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𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐈𝐕. 𝐔𝐧 𝐤𝐢𝐥𝐥𝐞𝐫 𝐬𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐯𝐨𝐥𝐭𝐨


Cosa consiglio di ascoltare: "Take me to church" di Hozier.

https://youtu.be/4FQqLoxu5JY

Era trascorsa circa una settimana da quando era avvenuto il brutale omicidio delle due ragazzine e le autorità erano costernate. Si era scoperto che Jessie e Theresa erano morte per dissanguamento, ma non in seguito a coltellate oppure per via di qualche raffica di pallottole. Gli unici segni che i loro corpi avevano riportato, oltre a tracce evidenti di graffi richiamanti molto quelli di un animale dotato di affilati artigli, erano un paio di fori di poco diametro di spessore, rotondi e poco distanti gli uni dagli altri. Tali ferite erano state rinvenute sia sulla gola che sui polsi delle bambine. Parevano esser state letteralmente prosciugate fino alla morte e i graffi, forse, erano un segno che le due avessero provato a scappare o a liberarsi dalla presa del misterioso e feroce aggressore.

La cosa più agghiacciante, però, era un'altra: lo sceriffo Keegan, esaminando i documenti e le cartelle circa gli omicidi avvenuti sia cinque che cinquant'anni prima e confrontando il modus operandi dell'assassino o degli assassini, aveva scoperto che le modalità di uccisione erano identiche, prive della benché minima differenza. Tutto ciò conduceva a due possibili spiegazioni: o c'era sempre la medesima persona dietro agli efferati crimini oppure avevano a che fare con dei killer che si erano in qualche maniera passati il testimone, scegliendo appositamente di portare avanti una macabra tradizione. Lo sceriffo, per ragioni ovvie, supponeva che la seconda opzione fosse molto più fondata e plausibile. Se avesse scelto di prendere in considerazione la prima ipotesi, si sarebbe a quel punto trattato di un killer decisamente anziano e decrepito, ma nessun uomo di una certa età avrebbe potuto commettere un simile scempio e, addirittura, rincorrere tre ragazzine sprizzanti gioventù e vitalità, vincere addirittura la mortale gara. Era impossibile che si trattasse sempre dello stesso individuo e, pertanto, quella pista era stata scartata quasi immediatamente.

Elucubrazioni, sospetti e teorie a parte, se si faceva un sunto della situazione era chiaro che Keegan e la polizia avessero davvero poco materiale per le mani: segni che apparentemente parevano morsi, anche se tutti, specialmente il coroner, stentavano a credere che un essere umano potesse disporre di una dentatura del genere; graffi profondi sparsi sui corpi delle vittime e il racconto dell'unica superstite, Samantha, che aveva offerto un nuovo, terribile, particolare. L'unica cosa che aveva scorto del killer, infatti, era il colore degli gli occhi: di un azzurro che pareva, secondo il racconto, innaturale. Cerulei, splendenti nella penombra della boscaglia come quelli di un felino e feroci.

Samantha aveva ripetuto per ore di aver scorto una figura umanoide tra quegli alberi e per quanto fosse sembrata sicura e lucida, Keegan e Phillips si erano mostrati più che scettici a un simile resoconto surreale che metteva sottosopra la logica alla quale loro, per dovere, erano obbligati a dar ascolto.

La terza opzione, dunque, era la seguente: avevano a che fare con una belva molto grossa, assetata di sangue e che imperterrita continuava ad aggirarsi nel bosco vicino ad Hanging Creek. Magari si trattava di più di un esemplare e questo avrebbe aiutato a spiegare gli omicidi verificatisi decenni addietro.

Mentre lo sceriffo e il vice sceriffo, assieme alla polizia e alla squadra forense, si erano concentrati su una pista ben diversa, Samantha aveva raccontato anche alla madre e al fratello cosa aveva visto. Ogni volta che si tornava sull'argomento, la piccola ripeteva, disperata: ‟Ve lo giuro, non era un animale, stava in piedi come noi! Era un uomo! Aveva gli occhi azzurri. lucenti e strani, ma era un uomo! Io l'ho visto!"

