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𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐈. 𝐔𝐧𝐨 𝐬𝐜𝐡𝐞𝐫𝐳𝐨 𝐩𝐨𝐜𝐨 𝐢𝐧𝐧𝐨𝐜𝐞𝐧𝐭𝐞


Cosa consiglio di ascoltare: "It's Time" degli Imagine Dragons.

https://youtu.be/V3MpTMr0Q5I

Nel giro di poco tempo Andrew Collins era diventato il bersaglio prediletto di molti dei suoi coetanei. 

Il modo in cui si vestiva - visibilmente dark, qualche volta addirittura si presentava con abiti disseminati di borchie e strappi o, ancora, adornato di croci e un orecchino d'argento al lobo sinistro che portava sempre - il fatto che certi giorni addirittura arrivasse a scuola con gli occhi color giada messi in risalto dal tratto sfumato di una matita nera in diretto contrasto con la pelle bianca come un lenzuolo, avevano contribuito purtroppo enormemente a fargli guadagnare la fama di emarginato dopo appena pochi giorni. Non aiutava che fosse un ragazzo piuttosto difficile da approcciare o al quale avvicinarsi, visto che era di indole piuttosto chiusa e riservata e, ciononostante, non mancava mai di replicare a tono a quelli che cercavano di infastidirlo e lo schernivano. Non era uno che subiva in silenzio fino a scoppiare e, anzi, pareva voler mostrarsi al di sopra di certe bambinate e atteggiamenti immaturi, senza però restare buono e zitto. Più di una volta aveva metaforicamente umiliato con sagacia e con sarcasmo l'avversario di turno in vena di insulti. Poteva sembrare una preda facile, ma le sue vere armi erano il suo innegabile acume e i sorrisetti sardonici.

Il principale motivo per cui spesso veniva preso in giro era il suo modo di conciarsi e porsi, il suo essere un pesce fuor d'acqua e il sottinteso andarne fiero, eppure tanti studenti erano rimasti scioccati per via di qualcosa che mai era accaduto prima dell'arrivo di Collins: Woomingan e la sua banda non avevano ancora colpito, stranamente, e se questo sarebbe potuto sembrare qualcosa di cui gioire e degno del comune sollievo, non aveva convinto né ingannato affatto gli studenti che da due anni a quella parte avevano imparato a convivere con la presenza di quei predatori dei corridoi scolastici. Conoscevano bene quei cinque teppisti privi di pietà, così come conoscevano le infinite tecniche con cui si dilettavano a render la vita maledetta a chiunque si dimostrasse fragile. Se Alex e i suoi non avevano ancora colpito c'era ben poco da fidarsi o sentirsi al sicuro. 

Sicuramente era solo questione di tempo e da un giorno all'altro l'esistenza del novellino di turno si sarebbe trasformata in un tormento continuo, specie se si considerava il carattere di Andrew e i suoi modi riottosi nei confronti di chi si metteva in testa di infastidirlo.

Ad ogni modo, le giovani canaglie si erano fino ad allora limitate a studiare e a osservare quella sottospecie di punk all'acqua di rose in modo non troppo insistente, ma in realtà era solo una strategia per capire quale fosse il modo migliore per prender di mira il nuovo e solitario studente. Alex, in particolar modo, pareva del tutto immerso nello studio al microscopio di Collins e benché avesse già provato ad approcciarlo in seguito al primo giorno di scuola, dopo che Andrew gli aveva restituito il libro di Letteratura, fino a quel momento ogni tentativo si era rivelato un buco nell'acqua.

Comunque la routine del novellino era molto semplice e lineare: ogni giorno ascoltava durante le lezioni con diligente precisione, prendeva appunti, interveniva guadagnandosi così il favore dei professori e voti più che buoni ai test. Non dava fastidio in aula e anche se alcuni avevano cercato di ingraziarselo per ricevere un piccolo aiuto durante i compiti in classe, lui sempre aveva risposto con severa decisione che gli imbrogli non gli erano mai andati a genio e preferiva non cacciarsi in qualche pasticcio. L'unico consiglio che dava al disperato compagno di turno era basilare e categorico: studiare. Va da sé che anche per tale ragione non si fosse guadagnato una bella reputazione

Durante l'intervallo, alla mensa era solito prender posto a un tavolo confinato in un angolo della sala; mangiava in silenzio, ignorava le prese in giro e gli sguardi poco amichevoli dei compagni, si faceva semplicemente i fatti propri, alternando il mangiare solamente frutta e verdura a qualche minuto passato a scrivere al cellulare. A volte, invece, ripassava in vista di qualche test o leggeva un libro a piacere. 

