stesso; che potesse far tacere la terribile sensazione di essere nientemeno che un rettile sotto mentite spoglie o una sorta di freddo e distaccato Replicante.

S'inumidì le labbra e prese posto sulla seggiola accanto a quella di Christian mentre guardava quest'ultimo in silenzio. Per una volta poteva mostrarsi gentile, insomma... non era un crimine né una vergogna essere partecipi del dolore di qualcun altro. Non lo era, non rendeva deboli né altro e solo di recente se ne era reso conto o forse, semplicemente, se ne era ricordato. Per anni aveva pensato più a se stesso che al prossimo, cieco e sordo ai problemi altrui, alle lotte interiori e al dolore che il prossimo stava affrontando, ed ecco com'era andato a finire. Aveva sempre scelto di guardare altrove, ripetendosi che non sarebbe comunque servito a granché crucciarsi per questioni che magari andavano oltre il suo controllo o la sua capacità di farvi fronte, ma la sua coscienza si era ridestata ed era tornata alla ribalta più mordace e insistente che mai. Faceva un baccano assordante nella sua mente, eppure, in quella confusione, tutto appariva stranamente più chiaro e nitido.
La visione del viso bagnato di lacrime di Andrew, poi, lo perseguitava. In quegli occhi verdi aveva letto tanta sofferenza, così tanta da far male persino a lui che ne era stato un semplice spettatore. Una parte di Alex, fragile e nascosta, in un certo senso ammirava e invidiava Collins per la tempra morale che aveva dimostrato di avere nel saper tenersi dentro così tanto dolore, tutta quella frustrazione. Al suo posto sarebbe di certo esploso nel giro di poco tempo, ne era certo. Andrew, malgrado le apparenze, nonostante tutto, era una persona forte e determinata, una di quelle che tenevano alla propria dignità e alla coerenza fino in fondo.

Tutto ciò che lui, Alexander Woomingan, invece non era e, probabilmente, mai sarebbe stato.

«M-Mi dispiace, Christian, non lo sapevo.» Non era la cosa più intelligente che avrebbe potuto dire, ma fu pur sempre meglio di niente. «Credo... credo sia inevitabile che contattino anche te per sapere qualcosa in più su quell'uomo. Non lo dico solo per via della telefonata. Eri suo amico, dopotutto» aggiunse, chiedendosi cosa diavolo c'entrasse quell'ultima uscita con quella sottospecie di condoglianze di poco prima. Faceva così schifo da non saper neppure imbastire un discorso consolatorio come Dio comandava.

Davvero bravo, Woomingan, si disse sprezzante. Già che ci sei, perché non gli ricordi pure che dovrà presenziare al funerale di quell'uomo, giusto per farlo stare peggio che mai?

Chris volse il viso verso il futuro figlio acquisito. I suoi occhi scuri erano arrossati e in generale aveva un'aria terribilmente distrutta. Per la prima volta Lex in lui non vide un nemico o qualcuno che voleva solamente distruggere il già precario equilibrio famigliare, ma un essere umano come tutti gli altri. Una persona al momento schiacciata dal dolore per la perdita di un caro amico. Sembrava, tuttavia, esser rimasto di sasso di fronte al comportamento di Alex; ormai si era fatto una vaga idea di come lo considerasse il ragazzo e anche se suonava brutto, non si aspettava pressoché nulla da lui, tanto meno quel tentativo di essere in qualche maniera gentile e partecipe del suo dolore.

Non disse niente riguardo a tali pensieri, ma i suoi occhi parlarono comunque in maniera chiara e nitida, e questo fece vergognare ancor di più Alex per l'atteggiamento adottato con il suo futuro patrigno. Non era bello rendersi conto di esser fino ad allora apparso come un piccolo bastardo capriccioso e guastafeste, per giunta non in possesso di valide ragioni dietro a tanta acredine e mancanza di rispetto.

«Sicuramente lo faranno, solo che non saprei cosa dirgli. Ezra era un bravo ragazzo e non aveva mai fatto del male a nessuno. Faceva volontariato, qualche volta. Un vero angelo. Si sarebbe dovuto sposare a breve, aveva così tanti progetti da realizzare, così tante cose ancora da fare e un'intera vita davanti...»
Christian scosse il capo e tacque del tutto quando la sua voce, incrinata e flebile com'era diventata, non volle più saperne di venir fuori. L'uomo si coprì il volto con le mani, ormai incapace di esprimersi come avrebbe in parte voluto fare. Ezra, dopotutto, era stato uno dei suoi più cari amici, forse tra i migliori e il meno meritevole di una sorte come quella che gli era stata riservata. 
Daniel gli aveva suggerito di prendersi qualche giorno di malattia per riordinare i pensieri e attendere che il dolore in seguito alla morte di Ezra si lenisse almeno un pochino, ma Chris si era rifiutato di rimanere a casa nei giorni che sarebbero seguiti, sapendo che non poteva assentarsi e di avere in ogni caso principi morali ben saldi cui tener fede. Daniel, scherzando, di recente aveva affermato che un giorno o l'altro sarebbe diventato geloso del lavoro del fidanzato, visto che Christian sembrava aver sposato la propria professione d'infermiere e aver preso molto sul serio suddetto impegno.

Gonzaléz si terse le guance. Malgrado avesse un incarnato olivastro, la sua pelle presentava un colorito spento, come se a sfumarla fosse sopraggiunta una vaga tonalità cinerina. «Ho visto morire tante persone da quando lavoro in ospedale e solo da quando mi sono trasferito qui con te e con tuo padre il numero si è ridotto. Fare l'infermiere o il medico, spesso, è sfibrante, non sempre dà soddisfazioni e ci si ritrova molte volte a dover assistere alla sofferenza del prossimo senza poter realmente far qualcosa per aiutarlo, ma quando a morire è una persona cara, qualcuno al quale si vuole bene, è una questione diversa. Non ci si abitua mai a quello.» Chris non se la sentì di approfondire l'argomento sia perché aveva appena perso un suo amico, sia perché parlare di suo fratello lo avrebbe fatto stare ancor più male.

Alex, dal canto proprio, non provava alcuna soddisfazione né piacere nel vedere il futuro patrigno in quelle condizioni. Spesso si era ripetuto di detestare Christian e le sue maniere, di odiarlo, ma le motivazioni di tanta acredine iniziavano a sembrargli veramente sciocche e infantili. Allungò una mano e gli strinse delicatamente una spalla, superando per la prima volta la barriera che sempre lo aveva tenuto lontano dal fidanzato del padre.  Non proprio il massimo, ma nel suo caso si rivelò un evento raro e a dir poco miracoloso. 