Andrew e la povera Scarlett non sapevano più a cosa credere né a chi. Samantha non era mai stata una ragazzina avvezza a dire bugie, ma coscienziosa e abituata a riferire sempre la verità, e questo li spaventava. Se la ragazzina non mentiva, allora là fuori si aggirava una specie di mostro che solo un film dell'orrore avrebbe potuto partorire. Un giorno Andrew, non facendocela più, si era recato alla centrale dallo sceriffo e aveva cercato di convincerlo che la sorella avesse detto la verità; Keegan, per tutta risposta, aveva replicato di non sospettare affatto che Sammy avesse viaggiato con la fantasia, ma che non si poteva neppure pretendere che loro credessero a un simile racconto. Era tutto troppo irreale e, come ben si sa, spesso i ragazzini sono soliti infiorettare parecchio testimonianze simili, come ad esempio era accaduto a Provincetown quando la gente del posto, soprattutto i ragazzini, si era lasciata andare a un'autentica isteria di massa per via di un fantomatico fantasma o mostro accusato di aver terrorizzato diversi bambini e persino degli adulti, presentando analogie con il personaggio folcloristico di Jack il saltatore. Le apparizioni erano finite di colpo e nessuno aveva più parlato della faccenda, visto e considerato che nessuna prova concreta era mai stata rinvenuta sul conto del fantasma. 

Samantha Collins aveva descritto un essere di aspetto umano, certo, ma dagli atteggiamenti di una bestia o di un sanguinoso cannibale con gli occhi che brillavano come fari nell'ombra, senza contare la sovrumana velocità. Era chiaro che la bambina avesse scelto, inconsciamente, di trasformare l'aggressore in un mostro per aiutare la propria mente infantile a venire a patti con il trauma subito. Avevano a che fare con un killer in carne e ossa, magari un fanatico dell'horror o un pazzo furioso oppure, ancora, c'era lo zampino di un animale tanto feroce quanto particolare.

Capendo l'antifona, Andrew aveva fatto qualche ricerca e trascorso intere ore davanti al computer, sondando ogni sito riguardante animali che avrebbero potuto combaciare con la descrizione fatta da Samantha e i resoconti dell'autopsia; non aveva trovato nulla, ma non si era dato per vinto e allora le ricerche si erano fatte più obiettive e ristrette; Collins aveva trovato informazioni sulla fauna presente nei dintorni di Hanging Creek e le contee vicine, analizzato ogni genere di sito, ma a parte qualche lupo, alcuni puma, e diverse specie di uccelli boschivi, non aveva individuato niente di insolito.

Il killer continuava a non avere un volto, umano o animale che fosse.

Le uniche descrizioni che sarebbero potute combaciare con la testimonianza di sua sorella, erano quelle circa creature la cui unica dimora risiedeva da sempre solo nel folclore e nella pura fantasia: i vampiri.

Una sera Andrew decise di saltare ancora una volta lo studio per dedicarsi al lavoro improvvisato di investigatore in erba. Come nei giorni precedenti, però, le ricerche non condussero a niente e dopo aver chiuso con un sospiro e un'espressione spaesata e sconcertata il PC, il giovane si abbandonò contro lo schienale della seggiola, lo sguardo puntato nel vuoto.

I vampiri non esistevano, semplicemente incarnavano una delle peggiori e più antiche paure della gente: il terrore di veder tornare i morti dalla tomba, soprattutto i propri cari, nelle vesti di mostri assetati non solo di sangue, ma anche, a volte, di vendetta e rivalsa nei confronti dei vivi.

Attraverso i secoli, fino a giungere all'epoca moderna, i vampiri avevano subito variazioni d'ogni genere. A parere di Andrew, attualmente rappresentavano il desiderio umano di poter sfuggire alle grinfie della morte e vivere in eterno, senza mai invecchiare né ammalarsi, pagando come unico scotto il dover nutrirsi della linfa vitale altrui. Era risaputo che le persone avevano il terrore dello scorrere del tempo, il quale mai pareva essere sufficiente, ma nel Ventunesimo secolo non ci si poteva permettere di indugiare in simili fantasie e dimenticare del mondo reale per correr dietro a spiritelli e folletti.

Non voleva neppure prendere in minima considerazione l'ipotesi balorda, pigra, ignorante e retrograda, nonché superstiziosa e priva di fondamento, che fosse stato un vampiro a uccidere due povere bambine. Era offensivo nei confronti delle vittime e delle loro famiglie il solo sfiorare una teoria del genere.

