XXVIII. Il mio idiota è sempre più idiota
Kronos
«Mi spieghi perché hai il muso lungo, anche se hai vinto?»
Adonis rischia di inciampare sul terreno fangoso, lo afferro prima che ruzzoli a terra e si lamenti fino alla noia.
Non so perché lo sono. Forse perché avrei voluto vincere la prova senza alcun aiuto, anche se non sono così stupido da non essermi reso conto che Teseus aveva un vantaggio su tutti noi. «Non dovevi aiutarmi.»
Adonis arriccia il naso, tenendo lo sguardo sulle scarpe sporche di fango e terriccio bagnato. Sembra sull'orlo di una crisi di nervi. «Ti ricordo che senza di me non avresti alleati.»
Scuoto il capo. Non mi va di discutere. L'importante è aver vinto la prima prova, nonostante tutto. Da primo classificato ho guadagnato duecento punti. Non sono abituato all'aiuto delle persone, di solito tutti mi detestano. Non voglio crogiolarmi in questo piccolo gesto, so che il dolore mi aspetta dietro l'angolo. Fidarmi implicherebbe avere un punto debole, qualcuno che, in un modo o nell'altro, influenzerebbe le mie decisioni.
E non posso permetterlo, non ora.
Adonis mi sta vicino, non mi vede con lo stesso odio delle altre persone. Per lui non sono un mostro, credo. Ma ho paura di risvegliarmi e scoprire che è stato tutto un copione, un modo per guadagnarsi la mia fiducia e approfittarne quando meno me l'aspetto.
Prima o poi tutti realizzano di quanto io sia marcio. Prima o poi tutti scappano. E anche Adonis se ne renderà conto. Voglio solo essere pronto per quando succederà.
Mi porto le mani alle tempie. Il mal di testa mi sta asfissiando, mi toglie il respiro. Sono invisibili fitte con cui ho imparato a convivere da quando ero bambino, da quando ero rinchiuso in quello scantinato.
Le loro voci si mescolano a quelle di Javier e mi fanno impazzire. Vorrei strappare con le unghie le loro parole e non sentire più niente.
Invece continuo a cadere all'infinito, lasciandomi soggiogare dai ricordi.
Le loro mani mi accarezzano ancora la pelle. Non importa quanti strati di vestiti userò per coprirla. Riusciranno sempre a spogliarmi e a tenermi loro schiavo.
Un conato di vomito mi infiamma la gola.
«Fai il bravo, Javier. Io tengo a te. Non vedi l'effetto che mi fai, tesoro?»
Le loro carezze e baci mi bruciano addosso. Le lacrime pizzicano gli angoli degli occhi, ma mi sono ripromesso di non piangere, non più almeno.
Non sono più il loro burattino. Hanno già rotto abbastanza quel giocattolo.
Javier è morto, del bambino scappato dal Male non c'è più traccia in me.
Kronos, il Male, invece, li ucciderà.
Sussulto, quando sento una mano posarsi sulla mia spalla. Afferro il polso e mi libero della presa, spingendo la figura contro un albero. Tiro il braccio all'indietro per bloccarla.
«Cazzo, ma che ti prende?!»
La vista mi si rischiara e metto a fuoco Adonis. Lo libero di scatto, come se mi fossi appena ustionato.
Probabilmente sarebbe meglio se mi stesse lontano. Gli farei del male. Non so tenere il controllo, non quando i ricordi salgono a galla per trascinarmi a fondo con loro. Non quando Javier urla contro le pareti della mia testa, raschiando con rabbia tra i pensieri, infiltrandosi tra gli anfratti grondanti di sangue della mia mente.
«Mi dispiace. Scusa.» Mi liscio la camicia con tre gesti secchi delle mani.
Adonis si volta a guardarmi. Si massaggia il polso. Sembra un tantino imbronciato, ma, quando alza lo sguardo su di me, appare preoccupato. «Stai bene?»
Rabbrividisco e faccio spallucce. Sono bravo a mentire. Sono sempre stato un campione nel nascondere le emozioni dietro un'asfissiante maschera di indifferenza. Ricaccio indietro le lacrime. Stringo così forte i pugni, da sentire le unghie affondare nella carne. Uno zampillo di sangue cade a terra, ma lo ignoro. È l'unico modo per sentire qualcosa di diverso dalle loro voci. «Sì, andiamo nella cittadella. Dobbiamo prendere qualche rifornimento.» Modulo il tono di voce, per non lasciar trasparire la tensione che mi attanaglia le viscere.
