𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐈𝐗. 𝐎𝐜𝐜𝐡𝐢 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐭𝐞𝐧𝐞𝐛𝐫𝐞
Cosa consiglio di ascoltare: "SPOOKY AUTUMN PARK ASMR AMBIENCE" dal canale Spooky ASMR.
In alternativa o al tempo stesso "In My Veins" di Andrew Belle.
https://youtu.be/V9QFrCXKr94
https://youtu.be/q0KZuZF01FA
«Ehi, che cos'hai? È da quando siamo entrati in sala, anzi da prima, che tieni il broncio!»
Brian si riscosse e guardò la sua ragazza, Hanna, che lo fissava con aria leggermente scocciata e indispettita. Il bel viso dai tratti asiatici della giovane era imbevuto delle luci cangianti che provenivano dall'enorme schermo sul quale stava venendo proiettata una di quelle tipiche e banali pellicole incentrate su commedie romantiche e smielate che Herden, in tutta franchezza, a stento tollerava. Per quanto avesse ripetuto ad Hanna di non esser affatto in vena di andare assieme al cinema, non quella sera, lei aveva insistito tanto che il ragazzo, alla fine, si era visto costretto ad accettare di accompagnarla per pura e semplice esasperazione. Tutto pur di evitare di veder poi la fidanzata andarsene in giro con il broncio per una settimana intera.
Se non altro Hanna gli aveva poi promesso che avrebbero trascorso assieme la notte a casa dei genitori di lei, visto che entrambi i signori Wang erano via per lavoro, ma... cominciava sul serio a domandarsi se ne sarebbe valsa la pena o se sarebbe quantomeno arrivato vivo a fine serata, visto che si stava annoiando a morte.
Scosse il capo e si strinse nelle spalle, cercando di apparire sciolto come al solito. «Non ho affatto il broncio, è solo che...»
La giovane Wang sbuffò e alzò gli occhi al cielo. «Oh, ma andiamo! Non dirmi che stai ancora pensando a quello scemo di Alex! L'ho sempre detto a Natasha che è un tipo strano e ha solo fatto bene a piantarlo in asso!»
«In realtà è stato Alex a lasciare lei, da quel che ho capito.»
«Sia come sia, non è a lui che dovresti pensare, specialmente in questo momento!» esclamò sottovoce Hanna, stizzita e con un insopportabile tono di voce capriccioso mentre spalancava gli occhi scuri per enfatizzare il proprio sconcerto. Di fronte a quelle parole i nervi di Brian subirono un tracollo e, battendo un paio di volte le palpebre, il giovane Herden replicò a denti stretti: «È il mio migliore amico, Hanna, okay? Scusa se inizio a preoccuparmi sul serio per lui, visto che è da stamattina che non si fa vivo e non risponde neppure al telefono!»
La ragazza ridusse a fessura gli occhi scuri. «E a me e al nostro appuntamento non pensi? E poi che ti importa di lui? Hai detto tu stesso che ti ha trattato a pesci in faccia e alla prima occasione ecco che torni a scodinzolargli appresso!»
«Credo ci sia una gran bella differenza, Hanna, non pensi? E se Alex fosse nei guai? A questo non pensi?»
«Come se potesse fregarne un accidente a chicchessia» brontolò annoiata la ragazza. «A me non è mancato per niente, stamattina, e dopo la porcata che ha fatto a Tasha mi importa ancor meno di che fine abbia fatto.»
Brian non riuscì a credere a quanto aveva appena udito. Non tanto per le parole in sé per sé di Hanna, ma per il semplice fatto che per i boschi e le strade di Hanging Creek vi fosse in circolazione un assassino e ormai non era mai un buon segno quando una persona, di colpo, svaniva nel nulla senza dar segni di vita. La prospettiva di scoprire nei giorni seguenti che Alex fosse stato ucciso o rapito da quel mostro, lo ammetteva, era nauseante, terribile da prender anche soltanto in considerazione.
«Le persone ultimamente tendono a morire di morta violenta da queste parti, Hanna» disse con durezza. «Non mi sembra il caso di fare certe battute, sai?»
La giovane Wang fece per replicare a tono, ma il loro bisticcio venne interrotto dal ritornello di Whistle del rapper Flo Rida come se un buon angelo, lassù, finalmente avesse deciso di metterci il proprio zampino e salvare Herden da un appuntamento che stava via via peggiorando con l'andare dei minuti. Benché Hanna lo stesse fissando inviperita e altri si fossero già voltati ripetutamente a guardare entrambi male, udendo la loro lite, Brian diede retta all'istinto e non respinse la chiamata. Ormai, pensò in risposta alle molteplici occhiatacce che gli venivano rivolte, l'atmosfera romantica da un pezzo era stata mandata alle ortiche.
Si affrettò a scrutare il display del cellulare e ignorò del tutto la sua ragazza intenta a coprirlo di insulti e proteste proprio perché aveva dimenticato, nolente o appositamente, di spegnere l'apparecchio.
«Quel che è peggio, Brian Herden, è che neppure mi stai a sentire! Si può sapere chi è che ti telefona a quest'ora? Rispondi!»
Il ragazzo lesse il nome di Alex sullo schermo e percepì il cuore fare un balzo, poi battere a velocità raddoppiata grazie al mix di ansia e sollievo che si era appena creato nella sua mente. Se Alex lo stava chiamando, allora era ancora vivo e di sicuro incolume, e ciò non poteva che confortarlo e farlo ben sperare.
«Sì, infatti intendo rispondere» ribatté ancor più distratto, senza far caso neanche per sbaglio all'aria sconvolta di Hanna che, in un baleno, comprese d'esser stata fraintesa.
«Rispondi a me, cretino, non al telefono!» lo apostrofò, ma fu uno sforzo vano: Heden scattò in piedi, inciampando più volte e pestando il piede a un bel po' di gente nella fretta di raggiungere l'uscita della sala prima di perdere la telefonata dell'amico.
Con Alex le cose non erano andate affatto bene ultimamente, poco ma sicuro, ma tutto sembrava esser appena svanito con l'arrivo di quella chiamata tanto improvvisa quanto a lungo attesa. Magari, si disse Brian, lo aveva chiamato per scusarsi o almeno per far sapere se non altro a lui di star bene. Tale pensiero gli fece sorgere un sorriso spontaneo mentre accettava ovviamente la chiamata. Sperava, si disse, che Alexander avesse fatto sapere anche al padre di non esser sparito nel nulla e che prima della fine della serata si sarebbe rifatto vivo a casa. Brian aveva parlato col signor Woomingan, ovviamente, e la sua preoccupazione nel corso della giornata era aumentata a livelli biblici nell'apprendere che neppure il padre di Alex avesse avuto di recente sue notizie.