Se solo Christian in quel momento non fosse stato fin troppo distrutto, avrebbe di certo mostrato apertamente la non poca sorpresa di fronte all'improvviso cambiamento del futuro figliastro. Tutto ciò che fece, però, fu accettare l'inatteso gesto e provare a trarne un po' di conforto.

Passarono diversi minuti durante i quali Alex rimase in silenzio ad ascoltare i singhiozzi dell'uomo seduto accanto a lui. Non c'era nulla da dire, in fondo, e se anche ci fosse stata una sola frase da proferire, non sarebbe comunque riuscita in alcun modo a lenire il dolore del povero Christian. La morte, che si trattasse di chi se ne andava o di coloro che invece erano destinati a rimanere e a ricordare, sempre lasciava tutti senza parole, storditi come dopo aver ricevuto un forte colpo in testa.

Di fronte a una verità così triste e avvilente non v'erano frasi o fatti che reggessero il pesante confronto con il fantomatico mostro invisibile che gravava su ogni singola vita umana nell'attesa di portare via con sé l'ennesima anima. La realtà, pensò Alexander con non poco pessimismo, era che tutti loro non fossero altro che minuscole candele in balia di un gelido vento che prima o poi avrebbe fatto spegnere la fiamma della vita in ognuno di loro. 

Christian cercò di riprendersi e tornò a a guardare il ragazzo: «L-Lo sai? Io e tuo padre ieri sera abbiamo parlato di te e...», esalò un respiro profondo, asciugandosi più volte gli occhi ormai gonfi e arrossati. «Ci siamo accorti che sembri non trovarti molto bene qui ad Hanging Creek, senza contare che ora si è aggiunta la storia di questi terribili omicidi. Non sei felice, ormai lo abbiamo capito entrambi e abbiamo pensato di rimandare, se non altro, il matrimonio e magari cercare un'altra città dove trasferirci. Forse ti troveresti meglio in un posto più grande e non così sperduto nel nulla e avremmo più tempo da passare assieme. Tuo padre pensava addirittura di prendersi un periodo di ferie per trascorrere insieme a noi un soggiorno a Miami. Ha detto che quella città ti piace molto e che quando eri piccolo lui era sempre solito portarti su quelle spiagge.» 

Si strinse debolmente nelle spalle sotto lo sguardo perso e confuso del ragazzo.

In realtà c'era molto più di questo di cui parlare, ad esempio del palese disappunto di Alex alla prospettiva del matrimonio del padre di questi con lui, ma Chris non era mai stato uno avvezzo a rigirare il coltello nella piaga, parlava sul serio per il bene del figlio acquisito e lui e Daniel non volevano altro se non il meglio per quel ragazzo che, in fin dei conti, necessitava di una famiglia stabile e unita, di essere considerato maggiormente, di far parte di qualcosa che lo facesse sentire protetto e amato. Christian Gonzaléz era più che disposto a spalleggiare il futuro consorte nel realizzare tutto ciò e sperava, soprattutto, che Alex potesse un giorno vederlo come una figura genitoriale e di riferimento. Dal canto proprio diventare padre era sempre stato uno dei suoi principali sogni e poter considerare e trattare quel ragazzo come un figlio sarebbe stato il coronamento massimo della vita che gli si prospettava di fronte nella famiglia Woomingan.

«Potremmo trasferirci laggiù e ricominciare da zero e... provare a essere una famiglia. Una vera famiglia» concluse Gonzaléz con un accenno di timidezza, sperando di non aver osato troppo e di non aver indispettito il futuro figliastro. 

A tali parole Alex si rese conto di come quell'uomo fosse uno di quei pochi eletti incapaci di prendere in odio il prossimo o di sguazzare semplicemente nell'egoismo. Agiva per il bene altrui e questo poco aveva a che vedere col lavoro che faceva. Nelle sue parole aveva scorto nient'altro che seria preoccupazione nei suoi riguardi e sì, una silenziosa supplica con la quale lo aveva appena pregato di dargli una possibilità, anzi di concederla anche a Daniel che come padre non era stato un granché, fino ad allora.

Il ragazzo deglutì, preso alla sprovvista dal discorso sincero e accorato di quello che tra non molto sarebbe diventato il suo patrigno, ma si sentì anche in colpa. Era chiaro che lui risultasse l'unico ostacolo al matrimonio fra Chris e suo padre, l'erbaccia che rischiava di soffocare ogni loro prospettiva di felicità, di formare una famiglia. Si rese conto di star impedendo a Daniel di riprovarci una seconda volta, di guardare avanti e rifarsi sul serio una vita dopo la fallita unione con Wanda. Aveva accusato per anni quell'uomo di essere un egoista, uno solamente capace di pensare alla carriera, privo di un reale cuore, e a furia di giudicarlo Alex aveva finito per diventare la stessa persona che per anni aveva guardato con delusione e silenziosa accusa. Se suo padre era un egoista, allora lui che cos'era? Chi, fra i due, stava impedendo all'altro di vivere? 
Si poteva dire tutto del dottor Woomingan, tranne che avesse mai messo i bastoni fra le ruote a suo figlio o impedito a quest'ultimo di fare quel che voleva e forse era proprio questo il problema, sempre lo era stato, e a furia di non dire mai di no Daniel aveva cresciuto un mostriciattolo egocentrico e perfido. Alex, di fronte a tutte quelle considerazioni, non avrebbe proprio saputo come altro definire se stesso e si vergognava di cos'era stato per anni, sin da quando la pubertà lo aveva spinto a badare troppo all'apparenza e poco alla sostanza. Si era preso cura solamente del proprio aspetto esteriore e aveva lasciato che il resto andasse alla deriva e marcisse. 

Aveva permesso al proprio egocentrismo, alla propria vanità, alla cattiveria di ferire persone come Christian che non meritavano un simile trattamento. Talmente sicuro di sé da credere di avere sempre ragione e che dovesse essere il mondo ad adattarsi a lui, anziché il contrario.

Per la prima volta tutto si fece ai suoi occhi molto più chiaro e ciò avvenne in maniera cruda e spietata, proprio come lui era stato crudele spesso e volentieri con chi lo circondava. 