Tutto ciò si ripeté come una routine finché un giorno Alex non chiese ai propri amici: «Secondo voi a chi starà scrivendo?». Con le dita che battevano con ritmica e paziente lentezza sul tavolo, il ragazzo guardò i coetanei, pronto ad accogliere le fantasiose e sarcastiche risposte della cricca.

Esatto: sua

Tutti sapevano, in quella scuola, che era lui a comandare e a prevalere sul resto del gruppo.
Tutti sapevano che era lui il capo, il principe incondizionato di quel minuscolo, moderno regno di sciatti provincialotti, il re del suo piccolo quanto perfetto e perfido mondo. Da quando era arrivato a Hanging Creek, fra le mura del liceo molti si erano sempre guardati bene dal sfidarlo e lui adorava vedere quella sorta di velata paura negli occhi altrui, così come adorava avere ogni singolo compagno di scuola ai propri piedi.

Brian, Cole, Duncan e Francis guardarono a loro volta verso il tavolo di Collins mentre si ingozzavano come di consueto, poi Cole tirò a dire: «Non saprei! Mi sorprenderebbe sapere che ha una ragazza. Se non fossi un maschio, non credo però che mi metterei con uno che se ne va in giro conciato in quella maniera».

«Magari ha un amico immaginario!» intervenne Brian con una nota divertita.  Si voltò di lato e tese la mano verso la seggiola vuota al proprio fianco. «Ciao, Doris, come stai?» Ovviamente era una chiara presa in giro nei confronti di Collins e fece ridere fragorosamente gli altri ragazzi. Tutti a parte Alex, il quale si limitò a sfoggiare un semplice e accennato sorrisetto. Lo sguardo, invece, era quello che solitamente precedeva una delle sue malefatte.

«Lex?» lo richiamò Francis. 

Woomingan rivolse agli altri un'occhiata e il suo sorriso si fece più esteso e perfido, gli occhi grigi che parevano scintillare come maliziose pepite d'argento. «Guardate e imparate. Stavolta agiremo in maniera inversa: prima voglio sapere quanto più possibile sul suo conto, poi ci daremo da fare per dargli il nostro più caldo e sincero benvenuto.»

«Ma abbiamo sempre fatto nell'altra maniera!» protestò Duncan, fissandolo con tanto di occhi, confuso quanto il resto del gruppetto da un così repentino cambiamento di rotta da parte del loro "capo". «Non è che inizi a essere uno di quei buonisti mammolette? Andiamo, Lex!»

Alex si strinse con indolenza nelle spalle e fece loro l'occhiolino, poi si alzò e stufo dei capelli che continuavano a scendergli sugli occhi, li raccolse in un nodo alla bell'e meglio. Aveva deciso di farseli crescere un pochino e Natasha, scherzosamente, quando erano soliti dormire assieme, la mattina seguente lo prendeva in giro definendolo un leone per via della bionda criniera scomposta, risultato di una notte focosa e movimentata.
Gli bruciavano gli occhi perché si ostinava a portare le lenti a contatto più del consueto e a non alternarle mai agli occhiali, visto che quella stessa estate gli era stata diagnosticata una miopia che era andata peggiorando, dato che non aveva mai voluto saperne di farsi controllare finché il problema non era stato troppo fastidioso per essere ignorato. Ad ogni modo, non ci pensava nemmeno a portare gli occhiali, non a scuola. Non voleva sembrare uno sfigato e si vergognava fin troppo di non essere poi perfetto come lo ritenevano gli altri.

Si sgranchì i muscoli delle spalle. «I soliti modi mi annoiano. Voglio fare una semplice prova, tutto qui» tagliò corto, lasciando intendere che la conversazione ormai fosse bella che conclusa. Si diresse al tavolo del suo bersaglio e, nel farlo, suscitò l'interesse di molti presenti.