«Alex! Cazzo, amico, mi hai fatto prendere un colpo! Cosa...», la sua voce si arrestò e il sorriso sulle sue labbra, veloce come era arrivato, svanì di colpo nell'udire il respiro irregolare del coetaneo attraverso la cornetta. Non era il rantolo di una persona morente o in stato di sofferenza fisica, piuttosto suggeriva prostrazione mentale e tante lacrime. Da un lato ciò lo rassicurò, in qualche maniera, ma dall'altro lo indusse a credere che solo un valido motivo avrebbe potuto ridurre Alexander Woomingan così. Più aveva riflettuto nel corso della giornata e più si era chiesto se Andrew fosse stato sincero con lui o se sin da quando lo aveva approcciato nei corridoi gli avesse nascosto qualche importante dettaglio. Il suo improvviso e affannato interesse riguardo all'assenza di Alex lo aveva fatto insospettire non poco e aveva la sensazione che di lì a poco tutti i nodi sarebbero venuti al pettine.
«B-Brian...» Alex, dall'altro capo, pronunciò il suo nome con un tono di voce sfinito e tremante. Era la prima volta che capitava a Herden di udirlo in quello stato. Neppure quando un paio di volte il quarterback si era beccato la sbornia triste dopo una notte di baldoria a qualche festa a casa di un compagno di scuola la sua voce era suonata a quella maniera. Woomingan, infatti, era uno di quelli che quasi sempre, nell'ubriacarsi, passava dall'ilarità contagiosa e frizzante alla tristezza più profonda e abissale.
A volte era capitato che se ne uscisse dicendo cose strane o senza filo logico circa la propria famiglia, lui che da sobrio mai aveva fatto parola sul conto del proprio passato, specialmente della madre, Wanda. Brian sapeva solo che il suo amico non avesse affatto un gran bel rapporto col padre e, d'altro canto, il dottor Woomingan non era di per sé una figura chissà quanto presente, anche se quella sera si era mostrato molto preoccupato nel non veder tornare a casa il figlio.
In tutta franchezza il giovane Herden non aveva mai invidiato Alex e la vita di questi in generale. A volte capitava che lo sorprendesse a starsene per conto proprio con lo sguardo lontano e velato di tristezza, ma poi, però, non appena lo raggiungeva ecco che tornava a esser sempre il solito stronzo superficiale e col quale era impossibile parlare di argomenti profondi.
Ai suoi occhi, sinceramente, appariva come un ragazzo solo e lasciato per la maggior parte del tempo a se stesso, e non unicamente uno strafottente bulletto con la puzza sotto il naso.
Quando le persone erano sole, aveva una volta riflettuto Brian, tendevano a diventare qualcosa che altrimenti mai sarebbero state. La solitudine era un veleno proprio come tante altre cose, e faceva soffrire coloro che erano avvolti fra le sue invisibili e soffocanti spire.
Gli dispiaceva che Alexander non si confidasse mai con lui, almeno non davvero. Si comportava da cretino e da piccolo delinquente in fase di costruzione, eppure alla fine non era affatto tale. A suo parere era solamente convinto che in tal maniera sarebbe potuto piacere di più agli altri o quantomeno esser rispettato dal prossimo, ma la verità era ben altra. Gran parte della scuola, come la stessa Hanna poco prima aveva confermato, non lo sopportava, molto di più rispetto a lui e il resto del loro gruppo di amici. Sin dal principio si era dimostrato il più sfacciato e prepotente, così tanto che ci era voluto davvero poco perché Francis, Cole e Duncan gli andassero dietro come i topi che seguivano il Pifferaio Magico. Brian stesso lo aveva fatto, conquistato dalla sua spigliatezza da cittadino urbano, ma, a differenza degli altri, era sempre riuscito a tenergli comunque testa e a volte a farlo ragionare e tornare sui binari.
Purtroppo con la questione di Collins non ci era riuscito e l'accanimento di Alex si era rivelato fin troppo radicato, quasi si fosse trattato di una questione personale. Ammetteva di aver gettato per un po' la spugna, a quel punto, però se ne stava pentendo. Si stava pentendo di un bel po' di cose, in tutta franchezza, e ormai era certo che fra quei due fosse accaduto eccome qualcosa. I conti tornavano e i suoi sospetti erano ben fondati, lo sapeva. Anzi, se lo sentiva nelle ossa e l'atteggiamento bizzarro di Collins, di uno che fino ad allora lo aveva sempre ignorato e tenuto a distanza, solo per poi condividere con lui il banco di chimica e addirittura il tavolo durante i minuti della pausa per mangiare, quella mattina, la diceva lunga. Pareva che entrambe le parti avessero ricevuto una sorta di scossone, ma Alex, a quanto pareva, ci aveva rimesso di più e ne era uscito malconcio.
Il tontolone aveva fatto il passo più lungo della gamba, poco ma sicuro, e ora eccolo lì a piangere come un bambino che, sbucciatosi il ginocchio dopo aver scorrazzato ovunque come un indemoniato, tornava di corsa a frignare dal fratello più grande. In fin dei conti le dinamiche fra di loro erano state quelle sin dal principio e Brian ammetteva con se stesso che non gli erano mai dispiaciute un granché. Era bello pensare ad Alex, sempre e comunque, malgrado tutto, come al fratello che mai aveva potuto avere, lui che tanto ne avrebbe desiderato uno.
Brian deglutì, la preoccupazione che con potenza gli si stava sedimentando in gola. Si appoggiò al muro dietro di sé con una spalla. «Lex, che è successo? Stai male o..?»
Lo udì singhiozzare, almeno così parve. Non era facile capire con precisione cosa stesse accadendo dall'altro capo del telefono, ma poi: «Brian, ho... ho combinato un casino... u-un casino, un fottuto casino!», ci fu una pausa. «Sono solo uno stronzo, avevi ragione tu! Avevi ragione su tutto... i-io...»
Brian lo sentì, forte e chiaro, scoppiare a piangere apertamente e ciò gli causò un tuffo al cuore; il respiro gli si mozzò in gola mentre avvertiva una forte apprensione avanzare come una marea. Poco ma sicuro, Alex stava senza dubbio parlando di Collins. Era con lui che aveva combinato qualche pasticcio.
Buon Dio, si disse Herden, forse Woomingan aveva raccontato la verità a Andrew, anche se quella mattina Collins non aveva dato l'impressione di esser a conoscenza della scommessa. Gli era solo parso colpevolmente preoccupato per l'assenza di Alexander.
