𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐈𝐈. 𝐂'è 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐧𝐞𝐥 𝐛𝐨𝐬𝐜𝐨!
Cosa consiglio di ascoltare: "Come As You Are" dei Nirvana.
https://youtu.be/W2QeQ9ZufAk
Il piano non era più di tanto articolato, si trattava per lo più di una perfida burla sentimentale, ma ciò che davvero rendeva tutto più avvincente era la sua organizzazione basata su una semplice scommessa la quale verteva su una sfida che Alex colse al balzo: doveva convincere Collins a guadagnarsi la sua fiducia, il suo affetto e anche qualcosina in più, quanto bastava a fargli ottenere un sì a un appuntamento di natura romantica.
Gli sarebbe costato molto fingere di esser attratto da un altro ragazzo, dare a vedere di essere come lui e forse esser costretto, addirittura, a baciarlo; la ricompensa per tali sforzi, però, sarebbe stata l'impagabile faccia del novellino non appena si fosse reso conto che si era solo trattato di uno scherzo.
Magari sarebbe servito da esempio per tutti coloro che condividevano con Andrew quella distorta visione della sessualità; una lezione così esemplare sarebbe servita a insegnare a quel damerino borchiato a non mettersi su un dannato piedistallo e a trovarsi, piuttosto, un buon psicanalista capace di farlo rinsavire.
Andava rimesso in riga quel Collins, ma la parte difficile era proprio guadagnarsi la sua fiducia.
I giorni seguenti alla chiacchierata della mensa, infatti, il ragazzo fece ancora una volta di tutto per evitare Alex in ogni modo possibile e se non ci riusciva, allora si limitava a ignorarlo o a rifilargli occhiate glaciali. La sfibrante tiritera si ripeté quotidianamente finché, una mattina, Andrew non si recò per niente a scuola, cosa che rese la giornata di Alex e del resto della banda di discolacci abbastanza monotona. Il tempo grigio che iniziava a perdere il tepore di settembre non aiutava di certo. Quello, poi, era un giorno particolarmente nuvoloso che faceva sembrare qualsiasi cosa priva di colore e smorta. Come se ciò non fosse già stato sufficiente, l'aria risultava umida e pesante.
Non che la piccola città di Hanging Creek godesse solitamente di una temperatura chissà quanto elevata, ma non si poteva neppure affermare che il tempo non fosse il più delle volte pressoché sereno e piacevole.
Considerando tutte questi fattori, le lezioni si rivelarono oltremodo tediose. Era giovedì e l'ora di storia messa per ultima pareva la tortura perfetta persino per lo studente più disciplinato e zelante. Alex a malapena si prese il disturbo, di tanto in tanto, di prestare attenzione a ciò che il professor Hoover stava spiegando. I suoi pensieri erano rivolti, con intollerabile e insolita insistenza, a Andrew Collins e i mille grattacapi che suddetto nome recava con sé. Non faceva che ripensare a quegli occhi verdi e glaciali che con severità lo squadravano da capo a piedi e più indugiava in quelle elucubrazioni, più si convinceva che sarebbe stato davvero arduo abbattere l'invisibile barriera che Andrew aveva stabilito fra sé e il resto del mondo.
Chissà perché non è venuto a scuola, pensò Woomingan, lanciando uno sguardo alla finestra oltre la quale era possibile avere una buona panoramica del cortile della scuola. L'erba era attraversata dal fastidioso e persistente soffio del vento. Era in arrivo un bel periodo di pioggia, poco ma sicuro. Non è la prima volta che si assenta di punto in bianco, rifletté ancora Alex, al quale poco importava se sarebbe venuto a piovere o meno. Aveva ben altri pensieri per la testa e ciò che non riusciva a comprendere era perché fosse così interessato ai motivi dietro alle ripetute assenze di Collins.
Che gliene importava, dopotutto? Contava solo riuscire a penetrare le difese di quell'arrogante novellino e vincere la scommessa. Non aveva alcuna intenzione di far brutta figura coi suoi amici, primo fra tutti Brian.
Quando finalmente le lezioni si furono concluse, Woomingan e i suoi amici si recarono alla tavola calda in cui lavorava come cameriera la madre di Francis. Mangiarono un hamburger e patate ciascuno, tranne Alex che preferì una bistecca con dell'insalata, e poi fecero un salto a casa di Duncan per prendere il pallone da football in modo da poter trascorrere il tempo nel parco più vicino.
Alex e Brian si tennero in disparte con la scusa di non aver molta voglia di giocare e ne approfittarono per parlare in tranquillità di Collins, nonché dei mille problemi che stavano rendendo la scommessa difficile da mettere in atto. Bisognava ammetterlo: la situazione si era arenata, incagliata come una nave fra aguzzi scogli, e c'era davvero bisogno di un miracolo.
