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𝐋𝐞 𝐮𝐥𝐭𝐢𝐦𝐞 𝐨𝐫𝐞. 2

Le settimane trascorrevano a passo lento, come un orologio che sembra fermarsi, eppure il tempo scivolava via tra le dita senza che ci fosse nulla da fare per fermarlo. Le lezioni erano un incubo, ciascuna più faticosa della precedente. Ma poi arrivava l'ora della pausa, e tutto sembrava trovare un respiro.

Era il solo momento in cui riuscivamo a respirare liberamente, lontano dal peso delle aspettative, dalle grinfie del nostro preside che sembrava desiderare solo di spegnere ogni scintilla di giovinezza.

Quella spensieratezza che avevamo una volta, che sembrava quasi innata, era ormai un ricordo sbiadito, sepolto sotto le ombre della nostra realtà.

Eppure, quella dannata pausa... quella pausa era diventata il nostro rifugio.

"Già stanco morto," mormorò Blaise, buttandosi con nonchalance sul solito divano di pelle nera, il suo sguardo perso nel vuoto. "Piton ci vuole morti, altro che."

"Fa solo quello che ha sempre desiderato," rispose Pansy, la sua voce piena di disprezzo. "Il piccolo dittatore che non ha mai avuto il controllo su niente e ora si crede l'imperatore."

Si fece una pausa, poi afferrò la Gazzetta del Profeta dal tavolino e la sfogliò distrattamente, come se niente potesse davvero attirare la sua attenzione. Fino a quando, a un certo punto, il suo sguardo si alzò, e ci fissò con uno stupore che non riusciva a nascondere.

"Avete davvero superato due mesi insieme?" chiese, una smorfia che si faceva strada sulla sua faccia. "O continuate a tradirvi a vicenda? Non riesco a decidere se siete più ridicoli o impressionanti."

Il tono che usò era tanto pungente quanto la sua espressione. Eppure, c'era qualcosa di strano nei suoi occhi, un mischiarsi di curiosità e malizia, come se stesse aspettando di vederci crollare, pronto a raccogliere le macerie del nostro equilibrio.

Non potevo fare a meno di sentire un groviglio di emozioni mentre osservavo Draco. Il suo modo di rifiutare l'invito di Amelia mi lasciava perplessa, ma c'era anche una parte di me che capiva. Avevamo bisogno di momenti di intimità, lontano dagli sguardi curiosi e dai commenti sgradevoli di chi non conosceva la verità sul nostro amore.

«Perché non vuoi andare?» gli chiesi, cercando di mantenere un tono neutro, anche se la mia curiosità era palpabile.

Draco si girò verso di me, il suo sguardo era profondo e serio. «Perché voglio stare con te. Solo noi due. Non mi interessa il resto. La cena può aspettare.»

Le sue parole mi scaldarono il cuore. In un mondo dove tutto era confuso e complicato, lui era la mia costante. Fui sopraffatta da un'ondata di affetto e gratitudine, e in quel momento, il peso delle aspettative altrui svanì.

«D'accordo,» risposi, sorridendo. «Facciamo quello che vuoi. Solo noi due.»

Draco allungò una mano e afferrò la mia, conducendomi verso un angolo più tranquillo dell'aula, lontano da orecchie indiscrete. Lì, tra le ombre dei telescopi e le costellazioni che avevamo appena studiato, ci sentivamo come se il mondo esterno fosse scomparso.

«Sai,» iniziò Draco, il suo tono era più leggero, «non posso fare a meno di pensare a come tutto è cambiato. Da nemici a genitori, e ora... qui, insieme, come se nulla fosse cambiato, ma in realtà è tutto diverso.»

Annuii, il mio cuore si riempì di nostalgia e speranza. «Sì, è incredibile. È come se il nostro passato ci avesse preparato per questo momento, per essere migliori, per noi e per nostro figlio.»

Le sue dita si intrecciarono con le mie, e in quel semplice gesto trovai conforto. «E voglio che nostro figlio sappia quanto ci amiamo, quanto siamo disposti a combattere per lui. Non importa cosa dicono gli altri.»

Un sorriso si fece strada sul mio viso. «Siamo una famiglia, Draco. E questo è tutto ciò che conta.»

