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𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐕𝐈. 𝐈𝐦𝐩𝐫𝐞𝐯𝐢𝐬𝐭𝐢


Cosa consiglio di ascoltare: "If I Go, I'm Goin" di Gregory Alan Isakov.

https://youtu.be/BKc4I_cK0JU

La camera era debolmente illuminata dalla luce dell'alba. Ottobre era il pigro e sonnolento mese in cui le foglie cominciavano a cadere e a lasciare i poveri rami ai futuri morsi del gelo. Battevano in ritirata come dei parassiti dalla carcassa di un cane dopo averlo prosciugato del sangue.

Il cinque di ottobre, questo il giorno preciso illustrato sul piccolo calendario abbandonato sulla scrivania di Alex nell'angolo della camera, uno di quelli che veniva prontamente distribuito dai rappresentanti delle case farmaceutiche con nomi a volte ridicoli e buffi, altre volte imbarazzanti, oppure altri ancora davano l'impressione di derivare da qualche parola di dubbio gusto.

Il ragazzo si era appena svegliato e il suo non era stato un sereno riposo. Di nuovo aveva avuto degli strani incubi dei quali, però, ancora una volta non riusciva a ricordare il benché minimo dettaglio. Ricordava solo... 

Una foresta. Sì, rimembrava la fitta vegetazione, gli alberi nodosi dai rami contorti simili a dita scheletriche. Un bosco buio e così fitto da non lasciar passare neppure la luce del sole o della luna, salvo per una radura. Gli pareva di aver visto uno spazio privo di piante, il sottobosco illuminato da un riverbero argenteo e... delle voci. Una di esse era sicuro di conoscerla, di averla già sentita, ma niente più di questo. Il resto era troppo confuso e privo di logica.

Fece un respiro profondo, si terse la fronte bagnata di freddo sudore e richiuse gli occhi, sperando di guadagnare qualche altro minuto di sonno, ma la sveglia trillò indemoniata, lo schermo del cellulare brillava furibondo a intermittenza e il suono scaturito dall'apparecchio sembrava quasi urlare ad Alex ‟Sveglia, sciamannato! Alzati e vestiti!".

«Va bene, va bene, ma falla finita» sibilò il ragazzo, avendone sul serio abbastanza di quel rumore intollerabile. Sbuffò sonoramente e sbadigliò come un alligatore dopo un bel succulento pasto, poi si tirò su nel letto, avvolto in un groviglio di coperte color azzurro pallido di calda flanella che purtroppo ancora recavano quel nauseante e sdolcinato profumo della sua ex. 

Niente da fare, per quanto fossero state a mollo nella lavatrice per ore, davvero non riuscivano a scrollarsi di dosso quella sgradevole fragranza. 

Come si chiamava? Mosquito o Moschino, neanche se lo ricordava. Non aveva mai avuto una grande considerazione per le marche. Vestiva abiti firmati, certo, ma non si soffermava sulle marche cui appartenevano.

Si ravviò i folti e mossi capelli dorati mentre scostava le coperte. Il rigido mattino accolse la sua pelle seminuda, la quale reagì diventando come quella di un'oca spennata. Non metteva il pigiama sin dai quindici anni, ovvero da quando aveva perso la verginità ed era divenuto pienamente e con sommo orgoglio cosciente del proprio sfavillante aspetto. Non ricordava nemmeno il nome della ragazza con cui l'aveva fatto per la prima volta, ricordava soltanto che lei doveva aver avuto almeno due anni in più di lui e avesse addirittura fatto sesso con più o meno tutti i ragazzi del vicinato, compreso lui.

Quelli sì che erano bei ricordi, all'incirca.

Ora che ci pensava, aveva davvero bisogno di fare sesso. Niente di impegnativo, la solita sveltina da serata disco. Ci stava un po' di musica assordante, alcool a non finire e un bel viaggetto del piacere fra le gambe di una sciacquetta qualsiasi, magari nel bagno della discoteca e contro il muro. A dire il vero era in quel modo che lui e Natasha si erano messi insieme, ma non avrebbe ripetuto lo sbaglio.

Gli piacevano le esperienze al limite della decenza o che, addirittura, superavano tale limite. La vita era una sola e non intendeva sprecarla standosene a fare la muffa a casa come una suora di clausura.