Le parole furiose e astiose di Brian riecheggiarono nelle sue orecchie e fu allora che Alexander Woomingan, finalmente, dopo anni, trovò il coraggio di guardarsi davvero allo specchio e il riflesso che vide, ovviamente, non gli piacque affatto. Lo disgustò, gli fece venire il mal di stomaco, lo invogliava quasi a rintanarsi sotto una pietra e a rimanervi per sempre pur di non avvertire più quel senso di profonda vergogna.

Lasciare questa città...

Anche se Hanging Creek non gli era mai piaciuta, pensò, sentiva di colpo il bisogno, la necessità di rimanervi. Non voleva andarsene né voleva cambiare di nuovo scuola, per l'ennesima volta cambiare amicizie, ricominciare di nuovo daccapo pur sapendo che nessun posto sarebbe stato l'ideale per uno come lui che non stava bene principalmente con se stesso. Il problema era dentro di lui e neppure le soleggiate spiagge della Florida avrebbero potuto cambiare le carte in tavola. Certo, da un lato pensava a sua madre e nel profondo del cuore, in un angolo di esso dove aveva relegato per tanto tempo Wanda, non gli sarebbe poi dispiaciuto più di tanto cercare finalmente di riavvicinarsi con lei, di avere con lei il rapporto madre e figlio che mai era esistito, ma quella tentazione sbiadiva di fronte a un altro pensiero più viscerale. Un pensiero dai capelli corvini e dai taglienti occhi verdi capaci di trapassarlo come dardi. Occhi che, malgrado tutto, gli sarebbero mancati fin troppo se lui, suo padre e Christian si fossero trasferiti a Miami o dintorni.

Con Andrew aveva un conto in sospeso, inutile negarlo. Ci aveva rimuginato tutta la notte e giunto alla conclusione di essersi comportato come un perfetto idiota, dopo essersi maledetto e trattenuto a stento dal prendersi pure a pugni da solo, si era svegliato dicendosi che quella storia non sarebbe finita in quel modo. 

Non voleva tornare a essere quello di prima, non voleva ignorare Andrew e non voleva che tutto ciò che era successo divenisse semplicemente parte del passato. 

Non voleva e basta, dannazione! 

Al diavolo i suoi amici, al diavolo l'intera scuola! Fanculo la maledetta scommessa, fanculo tutto, fanculo pure lui! Al diavolo la Florida, anche!

Si era sempre comportato da emerito idiota, ma era tempo di farla finita e di smettere di ferire gli altri.

Sbatté le palpebre, scosse il capo nervosamente e le sue labbra si aprirono ripetutamente per dire qualcosa, ma gli ci volle un bel po' prima che finalmente riuscisse a parlare sul serio: «No, no... non voglio andare via, i-io mi trovo bene qui, ho degli amici, ormai è questa casa mia, non mi importa di Miami o Ibiza o chissà cos'altro! V-Voglio restare qui, Christian! Non dovete rimandare niente e... n-non ho alcun problema e potete sposarvi in tutta tranquillità! Non voglio impedire nulla a nessuno! V-Voi dovete sposarvi, siete felici insieme e io non voglio rovinare tutto di nuovo, non voglio causare altri problemi, v-voi... tu... Cristo...», l'ultima parola uscì a stento, quasi come un singhiozzo spezzato. 

Si passò le mani tra i capelli, pensando a quanto dovesse esser appena sembrato patetico.

Ma quali amici hai? Chi mai sentirebbe davvero la tua mancanza se un giorno dovessi sparire nel nulla? Credi che Brian, Francis o gli altri, verrebbero a cercarti fino in capo al mondo? Pensi che farebbero mai qualcosa di davvero gentile se non fossi un bulletto rompiscatole? Non mancheresti a nessuno, questa è la realtà. Non hai veri amici, non hai nessuno e le poche persone che avevi accanto le hai sempre trattate a pesci in faccia. Pensa a cosa hai detto a Brian, a come nemmeno ti sei preso il disturbo di richiamarlo o di parlarci a scuola.
Sei solo e te la sei cercata. Sei solo e te lo meriti.

Gli parve quasi di sentire tutto questo con la voce di Andrew in testa. Se lo immaginò squadrarlo con disprezzo e pena, fissare il bambino egocentrico e prepotente che in realtà era e intanto sbattergli crudelmente in faccia la verità. Un bimbo lamentoso e viziato che non sapeva nulla della vera vita, ecco che cos'era, e non poteva che ammettere di come la sua intera esistenza, fino a quel momento, fosse stata semplicemente uno schifo, vuota e senza alcuno scopo, proprio come Brian gli aveva rinfacciato.

Si ritrovò a rendersi conto di non aver neanche deciso cosa fare dopo la fine degli studi. Cos'avrebbe fatto dopo? Chi sarebbe diventato? Di certo non un medico come suo padre, non era mai stato chissà quanto intelligente, mai dedito allo studio e tanto meno al voler fare del bene a qualcuno, a farsi in quattro pur di vedere il prossimo in buona salute.

In realtà non aveva una particolare abilità, qualcosa che gli permettesse di diventare sul serio qualcuno.

In principio gli sarebbe piaciuto divenire un giorno un grande sportivo, ma ultimamente la sua bravura nel football era andata peggiorando e si stava giocando l'unica possibilità di avere una borsa di studio senza la quale non avrebbe avuto speranze per il futuro. Cose come il college e l'università costavano parecchio e non gli andava più così tanto a genio il pensiero di vivere e studiare come un qualsiasi figlio di papà mantenuto. 

Non gli piaceva pensare che avrebbe dovuto pesare sulle spalle di suo padre, perché non era giusto... non lo era e basta, dannazione!

Non era bravo in niente, questa era la verità, tranne nel fare del male al prossimo e ciò lo stava conducendo lentamente all'amara consapevolezza che probabilmente, fra dieci anni, sarebbe stato un completo fallito, esattamente come lo era nel presente. Forse il massimo a cui potesse aspirare era diventare un criminale, entrare in qualche giro di droga o riciclaggio di denaro, ma persino lì erano richiesti carisma, abilità e anche una sana dose di cosiddette palle e lui si stava convincendo del fatto che non possedesse affatto neanche uno di tali requisiti. 

Se veramente avesse avuto le palle, avrebbe ammesso con Brian di esser stato un idiota prepotente, anziché ignorarlo e fare come al solito la primadonna offesa. Se davvero avesse avuto anche solo un po' di fegato, avrebbe già chiarito da un pezzo le cose con lui.

Forse era stata proprio la sua cieca convinzione di aver sempre avuto tutto a portata di mano a dargli la sciocca sicurezza che la ruota sarebbe sempre girata a suo favore.
Il suo errore era stato adagiarsi sempre sugli allori che ora cominciavano a imbrunire e ad appassire.