Si passò una mano tra i capelli scuri e se li scompigliò come era sempre solito fare quando era a disagio o non sapeva che pesci pigliare. Una cosa era certa: Alex era in condizioni pietose e se avessero continuato per quella strada lui non sarebbe di certo riuscito a capire il problema. Hanna non mi guarderà più in faccia, poco ma sicuro, pensò mentre si affrettava per i corridoi del cinema, deciso a raggiungere Woomingan, ovunque egli si trovasse. «Senti, vengo da te, così parliamo con calma e a quattr'occhi. Dove sei? A casa?» chiese, tentando di mantenere la calma. Per istanti che parvero secoli non arrivò alcuna risposta, poi: «S-Sono... a-al parco, lo stesso dove eravamo quel giorno che ho accompagnato alla centrale Andrew», da come pronunciò quel nome si percepì una sorta di sofferenza malcelata.
Mi sa che l'ha davvero combinata grossa, a questo punto, rifletté Brian, trattenendo un sospiro e uscendo dall'edificio. Venne subito accolto dall'aria fredda che quella sera dava a tutti l'impressione di trovarsi in pieno dicembre.
Infilò una mano nella tasca del giubbotto ed estrasse le chiavi dell'auto. «Capito. Dammi dieci minuti e sono lì. Non andartene, mi senti?» disse, parlando con calma.
«Vorrei solo andarmene all'inferno, credimi.»
«Piantala di fare il tragico del cazzo, Alex. Qualunque cosa sia successa, la risolveremo insieme. Non ti lascio da solo, okay? Alla fine è anche colpa mia, sono stato io a convincerti a fare quello stupido scherzo e...»
«N-Non capisci!»
«È proprio perché voglio capire che sto venendo da te, scemo» fece allora Brian, raddolcendo il tono di voce per puro istinto e per abitudine. Niente da fare, non riusciva mai a restare arrabbiato con quel cretino per più di qualche ora o giorno. Alla fine non smetteva mai di volergli bene, era più forte di lui e, a voler esser onesti, gli andava bene così.
«Fai presto, ti prego. Ho bisogno di parlare con qualcuno e m-mi resti solo tu. M-Mi dispiace averti trattato di merda, avevi ragione su tutto. Sono stato un idiota.»
«Dammi ragione un'altra volta e ti spenno non appena arrivo. Ritorna in te e tira fuori le palle. Si rimette a posto tutto tranne la morte e almeno che tu non abbia ammazzato Collins o roba simile, cosa che dubito, visto che era a scuola stamattina, non penso che la situazione sia così irreparabile.»
«Non potrei mai ucciderlo. Non dire cazzate!»
Quell'esclamazione fece trasalire Herden e lo ridusse al silenzio, talmente era stata repentina e disperata da lasciarlo spiazzato. Batté le palpebre mentre usciva dal parcheggio e si avviava per la strada che conduceva al parco, reprimendo l'istinto di andare al massimo e di raggiungere di volata il posto designato. Sperava soltanto che il coetaneo restasse lì, giusto il tempo necessario per arrivare e parlare con tutta calma della questione. Si inumidì le labbra e fece del proprio meglio per guidare con prudenza. Non sarebbe stato di grande aiuto se lo avessero fermato perché stava superando il limite di velocità consentito in una zona urbana, d'altronde. «Alex, che cosa è successo di preciso?» chiese infine, rauco. «Insomma... sparisci nel nulla e ora ecco che mi chiami e ti trovo in questo stato penoso. Sul serio, amico, di questo passo mi ammazzerai a suon di sorprese!»
«Non riesco a dirti tutto così. È... complicato.»
Stavolta Brian sospirò. «Okay, okay. Capisco. Be', allora aspettami lì. Sto arrivando. Dieci minuti e sono da te.»
«Okay.»
Brian fece per aggiungere qualcosa, ma alla fine ci ripensò e scelse di metter giù, consapevole che la cosa più importante, al momento, fosse di raggiungere al parco Alex e riaccompagnarlo a casa. Era una brutta serata da ogni punto di vista e il povero Daniel, benché non fosse degno del premio come miglior padre di sempre, meritava di veder coi propri occhi che il figlio stava bene ed era sano e salvo. Tutti i genitori, nessuno escluso, di quei tempi erano all'erta e il dottor Woomingan non faceva l'eccezione.
Alex mise via il cellulare nella tasca della felpa, ignorando i brividi che lo scuotevano da capo a piedi, così come il gelo che gli attanagliava le membra intorpidite e scosse dai singhiozzi. Dopo la discussione avuta con Andrew gli era passata del tutto la voglia di recarsi a scuola e aveva continuato a guidare senza meta, ripercorrendo tutta quella parte della città senza fermarsi, senza una meta precisa.
A un certo punto aveva rischiato di metter sotto pure un paio di passanti e un gatto.
Più o meno aveva trascorso l'intera mattina in auto o si era fermato ed era sceso per sgranchirsi le gambe e pensare a un modo, uno qualsiasi, per uscire dal loop di tristezza e senso di vuoto che lo attanagliava da quando Andrew lo aveva praticamente respinto, ma più ci aveva riflettuto e meno era riuscito a scorgere una luce in fondo a quel dannato tunnel.
Aveva spento sin da subito il cellulare, per nulla incline a parlare con chicchessia, e gli era mancato il coraggio di tornare a casa, insolitamente ansioso alla prospettiva di incappare in suo padre e dover magari spiegargli la ragione per cui aveva marinato per il secondo giorno consecutivo la scuola.
Un'ora addietro, infine, era tornato al parco, lo stesso dove la sua vita aveva preso quella piega pazzesca e dolorosa. Il medesimo luogo vicino al quale, tra l'altro, era avvenuto l'assassinio di quelle due ragazzine. Qualcun altro probabilmente si sarebbe tenuto a debita distanza da lì, ma al momento non sapeva dove altro andare e ormai era costretto ad attendere lì Brian, volente o nolente.
Forse, invece, era un gran masochista e basta; forse quello era un modo come un altro per rigirare il coltello nella piaga. Se ne stava lì, seduto sulla stessa panchina dove lui e Brian quel giorno avevano parlato, anzi quasi litigato. L'ennesimo brutto ricordo cui far fronte e che lo faceva sentire indegno della pazienza enorme mostrata dall'amico dopo che lui lo aveva preso a pesci in faccia. Al posto di Herden si sarebbe mandato a quel paese e al diavolo tutto. Se l'era andata a cercare ed ecco le conseguenze.