Mi incammino in avanti e Adonis inizia a starmi alle calcagna come un segugio. Mi si affianca, raggiungendomi immediatamente. «Sai dove si trovano, no?»
Annuisco. Certo, alla fine ho partecipato alla progettazione della cittadella. Durante i lavori mi sono intrufolato, per nascondere alcune cose che avrebbero potuto tornarmi utili. Il cielo su di noi è ancora grigio. Ha smesso di piovere, certamente, ma siamo ancora completamente bagnati. Detesto la camicia che mi si appiccica addosso, ma dovrò farmene una ragione, almeno fino a quando non troverò un posto decente per cambiarmi.
Arriviamo davanti gli archi della cittadella. Mi piace che sia stata costruita prendendo ispirazione dalle antiche cittadine, più di quattromila anni fa. Hades ha sempre avuto una passione spasmodica per il mondo classico.
Ripensare a lui, di colpo, mi fa cadere in uno strato stato di agonia.
Anche lui è morto per essere semplicemente uno di noi, un nostro amico.
Adonis fa un sonoro sbuffo, attirando la mia attenzione. Quando mi volto, noto che sta indicando una bacheca di legno affissa sulla parete principale.
Kronos 200 pt
Teseus 150 pt
Dedalus 100 pt
Demeter 50 pt
Adonis 0 pt
Sbuffo piano.
Adonis tiene la fronte aggrottata, sembra confuso. Sono certo, ormai, che sia dislessico, ma come io non amo parlare dei miei problemi e del mio passato, immagino che per lui sia lo stesso. Mi schiarisco la voce, tossicchiando appena. «È la classifica. Sei ultimo, perché come un idiota hai preferito aiutarmi.»
Adonis mi guarda e sfodera un sorrisetto divertito. «Possiamo allora dire che mi sei debitore, tesoro. Ti piace questa situazione ora?» Ciondola il capo e giocherella con la punta della mia cravatta.
Gli do una manata e roteo gli occhi. «Idiota.»
Lo sento sghignazzare. Ci inoltriamo tra le strade della cittadella, guardandoci intorno. So che in giro dovrebbero esserci anche gli altri campioni. Guardo Adonis di sbieco, per accertarmi che sia ancora al mio fianco, e lui mi ammicca in tutta risposta.
Vorrei provare a nascondere in ogni modo il piccolo sorriso che mi si forma all'angolo della bocca. Spingo in avanti la porta di una sottospecie di casa in pietra. Potremmo anche dormire qui, ma non mi fido di nessuno di loro. «Fai il palo.»
Adonis annuisce con un gesto energico del capo e si affaccia verso l'esterno. Lo vedo rabbrividire dopo una folata di vento gelido.
Do un paio di colpi a uno degli assi di legno del pavimento. Lo alzo e lo lancio dall'altro lato della stanza. Una scheggia mi si infilza nell'indice e mi scappa un mugolio infastidito.
Adonis si volta verso di me. «Che succede?»
«Nulla.» Mi succhio il dito e sbuffo. Tiro fuori poi un paio di zaini, uno carico di armi e l'altro di scorte per mangiare. Lancio quest'ultimo in direzione di Adonis. È così caotico e scoordinato, a volte, che lasciare nelle sue mani il carico di armi non mi farebbe stare proprio tranquillo. Mi sistemo la borsa in spalla e gli faccio cenno di andarcene.
«Non dormiamo qui?» Mi guarda. Appare eccitato al pensiero di restare in questo posto. «Sembra una di quelle piccole città che vedevo sempre nei libri di storia... certo, quelle erano rovine, ma è come se quelle immagini avessero preso vita, ora. Dai.»
Adonis ha uno strano potere su di me. Potere che sto cercando in ogni modo di nascondere, ma non riesco. Potrebbe convincermi a fare qualsiasi cosa, con una tranquillità disarmante. Per lui sarei disposto anche a prosciugare gli oceani, a tirare giù dal cielo le stelle e a dar fuoco al mondo.
E sì, anche a dormire nella tana del lupo, in un posto dove chiunque sembra aver voglia di ammazzarmi, anche senza un valido motivo.
«Va bene, ma scegliamoci un posto tranquillo.»