Cominciò con la solita routine: doccia, rasatura, profumo spruzzato ai lati del collo, vestiti impeccabilmente casual e presto fu pronto per l'ennesimo round contro Andrew Collins.

A proposito: quel darkettone gli doveva una spiegazione accurata e approfondita riguardo la sottospecie di fuga messa in atto il giorno prima. Lo aveva piantato in asso, diamine! Nemmeno un cane sarebbe stato trattato a pesci in faccia così!

L'espressione rilassata e pimpante del giovane Woomingan perse il leggero sorriso e fu rimpiazzata da una faccia seria e concentrata. Doveva ammettere che quel tipo fosse in grado di scombussolare il suo umore come nessun altro. Che si trattasse di orgoglio ruggente e ferito o di semplice paura di perdere la scommessa, questo era ancora da stabilirsi.

Non appena ebbe indossato le lenti a contatto uscì dal bagno e andò al piano di sotto, convinto che suo padre, come da programma, fosse andato al lavoro da almeno un'ora, ma rimase sorpreso – e di certo non in positivo – quando, entrando in cucina per prendersi un sorso di succo di mirtilli, vide proprio suo padre seduto all'angolo bar in legno e acciaio intento a leggere il giornale: gli occhiali inforcati come al solito, in giacca e cravatta come di consueto e una tazza di caffè accanto.

Non ci sarebbe stato nulla di strano in tutto ciò, se solo non fosse stato mercoledì. In tale giorno della settimana, infatti, il signor Woomingan iniziava a lavorare molto presto. 

Alex annotò le anomalie un poco alla volta: la solita espressione seria e monotona di suo padre era rimpiazzata, quella mattina, da una rilassata, quasi allegra. Punto però ancora più di vitale importanza: di fronte al signor Woomingan e vestito di tutto punto c'era il compagno di quest'ultimo.

C'era qualcosa di terribilmente sbagliato e surreale nell'aria, a parte il disagio che sempre accompagnava Alex quando si ritrovava in compagnia del fantomatico ‟Chris". Quell'uomo era un trentenne di aspetto più che gradevole e che un po' rievocava il sangue ispanico, del tutto in contrasto con il dr. Woomingan. Il padre di Alex era un uomo avvenente e dagli occhi argentei come quelli del figlio, certo, ma dalla severa, affilata e decisa ossatura del viso. Bastava guardare una qualsiasi foto risalente al matrimonio del chirurgo con Wanda, la sua ex-consorte, per capire immediatamente che Alexander avesse ripreso dalla madre i tratti del volto molto più armonici e sensuali. 

Ad ogni modo, già era strano di per sé accettare, anzi tentare di farlo, che quei due stessero insieme, se poi si aggiungeva anche quel particolare alone da coppia bizzarra e improbabile, ecco che le cose si complicavano ulteriormente.

Ma che sta succedendo? Che ci fa Coso qui, soprattutto a quest'ora?  

Alex era scioccato e indispettito. Fece dei passi indietro, tentando di darsela pressappoco a gambe, nella speranza di non esser stato notato, ma si ritrovò a maledire Christian quando questi lo notò e gli sorrise, punzecchiando piano la spalla al compagno. 

Il chirurgo si riscosse dalla lettura e si voltò. «Oh, eccoti, finalmente! Vieni e siediti, Alexander! Abbiamo qualcosa da dirti» disse al il figliolo con la stessa allegria che tanto sembrava innaturale sul suo viso raramente illuminato dal buon umore. Alex non lo aveva quasi mai visto sorridere, almeno le poche volte che si vedevano e stavano assieme. Suo padre ultimamente cercava in ogni maniera di ristabilire un contatto con lui, ma fino ad allora i suoi tentativi erano risultati pressoché vani. Non erano di certo sufficienti a ristabilire un equilibrio andato a farsi benedire da un bel po' di anni. Daniel Woomingan non poteva realmente credere che salvare qualcosa che ormai era morto potesse fare la differenza. Si era giocato il rispetto del figlio molto tempo addietro, quando aveva rinunciato in partenza a lottare per tenere unita la famiglia di cui una volta anche Wanda aveva fatto parte. Alex lo aveva visto gettare la spugna subito e gettarsi a capofitto nel lavoro pur di non affrontare la realtà, ovvero che la loro era diventata una famiglia altamente disfunzionale. Il resto era una semplice facciata e per quanto Alex odiasse ammetterlo, Brian aveva colpito nel segno dicendo che la sua non fosse davvero una vita perfetta.