Quelli meno fortunati di lui lottavano per il proprio avvenire, mentre lui si limitava, e sempre si era limitato, ad aspettare che la manna scendesse dal cielo o, meglio ancora, dalle tasche paterne.

Di nuovo ripensò a Andrew, a come lui si impegnasse a scuola mirando a ottenere una borsa di studio e magari anche un posto al college, e la vergogna non poté che aumentare.

«Alex, c'è qualche problema?» 

La voce di Christian lo riportò alla realtà.

Il ragazzo lo guardò di nuovo e scosse il capo: «N-Niente. C-Comunque, non dovete rimandare nulla o prendere decisioni drastiche. Ora devo andare, di nuovo condoglianze per il tuo amico e... ecco, sì». Si alzò in piedi e dopo avergli dato una leggera e veloce pacca sulla spalla si dileguò, prese lo zaino che aveva lasciato in salotto ed uscì.  Una brezza fredda gli sfiorò il viso e i capelli mentre correva alla macchina. Infilò le chiavi nel cruscotto e partì, ma non era a scuola che era diretto.
Ragionò in fretta e ricordando il tragitto che portava a casa di Andrew, decise di arrivare lì prima che il ragazzo potesse uscire per andare a lezione. Guidò velocemente, non in maniera spericolata come il giorno prima, ma chiunque avrebbe compreso che aveva fretta e urgenza di andare in qualche posto.

Sfortuna volle che quel dannato semaforo all'incrocio tra le strade che rispettivamente conducevano al municipio, alla chiesa o al piccolo cinema di periferia oppure, ancora, alla pista da pattinaggio, proprio nel momento in cui arrivò lui divenne rosso e ci mise non meno di cinque fatali minuti prima di passare nuovamente al verde e permettergli di proseguire.

Alexander sbuffò e in silenzio si rimproverò, si impose di darsi una calmata per non sembrare un pazzo. Più facile a dirsi che a farsi, se si considerava che in effetti gli pareva di star realmente impazzendo.
Non aveva la minima idea di cosa avrebbe detto una volta che si fosse trovato di fronte ad Andrew né di come questi avrebbe reagito nel ritrovarselo davanti, ma di una cosa era sicuro: doveva parlargli e aveva bisogno che Collins lo stesse a sentire, anche solo per un istante. Era quasi diventata una necessità fisica quella di avere con il coetaneo un confronto o, almeno, una sorta di chiarimento.

Il giorno prima aveva spergiurato a se stesso che nessuno avrebbe mai dovuto sapere nulla di quella storia del bacio e che si sarebbe dimenticato presto di Andrew, così come di tutto ciò che lo riguardava, ma il fatto di aver trascorso una notte pressappoco insonne e tormentata dal ricordo del viso stravolto dalle lacrime e dalla rabbia di quel ragazzo lo aveva spinto a tornare sui propri passi. Non voleva dimenticare, ecco qual era il problema. Non voleva fare come se nulla fosse mai avvenuto. Non ci stava, anzi!
Inutilmente aveva provato a scrivere a Collins un messaggio su PhonesUp, giungendo ripetutamente a scrivere e infine a cancellare una miriade di discorsi costellati di scuse, di suppliche al fine di ottenere una risposta qualsiasi, persino degli insulti. 
Solo all'ultimo aveva compreso che certe questioni non potessero esser affrontate dietro allo schermo di un cellulare, non quando un terreno così insidioso poteva determinare la rovina totale grazie a una virgola, a un punto in fondo alla frase che sapeva di rabbia, di qualcosa di definitivo o di arroganza. No, c'erano cose che potevano esser pronunciate solamente a voce, faccia a faccia, e il resto non era che una mera scusa o semplice vigliaccheria. Per quel che lo riguardava, aveva smesso di avere paura, di nascondersi.

Benché non riuscisse a capire come avesse potuto Andrew sconvolgerlo fino a tal punto in così poco tempo, sentiva nelle ossa che doveva trattarsi di qualcosa di veramente folle e senza precedenti. Non si poteva perdere il sonno e la ragione per motivi futili, d'altronde, e nonostante tutta la confusione che regnava nella sua mente, un'altra sensazione lo stava man mano avvolgendo fra le proprie invisibili e gradevoli braccia: il senso di libertà, di liberazione.
Si sentiva libero e vivo. Vivo! E quel bacio...! Buon Dio, mai aveva provato nulla del genere prima di allora con chicchessia. Scombussolato lo era di sicuro, magari persino fuori di testa, ma dopo aver vissuto per anni in una bolla di apatia e superficialità che lo aveva condotto a tirar fuori il peggio di se stesso, era lieto di sentirsi a quel modo. 

Magari era uno scemo, anzi un autentico coglione senza speranza, ma la sola cosa che avrebbe sul serio voluto fare non appena fosse giunto a casa dei Collins era di afferrare quel... quella specie di rockettaro allampanato, forzarlo con la schiena al muro e baciarlo con tanto di quel trasporto che a confronto con loro Rossella O'Hara e Rhett Butler si sarebbero sentiti due dilettanti alle prime armi.
Voleva baciarlo, implorarlo di perdonare la sua stupidità e le sue maniere da ragazzino prepotente e ingordo che lo avevano condotto a comportarsi in maniera impreparata e impacciata. Voleva solo pregarlo di concedergli una seconda possibilità e spiattellargli tutto ciò che provava in sua presenza. 
Se Andrew avesse poi deciso di non voler comunque saperne niente di lui... beh, lo avrebbe accettato, seppur a malincuore, ma prima era necessario che parlassero faccia a faccia.

Accelerò, pur guardandosi bene dal fare troppa pressione sul pedale e rischiare di schiantarsi. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era di finire in ospedale nel peggior momento possibile.
Un paio di minuti dopo finalmente vide la casa di Andrew e non esitò un secondo a fermare la macchina. In quel preciso istante scorse il coetaneo varcare la soglia di casa, scendere i gradini del portico esterno e, nel frattempo, sistemarsi con indolenza la borsa di scuola sulla spalla destra. Recava il cappuccio della felpa blu notte calato sul capo; alle orecchie aveva i soliti auricolari bianchi i cui cavi a malapena erano visibili. Come al solito i suoi folti capelli corvini erano spettinati, privi di un reale verso, e in parte gli ricadevano su di un occhio. Una cosa andava detta di quel ragazzo: per quanto apparisse fragile, quasi macilento, in lui c'era qualcosa che comunque esprimeva un che di autoritario che raramente era possibile notare in persone giovani come lo erano lui e Alexander. Forse, si disse Woomingan, dava quell'impressione solamente perché sapeva farsi rispettare ed era abbastanza maturo da passar sopra a gran parte delle crudeli bambinate subite ogni giorno fra le mura scolastiche.

