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𝐎𝐛𝐥𝐢𝐯𝐢𝐨𝐧.

Luglio, il mese che marchierà la mia vita per sempre. Era come se ci fosse stata concessa una tregua. Finalmente, una tregua. Un respiro, un piccolo sollievo, avvolti in un velo di normalità che sembrava ormai così lontano, quasi dimenticato.

Draco passava le sue giornate al pianoforte. Ogni ora, ogni minuto, la sua mente si rifugiava in quelle note. Suonava per liberarsi. E nei suoi occhi, nonostante tutto, qualcosa brillava ancora. Una luce tenue, ma abbastanza forte da trasmettere quella sensazione di spensieratezza che, quando l'avevo incontrato, si portava dietro come un'ombra di felicità.

Entrambi sapevamo che quella luce era solo un'illusione. Ma l'illusione, a volte, è tutto ciò che si ha. E così, ce la siamo stretta tra le mani. Una tregua, un piccolo angolo di pace tra le tempeste. Avremmo vissuto in quel fragile rifugio, tra baci, carezze, parole sussurrate e promesse di un futuro che stavamo costruendo, pezzo per pezzo.

Narcissa, con gli occhi lucidi, aveva sorriso quando Draco le aveva detto che, finalmente, avrebbe portato quella luce nella casa che sognava di trasformare in una dimora di felicità. Il cuore le era esploso di gioia. Eppure, dietro quel sorriso, la paura era sempre lì, come un'ombra che non si staccava mai.

Quando mi chiese di portare anche le mie cose, non esitai nemmeno un istante. Non ci fu nemmeno il bisogno di riflettere. Era un passo che sembrava inevitabile, una conseguenza naturale di ciò che stavamo vivendo.

E così, tra sorrisi e silenzi, il mese si snodò. Un mese che, in qualche modo, sembrava essere miracolosamente positivo. Ogni giorno, una nuova speranza. Ogni notte, il timore che tutto potesse dissolversi in un battito di ciglia. Sapevamo che gli attimi felici sono sempre brevi, intensi, ma brevi. Ed eravamo consapevoli che quel momento di tranquillità non sarebbe durato per sempre.

Un mese dopo.

«Domani alle venti in punto saranno qui.» Lucius spezzò il silenzio pesante che ci avvolgeva, come un manto di nebbia densa e implacabile. Avevamo appena finito di mangiare, e la stanza era immersa in un silenzio che, da solo, urlava. Non c'erano parole da dire, perché le sapevamo già tutte.

«Chi ci sarà?» La voce di Narcissa tremava appena, ma il suo sguardo non lasciava il piatto di cibo che ormai non toccava più.

«Tutti.» La risposta di Lucius fu secca, come una sentenza. Gli occhi di Draco si scavarono ancor più, se possibile. Il suo volto, pallido e segnato dalla fatica, sembrava aver perso ogni traccia di vita. Eppure, non c'era modo di nascondere la paura che si stava facendo largo, visibile, in ogni suo movimento.

La cena si concluse con lo stesso silenzio che l'aveva accompagnata. Gli elfi sparecchiarono in fretta, come se avessero fretta di portarci tutti a letto. E così, ci ritrovammo a salire al piano di sopra, come macchine ben oleate, seguendo una routine che non ammetteva deviazioni.

Erano le dieci di sera. Non avevo sonno, ma in quella casa le regole erano regole, e l'ora di andare a letto era quella. Salimmo insieme al piano di sopra. Prima di lasciarlo andare, però, la sua mano mi afferrò più forte. Mi voltai e lo guardai, sperando che avesse qualcosa da dire.

La cravatta si allargò, i bottoni della giacca si aprirono uno ad uno, il suo respiro divenne più irregolare. Con un gesto nervoso si passò una mano tra i capelli, quasi volesse scrollarsi di dosso un peso invisibile.

«Ascoltami.» Il suo tono era sommesso, come se temesse che qualcuno potesse sentire. Non che ci fosse altro che noi due in quella casa, ma la paura che respirava nell'aria sembrava schiacciare ogni parola.