Si afflosciò a dir poco sopra la panchina, le mani ora celate nella tasca centrale della felpa mentre i suoi capelli erano sfiorati da una lieve e gelida brezza che pareva spirare e provenire proprio dal bosco lì di fianco. Se solo non si fosse trovato in quello stato penoso probabilmente avrebbe trovato l'atmosfera in generale vagamente inquietante e sinistra, complice la fioca luce dei lampioni e il sordo sibilo prodotto dalle foglie sui sentieri lastricati del parco, ma al momento Alex aveva ben altri pensieri.
Sentiva di star impazzendo sul serio, ecco la verità. Ormai aveva chiaro in mente che il rifiuto di Andrew e l'esser stato respinto da lui avessero fatto un gran male.
Era stato doloroso farsi quell'esame di coscienza, esporsi a quella maniera e poi sbattere il muso contro il muro impenetrabile chiamato Andrew Collins.
Era stato a dir poco una sofferenza accorgersi che la stessa persona che era stata in grado di cambiarlo e di aprirgli gli occhi fosse la stessa ad averlo ridotto in condizioni così misere, in balia di un'enorme confusione che pareva regnare oramai sovrana nella sua mente.
Faceva male ogni cosa anche in quel preciso istante.
Non sapeva dove sbattere la testa e il freddo che avvertiva sia dentro che fuori di sé non aiutava per niente. Si asciugò le guance arrossate, tante erano state le volte che le aveva strofinate in quelle ultime ore, e si rese conto di avere le mani intirizzite e gelate al punto da aver perso un po' di sensibilità all'estremità delle dita.
Quand'era sul punto di infilare nuovamente ambo le mani nel tascone della felpa, però, udì un leggero fruscio provenire da un piccolo gruppo di bassi cespugli, lì verso l'aiuola che circondava un albero dai rami ormai quasi del tutto spogli. All'istante il ragazzo concentrò la propria attenzione in suddetta direzione, ma poi il fruscio si spostò fino a quando non fu chiaro che proveniva, ora, dall'ingresso del fitto e oscuro bosco. Woomingan si accigliò e cercò di aguzzare la vista, di ricambiare il silenzioso e accusatorio sguardo della foresta che al momento dava l'idea di essere un mostro dalle proporzioni enormi, specie perché l'imbocco principale, al momento, somigliava proprio alle fauci di una creatura proveniente dal buio.
Era solo un bosco, si ripeté Alexander, ma non fu sufficiente per scrollarsi di dosso l'agghiacciante impressione di non esser affatto solo in quel parco: qualcosa o qualcuno lo stava osservando. Prima lo aveva fatto da dietro i cespugli, forse acquattato, ma alla fine si era spostato velocemente verso la foresta e lì si era appostato, sicuramente per poter tenerlo d'occhio da lontano, protetto dalle tenebre che regnavano incontrastate nella fitta e secolare boscaglia.
Lo studente si diede dello stupido, pensando fosse impossibile che qualcuno a quell'ora della sera, con tutto quel che stava accadendo ultimamente, potesse trovarsi lì o addirittura mettersi a fare qualche scherzo di pessimo gusto atto a spaventare chicchessia. Nessuno sano di mente si sarebbe recato al parco con quel buio pesto diluito solo un pochino dalla luce giallognola e spettrale dei lampioni. Nessuno tranne lui e chiunque lo stesse osservando.
Lui non era affatto sano di mente o, quantomeno, la sua mente non era per nulla tranquilla, non al momento.
Deglutì a fatica, strofinando le mani sulle braccia nel tentativo vano di riscaldarsi, ma in realtà la sua fu un'azione involontaria per farsi coraggio, per illudersi che fosse mera suggestione e nulla più.
Se fino ad allora si era accorto solo blandamente del freddo che faceva quella sera, in quel momento il gelo lo colpì con la forza di mille pungenti lame, trapassandolo e facendolo tremare con violenza.
Il suo respiro si fece via via più accelerato, disperdendosi e palesandosi nell'aria circostante in nuvolette di vapore. Il suo cuore batteva frenetico e il servizio al telegiornale di quella mattina gli risuonava in testa a mo' di un lontano e tetro mantra. Parole piene di sangue e mistero gli affollavano i pensieri. Era così, si disse, che ci si sentiva quando si era consapevoli che qualcosa fosse acquattato nell'ombra, pronto a balzare e a dar inizio a una spietata caccia?
Ormai lo sapeva, sapeva di non esser solo e sentiva che il suo silenzioso compagno nell'apparente solitudine del parco fosse probabilmente la stessa creatura — uomo, animale o mostro — che aveva fatto fuori quelle ragazzine e Woodwick. Non poteva esser altrimenti. Certe sensazioni, aveva letto una volta Alex, erano un'eredità residua di quando l'essere umano era ancora un essere primitivo e abituato a esser predato. Erano pur sempre animali tutti loro, nel profondo, e come tali percepivano nell'aria il pericolo.
I mostri non esistevano, lo aveva detto lui stesso a Andrew, ma cos'aveva risposto quest'ultimo alla sua affermazione? "Esistono eccome, ed è dai mostri umani che bisogna guardarsi ". Tali parole riecheggiarono nel suo cranio e si rese conto di essere realmente in serio pericolo.
Insomma, del resto... se si fosse trattato di una persona qualsiasi e amante delle passeggiate al chiar di luna, perché allora non si era ancora palesata? Perché restava lì, chissà dove, nel fitto della boscaglia a guardarlo? Ad osservarlo?
Lentamente si mise in piedi e, fattosi coraggio, mosse qualche passo in direzione del bosco.
Per quanto avesse una fifa blu, al momento, una voce interiore lo aveva appena indotto a ignorare qualsivoglia campanello di allarme e a sfidare l'ignoto.
Non c'era nulla di cui avere paura, diceva quella voce. Sarebbe andato tutto bene, lo rassicurava mentre era intento a percorrere come in trance i sentieri lastricati del parco e avvicinarsi sempre di più alla foresta di Hanging Creek, la stessa attorno cui circolavano le più disparate storie e dicerie. La più famosa di tutte aveva addirittura spinto i residenti della città a ribattezzare il centro abitato e suddetta leggenda narrava di come un uomo fosse stato assassinato dai residenti, secoli prima, venendo appeso al ramo di una robusta quercia e lì era stato lasciato a penzolare. Da allora, dicevano, il suo spirito vagava senza pace fra quegli alberi, ansioso di far fare la medesima sorte a chiunque fosse stato così stupido da bazzicare il bosco dopo la mezzanotte.