Herden guardò con la coda dell'occhio Woomingan. «Allora? Non vuole saperne proprio niente?»
«No. Non ha voluto neppure darmi il suo numero di telefono.»
Brian annuì, gettò a terra la sigaretta ormai finita e si sistemò meglio sulla scricchiolante panchina di legno vecchio. Osservò il capitano e quarterback della squadra di football starsene seduto in maniera scomposta, il suo sguardo lontano e intorbidito dall'inesorabile scivolare via della già ben poca pazienza che solitamente possedeva. «Alex?»
«Spara.»
«Sicuro di farcela con questa scommessa? Insomma... se quel tipo è così chiuso e asociale... potresti semplicemente cambiare obiettivo, se non vuoi tirarti indietro, ma forse dovremmo lasciarlo perdere. Ho come un presentimento e...»
«Non è asociale, Brian!» lo interruppe in maniera repentina Alexander, tanto da lasciar basito l'altro. «È solo che non si fida di gente come me o te perché ha capito benissimo che razza di persone siamo! È così, fidati!» Sbuffò sonoramente e liquidò la cosa con un gesto della mano. «Ah, lasciamo stare! Cancella quello che ho detto. Mi verrà in mente qualcosa, ma di ritirarmi e dichiararmi sconfitto non se ne parla.»
Trascorse un po' di silenzio stranamente teso nel quale entrambi guardarono senza dire nulla verso il resto del loro gruppo che si stava dilettando a giocare a football in uno dei tre spazi verdi di Hanging Creek. Alex si sedé accanto all'amico e gli rubò una sigaretta dal pacchetto che faceva capolino dalla tasca del giubbotto marrone scuro. «Cosa intendevi con quella cosa sul presentimento? Quale presentimento?» chiese, espirando il fumo che si contorse nell'aria e si disperse nel giro di qualche secondo.
Brian tornò a guardarlo. Non era sicuro di riuscire a spiegare il motivo della frase detta poco prima. «Non lo so, è come se avessi l'impressione che stavolta potremmo cacciarci in guai seri. Magari, e dico magari, per una volta dovremmo tornare sui nostri passi e darci un taglio.»
Il quarterback sbatté le palpebre. «Ma di che stai blaterando? Ne sapremo poco di lui, d'accordo, ma dubito sia il figlio di un poliziotto, altrimenti lo zio di Cole lo avrebbe di certo saputo!», nel parlare spalancò gli occhi con enfasi, un po' infastidito da quel bizzarro comportamento di Brian.
Herden si mordicchiò il labbro inferiore. Non sapeva come parlare di quella storia senza il rischio di mandare in bestia l'amico. Lo conosceva abbastanza bene da sapere che ci voleva poco a fargli saltare la mosca al naso. «Non mi riferivo a quello, Lex.»
«E allora a cosa?»
«Mi prenderesti per matto.»
«Questo lascialo decidere a me. Fuori il rospo, avanti.»
Brian esitò ancora. «Forse stavolta stiamo esagerando. Sai... la scommessa e tutto il resto. Insomma, hai mai visto il film Carrie?», tornò a guardarlo nella speranza che cogliesse l'allusione, seppur abbastanza stramba e priva di fondamento alcuno.
«E allora?» incalzò Alex, facendo spallucce e dimostrando di non avere la più pallida idea di cosa stesse ciarlando l'altro. Non capiva proprio dove volesse andare a parare con quel discorso, specie mettendo in mezzo un vecchio film tratto da un libro di Stephen King.
Herden agitò una mano. «Hai presente quando lei arriva al ballo e il casino che poi si scatena?»
Alexander alzò gli occhi al cielo e desiderò di avere una pistola per spararsi in testa, così almeno non avrebbe dovuto più star a sentire simili idiozie. «Oh, Brian! Cristo santo! Era solo un film! Nella migliore delle ipotesi quello se ne starà a casa per una settimana a piagnucolare, nella peggiore lo ritroveranno in camera da letto con una corda attorno al collo e appeso al lampadario! Fine della storia! Il problema è che dovresti guardare meno film dell'orrore prima di andare a dormire!»
«Non scherzare su queste cose! La morte di una persona non è mai qualcosa su cui far battute!» lo redarguì Brian, senza credere a ciò che aveva appena udito. Che Alex non fosse proprio uno stinco di santo lo sapeva, così come sapeva di avergli dato corda sin da subito e di esser a propria volta tutto fuorché innocente, ma c'erano argomenti che non andavano trattati per nulla al mondo con leggerezza o, peggio ancora, con il freddo menefreghismo di Alexander Woomingan.