Spero vogliate dirmi che state per lasciarvi e tornare sui vostri passi, perché questa pagliacciata inizia sul serio a fracassarmi le palle, pensò con livore, bramando ardentemente di poter palesare i propri pensieri ad alta voce, solo per il gusto di ferire il padre proprio come lui era stato ferito ogni singola volta nel realizzare che il lavoro di quest'ultimo e la relazione con quel Christian venissero prima di lui, del suo unico figlio.

Alla fine optò per trattenersi e si avvicinò, senza tuttavia sedersi; infilò le mani nelle tasche dei jeans strappati qui e là, fece spallucce e si finse interessato, sbattendo le ciglia in modo volutamente esagerato e stirando le labbra in un falso sorriso. «Cosa volete dirmi?» chiese rauco, lottando contro la volontà di far sembrare tali parole un vero e proprio ringhio scocciato. Dentro le tasche le dita grattavano il rivestimento interno con movimenti ripetuti, specchi di un nervosismo che Alex non osava palesare.

Non aveva niente da dire a quei due, se non un bel po' di insulti e consigli circa l'andare da un bel strizzacervelli e, già che c'erano, direttamente nel fantasmagorico paese del Vaffanculo-Senza-Ritorno.

Il dottore e Chris si guardarono esitanti, nei loro occhi vi era – con grande e nauseato dispiacere del ragazzo – quel solito, sdolcinato e ridicolo eco di amore e tenerezza.

Che schifo! Mi fa schifo l'amore in generale, ma questo supera ogni mia soglia di sopportazione.

Attese che i piccioncini la facessero corta di tubare come colombe nel nido. Ci mancavano le penne e poi sarebbero stati a posto.

Lo stomaco gli andò in pieno subbuglio quando la pallida e forte mano sinistra di suo padre strinse quella più affusolata e scura di Christian, finché non udì le parole che gli diedero l'impellente urgenza di andare a rimettere nel water: «Dato che ormai in quasi tutti gli stati americani è possibile farlo, e visto che ormai ci conosciamo da anni e siamo sicuri di ciò che vogliamo l'uno per l'altro, io e Chris abbiamo... abbiamo deciso di sposarci. So che per te magari potrà sembrare tutto un po' improvviso, ma ci amiamo come mai avremmo potuto immaginare di amare qualcuno e volevamo che fossi il primo a saperlo. Sei mio figlio e tra non molto anche lui diventerà tuo padre.»

Christian, come a voler sostenere ulteriormente il discorso e la speranza di accettazione nelle parole del fidanzato, annuì e rivolse un genuino e dolce sorriso al ragazzo. Il calore nei suoi occhi scuri era in parte destabilizzante.

Alex sentì riecheggiare il suono di un'immaginaria bomba atomica esplodere chissà dove nella propria testa. Il sangue gli defluì dal volto, solo per poi cominciare a ribollire impazzito, tanto che per un attimo il ragazzo ebbe paura di svenire. Si arrestò all'ultimo dall'appoggiarsi al muro di fianco, annuendo meccanicamente e con lentezza, poi s'inumidì le labbra. «Oh. Quindi... quindi era questo che volevate dirmi. Grandioso.» Ignorò senza tante cerimonie l'input di Christian. Poteva anche scordarsi il suo appoggio in una simile sciocchezza e comunque non sapeva proprio cos'altro dire di fronte a un simile affronto. 

Sì, esatto, lo vedeva come un maledetto affronto nei suoi confronti, l'ennesima prova di quanto a suo padre, di lui, non gliene fosse mai fregato un beneamato accidenti!

Che cosa avrebbero detto i suoi amici? I colleghi di Daniel? Cos'avrebbero detto tutti?!