Andrew non negava di aver sempre gradito le storie sui vampiri e il sovrannaturale, così come i fantasmi e demoni vari, ma nel caso di Hanging Creek si parlava di cose reali, cose orribili che forse minacciavano di ripetersi, se la polizia non avesse preso l'assassino. Aveva smesso di aver paura dei mostri immaginari da un bel po' di tempo, tanto che ormai si rifiutava categoricamente di guardare film o leggere libri che trattavano il lato macabro e orrorifico della fantasia. Gli bastava accendere la televisione e guardare un telegiornale qualsiasi per assistere a una pellicola dell'orrore in tempo reale. Sapere che nel mondo ci fosse così tanto male, che tante persone in quello stesso istante fossero alle prese con disastri ambientali, guerre, morte e malattia, faceva passare la voglia a Andrew Collins di perder tempo con roba come i vampiri. più del dovuto

In tutta franchezza era qualcos'altro ad assillarlo: chi gli assicurava che Samantha fosse sul serio fuori pericolo? Era una testimone, aveva assistito alla carneficina e forse, prima o poi, sarebbe riuscita a fornire ulteriori dettagli circa l'aspetto fisico del killer. Sua sorella, al momento, se ne andava in giro con un bersaglio stampato in fronte e Andrew, quando gli toccava di accompagnarla a scuola e risparmiare alla madre il viaggio, in modo che Scarlett potesse riposare quando aveva la mattina libera, provava una stretta allo stomaco tutte le volte in cui vedeva la sorellina scendere dall'auto e avviarsi verso l'edificio della scuola. 
Quando doveva andare a riprenderla, poi, si premurava di non tardare mai e poi mai e, anzi, cercava di arrivare persino in anticipo. Non intendeva perderla di vista finché l'assassino fosse rimasto a piede libero e benché Samantha avesse iniziato a stufarsi un po' del suo atteggiamento apprensivo, sapeva che un giorno o l'altro, fra tanti anni a venire, l'avrebbe ringraziato. Sam non si rendeva del tutto conto del pericolo in cui si trovava e spettava a lui, così come alla loro madre, guardarle le spalle.

Il giovane Collins lanciò un'occhiata ben poco felice ai libri di scuola ai quali era tanto devoto e che, per cause di forza maggiore, si era visto costretto a trascurare senza un minimo di coscienza. Certo, non aveva smesso di studiare fino in fondo, ma sapeva di non star dando il meglio di sé. Come se tutto ciò non fosse stato già sufficiente, iniziava a risentire molto della mancanza di sonno e delle notti intere trascorse a fare ricerche. Dulcis infundo, aveva sviluppato la malsana abitudine di recarsi nella biblioteca cittadina per proseguire le incessanti ricerche o fare domande agli abitanti sul conto degli omicidi avvenuti cinque e cinquant'anni addietro, e tutto questo dopo aver presenziato a scuola. Spesso doveva anche scrivere per l'Emerald & White, visto che era stato infine accolto all'interno della testata giornalistica di scuola. 

Si sfilò via gli occhiali da vista con un sospiro, si passò le mani sul volto, stropicciò gli occhi e, alzatosi, si buttò sfiancato sul letto, fissando il soffitto.

Non gli faceva decisamente bene dormire così poco e non riservare la massima importanza allo studio; i professori si erano dimostrati comprensivi, ma tutto aveva un limite e a lungo andare i suoi voti, che erano alti, si sarebbero abbassati. Ciò avrebbe portato alla fine del sogno di ricevere una borsa di studio e avere un futuro migliore.

Non doveva dimenticare che sua madre faceva ogni giorno tanti sacrifici per permettere a lui e a Sammy di studiare e diventare, forse, persone di successo. Scarlett si spezzava la schiena coi turni e lui, invece, perdeva tempo con cose che non lo riguardavano affatto. Come poteva stare tranquillo, però, quando persino la polizia stava palesemente brancolando nel buio?