Il capo della banda più malfamata di tutta la Hanging Creek's Highschool, addirittura uno dei giocatori più promettenti della loro squadra di football, il quarterback dei Big Lizards, che andava a fraternizzare con un individuo come quello? Sarebbe rimasto per un bel po' nella storia della scuola, poco ma sicuro. Bastò tuttavia una sola, breve occhiataccia di Alex rivolta ai tanti occhi che lo stavano fissando per far tornare tutti alle loro occupazioni, neanche fossero stati dei soldati rimproverati da un temibile e glaciale sergente.

L'unico che non mostrò affatto il benché minimo interesse per ciò che era appena accaduto né per colui che gli si era avvicinato fu proprio il diretto interessato. Alex si prese alcuni istanti per studiarlo da vicino, in piedi e a pochi passi dal tavolo.  Era davvero un tipo strano quel Collins e fino ad allora si era dimostrato un osso duro, e ciò rappresentava solamente una sfida per lui e la sua banda.

«Ehi!» fece il quarterback a mo' di saluto, con il solito fare di chi aveva il mondo ai propri piedi e nulla da temere. 

L'altro smise di scrivere al cellulare e sollevò distrattamente gli occhi, sbattendo un po' di volte le palpebre, sorpreso da quell'improvviso tentativo di approccio. L'ennesimo, in realtà. «Dici a me?» chiese, indicandosi con l'indice. Dentro di sé, però, era in preda all'insofferenza. Si era convinto che quel galletto di Woomingan si fosse deciso a mollare l'osso e a smetterla di voler avvicinarsi quando lui, onestamente, lo riteneva una compagnia poco adatta ai suoi gusti e poco affidabile. Conosceva bene quelli come Alexander, fin troppo bene, e non per ragioni positive.

Lex diede sfoggio del sorriso più affabile di cui disponeva e annuì energicamente: «Sei l'unico seduto a questo tavolo!» rispose con ovvietà. 

Collins non ribatté e arrivò subito al nocciolo, togliendosi i capelli dal viso dato che tendevano sempre ad andare per il verso che più aggradava loro: «Okay, uhm... come mai uno come te è approdato qui?» chiese diretto. Accennò con gli occhi al tavolo vuoto ed esiliato in quel modesto angolino della mensa, prima di tornare a fissare in attesa il quarterback.

Woomingan fece spallucce: «Solo perché porto il giubbotto da sportivo non vuol dire che non possa fare quattro chiacchiere con la novità di quest'anno, no?»

«Mi pare strano. Tendono tutti a evitarmi o a farmi scherzi. Tu che scusa hai, invece, dimmi?»

Quell'Alex gli sembrava, in tutta franchezza, uno spocchioso che però faceva di tutto per sembrare qualcuno che in realtà non era. Era una persona difficile da inquadrare e così pure lo erano i suoi reali obiettivi. Fatto stava che a Andrew pareva bizzarro che uno come Woomingan fosse così interessato a lui. Qualcosa non gli tornava e preferiva di gran lunga restare in campana.

«A volte la gente qui esagera un pochino.»

Andrew restrinse lo sguardo e in esso, per alcuni secondi, lampeggiò un guizzo di indignazione. «Chiamalo pochino rubarmi lo zaino e gettarlo nel cassonetto dell'immondizia fuori dalla scuola» rimbeccò sulla difensiva, spalancando gli occhi con enfasi, ma lasciando intendere pure che non stava affatto scherzando. 

Solo perché non reagiva alle provocazioni e alle prese in giro nell'unica maniera conosciuta da quei bietoloni, ovvero con la violenza, non voleva di certo dire che allora autorizzava certi maleducati a giocargli quei brutti tiri, considerando che sin dal primo giorno non aveva fatto assolutamente niente per attirare su di sé le loro più sgradevoli attenzioni. Era lì per prendere il diploma e costruirsi un futuro, non per indire col prossimo una gara di popolarità. Poco gli importava di essere popolare, amato e vezzeggiato da tutti. 

Dal canto suo, per la prima volta nella vita, Alex ebbe la sensazione di aver appena ricevuto una secchiata d'acqua gelida in pieno volto. Nessuno, prima di quel giorno, gli aveva mai sbattuto in faccia quanto potesse risultare spiacevole essere presi di mira e tormentati dai propri compagni. A lui, almeno, non era mai capitato. D'altronde non aveva mai dato modo al prossimo di spingerlo in un angolo e umiliarlo. Non aveva mai pensato a quanto fosse brutto essere derisi. A dire il vero, non si era mai fermato a riflettere su quanto facesse male esser emarginati dal resto del gruppo e Andrew pareva proprio il tipo che non si faceva scrupoli a giudicare con severità quei perfidi e gratuiti scherzi.