Il quarterback in pochi secondi raccolse la dorata criniera di capelli dorati nel classico chignon dell'ultimo minuto e, nel frattempo, sibilò: «Sarebbe soltanto un bene. Un invertito in meno al mondo. Sai che dispiacere! Non farei che auto-flagellarmi per il resto della vita, già mi ci vedo, fidati!»
A volte mi rendo conto di non conoscerti affatto, realizzò sconvolto Herden. «Se accadesse quello che hai detto, credo che mi sentirei in colpa fino alla morte! Avremmo il suo sangue sulle nostre mani, Alex! Te ne rendi conto? Voglio dire... è così importante per te? Davvero vuoi andare così oltre? In fin dei conti Andrew non ci ha fatto niente di male e se è gay... beh, cazzo, affari suoi! Che ti importa, scusa?»
Alex lo fulminò con un'occhiata penetrante e irritata. «Non ti facevo così femminuccia, sai? Non basta che sia un invertito? Cos'altro ti serve per capire che si merita una lezione?»
Brian serrò le dita sulla panchina, proprio accanto alle proprie gambe. Non aveva mai discusso a quel modo con Alexander e quest'ultimo, d'altro canto, mai si era accanito su qualcuno fino a tal punto. Continuava a pensare che ci fosse sotto qualcosa che Lex, sapientemente, aveva scelto di nascondere. Non sarebbe neppure stato il primo a comportarsi così, in realtà. Tanti lo facevano e poi, rinsaviti, realizzavano di aver sempre avuto paura solo e unicamente di se stessi, della propria vera identità.
Poteva essere, certo, eppure... eppure quell'acredine pareva aver radici profonde, una motivazione personale. Sembrava un'autentica e malsana crociata.
«Io, allora, non pensavo che tu fossi così sadico e insensibile. Hai mai pensato che forse quello che facciamo non sia giusto o comunque... buono?» ritentò Herden, appellandosi alla coscienza dell'amico. Tutti ne possedevano una e solo i mostri ne erano sprovvisti. Woomingan non era un mostro, anche se si comportava come tale. Non lo era affatto e di prove tangibili Brian ne aveva ricevute a iosa.
«I buoni esistono solo nei fumetti» rimbeccò tuttavia Alex, con gelo. Non riusciva a credere che Brian si stesse palesemente tirando indietro. Lui aveva sempre avuto forse le idee migliori, ma in quel momento stava parlando come una vera mammoletta.
Per un attimo il giovane quarterback si ritrovò a pensare di essere in qualche realtà parallela e il comportamento del suo compagno di scuola non faceva che aumentare tale sospetto, per quanto potesse apparire surreale.
Brian si umettò le labbra. «Dimmi solo una cosa, Lex: non ti sei un po' stancato di fare così?»
L'altro restrinse lo sguardo, mettendosi sulla difensiva. «Così come, dimmi?»
«Lo sai benissimo di che parlo: fai il diavolo a quattro da quando sei arrivato, ti sei praticamente inimicato metà della scuola, okay? E sì, io per primo ti ho dato corda sin dal principio, lo ammetto, ma arriva un momento in cui è meglio fare un passo indietro e guardare il quadro generale nel suo insieme. Non sei neppure il peggio tra i peggio. Se non altro non picchi la gente nei corridoi e questo, a mio parere, significa che forse... sotto sotto... neanche a te piace comportarti da stronzo. Dimmi, Alex: ti fa star meglio tormentare gli altri? A me per niente. Voglio dire... all'inizio era divertente e non ci andavamo giù granché pesante, ma questa storia di Collins potrebbe finire male per qualcuno. Basta guardare il telegiornale per capirlo.»
Alexander contrasse la mascella e con ostinazione evitò di guardare il coetaneo. «Ora come ora, Brian, per stare bene mi basterebbe solo non dover star a sentire le tue prediche» replicò infine, più gelido di prima.
«Alex...»
«Falla finita o giuro che me ne vado!» sbottò Woomingan.
Herden, il quale non voleva litigare, capì che era meglio lasciar perdere e allora, con enorme sforzo, decise di lasciar cadere il discorso.
Gli schiamazzi degli altri tre ragazzi del gruppo e del resto delle persone, fra cui diversi ragazzini che erano presenti al parco, ovviava un pochino alla pesantezza andata a crearsi. Rimasero zitti, senza rivolgersi più la parola né guardarsi, finché non udirono una bambina apparentemente sui dodici anni gridare d'orrore a squarciagola e correre a perdifiato, addentrarsi nel parco come una scheggia, nemmeno avesse avuto il diavolo in persona alle calcagna.