Alex si riscosse e si diede un metaforico ceffone per essere ancora lì, nell'abitacolo dell'auto, a fissare da lontano il coetaneo quasi con la bava alla bocca, tanto Andrew lo irretiva. Dannazione, era attratto da lui e ormai non poteva farci niente, se non uscire dalla propria zona di comfort e sperare in un miracolo.
Si morse il labbro inferiore, litigò con la cintura di sicurezza e non appena riuscì a liberarsi dalla sua morsa si fiondò fuori dal veicolo. Corse a perdifiato fino al cancello della recinzione in ferro battuto. Solo per un secondo rischiò di andarci a sbattere contro e, fra una mossa agitata e l'altra, alla fine finì invece quasi per scontrarsi proprio con la persona con cui aveva una disperata urgenza di parlare.

Andrew, come al solito, fu pronto di riflessi e si arrestò una manciata di secondi prima dell'impatto fra i loro corpi. Alex, dal canto proprio, sentì il respiro mancargli e la capacità di formulare pensieri sensati venir meno, specialmente non appena incontrò gli occhi verdi, sfumati di nero e contornati da leggere occhiaie del compagno di scuola. Che anche Collins non fosse riuscito a dormire, quella notte? 
Fece per dire qualcosa, qualunque cosa, ma venne interrotto subito da Andrew che, senza troppe cerimonie, lo accolse dicendo: «Ancora tu? Sei proprio testone, allora!»
Aveva l'aria di uno che era appena incappato in uno scarafaggio. 

«A-Andrew, io...» balbettò Woomingan. «D-Devo...»

«Che cosa vuoi?» lo zittì ancora una volta Collins. «Anzi, non dirmelo neppure. Non importa. Ho cose più importanti da fare e ti ho detto di lasciarmi in pace» aggiunse, gelido e sottilmente rancoroso; provò ad aggirarlo per proseguire, ma il quarterback gli si parò di nuovo di fronte. Roteò gli occhi, batté uno stivale sul selciato per la frustrazione e sbottò, spazientito: «Insomma, cosa cazzo vuoi da me?»
Solo per un istante provò l'impulso smodato di mollare a quello slavato una sberla talmente forte da fargli fare il giro dell'intero sistema solare per tre volte consecutive, ma accantonò subito tale pensiero. Non aveva mai picchiato anima viva e di certo non avrebbe iniziato ad esser proprio in quel momento un individuo violento. Il suo patrigno gli aveva fatto capire fin troppo bene che genere di uomo mai sarebbe dovuto diventare e, comunque, non era nella sua indole risolvere i problemi con un pugno sulla faccia. 
Aveva persino storto sempre il naso nello scoprire di come il suo defunto padre, Markus, avesse sempre conservato in un ripostiglio ben celato, seppur non abbastanza, delle autentiche armi. Era venuto a conoscenza di suddetto arsenale solamente in seguito alla morte dell'uomo, quando aveva deciso, insieme a due amici di vecchia data del defunto, di metter via le cose di Thorne Senior prima di lasciare che l'appartamento venisse rimesso sul mercato. Aveva chiesto agli amici di Markus se per caso egli fosse stato solito andare a caccia e aveva ottenuto una risposta affermativa, ma per un secondo gli era parso che i due gli stessero nascondendo qualcosa. 
Ad ogni buon conto, era diverso da suo padre e no, non avrebbe alzato un dito contro Alex, anche se una piccola parte del suo essere volentieri gli avrebbe torto il collo, visto che ce l'aveva a morte con lui.

Davvero era così difficile capire che dovevano far finta di non conoscersi e tornare a ignorarsi? Perché Woomingan persisteva nel tormentarlo a quella maniera? Perché, si chiese ancora, lo aveva baciato? Proprio quando per un attimo si era convinto di aver trovato finalmente un amico, qualcuno con cui poter avere una conversazione interessante, persino stimolante!
Eppure gli appariva chiaro di aver fatto di tutto pur di chiarire che non gli importava di legarsi in qualsivoglia maniera a chicchessia. Non ancora, almeno. Non quando aveva rotto relativamente da poco con Dylan e nella peggiore delle maniere. 

Controllò l'ora sul display del cellulare e si rese conto che gli si stava facendo tardi, e questo lo condusse a fare un passo verso il coetaneo con fare deciso, quasi intimidatorio. Non era tipo da farsi mettere i bastoni fra le ruote quando aveva degli impegni o desiderava qualcosa. Al momento non voleva parlare in alcun modo con Alexander e aveva scelto di tornare a concentrarsi soltanto sugli studi. «Qualunque scusa tu voglia sciorinarmi, Woomingan, non cambierà lo stato delle cose. Sono io a non voler avere nulla a che fare con te. Chiaro?»

Il cuore balzò in gola ad Alex per la sorpresa. Non si era aspettato quell'atto di sottile prevaricazione da parte di Collins, eppure una parte di lui, irrazionale e sciocca, era più irretita che mai dal cupo studente venuto da Atlanta.
Decise in ogni caso di lasciar correre, sapendo in cuor proprio di meritarsi appieno quel trattamento, così come di dover lottare se voleva guadagnarsi la seconda possibilità che era venuto a implorare.

Sollevò le mani in segno di pace e, considerando l'aria terribilmente adirata e cupa di Andy, anche di difesa. Si fece coraggio: «V-Voglio solo che tu mi ascolti, poi sarai libero di prendermi anche a pugni o di sputarmi in faccia, se è ciò che desideri, ma ascoltami. Ti prego».

«Davvero, Alex? Scusa, ma penso ci sia un grosso conflitto di interessi fra di noi, visto che non sono interessato a sentire cos'hai da dire. Spostati, adesso, o farò tardi!» Collins fece per afferrargli una spalla e indurlo a togliersi dal suo cammino, ma Woomingan si impuntò e rimase dov'era. «Al diavolo la scuola, porca miseria!» esclamò il quarterback esasperato.