Alexander guardò un attimo altrove, poi i suoi occhi grigi tornarono su Collins. «Non prendertela più di tanto, dai. Lo fanno solo per cercare di avere un approccio con te, credo. Ti vediamo sempre stare per conto tuo, non parli mai con nessuno, è normale che...»

«Non c'è nulla di normale o benevolo nel prender in giro gli altri e giudicarli senza nemmeno conoscerli. Non c'è niente di carino o incoraggiante nel gettare nella spazzatura lo zaino di qualcuno che nemmeno si conosce o nel prendere una persona a calci nel bagno dei ragazzi.» Le parole di Andrew risuonarono dure e severe, e quella fu la seconda secchiata d'acqua gelida per Alex, il quale mai prima di allora si era beccato una simile risposta. Se in un primo momento si era sentito un pochino in colpa e aveva iniziato a riflettere sulle proprie quotidiane azioni, l'esame di coscienza cedette velocemente il posto alla rabbia e all'indignazione.

Chi era quel darkettone mingherlino per mettersi sul dannato piedistallo e giudicare chiunque?

Il novellino andava sul serio approcciato diversamente e Alex Woomingan non era di certo tipo da tirarsi indietro di fronte a una sfida, specie come quella. 

Lo sguardo gli cadde sul cellulare dell'altro, posato sul tavolo e col display acceso. Non resistette all'impulso di leggere di sfuggita e indagare. Ciò che lesse, però, lo sorprese: Andrew pareva star parlando con un certo Dylan, ma quella conversazione non mostrava i classici toni fra due semplici amici. A giudicare da ciò che riuscì a catturare in quella manciata di istanti, quelle frasi gli parvero una bella e accesa lite, e l'ultimissimo messaggio di Andrew ne spiegò il palese malumore.

‟Lasciami stare e basta. È finita, Dylan.
Va' a fare le moine a quello stronzo con cui stai adesso!"

La mente di Alex elaborò in fretta le informazioni e il suo possessore gongolò al pensiero di riferire quella novità ai suoi amici. 

Non gli erano mai andati a genio i gay, personalmente li considerava persone che avevano smarrito la bussola e necessitavano di uno specialista o, ancora meglio, di esser mandati in qualche casa di cura per farsi rimettere il cervello al posto giusto.

Un po' di antipatia era dovuta a qualcosa accaduto due anni addietro. Ricordava come fosse stato ieri quando, entrando nello studio del padre, lo aveva sorpreso in compagnia di un infermiere. Li aveva visti baciarsi, stretti l'uno all'altro come una coppia di anguille, ed era scappato a gambe levate, desiderando di potersi togliere dalla testa quella visione rivoltante e innaturale. Quando poi suo padre era tornato a casa, quella lontana sera, nessuno dei due aveva affrontato l'argomento, nemmeno per sbaglio; a dire la verità il suo vecchio aveva provato a parlarne, a dargli una spiegazione: ‟Avrei dovuto dirtelo molto tempo fa, ma... avevo paura della tua reazione". Era stata questa la scusa propinata ad Alex, il quale non aveva voluto lo stesso sentir ragioni e si era limitato a ribattere glacialmente: ‟Sei libero di fare quel che ti pare, ma non mettermi in mezzo. Non sono affari che mi riguardano e non mi sembra giusto immischiarmi in certe cose".

Da allora, a quanto ne sapeva, suo padre aveva una relazione stabile con quel tizio. 

Qualche volta l'uomo, di nome Christian, faceva visita al dottor Woomingan direttamente a casa, ma Alex si guardava bene ogni volta dal restare in compagnia di quei due. Giusto il tempo di salutare con un cenno prima di prendere e uscire con gli amici, ai quali mai aveva rivelato tale segreto.

Se ne vergognava? Eccome!