Gli si illumina il volto. Pagherei tutto l'oro del mondo per vedere sempre quello sguardo felice. Il suo sorriso riesce a farmi dimenticare dei pensieri, scaccia via le paure, come i raggi del sole con le nuvole in una giornata grigia. So benissimo quanto sia sbagliato tutto questo, ma, in fin dei conti, rimarranno solo pensieri incastrati nella mia mente malata. Nessuno saprà quanto sono rotto, no?
Basta che continui a guardarmi come se non fossi un mostro. Ne ho un disperato bisogno.
Non appena spalanchiamo la porta, ci ritroviamo davanti Dedalus. L'uomo ci guarda con un ghigno cattivo. Inclina il capo. «Oh. Guardate chi c'è, avete scovato qualcosa, piccioncini?»
Serro la mandibola. Una scarica di terrore mi percorre la spina dorsale. Avanzo minaccioso verso di lui, prendendo immediatamente il mio pugnale. Dedalus arretra di colpo, leggo un luccichio di paura nel suo sguardo.
È così fottutamente inebriante.
Mi teme.
Mi piace vederli spaventati come piccole prede davanti a me, perché adesso sono io il predatore. Gli punto il pugnale alla gola. «Stai attento alle tue prossime parole.» Ciondolo la testa di lato, imitando il suo movimento di poco fa. «Non vorrai fare la stessa fine del tuo console, vero?»
Adonis sorride sfrontato al mio fianco. «Non credo ti convenga, dolcezza.»
Dedalus si sposta di lato per farci passare. Afferra Adonis per la spalla, costringendolo a voltarsi, ma lui gli assesta un pugno allo stomaco, allontanandolo. «Toglimi le mani di dosso.»
Datti un contegno, Kronos.
Mi sfrigolano le mani dalla voglia di tirarlo a me, di sentirlo di nuovo mio. Deglutisco, cercando di darmi una regolata.
Dedalus lo guarda truce. «Stai attento, ragazzino. Per vincere non guarderà in faccia neanche te, lo sai, vero? Sei solo una pedina che adesso gli fa comodo.»
Non rispondo. Preferisco che mi credano tutti un mostro e forse anche Adonis farebbe meglio a pensarlo.
Lui lo ignora e scrolla le spalle. «E chi ti dice che io non stia facendo lo stesso, dolcezza?» Gli dà le spalle e mi si affianca.
Lo seguo, lasciando Dedalus alle spalle.
Non so cosa pensare. Probabilmente vuole instillare il dubbio in ogni partecipante. Ma se fosse così?
Alla fine chi rinuncerebbe a una seconda vita nella Grande Città? Chi ci rinuncerebbe per me?
Lo capirei, in verità.
Camminiamo in silenzio, uno accanto all'altro. Non so cosa dire, mi sento un idiota per volermi aggrappare a forza a qualcosa. Nonostante una parte di me desideri che Adonis mi stia lontano, un'altra vuole credere davvero che tenga a me.
Mi sento impazzire.
Un tonfo mi fa voltare di scatto, districandomi dai pensieri velenosi. Adonis è inciampato in una pozzanghera di fango ed è completamente sporco. Si fa scappare un urlo isterico.
«Ma che cazzo! Perché non cammini lentamente una volta tanto? Starti dietro è come fare una marcia militare.»
Aggrotto la fronte, cercando di non farmi sfuggire una risata, anche se è difficile. «Fammi capire.» Gli tendo la mano per tirarsi in piedi. «Tu non sai camminare e inciampi, e poi la colpa sarebbe mia?» Forse avrei dovuto aspettare che fosse almeno in piedi prima di prenderlo in giro, perché Adonis mi stringe la mano e mi trascina nella pozzanghera sporca con lui. Mi sporca anche i capelli, con fare dispettoso. Lo afferro per il colletto della camicia scollata.
«Potrei uccidere per molto meno, idiota.»
Lui sorride sfrontato e mi sfiora le labbra con un dito. «Come siamo brontoloni oggi.»
Il mio stomaco si aggroviglia in una morsa. Lo osservo, completamente perso in quelle pozze blu elettriche. Lui si tira in piedi e lo imito. Sto per avere una crisi combinato in questo modo. Per fortuna che ho alcuni cambi con me, nascosti proprio in quegli zaini. «Devo lavarmi.»
Adonis aggrotta la fronte. «Dobbiamo lavarci, vorrai dire. Pensi che questa meravigliosa figura possa restare così sporca?» Si indica in un gesto plateale.
È così melodrammatico. A volte non lo sopporto.