Sollevò la manica sinistra della maglietta nera e lesse, come molte volte era solito fare nei momenti di sconforto, la scritta tatuata lungo l'interno del braccio, scritta che arrivava fino al gomito: ‟Madre è l'altro nome di Dio sulle labbra e sui cuori di tutti i nostri figli". Abbozzò un sorriso mesto, poi sfiorò lentamente le lettere svolazzanti. Riusciva ancora a sentire sotto le dita i vecchi segni ormai cicatrizzati e lo scopo principale del tatuaggio era proprio quello di camuffarli.

Il giorno in cui si era recato a fare quel tatuaggio, ovvero il giorno del suo diciassettesimo compleanno – per fortuna il tatuatore non aveva fatto molte storie – aveva speso tutti i suoi risparmi guadagnati con i lavoretti saltuari; la frase proveniva dal film Il Corvo ed era la sua preferita in assoluto, l'aveva colpito da subito ed essendo cristiano – non cattolico, cristiano – si era ritrovato d'accordo con il concetto che stava alla base della famosa citazione. Era proprio vero: una madre agli occhi di un figlio era come Dio in persona e sua madre, in particolare, era una vera santa, anche se quando era tornato con quel tatuaggio aveva mostrato alcune perplessità, preoccupata che lui potesse essersi preso qualche infezione con quella salute non proprio ferrea che si ritrovava.

Andrew l'aveva rassicurata e le aveva detto che quella frase per lui era davvero importante.

Il tatuatore, nel vedere le cicatrici che era stato incaricato di coprire, era rimasto perplesso, dicendo di non esser sicuro se il tatuaggio sarebbe venuto bene, ma per fortuna si era sbagliato e Andy ne era stato felice. Detestava vedere ogni giorno quei segni, testimonianze di un passato orribile per lui e la sua famiglia, e aveva voluto in qualche modo cancellarlo o almeno metterci una pietra sopra.

Ricordava ancora il pomeriggio in cui sua madre lo aveva trovato chiuso in bagno, riverso a terra nel proprio sangue che era fuoriuscito da due profondi tagli verticali sui polsi. Che spavento aveva avuto la povera signora Collins, e lui si sentiva ancora in colpa per averle inferto un simile colpo, ma all'epoca, malgrado avesse avuto appena quindici anni, era arrivato davvero al limite, anzi lo aveva superato. Era risaputo quanto i ragazzini a quell'età sapessero essere perfidi e ingiusti con chiunque non si conformasse al loro branco e Andrew aveva avuto la sfortuna di capitare in una scuola con insegnanti ciechi e sordi ai ripetuti atti di bullismo, compagni che non avevano mai esitato a insultarlo, deriderlo e anche a picchiarlo. Ciliegina sulla torta? Un preside bigotto e conservatore, un autentico parruccone della peggior specie.

Andy aveva cercato di resistere, di non badare a ciò che accadeva ogni santo giorno, ma alla fine era esploso e lo aveva fatto nella maniera più terribile: in silenzio.

Per fortuna sua madre era riuscita a soccorrerlo e a chiamare in tempo un'ambulanza, ma il peggio era arrivato dopo l'incidente. Mesi di psicanalisi e assenze da scuola, mesi in cui Andrew si era fatto forza e risollevato dalla polvere, e lo aveva fatto soltanto per Scarlett e Samantha. Alla fine erano riusciti a mettere da parte l'accaduto, ma sua madre si era poi riversata furibonda contro la scuola, minacciando di fare causa agli insegnanti e allo stesso preside, tuttavia lui l'aveva pregata di chiudere lì la faccenda e lei aveva accettato, seppur a malincuore. Le cose da quella volta erano sembrate migliorare.

A causa di quel disastro aveva rischiato di perdere l'anno scolastico, ma si era messo sotto con lo studio, armato di buona volontà e speranze di avere un giorno un futuro migliore, finché un anno addietro un ragazzo dell'ultimo anno non l'aveva preso a pugni e calci nel cortile della scuola, e solo perché lo aveva visto baciarsi con Dylan nel parcheggio di fronte alla struttura. Ricordava ancora il momento in cui era uscito da scuola dopo la fine delle lezioni ed era corso a salutare il fidanzato baciandolo al volo e rischiando di farlo cadere dalla moto. Poi uno dei peggiori delinquenti del liceo li aveva raggiunti e aveva chiamato Andrew con epiteti orribili che il ragazzo non osava mai rievocare, e forse erano stati quelli a fare più male delle percosse.