Benché Alex mai fosse stato un tipo superstizioso e si fosse fatto una bella risata udendo Brian narrargli quella leggenda che sapeva di sentito e risentito, nel rimanere da solo in quel parco quando ormai il buio era calato da un pezzo non aveva potuto far a meno di ricordare la storia dell'Impiccato di Hanging Creek e rabbrividire di fronte alla prospettiva che magari qualcosa di vero, in essa, vi fosse eccome.
Quella paura, tuttavia, era di colpo venuta meno, così come quella riservata al misterioso aggressore delle ragazzine e di Woodwick. Era come se non potesse farne a meno, come se qualcosa lo stesse attirando contro la sua stessa volontà e spronando a ignorare qualsivoglia storia di fantasmi o evento di cronaca nera.
"Vieni da me. Avvicinati" gli ripeté quella voce e lui, ubbidiente come un bambino, seguì a ruota il seducente e oscuro ordine. Ignorò la coscienza o, meglio ancora, l'istinto di sopravvivenza che gli urlava invece di tornare indietro e andarsene in fretta da quel dannato parco. Era impotente di fronte alle proprie azioni e si sentiva leggero come una piuma, quasi stesse camminando sulle nuvole. La sensazione di pericolo ormai era sorda e lontana.
Fu quando si ritrovò a pochissimi metri dall'entrata del bosco, proprio al centro del buio sentiero riparato dalla naturale tettoia di contorti rami di secolari alberi intrecciati fra loro come ossute, rinsecchite e ricurve dita, che poté vedere con chiarezza due occhi risplendere come sinistre e pulsanti lucciole azzurre incastonate nel naturale manto delle tenebre: erano occhi ferini, bestiali, chiunque ne fosse il proprietario era tutto fuorché umano, ma soprattutto... lo fissavano. Nel silenzio che lo avvolgeva come una pesante coperta di lana, spezzato solamente dal fruscio del vento e dall'eco di qualche auto che percorreva adagio la strada a metri e metri di distanza, Alex trattenne il fiato e rimase immobile, paralizzato letteralmente sul posto, incapace di muoversi, di arretrare o, meglio ancora, di scappare.
Quella voce estranea nella sua testa parlò di nuovo, ma adesso era impaziente, quasi un righio feroce di belva: "Ho detto: vieni da me, ragazzino!"
In quello stesso istante, quegli occhi rilucenti e sinistri si tinsero di un acceso e pericoloso scarlatto, rifulgendo come i fanali lontani di una macchina o di una bestia.
Alex si riscosse nell'udire dei rami spezzarsi sotto i passi veloci di quella figura che stava man mano azzerando la distanza fra di loro. Avanzava verso di lui e questo lo poté capire grazie a quegli occhi rossi che danzavano nel buio, su e giù, ipnotici e letali.
La luna a un certo punto illuminò debolmente i tratti dell'individuo e fu grazie a tale fidata alleata che il ragazzo riuscì finalmente a dare un parziale, confuso volto al proprio adescatore: camminava su due gambe, i tratti del viso non si vedevano quasi per niente, ma che il Cielo lo avesse aiutato se quello che gli stava correndo incontro non era un essere umano!
Scappa, ora o mai più, idiota!
Grazie al quel pensiero urlato dall'istinto lo stato di trance che lo avviluppava si interruppe con violenza e Alex non si concesse un secondo di più per studiare la fisionomia di quell'essere, dandosela a gambe senza troppi ripensamenti.
Corse a perdifiato.
Corse, corse e corse ancora. A un certo punto nelle sue orecchie riecheggiò una sorta di sibilo, un lamento agghiacciante, quello di una belva che era sicuro non fosse stata Madre Natura a concepire.
Accelerò ancora, i polmoni gli scoppiavano per lo sforzo improvviso, ma non vi badò. Tutto ciò che desiderava era soltanto metter più distanza possibile fra lui e quella... quella cosa.
Uscì dal parco e si gettò in strada, senza guardare a destra o a sinistra. Voleva solo scappare, senza ricordarsi di aver lasciato lì vicino la macchina.
La luce di un paio di abbaglianti fanali, una violenta frenata, pneumatici che graffiavano assordanti l'asfalto, lo fecero bloccare come un salame e guardare verso l'auto che gli stava di fronte a solo mezzo metro di distanza.
Rimase immobile, gli occhi ora spalancati come quelli di un cervo sorpreso in piena notte dai fari della vettura di un ignaro viaggiatore notturno.
Era proprio il caso di dire che il contrappasso, forse, esistesse davvero. Gli tornò in mente, infatti, quando era stato a un soffio dall'investire Andrew e tale ricordo gli fece contorcere lo stomaco.
Prima che potesse accorgersi di alcunché due mani lo afferrarono per le spalle e lo scossero.
«Alex! Alex! Che cazzo fai? Volevi farti ammazzare, per caso?»
Era Brian che, spaventato e sconcertato, lo fissava in impaziente attesa di una risposta.
Alex lo guardò e batté le palpebre, tornando in sé completamente: «Brian...» sussurrò, la voce ristagnante di puro sollievo.
«E chi altri dovrei essere, secondo te? Gatto Silvestro? Porca puttana, che spavento! Un secondo in più e ti avrei fatto fuori in pieno!»
«Brian, c-c'era qualcosa l-lì nel parco... proprio all'entrata del bosco» biascicò spaurito Alexander, indicando alle proprie spalle la foresta in lontananza. «O-Occhi rossi... voce... s-sono scappato... voleva prendermi...», continuò, parlando in maniera confusa e incomprensibile. Parole a sé stanti senza capo né coda, ma lui era sicuro di ciò che aveva visto poco fa. Non era pazzo, dannazione! Non era pazzo come credeva Brian! Lo stava scrutando come se lo fosse stato, ma lui non era pazzo! Sapeva perfettamente che cosa aveva visto.
Herden si ravviò i capelli castani, perplesso e angosciato. Gli pareva di aver a che fare con uno che aveva appena visto il diavolo in persona. «Ma che cazzo stai biascicando? Quali occhi rossi? Cosa...»
«Era lui, Brian! Era lui, era l'assassino che anche Samantha ha visto! È lui, te lo giuro! Quella bambina aveva ragione, non si tratta di animale, ma di una persona! N-Non è proprio una persona, voglio dire... aveva gli occhi strani, prima blu e poi rossi, ma... t-ti giuro che è vero, devi credermi!» ribadì Alex, stavolta articolando frasi precise, ma sempre febbrili. Continuava a guardarsi indietro, terrorizzato. Lui era lì. Sapeva che era ancora lì.
Brian sgranò gli occhi castani. «Lex, così mi spaventi!» disse, iniziando a provare una vaga paura, del tutto influenzato dall'amico. «O-Ora ti devi calmare, va bene? Guardati, stai un casino!»