Aveva bisogno d'aria, di allontanarsi, di sfogarsi in qualche maniera, di non pensare all'inevitabile vergogna che si sarebbe riversata di certo su di loro, specialmente su di lui. Prima o poi Brian e gli altri lo sarebbero venuti a sapere e allora sì che ci sarebbe stato da sbellicarsi dalle risate.

Avrebbero riso tutti. Tutti tranne lui.

Deglutì e aggiunse immediatamente: «Auguri. Ora devo andare o farò tardi a lezione. Oggi ho pure un sacco di test, quindi devo proprio svignarmela». Di nuovo passò brevemente in rassegna i due uomini. Si soffermò di più sul padre e senza volerlo lasciò trapelare, nella gelida occhiata che gli rivolse, tutta la rabbia, la delusione e lo sdegno che covava nell'animo.

Cosa si era aspettato, in fondo? Lo aveva sempre e solo deluso, sempre gli aveva fatto rimpiangere di esser dovuto restare a vivere con lui, anziché con sua madre. Alex ormai si stava arrendendo a una cruda realtà: papà era una delusione vivente e un grande egoista, pensava sempre e solo a se stesso prima ancora che agli altri, prima che al suo unico figlio.

Lex non ricordava un momento in cui il suo vecchio avesse mostrato apertamente un minimo di affetto e paterno interesse nei suoi confronti. Perennemente troppo impegnato al lavoro, a farsi gli affaracci propri, per poter trascorrere un solo istante con il figlio che ogni tanto si era ricordato e ricordava tutt'ora di avere. Alex aveva passato anni in compagnia delle baby sitter, finché a tredici anni non aveva imposto al padre di farla finita di piazzargli in casa quelle sceme col pessimo vizio di spedirlo a dormire alle nove di sera come un dannato lattante.

Lex non era mai stato davvero un bambino. Era cresciuto prima del tempo senza neppure rendersene conto. Era successo e basta, proprio come era successo e basta che un giorno sua madre avesse preso una valigia e se ne fosse andata via per sempre. Il ragazzo aveva piccoli squarci di ricordi riguardo quel brutto periodo: ricordava perlopiù di esser corso dietro a Wanda finché lei non era uscita e gli aveva quasi sbattuto in faccia la porta. Non era servito a nulla chiamarla a squarciagola, piangere, tirare un braccio a suo padre e cercare di convincerlo a correr dietro alla mamma, a fermarla e a tener uniti i cocci della loro famiglia disastrata.

Wanda se ne era andata e non aveva più fatto ritorno, mentre Daniel, semplicemente, era tornato a lavorare e a vivere come al solito, finalmente libero di poter condurre la vita che desiderava.

Alex aveva visto quel suo disinteresse come una vera e propria indifferente freddezza e alla fine aveva fatto proprio tale gelo, la mancanza almeno esterna di emozioni e sentimenti nei confronti del prossimo. Ciò rendeva ancora più spregevole ai suoi occhi il secondo e imminente matrimonio di Woomingan Senior.

Lo aveva tagliato ancora una volta fuori e solo all'ultimo reso partecipe dei suoi progetti.

C'erano padri peggiori, questo era vero, ma ve n'erano anche di migliori. Il suo, poco ma sicuro, non avrebbe mai vinto il premio come genitore del secolo.

Alexander non calcolò neanche Christian, dato che altrimenti gli avrebbe sputato in faccia. Fece un cenno di saluto e sparì dalla cucina, lasciando interdetti sia il padre che il fidanzato di quest'ultimo. I due uomini si scambiarono un'occhiata perplessa, certo, ma anche addolorata. Senza che neppure il ragazzo se ne fosse accorto, il suo reale parere riguardo quella faccenda del matrimonio era stato lo stesso recepito.

Con le mani che tremavano, il giovane scosse il capo, recuperò la borsa di scuola, se la mise in spalla e uscì di casa. Il sole era ormai alto nel cielo e non era una giornata uggiosa come era stato fino al giorno prima.

Alex si diresse alla propria auto che stava parcheggiata nel vialetto accanto a quella del padre; appena fu salito mise in moto, partendo un po' troppo velocemente, ma se ne fregava delle regole. Voleva solo scappare dal fatto compiuto. Si passò una mano sul volto, cercando di recuperare il proprio autocontrollo, ma ciò si rivelò più difficile del previsto.
Le sue dita strette attorno al volante tremavano più che mai, le mani sudavano e il nervosismo dilagava come una marea.