«Non so cosa succederà domani...» La sua voce tremava, eppure l'orgoglio che sempre lo aveva caratterizzato sembrava volersi nascondere dietro quella vulnerabilità. Non c'era più traccia del Draco Malfoy che conoscevo, forte, arrogante, sicuro. C'era solo un ragazzo spaventato, perso, che cercava disperatamente di mantenere il controllo.

Si avvicinò a me, il suo abbraccio improvviso e intenso, come se volesse trattenermi lì per sempre, nel calore di quel momento. «Ho paura.» La confessione mi colpì come un pugno nello stomaco. Non era mai successo prima. Mai, Draco Malfoy aveva ammesso di aver paura. Ma ora era lì, tra le sue braccia, e io non sapevo come rispondere.

Si allontanò leggermente, il suo volto segnato dalla stanchezza e dalla paura, i lineamenti più evidenti, la pelle grigia come quella di un uomo che non aveva visto la luce del sole da troppo tempo.

«E ho ancora più paura per te.» Il suo tono si fece più cupo, come se quel dolore fosse troppo grande da contenere. «Abbiamo vissuto questi giorni come se tutto fosse solo un brutto sogno... Ma domani... domani non sarà più così. E io ho paura di perderti. Paura di perderti, di sentire cosa ci aspetta. Non voglio che tu soffra...»

Le sue parole mi trafissero. Non era quello che mi aspettavo da lui, ma forse era esattamente ciò di cui avevamo bisogno. Una verità cruda, senza filtri, che mi strappò il cuore.

Quando lo vidi allontanarsi, come se si stesse ritirando dentro se stesso, una rabbia improvvisa mi scosse. Senza pensarci, gli afferrai un braccio e lo tirai a me.

«Draco, non sai cosa darei per vederti fuori da tutto questo...» La mia voce tremava. «Vorrei poterti dare qualcosa che ti faccia star meglio, qualcosa che ti tolga questa paura... Ma non ci sono parole. La forza, la speranza... non bastano. Ma io sono qui. E se domani dovremo affrontare qualsiasi cosa, lo faremo insieme. Non ci sarà niente, nessuno, che ci separi. Noi due, insieme.»

Lo guardai negli occhi, cercando di trovare quel barlume di speranza che avevamo condiviso in quel mese di tregua. Ma quello che trovai era solo una resa silenziosa, una consapevolezza che niente sarebbe più stato come prima.

Ma non mi importava. In quel momento, io e lui eravamo la nostra unica forza. E nulla, nemmeno il mondo intero, avrebbe potuto dividerci.

Non rispose alle mie parole. Non c'era rabbia, né pietà, solo un silenzio che aleggiava tra noi come una nebbia densa. La sua reazione, o meglio, la sua non-reazione, mi consumava più di quanto potesse fare qualsiasi insulto o grido. Perché lo sapevo, lui lo sapeva: neppure io ci credevo a ciò che avevo detto. Le mie parole erano vuote, piene solo di un disperato tentativo di aggrapparmi a qualcosa che, da tempo, sapevo fosse già perduto.

Con una calma gelida, Draco si avvicinò e, senza dire nulla, mi baciò sulla fronte. Le sue mani, fredde e tremanti, mi sollevarono il viso, come a voler trasmettere una carezza che non arrivava mai. Poi, senza parole, mi sussurrò un "buonanotte", quel suono morbido che sembrava impossibile in un mondo come quello in cui vivevamo.

Mi lasciò lì, immobile. Non capivo. Come poteva trattarmi così? Come se quel gesto fosse una salvezza, mentre io vedevo in lui solo un uomo che stava per essere inghiottito dalla sua stessa paura. Un morto vivente, un'anima consumata, e io non riuscivo nemmeno a scuoterlo.

Quel bacio sulla fronte, quella "buonanotte" che non voleva dire nulla se non l'addio di chi non ha più forza di lottare, mi trafisse come un coltello. Un vuoto gelido si aprì dentro di me, un abisso che non sarebbe stato facile dimenticare. La sua morte emotiva era diventata la mia. E la mia anima tremava.