A quel punto era scoppiato un pandemonio ed era stato costretto a cambiare scuola e a trasferirsi con la famiglia, e Dylan lo aveva seguito; Dylan che per poco non aveva mandato all'ospedale il ragazzo che lo aveva picchiato, dimostrandogli di tenere sul serio alla loro relazione. Eppure, dopo tante peripezie, a sferrare il colpo peggiore era stato proprio lo stesso Dylan. Aveva rovinato tutto.

Collins scosse il capo, allontanando quei ricordi. Il passato era passato, inutile starci a ripensare.

Il suo cellulare vibrò sul comodino e Andy, sbuffando, allungò una mano per prenderlo, chiedendosi chi diavolo avesse voglia di parlare con lui alle undici di sera.

Lesse il nome di Alex. Gli aveva mandato un messaggio sull'applicazione che tanti ragazzi erano soliti utilizzare. Roteò gli occhi e si maledisse per aver accettato alla fine di concedere il proprio numero a Woomingan col quale, dal giorno dell'omicidio, aveva cercato di essere meno indisponente. In fin dei conti gli aveva dato uno strappo e si era dimostrato davvero interessato alla storia di sua sorella, ma c'era quel qualcosa che continuava ad assillare la mente di Andrew, qualcosa che gli suggeriva di non dare troppa confidenza ad Alexander.

Lui, purtroppo, era tuttavia fatto così: poteva essere freddo e distante quanto gli pareva, ma alla fine era sempre il solito ingenuo che si scioglieva quando qualcuno gli dimostrava un po' di gentilezza e presenza. Si lasciava fregare sempre, ogni volta, era più forte di lui, e forse era anche la sua più grande condanna.

Sospirò e per un attimo chiuse gli occhi, poi si sporse per recuperare dal comodino anche gli occhiali e si decise ad aprire il messaggio per leggerlo. Non appena ebbe inforcato le lenti, poté metter meglio a fuoco la pagina della chat.

Alex: - Ehi, come vanno le ricerche? Scoperto niente?

Accidenti a lui e a quando si era confidato sulle ricerche che stava facendo riguardo al killer. Se l'era cercata, questo era più che ovvio.
Esitò, desiderando di chiudere l'applicazione e ignorare il messaggio, ma alla fine finì per rispondere.

Andrew: - A parte roba sui vampiri e altre scemenze? Niente di niente. Inizio a pensare che abbia ragione Keegan, deve trattarsi di qualche maniaco.

Alex: - ... Vampiri?

Andrew: - Eh, vampiri.

Alex: - Okay, questa storia inizia davvero a inquietarmi.

Andrew: - Dillo a me!

Alex: - Chiunque sia, dovranno impegnarsi ad acciuffarlo, prima che qualcun altro ci rimetta le penne.

Andrew: - Peccato che non sappiano dove sbattere la testa. Non si è saputo nulla nemmeno delle impronte digitali che potrebbero esser state lasciate da quel mostro.

Alex: - Oh, andiamo! Non chiamarlo mostro, i mostri non esistono.

Andrew: - Esistono eccome, Alex, ed è dai mostri umani che bisogna guardarsi.

Alex: - ???
Che intendi? :-/

Che cosa intendeva? 
Andy alzò gli occhi al cielo e per l'ennesima volta si domandò se Alexander Woomingan, per caso, fosse la versione moderna e al maschile di Biancaneve. Davvero non ci arrivava? Li leggeva i giornali, fra una partita di football e l'altra? 

Andrew: - Guardati attorno e capirai cosa voglio dire. Ti basta guardare il telegiornale, Alex, fidati. Comunque... ora vado a dormire, sono distrutto. Se puoi, di' ai professori che non sono venuto per ragioni personali. Capiranno, gli ho già spiegato di cosa si tratta.

Fece per chiudere l'applicazione, ma vide la domanda di Alex, il quale gli chiedeva di spiegargli il motivo di quelle assenze a suon d'orologio. Sbuffò come una locomotiva. Non se la sentiva di aprirsi con lui riguardo i propri problemi di salute. Non che se ne vergognasse, non c'era nulla di cui vergognarsi a stare male, erano cose che capitavano e basta, ma... era un argomento abbastanza personale e si conoscevano da troppo poco tempo.