Mentre sfrecciava per le strade di Hanging Creek quasi non si accorse di una figura che stava attraversando la strada velocemente. Per poco non rischiò di mettere sotto un ragazzo. «Oh, Cristo!» Il sangue gli defluì dal volto, rendendolo simile alle lenzuola alle quali tanto il giovane bramava di tornare.
Frenò di colpo e riconobbe nel frattempo in quel viso sbigottito i tratti ormai familiari e imparati a memoria di Andrew.

Nel rendersi conto di cosa era stato lì lì per succedere, l'inquietudine che lo tormentava aumentò, ma sopraggiunse assieme ad essa anche qualcos'altro: paura, tensione e un'asfissiante batticuore di puro orrore.

Accidenti, c'era andato davvero vicino. Avrebbe potuto ucciderlo! A una simile velocità non riusciva a pensare a nessun altro possibile e terrificante risultato. Era stato a un passo dall'investire una persona e per qualche ragione il fatto che si trattasse proprio di Andrew rendeva tale realtà ancora più grave.

Si riprese dallo shock e prima che l'altro potesse finire di attraversare e proseguire per i fatti propri, spalancò la portiera e scese dall'auto di corsa. Raggiunse in fretta Andrew e senza nemmeno rendersi conto di cosa stesse facendo, lo fece voltare con un gesto repentino e lo tenne saldamente per le spalle. «Ehi, tutto bene?! Scusa, ero sovrappensiero e non mi sono accorto che tu... Cristo! Scusa, scusa! Porca puttana, m-mi dispiace, giuro!» Non sapeva cosa stava farfugliando, una parte sconosciuta e inconscia del suo essere era tuttavia sicura di non aver mai provato prima di quel momento un'angoscia come quella che continuava imperterrita a farlo tremare da capo a piedi e a farlo sragionare. 

Andrew, già di per sé abbastanza spiazzato e intontito per via dell'incidente scampato per un pelo, rimase a fissare a occhi sgranati il coetaneo biascicare scuse, controllare che non si fosse rotto nulla e altre cose che si era soliti fare in situazioni come quella.
Il punto era che la reazione di Alex risultava piuttosto esagerata. Insomma, da uno come lui non se lo sarebbe mai aspettato e comunque non era successo nulla, stavano entrambi bene, quelle erano cose che sarebbero potute capitare a chiunque.

Eppure, a giudicare dal suo comportamento, Alex la pensava di gran lunga diversamente e Andrew non reagì per puro sconcerto ai suoi gesti prudenti e delicati mirati a controllare che non vi fosse alcun trauma. Ciò andò avanti per almeno cinque minuti buoni, finché Andy non si decise a riprendersi, a bloccare i polsi del quarterback e a guardarlo in faccia. «Alex, sto bene. Calmati» lo apostrofò con voce ferma, tenendo per sé lo stupore e la confusione. Persino sua madre a volte restava di sasso nel vedere come fosse capace di controllare le proprie emozioni e stati d'animo con qualcosa che rasentava sì e no la maestria.
Non v'era però da stupirsi che sapesse avere un simile autocontrollo. Di cose ne aveva passate, più o meno, e aveva imparato a distaccarsi da fatti come quello appena successo.

Alex guardò lui, poi intorno a sé in pieno stato confusionale, infine tornò a guardare Collins, il quale pazientemente stava aspettando che la burrasca passasse. Sbatté le palpebre velocemente, almeno tre volte, poi realizzò tutto e le labbra, fino a quel momento impegnate a tenere a bada il respiro affannoso, si piegarono in un debole e sincero sorriso sollevato; gli occhi argentei del ragazzo erano lucidi mentre scrutavano, sempre più accesi di gioia e sollievo, colui che stavano osservando. «Stai bene... s-stai bene, non ti sei fatto niente... stai ben...», non riuscì a terminare la frase e collassò a terra svenuto, lasciando più perplesso e confuso che mai Andrew, il quale riuscì a sostenerlo, evitandogli il violento e improvviso impatto con l'asfalto.