La notte passò veloce, come un'ombra che non dava nemmeno tempo di rifugiarsi nel sonno. Era come se il buio stesso si fosse schierato contro di noi, decidendo che neppure i sogni avrebbero potuto essere il nostro rifugio. Non c'era più spazio per la speranza, nemmeno nel regno dell'inconscio. Solo silenzio, solo paura.

La mattina si fece sentire con una brezza che entrava dalla finestra come un presagio. Un leggero soffio di vento che sembrava l'unica cosa che ricordasse che esisteva un giorno. Ma qui, in questa casa, era sempre buio. Tetro. Oscuro. La luce del sole non si faceva mai largo, e anche fuori, oltre la porta, la sensazione di morte permeava l'aria come un veleno. Draco aveva avuto ragione a chiamarla la "casa dell'infelicità". Era più di una casa: era una prigione, un luogo che inghiottiva ogni speranza, ogni sogno. E anche la ricerca di una boccata d'aria fresca, di una piccola luce, si rivelava inutile. Non c'era nessuna via di scampo.

A colazione, il silenzio era pesante come un macigno. Il cibo, ormai, era solo una formalità. La tensione tra noi era così palpabile che avresti potuto tagliarla con un coltello. I nostri occhi evitavano il contatto, ognuno troppo preso dai propri pensieri oscuri per cercare il conforto in un altro. Ci si nutriva di vuoto, come se la stessa energia vitale fosse stata prosciugata.

Nel pomeriggio, ogni movimento sembrava faticoso, come se l'aria stessa fosse troppo pesante da respirare. Ad ogni minuto che passava, una parte di noi si spegneva. La stanchezza, quella che non si combatte con il sonno, si impadroniva di noi, e l'anima stessa pareva essersi svuotata di ogni energia.

La porta si aprì all'improvviso, squarciando il silenzio. Erano arrivati. I Mangiamorte. Pochi passi, e uno dopo l'altro, entrarono come ombre, come avvoltoi che girano intorno al loro prossimo pasto. Il loro arrivo non ci sorprese, ormai lo aspettavamo. Erano la fine di un percorso che non avremmo mai voluto iniziare, ma che ormai non potevamo più fermare. Ogni loro passo, ogni sussurro, era un altro colpo al cuore, un altro frammento di speranza che veniva infranto. Non c'era più scampo. Solo un abisso senza fondo.

E ora, che erano arrivati, non c'era più niente da dire. Non c'era più spazio per le parole. Solo la consapevolezza che, in un modo o nell'altro, avevamo accettato il nostro destino.


I volti che si affollano davanti a me sono tutti simili, un'espressione di ferro che mi colpisce come una mazzata. Era il volto che avevo portato con me durante il Torneo. Un volto che non avevo mai voluto, ma che ora, con il cuore che mi martellava nel petto, sapevo di aver accettato. La verità mi gelò fino alle ossa. Già facevo parte di loro. Già ero un Mangiamorte. Già ero diventata l'incubo di Draco. E lui non ne sapeva nulla.

La voce di una donna squillò nella stanza, spezzando il mio respiro: "Bene, bene, bene." Il suo tono di scherno ruppe il silenzio, come una lama affilata. Mi raggiunse con una velocità inquietante, e mentre camminava intorno a me, i suoi capelli disordinati sfioravano il mio viso, lasciandomi addosso l'odore di una donna distrutta, divorata dalla follia. "Tu saresti... la grande Serpeverde?" Mi domandò con una risata sardonica, lo sguardo di odio e invidia che mi perforava come frecce.

"Bella..." La voce di Narcissa interruppe la sua, un semplice cenno della testa facendola allontanare. "Lei è Regius Serpeverde, nonché la promessa sposa di tuo nipote, Draco." Le parole mi colpirono come un pugno nello stomaco.

La sua promessa sposa?

Le parole rimbombarono nella mia mente, e lanciando uno sguardo a Draco, cercai di cogliere una risposta nei suoi occhi. Lui, con uno sguardo velato di tristezza, mi fece capire subito che quel momento non sarebbe stato il suo di rivelare la verità. Non ora. Non qui.

Un nodo di gioia mista a terrore mi strinse il cuore, ma mi costrinsi a restare forte, a non cedere a quella morsa che minacciava di spezzarmi. Ma l'ingresso di chi mi avrebbe davvero reclamato come sua creò una scossa dentro di me che nessuna forza al mondo avrebbe potuto fermare.