Alex e Brian si scambiarono un'occhiata allarmata, poi la raggiunsero, insieme a tante altre persone; presto si formò un capannello di gente attorno alla ragazzina, la quale sembrava sotto shock: fra i suoi capelli biondi e scarmigliati erano impigliate delle foglie secche, i vestiti erano sporchi di terra e polvere, i jeans laceri sulle ginocchia, gli occhi scuri intrisi di puro terrore.
Sembrava uscita da una specie di film dell'orrore o scampata per un pelo a una aggressione.
L'unico posto dove si sarebbe potuta ridurre in quello stato era solamente il bosco che si trovava appena fuori dalla città. Per raggiungere il parco passando dalla foresta non ci voleva più di tanto, visto che sia quest'ultima che lo spazio verde cittadino erano limitrofi, l'una di fronte all'altro. L'entrata del bosco si affacciava sui verdi e ordinati prati del ritrovo comune e come un'ombra malevola e misteriosa, in silenzio, sfidava le persone ad addentrarsi nei meandri più remoti della sua fitta vegetazione. Da quando Alexander era giunto a Hanging Creek, tutte le volte che gli era capitato di fissare la selva, di addentrarvisi servendosi solo dell'immaginazione, gli era sembrato che quell'agglomerato di alberi, arbusti e cespugli avesse un qualcosa di sinistro, quasi accusatorio. Non era un bosco dall'aria invitante, uno di quelli che incoraggiavano le persone a esplorarli. Pareva, anzi, scoraggiare gli abitanti a mettere un solo piede all'interno del suo territorio.
Proprio come faceva sempre, anche in quel momento Woomingan rivolse lo sguardo al bosco, reprimendo un inspiegabile brivido che nulla aveva a che vedere con l'aria fattasi più rigida e fredda. Mentre gli altri chiedevano ansiosi e spaventati alla ragazzina cosa fosse successo, né lui né Brian e il resto del loro piccolo gruppo osarono proferir parola, troppo corrosi dall'ansia e sì, anche da un certo spavento. La bambina, d'altronde, piangeva istericamente, singhiozzava, e malgrado gli sforzi mirati al cercare di raccontare a cosa aveva assistito, non si riusciva a capire granché. Era tutto talmente confuso e irrazionale!
Brian, però, comprese lo stesso che si trattava di qualcosa di realmente grave e l'istinto gli disse di intimare a Cole: «Chiama tuo zio, svelto! Sbrigati!»
A preoccuparlo sul serio era il realizzare che la bambina era giunta fin lì da sola, priva di un accompagnatore adulto o di un coetaneo. Era improbabile che una della sua età si fosse addentrata in un posto come la foresta senza un seguito e se al momento non c'era nessun altro con lei, qualcosa di davvero grave doveva esser per forza successo. Bastava guardarla per capirlo.
Cole, con le mani che tremavano, non esitò un attimo e fece come gli era stato detto. Il suo zio paterno era lo sceriffo di Hanging Creek e il padre del ragazzo, invece, era il proprietario di un'officina dall'altra parte della città.
Alex deglutì e fece un paio di passi indietro, non sapendo cosa fare o come. Non ci sapeva fare coi ragazzini e ammetteva di non stravedere per i bambini in generale. Brian, invece, aveva ben tre cugini, uno dei quali di molto più piccolo di lui, e pertanto non gli fu difficile inginocchiarsi di fronte alla ragazzina e dirle, nel modo più calmo possibile: «Adesso sei al sicuro, credimi. Cerca di fare un bel respiro». Lei lo fissò con gli occhi castani ancora rotondi e quasi spalancati per l'ignoto trauma subito nella foresta, poi annuì velocemente e tentò di fare come gli aveva detto il ragazzo; si strofinò le guance e tirò su col naso, le labbra tremanti. «Voglio la mia mamma» singhiozzò.
Persino Alex, il quale di rado si lasciava scalfire, provò una stretta al cuore e allo stomaco a quelle semplici parole. Esitò, poi tornò accanto all'amico. «Come si chiama? Magari la possiamo avvertire noi mentre aspettiamo lo sceriffo» buttò lì, volendo rendersi utile in qualche maniera.
Gli parve di intravedere, per un attimo, un lieve sorriso sulle labbra di Brian. Si era voltato per guardarlo e sembrava del tutto dimentico della lite avvenuta poco prima.