Si mordicchiò il labbro inferiore, poi buttò lì una risposta abbastanza schiva.

Andrew: - Non ho una salute di ferro, tutto qui. 

Alex: - Accidenti. Niente di grave, spero! :'-(

Andrew: - Me la cavo e basta. Finché dura non ho ragione di lamentarmi.

Alex: - Mi dispiace, comunque. Non avevo idea che fosse per quello l'esonero di ginnastica.

Andrew: - Tutti hanno dei problemi, non c'è nulla di cui dispiacersi, tranquillo. E poi non potevi sapere qualcosa di cui non ti ho parlato.

Alex: - Okay, comunque... buona fortuna, allora.

Andrew: - Grazie. A te buona scuola.
P.S. Cambia l'immagine che hai sul profilo. Hai davvero la faccia da scemo lì.

Alex rimase a fissare lo schermo che riportava l'ultima risposta di Andrew.

Doveva ammettere che non era male parlare con lui. Insomma, almeno aveva un cervello di gran lunga meno primordiale rispetto alla gente che era solito frequentare, e finalmente avevano trovato qualcosa per cui far fronte comune: la faccenda degli omicidi. Lui per primo era rimasto scosso dopo l'uccisione delle due ragazzine e, proprio come tutti in città, voleva vederci chiaro. Ammetteva di essersi di tanto in tanto fermato per parlare con Andrew di quell'argomento e chiedergli, fra l'altro, come se la stesse cavando Samantha dopo quanto accaduto. 
Di progressi ce n'erano stati, benché magri e di poco conto.

Beh, meglio di niente. Meglio che farmi guardare da lui come se fossi un nazista che se ne va in giro tutto fiero con una svastica stampata sulla maglietta. No?

Si rese conto di aver sorriso debolmente a tale pensiero, con una certa malinconia, e allora si diede mentalmente un ceffone e ricordò a se stesso che Andrew non doveva diventare realmente suo amico né chissà cos'altro. Non poteva permettersi ripensamenti, nemmeno se il discorso stiracchiato e misterioso di Collins su misteriosi problemi di salute lo aveva fatto sentire in colpa per una manciata di istanti.

Al massimo si trattava di una leggera asma, e poi che gli importava?

Gettò da una parte il cellulare e si mise a letto, poi però un'idea gli piombò all'improvviso in testa. Ripreso il cellulare, scrisse ancora ad Andrew.

Alex: - Lo so che non siamo partiti col piede giusto e che probabilmente ti sembrerò sfacciato, ma... che ne dici se ci vediamo fuori da scuola in tutta tranquillità e parliamo un po'? È solo che... mi piacerebbe conoscerti di più, sei molto più in gamba della gente che frequento. Coi miei amici non è possibile parlare di qualcosa che superi lo sport oppure le ragazze, quindi... se ti va, possiamo vederci al diner in centro e scambiare quattro chiacchiere. Nessun obbligo, vorrei solo farti capire che non sono come appaio. Fammi sapere. 'Notte! :-)

L'indomani mattina, Alex non ammise con sé stesso che un po' l'assenza di Andrew a scuola gli sembrasse, a tratti, quasi orribile. 

Forse stava soltanto cadendo nel suo stesso tranello.

Decise di metter da parte quella stupida sensazione che non aveva capo né coda.

Andrew, comunque, non aveva risposto, almeno finché, verso le nove del mattino, Alex non ricevette finalmente un messaggio con una possibile risposta alla sua proposta.

In quel momento il professor Hoover stava spiegando Storia. Lex aveva sempre detestato quella materia, non la considerava più di tanto utile. C'era chi diceva che bisognasse studiarla per prendere esempio dal passato e migliorare così il futuro, ma erano tutte balle. Il mondo era un cane che si mordeva la coda all'infinito, le cose si ripetevano ciclicamente e la gente continuava ad incappare negli stessi errori senza mai imparare nulla dalle esperienze passate. 