Andrew ridusse gli occhi a taglienti fessure. «No, Alexander, al diavolo tu», detto ciò lo superò e si avviò per il marciapiedi, ma l'altro lo seguì, determinato a non mollare, a beccarsi ogni genere di insulto e ingiuria. Che lo strapazzasse quanto voleva, che lo spintonasse e trattasse peggio di uno straccio. Non gli importava. Voleva solo parlargli. Ne avevano bisogno entrambi, sapeva che era così, e in fin dei conti persino a un condannato a morte venivano concesse le ultima parole prima dell'esecuzione. Considerando il motivo per cui avevano discusso, riteneva di meritare almeno la possibilità di un confronto fra di loro.

Fece un respiro profondo. «E va bene, ignorami pure, ma io parlo lo stesso» esordì dunque, ignorando Andrew che si era fermato un secondo e solo per alzare gli occhi al cielo e sbuffare snervato. «Ammetto di essermi comportato come un idiota, ieri, e di aver agito senza pensare alle conseguenze né a come avresti potuto reagire, ma vuoi sapere un'altra cosa? Io sono per definizione un completo idiota! Sono nato coglione, morirò anche come tale e sono appena giunto alla conclusione che la mia intera vita sia stata sempre un dannato schifo! Niente di quello che ho fatto o detto è stato mai bello! Niente di quello che mi è successo lo è stato e fino a ieri ero convinto che la felicità non esistesse, che fare quel che volevo, essere un imbecille e scopare con chi cazzo mi pareva fosse l'unico modo per passare il tempo, per sentirmi vivo, ma mi sbagliavo! Mi sbagliavo e ieri notte l'ho capito, Andrew!»

Era maledettamente sincero. Aveva capito di essersi sempre sbagliato su tutti i fronti e questo solo dopo aver guardato Andrew Collins negli occhi. Porca di quella miseria, in quelle iridi forse aveva avuto addirittura un astrale e metafisico assaggio dell'universo! 
Come si poteva tornare ad essere quelli di un tempo, dopo aver visto l'universo in tutta la sua misteriosa magnificenza e bellezza? 

Andrew si fermò nuovamente e si volse appena verso il coetaneo, ma sul suo volto niente era mutato: era ancora distante, freddo e tutt'altro che disposto a eventuali compromessi. «Sul serio, Alex, piantala di renderti ridicolo. Sono solo parole le tue e le parole per me non significano nulla. A farti ragionare, evidentemente, è stata solo la tua dannata coscienza. Era ora che lo facesse perché, come tu stesso hai detto, ai miei occhi sei apparso fin dal principio come un emerito coglione e anche uno stronzo, a voler esser sinceri e brutali. Non ho nulla da spartire con te né con i tuoi personali rimorsi o la tua stupida coscienza. Ieri si è trattato di un errore, nient'altro che quello, e ora desidero che tu mi lasci stare. Fine della storia. Addio. Ciao e ti saluto.»
Tornò a camminare, ma neppure il suo discorso glaciale e schietto riuscì a fermare Alex, il quale si passò una mano fra i capelli, tirandoli; gli occhi color argento erano lucidi, ribollenti di emozioni che forse non avevano un preciso nome. Il cuore gli fracassava dolorosamente le costole e da un momento all'altro, lo sentiva, gli sarebbe schizzato fuori dal petto. Non poteva finire diversamente, si disse, e qualcosa gli diceva che avrebbe fatto meno male dell'indifferenza di Andrew.
Non gli credeva, realizzò costernato. Non gli credeva, dannazione! 

Che cosa avrebbe dovuto fare? Strapparsi il cuore, schiaffarglielo tra le mani e allo stesso tempo continuare a respirare?
Diamine, una piccola e timida voce dentro di lui gli diceva che sarebbe arrivato a tanto, se solo fosse stato sufficiente a far capire a Andrew che non stava scherzando e non stava parlando di coscienza o rimorsi. Lì c'era in ballo ben altro, molto di più. Era qualcosa di speciale, così tanto da star conducendolo sull'orlo della più totale e sofferente disperazione.

Se ne sta andando! Non farlo, no! Aspettami! Lascia che ti spieghi, ti prego!

Il suo battito cardiaco si fece più frenetico di prima e raggiunse una velocità tale che forse, di lì a poco, sarebbe collassato. Era proprio vero che l'urgenza rendesse qualsiasi essere umano sfacciato, avventato e magari folle, dato che di colpo seppe cosa dire con esattezza, cosa andasse veramente ed unicamente detto senza più un briciolo di decoro o amor proprio: «Stammi a sentire, Andrew. Da quello che hai detto ieri ho capito che hai sofferto, che continui a soffrire tutt'ora per fin troppe ragioni e che il sottoscritto ha solo peggiorato le cose. Di' quel che ti pare, non mi importa, so solo che... niente nella mia vita è mai stato bello o degno di nota, niente di quello che ho fatto ha mai avuto alcun senso, se non nel preciso momento in cui ti ho baciato. Non riesco a spiegarmelo neanche io, ma non mi importa! Non mi importa, perché anche adesso non mi sto affatto pentendo di averti dato quel bacio e... farlo è stata l'unica cosa bella e degna di nota di tutta la mia fottuta esistenza! Non ti chiedo di giustificarmi, non ti chiedo di capire il casino che sono, ti chiedo solo di pensare a cosa ho appena detto».
Si guardò attorno, mordendosi le labbra a sangue e torturandosi il palmo delle mani con le unghie all'interno delle tasche. Gli veniva di nuovo da piangere, ora anche per lo sconforto, per il pensiero che non vi fosse nessuno a parargli le spalle e a imboccarlo, a rendergli la vita più facile. Come un uccello finalmente uscito dal nido doveva fare da solo e sempre da solo gli toccava di affrontare il battesimo dell'aria, anche se sarebbe stato meglio parlare del fuoco. C'era il fuoco nelle sue vene. Scorreva in esse, bollente e inarrestabile. 

Dio, dammi la forza per... per dirgli tutto quello che sento! 

La verità nuda e cruda era che voleva Andrew Collins al proprio fianco contro il mondo intero e non in vesti di amico, oh no... lo voleva come qualcosa di molto, molto più speciale e profondo. Voleva amare ed essere amato e non per chi era, per la propria posizione sociale, ma per il difettoso manichino di latta dotato di un cuore malconcio e avvizzito che in realtà era. Desiderava di amare, esatto, ma non poteva comunque pretendere la luna, che Andrew cambiasse di colpo idea. 
Triste a dirsi, ma era pronto all'ennesimo rifiuto, a quel punto dei fatti.