Woomingan gli sorrise debolmente di rimando. Benché fosse convinto di non aver bisogno di nessuno, non davvero, sapeva che Herden, in realtà, era una delle poche persone degne di essere annoverate nella breve lista delle sue intime amicizie. Era stato lui a farlo sentire a casa quando era arrivato da poco in città e a scuola i suoi nuovi compagni, inizialmente, non avevano fatto altro che guardarlo dall'alto in basso e considerarlo uno snob proveniente dalla giungla urbana convinto ancora di trovarsi a Seattle, anziché in una cittadina provinciale dell'Oregon dove non esisteva neppure uno Starbucks e le persone, malgrado le brutte notizie dei telegiornali, si ostinavano a non mettere i catenacci alle porte di casa. Il luogo di ritrovo fra i più quotati, anche fra i giovani, era comunque il diner presso il quale lavorava la madre di Francis, Viola. Alex ricordava che la prima volta in cui era stato lì, accompagnato da Brian, si erano presi degli ottimi milkshake ed erano rimasti nel locale per almeno un paio d'ore. Spesso Alex si recava a casa Herden perché la madre del suo amico era solita invitarlo a colazione, sapendo che altrimenti, dai Woomingan, era molto raro che il primo pasto della giornata venisse consumato. Daniel non aveva il tempo né la voglia di dedicarsi a cose come la cucina e Alex, in poche parole, aveva dovuto imparare a provvedere a se stesso da solo. Il punto era che lui e i fornelli appartenevano a pianeti differenti e agli antipodi.
C'erano volte in cui il ragazzo si sentiva alla stregua del gatto randagio di quartiere, quello al quale veniva di tanto in tanto lasciato sulla soglia delle case qualche avanzo per pura pietà, e non gli piaceva per niente.
Non gli piaceva, ma la verità era comunque quella e Brian, nel bene e nel male, aveva reso le sue mattine a scuola e i suoi pomeriggi a casa meno solitari e monotoni. Cole, Francis e Duncan non gli andavano poi così a genio, a confronto con Herden parevano delle semplici comparse. Era stato Brian a non fargli pesare l'estraneità alla piccola realtà di Hanging Creek, perciò... il minimo che Alex potesse fare era il metter una pietra sopra la faida su Collins e sorridere all'unico amico che avesse.
Samantha si torse le piccole mani, guardando di sottecchi Alex. «Si chiama Scarlett» pigolò.
Brian fece per chiederle il cognome della donna, ma venne interrotto dall'arrivo della volante di Morgan Keegan, lo sceriffo di Hanging Creek. Non appena l'uomo, col suo fedele collega Phillips al seguito, fu sceso dall'auto, pregò tutti quanti di allontanarsi dalla ragazzina e di lasciarla respirare, in modo da poterci fare quattro chiacchiere in tutta tranquillità senza quello stormo di persone attorno, peggio di un branco di avvoltoi con una carcassa.
Alex, tuttavia, non si allontanò di molto, qualcosa lo spinse a restare vicino quanto bastava per ascoltare per esteso il racconto della bambina, narrazione che si rivelò meno scoordinata rispetto alla prima volta: disse di chiamarsi Samantha Collins, di studiare nella scuola media di Hanging Creek e di essersi quel giorno recata, dopo le lezioni, nel bosco assieme a due sue amichette che aveva conosciuto da poco. Brian ci aveva visto giusto.
Quando lo sceriffo Keegan le chiese il perché di una così singolare tappa, con tutte le altre cose che c'erano da fare in città, Samantha gli rispose semplicemente che avevano pensato di andare a raccogliere alcune specie di funghi e bacche particolari per presentarle alla prossima lezione di scienze. Fino a lì non c'era nulla di particolare, a parte il fatto che le tre si fossero recate nel bosco da sole senza un adulto che potesse vegliare su di loro; probabilmente non avevano detto ai genitori dove sarebbero andate, ignare delle strane voci e degli oscuri aneddoti che giravano sul conto della foresta. Nessun genitore con un minimo di coscienza avrebbe acconsentito a farle addentrare in un posto come quello prive di protezione alcuna.
Ah! I ragazzi d'oggi..., pensò lo sceriffo, costernato e incredulo. Si tolse il cappello e si ravviò i capelli castani striati di grigio sulle tempie, poi domandò ancora alla piccola: «Cosa è successo di preciso? Perché sei scappata? Dove sono Jessie e Theresa?»
Samantha deglutì, gli occhi lucidi e gonfi per il pianto recente che minacciava di tornare a imperversare sul suo viso. Alex e Brian si scambiarono un'occhiata tesa, non proprio desiderosi di vedere la poveretta scoppiare di nuovo in lacrime. La situazione era già abbastanza angosciante e penosa. «Abbiamo sentito qualcuno. C'era qualcuno, ci sentivamo osservate e io ho detto a loro di andarcene, ma Jessie insisteva, diceva che ormai avevamo quasi finito e...», la bambina stentava a proseguire e si torturava senza sosta le manine. Ciò che in seguito rivelò fece diventar cereo il volto dello sceriffo quarantacinquenne. «Abbiamo di nuovo sentito qualcuno avvicinarsi, poi è successo tutto in fretta: qualcosa di velocissimo ha preso prima Theresa! Lei ha gridato, è stato orribile, poi più niente! I-Io e Jessie abbiamo provato a scappare, eravamo quasi arrivate all'uscita del bosco, ma anche lei è stata presa! Come se qualcosa l'avesse strappata via da me! Io la tenevo per mano, ho cercato di trattenerla! Urlava e ... ho avuto paura! Sono corsa via e sono pure inciampata! Voleva prendere anche me! C-C'è qualcosa nel bosco! C'è un mostro e ha preso Jessie e Theresa!»