«Tu guarda che mi tocca fare» sussurrò Collins, sistemando meglio fra le braccia il coetaneo mentre il peso di quest'ultimo gli gravava addosso come quello di un cadavere. Fece una smorfia affaticata. Cavolo se Alex pesava! In forma com'era dava quasi l'impressione di essere allo stesso tempo leggero, ma non era affatto così.
Un po' trascinandolo, un po' trasportandolo come un sacco pieno di pesante carbone, Andy riuscì a portarlo fino all'auto e a farlo salire dalla parte del passeggero.

Sbuffò per la fatica appena compiuta e si concesse un minuto per riprender fiato.

Lui e Alex non erano poi tanto diversi in fatto d'altezza, ma Andrew non era di certo un campione olimpico, aveva l'ossatura sottile e un fisico asciutto, l'esatto contrario del giovane che giaceva sul sedile della macchina privo di sensi e chissà dove con la testa. Doveva aver avuto un bello spavento per arrivare a rovinare a terra come una pera cotta, ciò era sicuro quanto bizzarramente ironico e paradossale. In maniera del tutto imprevista e inspiegabile, tale pensiero fece sollevare gli angoli della bocca piena e piccola come quella di un cherubino, ma sempre come tale ben disegnata e in un certo senso graziosa, di Andrew.

Il ragazzo scosse il capo, continuando a guardare quello che alla fine non era altro che un ragazzo ancora in piena età adolescenziale, un ragazzino non ancora del tutto fattosi giovane uomo. Andrew si odiò e si diede dello stupido quando si rese conto di aver appena pensato che Woomingan fosse carino. Anzi, più che carino.

Ma che vado a pensare? Sono messo proprio male, si disse, infastidito dalla propria mancanza di obiettività. Sono qui solo per prendere il diploma in santa pace, niente di più. Non permetterò a nessun altro di incasinarmi la vita.

Non che avesse intenzione di trascorrere quel che gli restava da vivere in solitudine e, terminati gli studi dopo il liceo, di diventare uno di quelli che pensavano solamente alla carriera e si dimenticavano di vivere, ma era chiaro che in una città come Hanging Creek non ci fosse posto per le persone come lui. Tanti degli abitanti erano conservatori, e ciò bastava e avanzava a far capire come la pensassero su certi argomenti.
Non che nel mondo al di fuori di Hanging Creek ci fosse chissà quanta accettazione, ma più le città erano piccole e più sembravano un terreno fertile per i parrucconi e tutti coloro che non volevano far pace con la realtà, ovvero che i crimini per la sodomia, come era stata definita in tempi meno recenti l'omosessualità, fosse una trasgressione punibile con il carcere o persino con la tortura e la morte. 

Sul blog che si era creato e dov'era solito scrivere spesso le proprie riflessioni o persino degli articoli su varie questioni di natura politica, sociale e ambientale, uno dei suoi lettori con il quale aveva stretto amicizia, per quanto in modo virtuale, aveva infine deciso di commentare uno dei suoi ultimi post che denunciavano il bullismo sempre più crescente nelle scuole e anche all'infuori delle istituzioni scolastiche. Aveva scritto di abitare nello stato del Nebraska e che la sua vita corrispondeva ormai da anni a un vero inferno sulla terra popolato da persone prepotenti e sì, due genitori che fingevano di non vedere  e ai quali importava solo che lui continuasse a essere il figlio perfetto, quello che eccelleva in tutte le materie e non si ribellava mai. Il ragazzo aveva aggiunto di avere come unica consolazione un'amica d'infanzia che considerava una sorella; lei era solita proteggerlo dai bulli, quando e se poteva, ma lui si sentiva un peso e lo stesso aveva paura di confidarsi con lei circa il proprio reale orientamento sessuale. Andrew, rattristato da tale racconto, si era però lasciato sfuggire un sorriso commosso quando aveva letto, alla fine del post in risposta al proprio, che il ragazzo si era sentito meglio nel leggere il suo blog denso di critica al Sistema e agli abusi in generale a danno delle persone più fragili all'interno della società; gli aveva restituito un po' di speranza e fiducia nel domani, nelle persone, e mostrato che c'era anche chi non aveva paura di parlare chiaramente e dire come stavano le cose. Il giovane, quasi diciassettenne, si era firmato come ‟Jay P." e aveva aggiunto che, fosse stato per lui, se Andrew, un giorno, avesse scelto di intraprendere la carriera politica, avrebbe felicemente votato a suo favore.