«A-Andiamo via subito, ti prego! Dobbiamo andarcene adesso, Brian, dammi retta! Per favore!»
«Sì, ma...»
«Andiamocene! Non siamo al sicuro qui! O-Oh, Cristo! Guarda, eccolo lì, laggiù! È laggiù, Brian, guarda! Eccolo là!» Alex indicò ripetutamente l'ingresso del parco, un punto lontano dove aveva or ora scorto di nuovo quegli occhi scarlatti, ma quando Herden si volse questi non poté che rimanere perplesso. Tornò a fissare l'amico e fece di tutto per non cominciare a dubitare sul serio della sanità mentale del coetaneo. «Alex, non c'è nessuno lì. Siamo solo io e te» disse con lo stesso tono che chiunque avrebbe usato per calmare un paranoico visionario. «Calmati. Probabilmente hai visto qualche animale notturno o hai solo guardato troppi film dell'orrore. Cavolo, te lo ripeto da secoli che dovresti farla finita con quella roba! Ecco come poi ci si riduce a furia di fare maratone di film splatter!»
Alex tornò a scrutare il bosco, poi i suoi occhi grigi e ancora velati di terrore si piazzarono nuovamente sull'altro ragazzo. «M-Ma... no, no, aspetta! Non è suggestione, mi devi credere! Qualcosa stava per aggredirmi, ecco perché stavo scappando!» Lo vedeva che Brian non gli credeva, non del tutto, e la cosa lo faceva soltanto innervosire. «Non guardarmi come se fossi pazzo!» sbottò, a un passo dal piangere ora per la frustrazione. «Non mi sto inventando un bel niente e non è colpa dei film horror, okay? So cosa ho visto e ti dico che era reale!»
Brian sospirò profondamente. «Per caso gli hai fatto una foto? Insomma... hai qualche prova?» Non fu chiaro ad Alexander se quella domanda implicitamente stesse suggerendo che grazie a indizi tangibili avrebbero magari potuto contattare lo sceriffo o se invece avesse soltanto bisogno di qualcosa di concreto per credere a una tale, assurda vicenda.
Woomingan deglutì a vuoto e chinò il capo, sconfitto e sconfortato. Scosse la testa. «N-No. N-Non ho fatto in tempo. V-Voglio dire... n-non ci ho neppure pensato, però...»
Quello di Brian fu un gesto quasi impulsivo e dettato dalla preoccupazione di sollevare una mano e porla sulla fronte dell'amico per saggiarne la temperatura. «Cristo santo, sembri un ghiacciolo. Sarà un miracolo se non ti verrà la febbre. Come hai potuto pensare che trascorrere tutto il giorno fuori con questo tempaccio fosse una bella trovata, si può sapere?» Alzò gli occhi al cielo, si accostò e gli cinse le spalle. «Dai, andiamo. Ti accompagno a casa mia, così dormirai da me. Avvertirò io tuo padre e gli dirò che hai solo deciso di marinare la scuola per farti un giro a Enswell» lo interruppe Herden, riferendosi al centro urbano più vicino a Hanging Creek, nonché più grande, trafficato e ricco di distrazioni per persone giovani come loro. Era l'opzione più sensata per evitare che il signor Woomingan desse di matto col figlio e magari finisse per metterlo in castigo per due settimane di fila. «Andiamo a casa mia, mangiamo qualcosa e poi mi racconti tutto per filo e per segno. Se c'è un problema, allora troveremo insieme una soluzione.»
Si augurava sul serio che Alex non finisse per ammalarsi dopo esser rimasto al freddo per ore.
«V-Va bene» cedette stremato il giovane Woomingan, seguendo il compagno di scuola verso l'auto di questi. «C-Come facciamo con la mia macchina?»
«Dopo che ti avrò accompagnato tornerò qui e la riporterò a casa tua. Tranquillo. Sali, dai.» Brian gli aprì la portiera dal lato del passeggero e, infine, aggirò il veicolo e montò a propria volta. Esalò un lungo sospiro e scoccò in tralice un'occhiata severa al coetaneo. Era felice che non gli fosse capitato nulla di male o di irreparabile, ma accidenti se non era stato in pena per ore intere per colpa di Alex e dei suoi dannati colpi di testa. E cosa dire di Andrew che doveva aver palesemente omesso un bel po' di dettagli, così come di fargli presente che lui e Alex avessero interagito eccome, e non in modo piacevole?
Avrebbe dovuto ricorrere a tutto il proprio autocontrollo, l'indomani mattina, per non recarsi a casa di Alice Cooper all'acqua di rose e dargli un'epocale raddrizzata. Accidenti a lui e a quando non era rimasto zitto, invece di uscirsene con quella stupida scommessa. A cosa diamine aveva pensato, quel giorno? Cosa si era aspettato che succedesse, a parte un immane casino?
Era tutta colpa sua, ecco la verità, e forse ben gli era stato il piccolo spavento di quella mattina. Così imparava a non aver dato molto prima un freno ad Alex e non avergli detto chiaro e tondo di farla finita di fare il represso del cazzo.
Il biondino poteva dire quel che gli pareva e chiamare in causa ogni scusa possibile, ma Brian ricordava bene l'occhiata lunga e attenta che l'amico aveva dedicato a Andrew e sin da allora gli era stato chiaro che qualcosa non tornasse. Alex non aveva mai guardato nessuno a quel modo, né le precedenti vittime dei suoi scherzi né le sue passate conquiste fra i corridoi del liceo. Non aveva staccato gli occhi di dosso da Andrew per giorni interi e il punto di rottura, guarda caso, era arrivato solo dopo che aveva capito che a Collins piacessero gli altri maschi, anziché le ragazze. Quello era il tipico atteggiamento di chi perdeva la bussola non appena si ritrovava ad affrontare ciò che maggiormente lo tormentava.
L'anno prima Brian aveva fatto parte della squadra di football e aveva avuto modo, naturalmente, di bazzicare gli spogliatoi della scuola e anche se la prima volta gli era solamente parso di scorgere lo sguardo di Woomingan indugiare di sfuggita sul fisico statuario e invidiabile di uno dei loro compagni, ciò si era ripetuto più volte, tanto da spingere Herden a credere che l'amico non la raccontasse affatto giusta. Tempo dopo Alex pareva aver impiegato parecchio impegno, stranamente, nel fare la corte ora a una ragazza, ora a un'altra, quasi a voler smentire con se stesso qualcosa di ben preciso.