Samantha sembrava di nuovo in preda all'isteria e fu Phillips a tentare di calmarla, perché lo sceriffo Keegan era impietrito e ricolmo di orrore, paralizzato sul posto come una statua di cera. Quel racconto era orribile, senza contare che a parere della bambina non si trattava di un semplice maniaco o di un killer. E quelle povere ragazzine...
Si rimise in piedi barcollando, dimenticandosi per un secondo il cappello, poi guardò il proprio vice con aria grave e amareggiata. Quella storia non gli piaceva per niente e... per qualche motivo... gli suonava orribilmente familiare. «Chiama Grisham, la polizia e la squadra forense. Ci vorranno almeno sette uomini e tre cani dell'unità cinofila per cercare le bambine scomparse. Telefona anche ai loro genitori: i Queenship e i Briarshore.» Grisham era il medico legale, nonché fidato amico di Keegan e suo ex-compagno di liceo. Si conoscevano sin dai quindici anni, ma pochissime volte gli era toccato di affiancarsi per cose come omicidi e reati gravi fino a quel punto.
Lo sceriffo continuava a pensare che non si era trattato di un omicidio plurimo qualsiasi; c'era qualcosa di terribilmente oscuro e sbagliato nella faccenda, nello stesso racconto della ragazzina. Qualcosa, come già aveva supposto poco prima, di già visto in passato.
Keegan sospirò e in quel momento udì i passi di ben due persone intente ad avvicinarsi in tutta fretta. «Samantha! Tesoro!» Una donna raggiunse la bambina, spingendo da parte Phillips e stringendola infine al proprio petto, mentre un ragazzo dai capelli scuri e dall'aria preoccupata e scossa, invece, rivolse l'attenzione allo sceriffo: «Sono il fratello di Samantha e lei è nostra madre» spiegò di fretta, indicando la donna. «Cos'è successo? Perché mia sorella è in queste condizioni?» Respirava a scatti, pareva faticare molto a riguadagnare fiato dopo esser accorso fin lì.
Lo sceriffo, dopo aver appreso della loro parentela, spiegò l'accaduto e cosa aveva detto la bambina. Il ragazzo, che altri non era che Andrew, sbiancò. E ce ne volle, dato che era già pallido di suo!
Keegan, vedendolo affaticato ed esangue, gli chiese se stesse bene. Il giovane Collins mosse una mano come a scacciare la questione, poi guardò verso la madre e la sorella, le quali si tenevano strette l'una all'altra, infine tornò a focalizzarsi lo sceriffo e tentò di fare un respiro profondo. «E... sapete chi abbia potuto fare una cosa del genere? Insomma... non credete sul serio che si tratti di un mostro, giusto?»
«È troppo presto per dire chi possa esserci dietro. Questa è stata quasi sempre una città tranquilla e senza problemi, al massimo qualche furto da parte di teppisti. Gli ultimi casi di omicidio risalgono a cinquant'anni fa, salvo uno verificatosi cinque anni prima di questi. La cosa che mi preoccupa e assilla è che... ho paura che il killer, mai stato catturato, sia tornato di nuovo a terrorizzare Hanging Creek, anche se può sembrare assurdo, dopo tanti anni. Ciò che è sicuro, è che se non lo prenderemo... potrebbe mietere di nuovo delle vittime innocenti come quelle bambine. Forse si tratta di un emulatore, potrebbe esser già più plausibile, ma resta il fatto che abbiamo a che fare con un individuo molto pericoloso e possibilmente disturbato.» Keegan sospirò e scosse il capo con aria pensierosa e angosciata. «La cosa che mi fa pensare che i casi di cinque anni fa e di oggi siano collegati, è che si trattava sempre di ragazzini o comunque di persone giovani. Le vittime più anziane avevano al massimo trent'anni.»
Generalmente non gli era permesso rivelare certe informazioni ai civili, ma Andrew era uno stretto parente dell'unica testimone e superstite dell'omicidio, e poi lui non era mai stato uno più di tanto avvezzo alle ferree regole della legge.