Attese che il professore si voltasse per scrivere alla lavagna, poi estrasse il cellulare dalla tasca e lesse il messaggio. Sbatté le palpebre, credendo di aver letto male, ma si accorse che, a quanto pareva, la sua tecnica di approccio stesse iniziando sul serio a dare qualche frutto:

Andrew: - Okay, mi hai convinto. Verrò.

Sorrise tra sé, vittorioso, poi rispose con qualche faccina sorridente e un pollice sollevato, infine rimise in tasca l'apparecchio. Il suo cuore aveva accelerato i battiti e non aveva dubbi in merito alla ragione di ciò: presto avrebbe vinto la scommessa. Era quasi fatta, se lo sentiva nelle ossa!

Praticamente sei già mio, Collins.

Notò l'espressione di Brian e gli chiese, bisbigliando: «Che c'è? Hai una faccia...!»

Herden scosse il capo. Ormai era chiaro che non fosse più d'accordo con quanto stava succedendo. «Mi pare strano che abbia accettato, tutto qui. Magari ha soltanto risposto di fretta e senza leggere.»

«O magari, Brian, il mio charme ha colpito ancora!» lo rimbeccò tronfio Lex, facendogli l'occhiolino.

Gli occhi castani di Brian lo scrutarono a lungo. Il ragazzo si avvicinò, i gomiti sul banco. «Perdona la domanda diretta e brutale, ma perché ho l'impressione che inizi a prenderci quasi gusto? Insomma, guardati: sembri una ragazzina sovreccitata che è appena riuscita a ottenere un appuntamento con uno dei membri della sua boyband preferita!»

Alex inarcò un sopracciglio, non capendo dove l'altro volesse andare a parare. «Che intendi, scusa? Sto solo...»

«Intendo», lo interruppe il coetaneo, «che mi sembra tu stia dimenticando una cosa fondamentale: si tratta di uno scherzo, Alex! E sai benissimo come la penso! Sai che questa storia non mi piace e sai che non sei realmente costretto ad andare fino in fondo! Perché ti ostini a non voler darmi ascolto? C'è forse qualcos'altro che dovrei sapere e che mi stai nascondendo? Sai che puoi dirmi tutto! Sono il tuo miglior amico, no?»

«Nessuno ti obbliga a far niente. Se vuoi puoi rimanere fuori da tutto, non ho mica bisogno della balia!» replicò Alexander, mettendosi sulla difensiva. Possibile che Brian, in qualche maniera, fosse venuto a risapere di suo padre e lo stesse solo mettendo alla prova? Oppure lo stava accusando di aver sviluppato chissà quale interesse per Collins? Se sì, allora come diavolo si permetteva di metterlo allo stesso livello di gente come Andrew?

Herden lo squadrò, risentito. «Dico solo che inizio a pensare che non sia giusto illudere le persone e farle soffrire così. Anche questo è fare del male, Alex. Non bisogna per forza uccidere due ragazzine per essere dei mostri, credimi.»

Woomingan spalancò la bocca e qualcosa, dentro di lui, parve incrinarsi. Non subito riuscì a replicare. «Sei stato tu a lanciare l'idea. Tu hai proposto quella dannata scommessa, Brian, e sarei io il mostro, adesso? Allora siamo in due!»

«Infatti mi rendo conto di esser stato un idiota. Hai proprio ragione.»

«Sei un idiota a fare discorsi del genere!»

La campanella in quel momento suonò, impedendo a Hoover di riprenderli, visto che li aveva sentiti discutere durante la lezione.

Brian sospirò profondamente, poi recuperò il proprio libro, la borsa di scuola e la penna, alzandosi. «Sai che ti dico? Non so chi sia più l'idiota fra uno che capisce di aver dato il via a una cattiveria e chi invece è convinto di fare qualcosa di giusto, quando palesemente non lo è affatto. Ironico che tu sia figlio di un medico, dico davvero. Dovresti essere il primo a non voler vedere il prossimo soffrire.» Detto ciò uscì dalla classe, ma Alex, furioso, lo seguì e lo fermò per una spalla, strattonandolo. «Mi spieghi cosa cazzo significava quella tua uscita? Hai perso la ragione?»