Poi... beh, poi era arrivato Collins e non molto tempo dopo ecco che Alex aveva liquidato senza troppe cerimonie Natasha, la ragazza più ambita e desiderata di tutta la scuola, quella che chiunque sarebbe stato matto a respingere o a rimpiazzare con chicchessia. Woomingan aveva detto di non provare semplicemente più niente per lei e di aver capito che non fosse poi la persona fantastica che gli era inizialmente sembrata, ma era davvero così o c'era dell'altro dietro? Davvero l'interesse per Natasha era sfumato oppure era giunto qualcun altro ad affollare i suoi pensieri?
Come funzionasse la mente di Alex sarebbe sempre stato in parte un gran mistero per Brian, ma diamine se con Andrew non era giunta la cosiddetta tempesta!
Si armò di pazienza e disse, diretto: «Piantala di fare il matto e dimmi piuttosto come diavolaccio ti è saltato in mente di far prendere un colpo a tutti mancando da scuola e rimanendo impossibile da rintracciare per tutto il giorno. Porca puttana, Alex, lo sai quante cazzo di chiamate e quanti messaggi ti ho lasciato su quel dannato coso? Poi vengo qui e trovo al posto del mio amico una specie di bimbo spaurito! Cazzo e ancora... cazzo!» Caricò un leggero pugno sul volante, evitando per un pelo di suonare il clacson. Sbuffò sonoramente. Si era ripromesso di non arrabbiarsi, ma accidenti se quella situazione non avrebbe mandato chiunque al manicomio.
Alex, dal canto proprio, tenne gli occhi bassi e li serrò a quella sfuriata, sentendosi in colpa e anche in parte sorpreso dalla reazione di Brian per il suo essersi vanificato all'improvviso.
Non aveva mai preso sul serio la loro amicizia e aveva sempre pensato che fossero amici per puro comodo e necessità. Non gli era mai passato di mente, neppure una volta, che Brian potesse tenere sul serio a lui. In parte perché era consapevole di non esser esattamente uno zuccherino, in parte perché, invece, da sempre credeva nel vecchio adagio che descriveva le amicizie fra i banchi di scuola come effimere e passeggere.
Si sbagliava, però. Sul conto di Brian aveva fatto un grosso buco nell'acqua e forse, in fin dei conti, non era del tutto solo come credeva di essere.
Se solo fosse stato meno cieco in passato, magari di amici veri e sinceri come Herden ne avrebbe avuti a iosa.
«Credevo... credevo non volessi più parlarmi o aver a che fare c-con me.»
«Beh, credevi male, molto male, biondo! E sono davvero incazzato con te, adesso! Pensi che avrei mollato la mia ragazza al cinema, se non mi fosse importato niente di te o non avessi più voluto parlarti? Che discorsi del cazzo! A volte sei proprio un coglione, lo sai? E io che ti dò persino tela!» Brian gli puntò gli occhi addosso. Imprecò e poi guardò nuovamente altrove. «Ah, vaffanculo! Tanto lo so che a parlare con te guadagno di meno che a parlar con un muro!»
Lex inumidì le labbra, cercando qualcosa da dire, ma più volte la sua bocca si aprì e richiuse senza successo. Brian lo stava spiazzando e quella carica di aggressiva e violenta preoccupazione che egli recava addosso lo stava, in qualche maniera, quasi facendo sentire in soggezione. Si fece istintivamente piccolo sul sedile. «M-Mi dispiace» mormorò, dando prova di come il vecchio Alex ormai fosse soltanto acqua passata. Non ce la faceva a fingere di esser rimasto il solito, e poi come avrebbe potuto anche solo tentare di esserlo dopo quanto successo? Brian non era stupido, forse era sempre stato il più intelligente fra di loro e non ci sarebbe in ogni caso cascato. «S-Scusami. Hai... hai ragione. Sono uno stupido e forse non serve a niente ragionare con me» aggiunse, dando voce in qualche maniera anche ai propri, di pensieri.
L'altro ragazzo gli lanciò un'altra occhiata di sbieco, cambiando nel frattempo marcia. «Tu che dici che ti dispiace? Ora sì che credo nella fine del mondo! E bravo Nostradamus! Sono sicuro che da qualche parte avrà sicuramente scritto di come Alexander Woomingan, un giorno, avrebbe ammesso di essere un coglione e di avere una cazzo di coscienza. Alleluia!» commentò acido. Era allo stesso tempo preoccupato, spaventato, confuso, sorpreso, amareggiato e tanto altro ancora. In quel momento, tuttavia, in lui predominava la rabbia. Si era ripromesso che nel caso in cui lui e Alex fossero giunti a rivolgersi di nuovo la parola, avrebbe giocato a carte scoperte e sarebbe stato onesto fin quasi a esser brutale, e al diavolo i delicati sentimenti da bimbo viziato di Woomingan. Quello lì aveva bisogno di qualcuno che lo prendesse di tanto in tanto a calci nel sedere, ecco cosa aveva pensato Brian in quei giorni, e lui era disposto a interpretare quel ruolo a meraviglia.
Con la coda dell'occhio notò Woomingan venir percorso, per un millesimo di secondo, da un intenso brivido di freddo e fu rapido, dunque, nell'accendere il riscaldamento. «Non potevi tenere addosso almeno la giacca, là fuori?» lo apostrofò, sembrando per un solo attimo proprio un fratello maggiore più responsabile che stava facendo la predica al fratellino minore.
«Scusa. N-Non pensavo facesse così freddo» fu la risposta a malapena udibile di Alex.
Brian lo squadrò torvo. «Okay, hai imparato a scusarti col prossimo e sono fiero di questo tuo nuovo superpotere, Lex, ma ora vedi di darci un taglio. È a te stesso che hai fatto un torto, non di certo a me!»
Alexander trasferì allora lo sguardo verso il finestrino e strinse le labbra, quasi a un passo dal piangere di nuovo come quando avevano parlato poco fa al telefono. In realtà era proprio così: per l'ennesima volta nel giro di un giorno aveva la vista sfocata. Davvero buffo, tristemente buffo, che per anni fosse stato incapace di piangere, forse per stupido orgoglio, forse perché era solo un idiota, e in quel momento si ritrovasse ad esser una specie di fontana dal rubinetto rotto buona solo a inondare qualsiasi cosa si trovasse nelle vicinanze.
Eppure, per quanto tale cambiamento da un lato risultasse pesante e destabilizzante, dall'altro invece non voleva discostarsene. Meglio com'era adesso di chi era stato per diciotto anni della propria stupida vita. «Dimmi cosa dovrei dire, allora» sussurrò, rauco e sfinito. Se Herden avesse provato a mollargli un pugno, era certo quasi al cento per cento che non avrebbe reagito in alcun modo a quello stimolo, anzi forse avrebbe implorato di esser picchiato di nuovo e più forte.