Non negava di aver pensato, prima del disastro che si era verificato ad Atlanta, al voler concorrere come presidente del corpo studentesco, ma poi era andato tutto in malora e non era mai riuscito ad andare fino in fondo, anche se, sorprendentemente, prima delle elezioni si era guadagnato l'appoggio di metà della scuola. Dopo l'episodio di violenza nei suoi confronti, però, si era ripromesso di mantenere un basso profilo e di farsi gli affari propri, non volendo più incappare in simili grane.

Sospirò tornò a concentrarsi su Alex, chiedendosi perché i loro incontri dovessero sempre avvenire in situazioni sul filo del rasoio. Al momento era del tutto dimentico della loro chiacchierata risalente al giorno prima e continuò a non pensarci per tutto il tempo che guidò fino a raggiungere il parcheggio del parco, lo stesso presso il quale sua sorella era piombata gridando, il giorno di quei due terribili omicidi.

Spense il motore e rivolse lo sguardo in direzione dell'altro ragazzo. Si stava riprendendo, fortunatamente. Non gli sarebbe di certo piaciuto dover restare lì a badare ad Alex come una balia, insomma... non si conoscevano abbastanza da permettersi tanta premura l'uno nei confronti dell'altro.

Rimase in silenzio mentre gli occhi di Alexander si aprivano e mettevano a fuoco, fermandosi e restando infine su di lui. Per alcuni istanti Woomingan non riuscì a ricordare niente, poi la breve confusione passò e gli tornarono alla mente gli ultimi avvenimenti. Si rimise su in fretta. «Andrew! Stai davvero bene, allora!» gracchiò sbattendo le palpebre, gli occhi che parevano più grandi per com'erano sgranati e fissi sull'oggetto della loro totale attenzione.

Andy strinse le spalle, come a sottolineare l'ovvietà di quell'affermazione. «E due!» ribatté con un sorriso storto. «Certo che sto bene. Neanche mi hai sfiorato, tranquillo. È tutto okay, sul serio.»

Alex annuì più volte e deglutì, poi si guardò brevemente in giro massaggiandosi la nuca con aria spaesato. «Ma dove siamo?»

«Al parco. Non potevo lasciarti lì come un salame e dovevi stare in un posto tranquillo. Qui non bazzica nessuno a quest'ora della mattina. Non posso definirti mio amico, ma non sono nemmeno così stronzo da mollarti per strada svenuto» spiegò Collins con voce tranquilla, ma pur sempre seria. C'era tuttavia anche una piccola nota divertita, visto che la situazione rasentava l'assurdo e il comico, almeno dal suo punto di vista. Aveva uno strano senso dell'umorismo, ma non era roba da tutti i giorni vedere il tanto acclamato quarterback della scuola crollare come una pera cotta in mezzo alla strada senza un valido motivo. «Fossi in te mi prenderei qualcosa per far calmare i nervi, Woomingan.»

Alex fece un cenno di assenso e basta, poi: «Grazie, sai... per avermi soccorso. Sei stato gentile».

«Di niente, ma bada a non farci l'abitudine. Non vorrei dover ricorrere addirittura alla respirazione bocca a bocca, un giorno di questi» rispose con un sorriso sghembo, ma anche sincero e candido, Andrew. «Ammetto di aver partecipato a un corso di scuola dove ci insegnavano a prestare un basilare soccorso a qualcuno, ma non è una ragione valida per far diventare un'abitudine roba come quella di poco fa!»
Quello era il primo vero sorriso che gli rivolgeva e ad Alex tale particolare non sfuggì affatto, anche se al momento era del tutto dimentico della scommessa. Ogni cosa sembrava così... spontanea e naturale, perfettamente logica.

Il giovane sportivo guardò altrove, scostandosi i capelli dalla fronte e grattandosi il capo, come sentendosi a disagio. «Mi dispiace averti fatto perdere le lezioni. Non ci faranno entrare e se anche lo facessero... credo passeremmo un bel guaio.» Si stupì del proprio sincero rammarico, ma non lo diede a vedere. 