Herden si voltò a guardarlo. Ci volle qualche istante prima che si decidesse a rispondere con sincerità, sibilando: «Significa che sento che questa storia finirà molto male. Finirai nei casini, Alex, e allora io dovrò sentirmi in colpa sia per te che per quel povero disgraziato! Non hai la minima idea di come io mi sia sentito negli ultimi giorni! Non sai quanto mi costa vederti così e sapere che non riesco in alcun modo a farti cambiare idea!»

Gli occhi grigi di Woomingan lampeggiarono d'ira e tradimento. Povero disgraziato? Ma fa sul serio?!
Sorrise in modo forzato, mirando a deridere il coetaneo. «Cos'è, all'improvviso stai dalla parte dei gay? Di gente come quello lì? C'è forse qualcosa che io dovrei sapere sul tuo conto, amico?»  

Per un secondo, uno soltanto, gli parve di intravedere negli occhi castani dell'altro qualcosa che si avvicinava di molto all'espressione di qualcuno che era appena stato ferito. Non per l'accusa che gli era stata lanciata, ma per il disprezzo con cui Alex gli aveva parlato. «Mi sto solo accorgendo che quello che io, tu e gli altri facciamo da quando ci siamo incrociati è sbagliato. È sbagliato prendere in giro le persone, ferirle e manipolarle. Inizio anche a sentirmi in colpa per aver sempre sfottuto Johnson, pensa in che stato mi trovo! Vorrei solo che anche tu, una buona volta, ti dimostrassi capace di un minimo di pietà.» Lo spintonò appena e qualcuno che si trovava vicino a loro lanciò un'occhiata stranita a entrambi. Li avevano sempre visti andare d'amore e d'accordo, inseparabili. Mai avevano litigato, mai una volta si erano ritrovati, di colpo, a lottare su fronti opposti. Una guerra civile in pieno stile.
Herden li ignorò e proseguì: «Sai che ti dico? Fa' pure. Illudi e prendi per i fondelli Collins, ma se accadrà qualcosa dovrai avere quel ragazzo sulla coscienza almeno il doppio di me! Non ti ha fatto proprio niente e non puoi prendertela con chiunque non veda il mondo come lo vedi tu o perché magari la tua vita non è perfetta come vuoi far credere a tutti! Il mondo, Alex, non ruota attorno a te e non sei infallibile! Prima o poi ci ritornerà indietro tutto! A me, a te, agli altri, e allora potremo dare la colpa solo a noi stessi e alla nostra cattiveria!»

Con tale sibillina risposta Brian si scostò e sparì per i corridoi della scuola. Prima di farlo, però, scoccò a Woomingan un'ultima occhiata tra l'addolorato e l'arrabbiato.

Lex lo guardò allontanarsi, le labbra serrate in una rigida posa di furia, gli occhi ricolmi di stizza, il cuore che pareva voler a tutti i costi uscire dal petto. Per un secondo, soltanto uno, la sua vista fu a un passo dallo sfocarsi e bruciò, come se a un tratto fosse sul punto di piangere, ma fu, per l'appunto, solo un istante.

L'unica cosa che veramente lo aveva lasciato di sasso, che aveva fatto male, era stata sentirsi dire proprio da Brian che la sua vita era in realtà un vero casino. Il bello era che Herden non sapeva di Woomingan Senior e della sua relazione con Christian né era al corrente che la madre di Alex a malapena si ricordasse di avere anche un altro figlio, oltre alla marmocchia.

Mi ha definito una persona orribile, un mostro! Lo ha detto chiaramente!

Gli tornarono in mente le parole di Andrew a tal proposito, quando egli aveva detto che i veri e unici mostri erano gli stessi esseri umani, e la sua rabbia triplicò.

Lui era un mostro? Lui ?

Se non altro non se ne andava in giro a fare le avances a ogni ragazzo che incontrava, porca miseria! Erano quelli i veri scherzi della natura, i veri mostri nemici del genere umano, non lui!

«Fa' come ti pare, chi se ne importa. Non ho bisogno di te. Non ho bisogno di nessuno!» sibilò a bassa voce, ma il tono si rivelò leggermente spezzato e tremulo.

Strofinò le dita sulle guance con foga, poi fece dietro front e andò anche lui per la propria strada. Per il resto della giornata si rifiutò di ammettere di sentire già terribilmente la mancanza di Brian e di aver perso l'unico vero amico che avesse avuto in seguito al trasloco. 

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