«E non roteare gli occhi al cielo! Lo sappiamo entrambi che sei d'accordo con me.» Adonis mi prende il mento e accarezza la mia guancia col pollice.
«Come, prego? Da quando saremmo d'accordo su qualcosa noi due? Anzi, su cosa dovrei esserlo?» Mi libero dalla sua presa, guardandolo male.
«Sul fatto che sono bellissimo. Non puoi di certo negarmelo, tesoro.»
Lo ignoro. «C'è il Lago poco lontano da qui. Andiamo a lavarci, ci diamo una sistemata e torniamo a dormire qui.»
Le labbra di Adonis si piegano all'insù in un sorrisetto compiaciuto. «Mi piace questa proposta, tesoro.»
Sbuffo sonoramente, cercando di non fargli capire che in realtà il mio cuore manca sempre qualche battito quando mi chiama così.
Ci incamminiamo di nuovo lontano dalla cittadella, direzione Lago perché Adonis non sa stare fermo un momento, senza combinare pasticci.
L'aria è ancora fredda. Il vento trapassa le ossa, facendomi rabbrividire. Adonis, al mio fianco, non sembra interessarsene, anzi. Saltella sul posto, guardandosi attorno. Si abbassa a cogliere delle bacche, ma lo tiro indietro, prendendolo per il bavero della camicia. «Sono velenose, idiota. Potresti rimanerci secco.»
Lui si imbroncia e arriccia il naso. Un'espressione delusa gli si dipinge sul volto. «Un gran peccato, avevano un così bell'aspetto.»
Ben presto ci avviciniamo al lago. La cascata si tuffa nelle sue acque con forza. Alcuni piccoli arcobaleni si formano alla base e schizzi d'acqua zampillano all'interno, creando un gioco di colori mozzafiato. Ho sempre trovato affascinante questo posto, quasi ipnotico.
Penso che la Foresta, con i suoi piccoli spettacoli e luoghi dimenticati e abbandonati, sia una delle poche cose di cui la città dei reietti possa vantarsi.
La Grande Città non avrà mai un posticino così magico.
Ammetto di essere abbastanza stanco dopo la prova, ma la voglia di immergermi in quelle acque fredde e cristalline mi ristora di colpo.
Adonis saltella sul posto, felice. Si sfila le scarpe, lanciandole in aria, e le acciuffo prima che finiscano il qualche cespuglio. Altrimenti dopo sarebbe un'impresa cercarle tra le fronde.
Si libera della camicia, lasciandola cadere ai propri piedi e mi ammicca, mentre prende a slacciare i bottoni dei pantaloni. Mi lancia una breve occhiata maliziosa e sorride sfrontato. «Ti unisci a me, tesoro?»
Ho di colpo la gola secca. Vado alla ricerca della fiaschetta di whisky, nascosta all'interno di una delle tasche della mia giacca. Ne prendo un sorso generoso e mi asciugo la bocca.
«Ho dei vestiti puliti nello zaino. Prenderai un mio cambio, nel mentre che laviamo e asciughiamo questi sporchi.» Cambio totalmente discorso. Non so mai come affrontare le avance di Adonis. Mi lascia sempre in difficoltà, in balìa delle emozioni.
E sono sempre sensazioni che non so gestire in alcun modo.
Lui mi si avvicina e mi posa un bacio leggero sulle labbra, casto ma provocatorio, mentre mi accarezza i ricci. «Ti aspetto.» Si libera dei pantaloni e me li lancia addosso.
Storco il naso, confuso. «Sei un fottuto idiota.»
Ormai si è tuffato nell'acqua e, quando emerge, tira i capelli bagnati all'indietro, dopo averli scossi. «Vieni o no, tesoro? Vuoi che ti preghi?»
Lo detesto. Lo detesto con ogni fibra del corpo. Mi spoglio velocemente, combattendo contro il freddo, non prima di aver preso un altro paio di sorsi di whisky. Non voglio sentire le loro voci, quando mi bacia Adonis. Non voglio percepire le loro mani che mi bruciano sulla pelle.Mi immergo sott'acqua e raggiungo poi Adonis, spuntando proprio di fronte a lui. Mi sorride e mi porta le braccia al collo. Inizia a tempestarmi di baci, che ricambio con la stessa foga. Il cuore mi schizza in gola e gli accarezzo appena i capelli, mentre si avvinghia a me, cingendomi i fianchi con le gambe.
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