Andrew fece spallucce. «Ormai è andata, pazienza, e poi se oggi abbiamo saltato la scuola non è stato perché siamo andati a spassarcela e a fumare erba su una panchina. Diremo che hai avuto un lieve malore, che io ero nei paraggi e da bravo cittadino ti ho dato semplicemente una mano. Tranquillo, non dirò a nessuno che sei collassato come un sacco di patate per un piccolo spavento» replicò, il tono un po' complice.

Entrambi si stavano comportando come se gli avvenimenti del giorno prima non fossero mai accaduti.

Sia Andrew che Alex, seppur per ragioni completamente differenti, cominciarono a sentirsi un po' strani e quando il primo se ne rese conto, si affrettò ad aggiungere: «Comunque... a questo punto ti riaccompagno a casa e poi farò lo stesso. Andrò a riprendere mia sorella alla fine delle lezioni e nell'attesa cercherò di studiare e recuperare qualche argomento dove non sono ancora ferrato». Detto ciò si accinse a riaccendere il motore, ma Alex gli bloccò il polso proprio un secondo prima che esso potesse ruotare ed innescare l'accensione. Nei suoi occhi grigi vi era un che di implorante. «Non mi va di tornare a casa. Non posso, i-io... ti prego, dovunque tranne che a casa mia» sussurrò con la voce che tremava, poi scostò la mano, scosse il capo e nascose il viso fra le dita. Esalò un sospiro spezzato e abbandonò il capo contro la testiera del sedile, fissando il soffitto del veicolo con sguardo vacuo e perso.

Pareva davvero non poter fare a meno, quel giorno, di comportarsi come se il mondo gli fosse improvvisamente crollato addosso. 

Forse proprio di questo si trattava, perché la notizia del matrimonio fra suo padre e Christian lo aveva sul serio preso in pieno petto e alla sprovvista, senza contare che si stava mostrando fragile e debole in presenza di colui che era a tutti gli effetti la sua vittima, per così dire.

Che... che casino, pensò, passandosi una mano sulla faccia.

Andrew si morse il labbro inferiore, senza sapere cosa precisamente dire o fare. Era capace di entrare in empatia col prossimo, certo, ma tutto dipendeva da chi aveva di fronte e con Alex non sapeva mai come comportarsi. Cercò qualcosa da dire, aprì la bocca più volte solo per poi richiuderla, infine: «Okay, a quanto vedo sembri davvero sull'orlo di una crisi di nervi o che so io, e per quanto possa conoscerti appena, non sono così insensibile da piantarti in asso in un momento che pare davvero critico, perciò... se vuoi, puoi stare a casa mia, almeno finché non tornano mia madre e mia sorella. Se non vuoi stare a casa tua, la mia è libera e possiamo stare lì per un po'. Sempre se ti va, possiamo anche parlare di cosa ti ha ridotto in questo stato pietoso. Uhm... senza offesa». 

Quella proposta fece mancare un battito ad Alex, al quale ci vollero un bel po' di secondi prima di elaborare tutto. Senza volerlo, senza nemmeno farlo a bella posta, era appena riuscito a fare un po' di breccia nel muro che l'altro aveva eretto nei suoi confronti, eppure in parte dubitava di sentirsi così  solo ed esclusivamente per via di tale progresso. 

Perché all'improvviso il suo cuore pareva aver preso il volo, come se si fosse appena alleggerito?

Fatto fu che non riuscì a fingere un po' di educata reticenza, provava soltanto una grande gratitudine nei confronti del coetaneo e annuendo più volte rispose: «Mi va benissimo. Spero di non essere di disturbo».

«Nessun disturbo» replicò Andrew, accennando di nuovo un sorriso. Forse lo trattava in quel modo solamente perché pensava stesse attraversando un momentaccio, chi poteva saperlo. Quegli occhi verde giada non lasciavano trasparire nulla, erano impenetrabili come fortezze. Qualunque fosse stato il motivo del cambiamento di Andy, si ritrovarono poco dopo a percorrere la strada verso la dimora del ragazzo.

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