Gli tornò alla mente una delle poche volte che era andato in chiesa: Brian all'epoca aveva perso lo zio paterno e lui aveva dimostrato incredibilmente di avere un minimo di sensibilità rimanendo al fianco dell'amico, riconoscendo il suo bisogno di vicinanza e comprensione.
Lo aveva poi visto allontanarsi, raggiungere il leggio e dedicare allo zio l'Inno all'Amore di San Paolo. Davvero ironicamente triste tale scelta, dato che lo zio di Brian si era ucciso dopo aver divorziato. Era sprofondato nella depressione senza riuscire più a riprendersi e il suicidio era giunto a pochi mesi di distanza. 
Ricordava ancora la voce spezzata di Herden leggere quel bellissimo passo del Nuovo Testamento. L'unica volta in cui Woomingan, seduto in silenzio e con gli occhi bassi, si era ritrovato per un secondo a riflettere sull'amore e sul vero significato dietro suddetto termine.

L'amore era accettazione e sì, a volte anche sacrificio, consapevolezza di non poter avere sempre tutto e, talvolta, di dover anche venir a patti con la sconfitta. In certe occasioni l'atto di amore più grande e altruista che esistesse era lasciar andare chi non desiderava restare e forse, si disse, era ciò che sarebbe stato costretto a fare con Andrew. Se Collins non lo voleva, allora non aveva senso forzarlo a starlo sentire, rubargli attimi preziosi e irripetibili dell'esistenza che egli chiaramente desiderava impiegare in altre maniere. 

Sospirò stremato, consapevole di non aver ottenuto nulla nell'unica occasione in cui aveva parlato a cuore aperto. Comunque fossero andate le cose, si disse nel tentativo di consolarsi, almeno non avrebbe dovuto rodersi il fegato per aver taciuto. Aveva provato a lottare e magari a contare sul serio non era la vittoria, bensì l'aver se non altro cercato di vincere.

Si scostò i ribelli capelli biondi dal volto. Le parole del giorno prima pronunciate da Andrew rimbombavano nella sua mente con la stessa potenza di una raffica di tuoni durante un temporale. «Per me non sei affatto quello che hai detto ieri. Mi sono sentito uno schifo solo sentendoti elencare tutto ciò che sei stato costretto a subire dalla gente con cui purtroppo devi avere a che fare per forza ogni giorno, e vorrei solo... solo essere qualcosa in grado di toglierti anche solo un po' di quei pesi che ti porti dietro da non so quanto tempo.» Era inutile insistere, in cuor proprio lo sapeva e lo accettava. Cos'altro poteva fare, dopotutto? Era già tanto che Andrew non lo avesse preso a calci, a voler esser sinceri. Era stato fin troppo buono e tollerante con lui, e solo Dio sapeva quante botte si sarebbe meritato.
Mentre parlava la sua voce era tremante, spezzata e flebile proprio come quella di Brian in chiesa durante il funerale dello zio e, in fin dei conti, quello non era che il requiem delle sue speranze.
 «O-Ora... ora ti lascio in pace, promesso. S-Se vuoi... potrai ignorarmi o continuare a disprezzarmi. N-Non c'è problema, va bene così. In fondo me lo merito, hai ragione tu. Sono uno stronzo e sei stato l'unico a sbattermelo in faccia. Sembrerà paradossale, ma di questo ti sono grato. Grazie per avermi aperto gli occhi sulla persona superficiale che sono. Grazie per avermi ascoltato, anche se non lo meritavo.» 

In realtà avrebbe voluto rivelargli anche la verità sulla scommessa, ma in qualche maniera sentiva che la sola cosa a contare realmente fosse proprio tutto ciò che era appena scivolato fuori dalle sue labbra.
Abbassò lo sguardo e si passò il dorso della mano su entrambe le guance, dato che stava apertamente piangendo come un bambino e senza la minima ombra di vergogna. Piangeva e sentiva sulle spalle il peso del mondo intero.
La verità era che Collins, in un certo senso, fosse la sua sola, ultima ed unica speranza di diventare una persona migliore. No, non migliore: completa. Lo era o lo era in ogni caso stato per appena un battito di ciglia, per una piccola frazione di tempo nell'eternità dell'universo.

Fu una vana speranza quella che infine Andrew gli diede solamente per un momento quando si volse e lo squadrò a lungo, ma nei suoi occhi verdi Lex non riuscì a carpire la benché minima reazione, se non... erano pena, disgusto, accondiscendente compassione, sdegno, forse, tutto ciò che in essi pareva riecheggiare? Non fu in grado di capirlo, non del tutto, né ne ebbe in ogni caso il tempo. 

«Vedo che hai recepito il messaggio. Ora, se non ti dispiace, gradirei andarmene a scuola e seguire le lezioni in santa pace. Non ho proprio intenzione di giocarmi l'anno scolastico per colpa tua. Va' per la tua strada ed evita di fare gli stessi errori con chiunque sarà talmente scemo da offrirti la propria fiducia» fu la glaciale e lapidaria risposta di Collins, il quale, senza aggiungere altro, tirò dritto e si allontanò.

Alexander chinò di nuovo il capo, sconfortato, sfinito, vinto da tutta quella situazione che gli si era ritorta contro; tornò alla propria auto e ripartì, ma se solo fosse rimasto un secondo in più, soltanto un piccolo attimo in più, avrebbe visto Andrew guardarsi a un certo punto indietro con aria pensierosa e colma di rimorso, di conflitto interiore e di una piccola dose di sensi di colpa. Avrebbe visto, in effetti, che forse non tutto fosse stato gettato alle ortiche né fosse stato completamente vano, ma il tempo fu ancora una volta a loro avverso, un nemico crudele e imbattibile, e Woomingan, ignaro di tutto e con il viso bagnato di lacrime che continuavano a sgorgare dai suoi occhi come rigagnoli ai piedi di una montagna, rimise in moto la propria auto e partì.

Fu in quel momento che si udì il cielo plumbeo tuonare in un sommesso boato, poi la pioggia venne a scendere impietosa e pungente, come se persino il cielo, da silente spettatore di tanti, troppi amori mai finiti o mai cominciati, fosse al momento partecipe del dolore di Alexander o dei pietosi ripensamenti di Andrew.

Il viaggio verso il liceo fu insolitamente pesante per Collins, quella mattina, e privo della musica che sempre lo accompagnava lungo il tragitto. Talmente era rimasto scosso dalla discussione con Alex da essergli passata la voglia di scacciare il malessere con una delle poche cose che sempre erano in grado di tirargli su il morale.
Nell'entrare a scuola e nel procedere per i corridoi di essa non scorse da nessuna parte Alex e, colto da un lieve e brutto presentimento, mise da parte ogni riserbo automatico nei riguardi di uno dei più stretti amici del ragazzo e, fermatosi, attirò l'attenzione di Brian Herden. Il giovane lo squadrò mezzo inebetito, preso alla sprovvista da quell'approccio del tutto inatteso. Dimenticò persino di salutare l'attuale fidanzata, sorpreso com'era dal ritrovarsi a parlare proprio con Andrew Collins.