Riteneva che chiunque potesse essere in grado di dare una mano, anche solo con un'informazione o la più piccola e magra testimonianza. Ogni dettaglio era importante. Se c'era un criminale a Hanging Creek, Morgan Keegan era deciso ad acciuffarlo una volta per tutte e gli occorreva, in primo luogo, la collaborazione dei propri concittadini.
Andrew deglutì a fatica, ravviandosi i capelli, poi annuì debolmente. Era scosso, si vedeva da un miglio, e sapendo come stavano le cose ringraziava che sua sorella stesse bene. Si era trattato di un vero miracolo, ma quelle povere bimbe, invece, non erano state altrettanto fortunate.
Era stato il capo di sua madre, il proprietario del piccolo market in cui la signora Collins lavorava, a dirle di Samantha. La moglie dell'uomo era una gran pettegola e aveva assistito all'improvvisa comparsa di Sam. Aveva chiamato il marito non appena aveva sentito il discorso sconnesso della bambina. Scarlett si era precipitata in fretta sul posto, passando prima a prendere all'ospedale il figlio maggiore, il quale soffriva di una rara forma di anemia cronica ed ereditaria. Necessitava spesso di trasfusioni e altre cure, cosa che, durante gli anni, aveva via via assottigliato il budget di famiglia, visto e considerato il prezzo alto che andava pagato in cambio dell'assistenza sanitaria.
Andrew aveva appena terminato la trasfusione quando Scarlett era venuta a prenderlo in tutta fretta.
«Ehi, sicuro di star bene?» Keegan richiamò Andrew alla realtà, preoccupato nel vederlo così spaurito, per non parlare delle gambe che gli stavano tremando.
Andrew fece un cenno e si passò una mano sul viso. «Sì, sì. Sto bene.»
Lo sceriffo lo scrutò per qualche istante, poi aggiunse: «Dovrò portare tua sorella in centrale e farle di nuovo raccontare tutto per la deposizione e tutto il resto».
Il giovane quasi inorridì. «Ma è solo una bambina! Ha detto cos'ha visto, non serve traumatizzarla ancora! Ha una vaga idea del trauma che ha subito mia sorella, sceriffo Keegan?»
L'uomo mosse le mani come a voler placarlo. «Lo so, ma non sono io a fare certe regole e quella di Samantha è l'unica pista che possediamo, almeno per ora. Per favore, è la procedura. So che è difficile, ma ora dobbiamo stringere tutti i denti e fare ognuno la nostra parte.»
Andrew capì che non c'era niente che lui o Scarlett potessero fare. «Posso accompagnarla? Mia madre dovrà tornare di certo al lavoro e non mi va di lasciare Samantha da sola alla centrale.»
«Certo che puoi, anzi qualcuno deve stare lì per forza, è pur sempre una minorenne.»
«Bene...», replicò il ragazzo, guardando altrove. Non erano arrivati nemmeno da tre settimane che già si facevano conoscere. Davvero un bell'inizio, non c'era che dire.
Come già ci si aspettava, Scarlett dovette a malincuore tornare al market e lasciare per forza la figlioletta nelle mani e alle cure dello sceriffo, ma si rallegrò nel sapere che con la piccola Sammy ci sarebbe stato il suo caro Andrew, del quale si fidava con tutta se stessa. Era un ragazzo maturo e responsabile, a discapito della gente maligna che lo giudicava male per il modo che aveva di vestirsi e porsi. Il giorno prima l'aveva resa particolarmente fiera quando le aveva riferito di aver chiesto di poter scrivere per il giornale scolastico, l'Emerald & White. Non le importava cosa pensavano gli altri di suo figlio, lei sapeva che era un bravo ragazzo e che di talenti ne aveva molti.
Baciò e abbracciò ancora la bambina, strinse il primogenito a sé e gli raccomandò di nuovo di non perdere di vista la sorella e di restare con lei, poi tornò all'auto e ripartì, con un peso sul cuore equivalente a un vero e proprio macigno.
Per tutto il tempo di questi ultimi avvenimenti Alex era rimasto in disparte, seduto sulla panchina e affiancato da Brian, Cole, Francis e Duncan, scosso come non mai per quella vicenda, ancora di più dopo aver scoperto che Samantha era la sorella di Andrew. Per alcuni istanti le sue intenzioni circa il giocare uno scherzo di pessimo gusto al ragazzo avevano vacillato, ma si era ripreso quasi immediatamente, rimproverandosi e dicendosi di non fare lo smidollato di turno, non con la scommessa che c'era in ballo.