Se poi ripensava a quella stupida approvazione verso i matrimoni omosessuali la rabbia e l'indignazione aumentavano a dismisura. Che ridicolaggine approvare cose del genere, come se fosse normale o quantomeno naturale dare il consenso a simili schifezze.
Gli fosse potuto venire un colpo se il loro Paese non era ridotto male! Accettare l'esistenza di gente che rasentava il massimo insulto alla vita, alla ragione e al buon senso! Quelle persone erano uno sputo in faccia all'intera umanità! Andavano rinchiusi in qualche istituto psichiatrico, non incoraggiati e accettati!

Represse un brivido di disgusto e si riscosse. Decise di sedersi accanto ad Andrew, che lo squadrò con aria sospettosa. Per prender tempo sollevò le maniche del giubbotto bianco e verde. «Uhm... non per farmi gli affari tuoi, comunque, ma ho visto il tuo telefono e...», mise su un'espressione talmente comprensiva e interessata che se qualcuno l'avesse definita da Oscar, avrebbe soltanto offeso la sua spiccata e abile capacità di fingere. Sarebbe stato troppo riduttivo dire che fosse bravo a indossare molte maschere. Era un dannato attore e di questo sempre era andato fiero. «Problemi con il tuo ragazzo? Per questo oggi sembri più cupo che mai?» chiese infine, palesando la migliore faccia dispiaciuta che possedeva.

Avvertiva lo sguardo perplesso dei propri amici addosso, ma non vi badò. Aveva un embrionale piano in mente e stava solo cercando uno spiraglio nel quale affondare gli artigli.

Andrew, però, parve non cascarci affatto e si fece ancora più glaciale di prima, visibilmente sulla difensiva e in aperta ostilità. Disse, senza troppe cerimonie: «Non penso siano affari tuoi. So cosa pensate da queste parti e se hai le solite prediche da bigotto da sciorinarmi, allora tornatene pure dai tuoi amici».

Un osso duro, eh?, pensò Alex, senza dar alcun segno di voler rinunciare. Provava una smodata curiosità verso il novellino, ma allo stesso tempo ribrezzo. Cos'avevano di sbagliato le persone come Collins fino al punto da provare certi... impulsi verso i loro simili dello stesso sesso? Stentava a credere che farlo con un altro maschio desse lo stesso piacere del farlo con una bella ragazza! Insomma, le donne esistevano principalmente per esser sbattute dagli uomini, quindi perché perder tempo con altri maschi invece che godersi tanto ben di Dio?

Proprio non riusciva a capire.

I suoi pensieri ebbero una brusca battuta d'arresto quando Andrew, scuotendo il capo con fare scocciato e alzando infine gli occhi al cielo, recuperò il telefono e se ne andò dalla mensa a passo svelto. Non si curò neppure lontanamente di rivolgere un ultimo sguardo ad Alex. Questi, però, non parve affatto interdetto né dette l'impressione di esser rimasto male per quella reazione. A dire la verità sorrise nella sua solita perfida maniera, quella di un bambino che si divertiva a massacrare e a torturare piccoli animali come lucertole o inermi micetti.

Quel sorriso era la concreta prova di come Collins avesse appena firmato, inavvertitamente, la propria condanna. Ormai l'attenzione di Woomingan era stata completamente catturata, ma quella volta si trattava di qualcosa di differente: avrebbe unito il sadico e piacevole diletto nel giocare tiri mancini a malcapitati coetanei a un'assurda e spregevole rivincita nei confronti della perversione del proprio padre, come la chiamava lui. Non poteva dire a quest'ultimo cosa realmente pensasse del suo frequentare un altro uomo né riversargli addosso tutto il disprezzo e il ribrezzo che provava verso quelli come lui, ma poteva sempre trovare un modo per scaricare la rabbia su qualcuno che condivideva gli stessi malati e innaturali interessi del dottor Woomingan.

Purtroppo per Andrew, la sua unica colpa - a parere di Alex - era di essere omosessuale e diverso in ogni frangente da tutti i loro compagni; sfortunatamente era incappato nella persona sbagliata ed era ormai ovvio che per quest'errore avrebbe pagato caro.

Quando infine Alex tornò dai propri amici, quel sorriso non accennò a sparire, e fu così che Brian e gli altri, incoraggiati dal resoconto di Woomingan, misero in ballo una specie di strategia, una ragnatela atta a far da trampolino di lancio alla loro nuova malefatta.

Lo scherzo che venne architettato attorno a un semplice tavolo da mensa scolastica sarebbe stato di certo il più sensazionale e ben riuscito di tutta la loro ‟carriera".

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