Siamo tutti seduti, in silenzio, ad ascoltare le sue parole. E mentre il suo sguardo strisciante si fa largo tra noi, non posso fare a meno di chiedermi perché non abbia ancora reagito alla mia presenza. Non c'è tempo per trovare una risposta. Quando il suo nome sfiora le mie orecchie, mi volto di scatto. "Mia bellissima e maledetta Regius," sibilò, mentre strisciava verso di me, seguito dalla sua ombra, Nagini, che mi fissava con occhi di fuoco. L'aria si fece densa, il respiro sospeso.

"Mia preziosa... incantevole bimba." Mi afferrò il mento con la punta delle dita, sollevando la mia testa, come se fossi un oggetto. Ma quella presa, così fredda e implacabile, non riusciva a spezzarmi. Non più.

Lo fissai dritto negli occhi, e per la prima volta in quel luogo oscuro, una scintilla di forza si accese dentro di me. La sua presenza, che un tempo mi paralizzava, ora non faceva altro che rafforzare la mia volontà. Non avevo paura.

"Finalmente ti riconosco," mormorò, la voce strisciante, l'immagine di un altro volto nel suo sguardo, quello che un tempo mi aveva sollevato così. Il volto che, purtroppo, avevo amato.

"Tom," dissi, sorridendo, un sorriso che sentivo venire dal profondo dell'anima. Un sorriso che non era ricambiato da lui, ma che sapevo, in qualche modo, gli giungeva dentro.

"Sono contento di averti qui, ma ora sei mia," rispose, la sua mano accarezzando il mio volto, mentre i Mangiamorte osservavano, alcuni con invidia, altri con un'orribile soddisfazione.

L'atmosfera si fece pesante, il groppo alla gola di tutti visibile, come se ogni anima fosse congelata. Draco, accanto a me, non riusciva nemmeno a guardarmi. Sentivo la sua disperazione, la sua rabbia, ma non potevo fargli nulla. Non ora.

Poi, come se il tempo si fosse fermato, il suo discorso terminò, e il silenzio si fece totale. I respiri si bloccarono. La tensione crebbe, come se fosse possibile tagliarla con un coltello. Fino a quando Severus, con una velocità sorprendente, afferrò Draco da dietro. Tom, o come dovevo imparare a chiamarlo, padrone, mi prese per la gola, stringendomi in un abbraccio che mi soffocava.

A quel punto, Narcissa, ormai incapace di sostenere la scena, corse via, le lacrime che le rigavano il viso. Lucius, fermo e pietrificato, non poté fare altro che guardarla partire, senza muoversi. La scena era troppo crudele per essere fermata. L'unico movimento era il volto di Draco, distorto dal dolore e dalla paura.

Il silenzio regnò. Poi la voce strascicata di Tom risuonò dietro di me, come un veleno che mi penetrava nella carne: "Credevo di essere stato chiaro con te, Regius."

La bacchetta mi puntò, ma ciò che sembrava minacciare tutti, in realtà non mi faceva paura. Il suo sguardo, gelido come la morte, non aveva più alcun potere su di me. Fissai Draco, il suo corpo tremante, il suo viso contorto dal terrore. Ma non mi importava. Tom, nella sua follia, stava perdendo ogni controllo su di me.

"Tu sei mia," disse con voce bassa, ma piena di malvagità. "E lo sarai per sempre." Le sue parole erano l'ultima sentenza.

Le sue parole mi perforano come lame affilate. Il dolore si riversa su Draco, che urla, colpito da un dolore che non posso fermare. La sua angoscia mi trapassa il cuore.

Poi il buio calò definitivamente. "Oblivion!" Un urlo che rimbombò nelle mie orecchie, un lampo che mi colpì dritto al cuore.

La mia mente si svuotò, il tunnel oscuro mi inghiottì, e il mondo intorno a me sparì.

E prima che tutto fosse perduto, l'ultima cosa che vidi fu il suo sguardo. Il suo amore, la sua promessa.

"Okay..."

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