Questi esitò. «Uhm... tu e Alex Woomingan siete amici, giusto?» esordì cauto. 

Brian si riebbe dallo stupore e ci impiegò un paio di secondi prima di replicare, vago: «Sì, uhm... diciamo che però, al momento, stiamo molto meglio separati».

Andrew lo fissò con aria perplessa. Per una frazione di secondi gli venne in mente di indagare più a fondo, ma non erano affari suoi, dopotutto. «Mi dispiace.»

«Si va avanti lo stesso.»

«Comunque... non è che ti è capitato di vederlo mentre entravi a scuola, per caso?»

Herden si accigliò. «Come mai me lo stai chiedendo?»

«Brian, lo hai visto o no?» insisté Collins.

L'altro ragazzo respirò a fondo. «No. Non mi pare, almeno. È... successo qualcosa con lui?»

Andy scosse il capo tra sé e agitò una mano. «N-Nulla. Scusa il disturbo.» Non aggiunse altro e quasi se la diede a gambe, raggiungendo la classe in cui si sarebbe tenuta la prima ora di lezione. Il caso volle che si trattava proprio di Letteratura e quando la professoressa Silvers, all'appello, scoprì dell'assenza improvvisa e ingiustificata di Woomingan, nessuno seppe dirle nulla in merito ad essa. Andrew, dal canto proprio, tenne lo sguardo basso e fece di tutto per evitare quello attento e indagatore di Herden. 
Si ripetè che non era colpa sua e che Alex si stesse soltanto comportando da bimbo capriccioso quale sicuramente era. Si disse che di certo il coetaneo fosse tornato a casa per leccarsi le ferite e che si sarebbe rifatto vivo il giorno seguente, fresco come una rosa e magari dimentico di tutto quanto, pronto a scondizolare dietro a qualche nuova conquista, ma un secondo dopo aver pensato tutto ciò ripensò all'espressione di Woomingan, a quello sguardo disperato e spurgante tristezza allo stato puro, persino una sorta di silente cordoglio di fronte al suo palese rifiuto. 

Forse era stato troppo duro ed egoista e forse il problema era lui. 
Era lui quello talmente diffidente da pensare oramai che chiunque fosse solo e unicamente capace di fregarlo.

Durante il corso di quelle ore fra le mura di scuola non vide nessun altro, a parte lui e Brian, mostrarsi almeno un poco preoccupato per l'assenza di Alexander. Parlando una seconda volta con Herden, appena di sfuggita, venne informato che egli avesse provato a chiamare ripetutamente l'amico e solo per scoprire che il quarterback pareva aver spento il cellulare, negando a chicchessia la possibilità di contattarlo e capire dove fosse andato a finire.
«Sei sicuro che non sia successo niente con Alex, di recente?» insisté a un certo punto Brian mentre condividevano, in via eccezionale, lo stesso tavolo a lezione di chimica. «Andrew, se hai qualcosa da dire, ti consiglio di sputar fuori tutto all'istante. Sono il suo migliore amico!»

Più costernato che mai, tutt'altro che desideroso di raccontare la verità al coetaneo, ancora una volta Collins replicò che non fosse successo assolutamente niente con Alex. A malapena si erano scambiati qualche parola, anzi. 

Brian lo scrutò nel tentativo di capire se fosse sincero o meno, poi sospirò e rilassò la colonna contro la propria seggiola mentre sia lui che l'inatteso compagno di banco venivano rimproverati dal professore di chimica perché, a detta sua, stavano disturbando durante la lezione. Volentieri avrebbe mandato a quel paese l'insegnante, ma poi i suoi voti in quella materia ne avrebbero risentito e non gli andava di cacciarsi nei pasticci.
Da un lato qualcosa gli ripeteva che Andrew non fosse stato del tutto onesto, prova ne era che stesse insistendo fin troppo per sapere che fine avesse fatto Alex, ma poi... poi Brian ripensava al modo in cui il suo sedicente migliore amico lo aveva trattato di recente e, soprattutto, a quella dannata scommessa, ed ecco che alla preoccupazione si contrapponeva il pensiero di star solamente arrovellandosi per niente.

Forse Alex aveva soltanto marinato di proposito la scuola. Non sarebbe stata neppure la prima volta, in fin dei conti, e comunque, checché ne dicessero tutti di Andrew Collins, a modo proprio Alexander era sempre stato di per sé un tipo talvolta bizzarro e complicato. Un po' perché veniva dalla città e in certe occasioni sembrava ancora convinto di trovarsi a Seattle, anziché in una piccola cittadina dell'Oregon; un po' perché, bisognava ammetterlo, spesso non la raccontava giusta in merito alla propria situazione famigliare, tanto da voler a tutti costi far credere a tutti loro di avere una vita perfetta, benché fosse risaputo che non vi fosse una sola famiglia al mondo degna di esser definita tale. 

Ma sì, si disse, domani tornerà a scuola e si pavoneggerà con tutti quanti per esser andato a fare chissà cosa mentre noi eravamo qui ad annoiarci.

Andrew, tuttavia, a mezzogiorno dovette ricorrere a tutto l'autocontrollo che possedeva pur di resistere all'impulso di fiondarsi fuori dall'aula di biologia e andare a cercare Alex, convinto che la sua assenza non fosse affatto casuale né dettata dalla poca voglia di seguire, quel giorno, le lezioni.
La verità era che non aveva la forza di fidarsi ancora né di affrontare, magari, di nuovo l'argomento del bacio con Woomingan. Era talmente terrorizzato all'idea di poter aprirsi con lui, di ammettere in primo luogo con se stesso che in fin dei conti quel dannato bacio non lo avesse lasciato indifferente né fatto davvero indispettire come aveva millantato, da preferire di gran lunga di restare dov'era e augurarsi che il groppo in gola che avvertiva sarebbe presto svanito nel corso della giornata.

Non c'era nulla di cui preoccuparsi. Era solo lui a esser come al solito troppo apprensivo e a pensare che tutti, in un momento di sconforto, fossero capaci di fare quel che lui aveva fatto tempo addietro, prima di trasferirsi a Hanging Creek.

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