Brian assunse un'espressione ancor più dura all'udire quella risposta che tanto stonava col solito modo di fare dell'Alex che conosceva. Non gli piaceva quella nuova e particolare sfumatura del suo carattere che, forse, era sempre stata lì, sepolta sotto l'arroganza e le maniere da idiota che se ne infischiava del domani. Era come se fosse stato privato della corazza e ciò che vi si celava al di sotto fosse stato messo pericolosamente a nudo. Non era mai un bene esporre le proprie parti molli così, da un giorno all'altro, perché poi chiunque avrebbe potuto approfittarsene, specie chi non era in buona fede.
Strinse le dita attorno al volante. «Insomma, amico, mi dici che cavolo ti è preso? Guardati! Piagnucoli e ti lamenti come una scolaretta delle medie! In più dai di matto e hai le allucinazioni! Capirai da solo che sono veramente preoccupato!» tentò comunque di ammorbidire il tono, conscio che infierire sarebbe servito solo a far sprofondare di più il coetaneo. In fondo, se proprio doveva esser sincero, lui voleva molto bene ad Alex. Rispetto al resto della loro cricca di amici, Alex rimaneva pur sempre il novellino del gruppo, per così dire, e oltre a ciò il ragazzo al quale si era affezionato di più in tutto il proprio percorso scolastico.
Si sarebbe sempre preoccupato per lui, inutile girarci attorno.
Alex era arrivato da ormai quasi due anni ad Hanging Creek, in pratica era l'ultima ruota del carro, eppure Brian sentiva di voler bene più a lui che a Francis, Cole o Duncan messi assieme.
Con lui l'intesa sempre era stata istantanea, non c'era bisogno che uno imboccasse l'altro su un bel niente. Uno sguardo, un gesto bastavano a metterli in sintonia e i primi tempi dell'anno scorso erano parsi addirittura in simbiosi come dei gemelli siamesi.
Dove si era trovato uno l'altro sempre l'aveva affiancato, fino al punto che i professori avevano dovuto separarli alle lezioni pur di farli smettere di chiacchierare e ridacchiare come scemi.
I suoi genitori erano stati fin troppo impegnati a lavorare per pensare ad secondo un altro figlio e già era tanto se consideravano un minimo lui, senza contare il fatto che lo stesso Brian fosse venuto al mondo relativamente tardi, quando ormai i suoi si erano trovati sulla soglia dei quaranta. Anche per tale motivo non aveva potuto far a meno di affezionarsi ad Alex, specialmente perché l'armonia e l'amicizia con lui erano scattate subito, in maniera automatica, proprio come se fossero stati legati dal sangue, non solo dall'essersi poco a poco affezionati l'uno all'altro.
Era in nome di tale legame che sentiva con colui che gli sedeva accanto che stava cercando di capirne il cambiamento repentino e spiazzante. Più ci provava, però, e meno ci riusciva.
Alexander sospirò e si passò le mani sul volto. «Vorrei davvero saper spiegare, almeno a te, che cosa mi passa per la testa, ma il fatto è che... nemmeno io so che diavolo mi stia accadendo» ammise con un filo di voce.
Brian gli rivolse un'altra occhiata, poi frenò e accostò l'auto sul marciapiede vicino, senza spegnere il motore. Non aveva idea di cosa frullasse nella mente del coetaneo, sapeva però di non voler più vederlo in simili condizioni. Si sentiva in colpa per avergli riversato addosso tutta la propria preoccupazione ed ansia; forse era stato troppo duro con lui e magari Alex aveva bisogno di tutt'altro approccio.
Senza pronunciare una sola sillaba in più gli afferrò un braccio e lo attirò a sé, abbracciandolo e stringendolo forte sino al limite concesso loro dalla scomodità dell'abitacolo.
«Ascolta, Lex,» sussurrò, «di qualunque cosa si tratti... io non ti pianto in asso, capito? Non lo farò. Ci sono per te, anche se non vuoi dirmi cos'è accaduto. Sono qui, se vuoi sfogarti. Io ci sono, ci sarò sempre». Ed era la verità. Non avrebbe tagliato i ponti con lui, una volta fuori da scuola. Non avrebbe potuto.
Affondò le dita nei suoi capelli biondi, trattenendo un sospiro amareggiato. Gli faceva male, malissimo vederlo in quello stato.
Alex, dopo aver trattenuto il fiato a quel gesto inaspettato, si sentì profondamente rincuorato da quell'abbraccio privo di pretese o doppi fini. Brian era sincero, Brian non scherzava affatto nell'affermare che fosse lì per lui, solo per lui.
Serrò gli occhi e ricambiò la stretta con tutta la forza che le sue membra ancora intorpidite gli concessero. Per l'ennesima volta, sotto le palpebre chiuse con energia, percepì la calda e bruciante presenza di nuove lacrime, ma stavolta si trattava di un pianto liberatorio e non solo per la questione di Andrew ma... per tutto quanto.
Per essersi alla fine reso conto di esser sempre stato uno stronzo col prossimo; per esser stato cieco e sordo al dispiacere arrecato a suo padre e a Christian; per sua madre che li aveva piantati in asso senza guardarsi indietro; per la consapevolezza che la solitudine lo avesse plasmato e trasformato in un ragazzo cinico e perfido.
Pianse per tutto quanto, buttò fuori ogni cosa trattenuta per anni e Brian rimase semplicemente lì, ad abbracciarlo, ad ascoltare i suoi singhiozzi disperati e realizzare, nel frattempo, di mal sopportare di sentirlo piangere a quel modo e vederlo soffrire così.
Poi, quando proprio non si sarebbe più aspettato di sentir di nuovo parlare Alex, quest'ultimo disse, con un filo di voce flebile e tremante: «Ho... ho baciato Andrew e... posso assicurarti che in quel momento non pensavo affatto alla scommessa. V-Volevo semplicemente baciarlo e l'ho fatto». Serrò di più le palpebre e si aggrappò con maggior forza alle spalle dell'amico, il più sincero e dal grande cuore che avesse mai avuto in diciotto anni di esistenza. Quello che era grato al cielo di aver incrociato. «L'ho baciato, Brian» ripeté mentre la voce gli si spezzava completamente.
Consentì, esausto, alle lacrime di sgorgare e scender lungo le sue guance, non facendocela oltre a trattenerle, e pianse fra le braccia di Brian il quale, a occhi sbarrati e con lo sguardo lucido, perso nel vuoto, tacque.
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