Che gli importava, in fondo? Il mondo era pieno di problemi, tutti lo erano, ed Andrew non era di certo esente da un simile guazzabuglio. E comunque ne andava della sua reputazione scolastica. Brian poteva dire quel che gli pareva, ma era stato lui, d'altronde, ad accendere la miccia. Non poteva di certo credere di cavarsela con un'improvviso accesso di compassione e inutili ripensamenti; c'era dentro quanto lui e il resto del gruppo, perciò avrebbe fatto molto meglio a tacere e a evitare di intralciare il corso degli eventi.
Alexander aveva sentito anche l'ultima parte della conversazione fra Andrew e lo sceriffo. Deciso a cogliere la palla al balzo e a sembrare così un perfetto cittadino altruista, vide subito un'opportunità presentarglisi davanti con tanto di fiocco e carta da regali quando Andrew disse di non avere la macchina per raggiungere la centrale. Un segnale forte e chiaro, non c'era dubbio. Si alzò dalla panchina, ma Brian gli afferrò un braccio e lo guardò negli occhi. «Alex, ti prego, no» sussurrò. Lo stava davvero pregando di desistere e tornare sul sentiero della ragione. «Non ti sembra il caso di fare un'eccezione? Sua sorella ha rischiato di morire.»
Woomingan alzò gli occhi al cielo. «Vuoi sapere come la penso? Siamo tutti morti, Brian. Lo siamo sin dal giorno in cui siamo nati.»
Herden non volle saperne di lasciarlo andare. «Credimi, Lex, finirai per pentirtene e io non voglio vederti soffocare sotto il peso dei sensi di colpa! Finirà male, me lo sento nelle ossa!»
«Smettila con questa storia» tagliò corto Alexander, ritraendo con decisione l'arto e decidendosi a raggiungere Keegan e Collins. Il cuore gli batteva furiosamente nel petto, forse per l'indignazione o forse, invece, perché le parole di Brian, nonostante tutto, continuavano a martellargli dentro il cranio come un mantra.
Provò a scacciarle e schiarì la voce per attirare l'attenzione dei due. Quando Andrew gli posò gli occhi addosso, tuttavia, successe una cosa strana, assai curiosa e inspiegabile: fu come se lo stomaco di Alex avesse appena fatto un balzo nel tentativo di raggiungere per chissà quale motivo la gola e lì metter radici.
Deglutì e si diede mentalmente un ceffone per ritrovare la solita sicurezza di sempre, ma lo stesso, nel parlare, ebbe una sincera esitazione, come se faticasse a metter insieme le parole: «Uhm... se vuoi posso accompagnarti io. Ho l'auto nel parcheggio, proprio fuori dal parco. Andremo dietro alla volante dello sceriffo, ci vorranno, credo, sì e no dieci minuti». Era comunque serio, agli occhi dello sceriffo un autentico bravo ragazzo.
Andrew gli rifilò un'occhiata diffidente e sospettosa, poi: «No, grazie, salirò nella volante con mia sorella».
«Io penso sia un'ottima idea, invece» intervenne conciliante Keegan. «La piccola sarà al sicuro con me e Phillips, te lo garantisco.»
Collin lo fissò innervosito, poi guardò di nuovo Alex. Si vedeva da un chilometro di distanza che avrebbe preferito qualunque cosa tranne che ritrovarsi in macchina con un perfetto sconosciuto, specialmente lui. Non conosceva Alex se non di vista e di nome. Non si fidava affatto e il suo sesto senso raramente si sbagliava. Certo, con Dylan quel proverbiale istinto aveva preso una bella ed epocale cantonata, ma in quel momento, ben presto, dovette a malincuore riconoscere di non aver scelta e di non poter mettersi a fare storie proprio con lo sceriffo.
Sospirò profondamente, infine accettò. Prima di salire in macchina con Alex, tuttavia, si diresse dalla sorella minore e le spiegò che sarebbe andato con lei alla centrale, solo che avrebbero viaggiato su macchine differenti. «Quando saremo lì, però, resterò sempre vicino a te. Promesso.» La strinse in un breve, ma forte, abbraccio, poi la guardò montare in macchina, aiutata da Phillips. Con il cuore che gli pesava nel petto come un macigno tornò da Alexander. Lo stomaco di Collins subì una stretta nel vedere l'auto lucida e di modello recente del coetaneo. Non che fosse invidioso, ma a volte gli pesava non poter avere una macchina tutta sua come molti dei suoi compagni di scuola.
«Tutto bene?»
Guardò Alex e lo squadrò con fare penetrante e attento. «Mia sorella ha rischiato di venire ammazzata nel bosco da un tizio che sembra essere la quintessenza del male e della psicopatia. Sto una favola, davvero. Possiamo andare, adesso?»
Woomingan non replicò. Quelli sarebbero stati dieci minuti molto lunghi e pesanti, poco ma sicuro.
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