In quel momento, mentre i nostri occhi si incontravano e il mondo esterno continuava a girare, sentii che eravamo pronti ad affrontare qualsiasi cosa insieme. L'amore che avevamo costruito, nonostante le avversità, era la nostra forza.

«Allora, che ne dici di un piccolo piano per la cena?» proposi, cercando di alleggerire l'atmosfera.

Draco sorrise, quel sorriso che mi faceva sempre battere il cuore. «Sì, ma solo se includiamo un momento per guardare le stelle. Voglio che il nostro bambino sappia da dove viene, e che il nostro amore brilla più di qualsiasi costellazione.»

E così, mentre l'eco delle risate dei nostri compagni di casa si affievoliva, ci perdemmo nei nostri sogni. Non importava se il mondo esterno non approvava; noi avevamo trovato il nostro posto, e in quel piccolo angolo del mondo, eravamo esattamente dove dovevamo essere
«Okay, okay ragazzi, darò il punto ad entrambi! E vi faccio i miei complimenti! Perchè quella costellazione è difficile da individuare in questi mesi. Essa è molto più visibile nei mesi di Luglio e Agosto, e fino alla metà del mese di Settembre. Quindi congratulazioni. Assegnerò dieci punti a Serpeverde.» Aurora Sinistra ci guardava con un sorriso smagliante mentre assegnava i punti.
Mentre dall'altra parte dell'aula sentivamo i Tassorosso ribellarsi per averla individuata anche loro.
Ma era come se Sinistra sapesse che per noi contasse tanto quella parte di stelle, e che fosse semplicemente nostra.

La lezione proseguì e ogni tanto Draco mi puntava col suo sguardo magnete.
Da lontano mi sorrideva e poi tornava serio.
Mi faceva diventare matta ogni volta. Era impossibile decifrare quei suoi cambiamenti d'umore. Ma poi la lezione finì e Sinistra ci aveva dato del tempo per mettere i nostri telescopi al proprio posto.
E così piano piano la classe iniziò a sciogliersi, fino a quando rimanemmo davvero in pochi.

«Ci siete ragazzi?» Disse Amelia sotto le braccia di Blaise. «Tra un'ora abbiamo la cena, e noi pensavamo di andare prima a fare una doccia e poi fuori nel cortile a bere qualcosa. Blaise ha portato con se un liquore da casa. È spaziale ve lo garantisco. Quindi, andiamo?»

Stavo per dirle di sì. Anch'io avrei voluto farmi una doccia. Dovevo togliermi la pesantezza della giornata con una mezz'ora in ammollo nella mia vasca. E poi mi sarebbe piaciuto staccare un po' la spina con un bicchiere di liquore. Ma Draco mi precedette con velocità, e declinò l'invito. Ci rimasi male e guardai i suoi occhi, poi guardi anche la sua bocca determinata e sicura di quello che stava dicendo e confusa lo lasciai fare.

«Okay, a dopo allora fratello.» Blaise lo salutò e poi passo a scompigliarmi i capelli come un saluto fraterno. Gli sorrisi e feci lo stesso anche con Amelia. Lei ricambio e nonostante il nostro allontanamento sembrava che tutto stesse tornando al proprio posto.

«Allora, vuoi spiegarmi?» Passai poi all'enigma di poco tempo prima. Poiché Draco era sempre un enigma. E mi sedetti su un banco con le braccia conserte pronta ad ascoltarlo. «Sembrava divertente!»

Lui non si mosse per nulla dalla sua postazione. E in silenzio era ancora intento a sistemare i libri nella sua sacca assieme al telescopio. A volte quella sua precisione mi faceva andare di matto.

«Ohh, ci sei?» Gli passai una mano davanti il viso e notai che nulla riusciva a distrarlo.
«Che hai, si può sapere?» Perciò di botto lo strattonai, e posai una mano proprio lì. Sulla sua intimità.

«Così no eh.» Rise. «Non vale» Aggiunse mordendosi il labbro.

«Vuoi dirmi perché rifiuti un invito divertente se poi resti in silenzio tra i tuoi dilemmi interiori?»

«Stavo solo pensando.»

«Pensando?» Feci una smorfia.
Si lui pensava, e anche tanto. Ma non lo faceva mai davanti a me.
Per lui quella era una dimostrazione di debolezza, perciò non capii e storsi il naso.
«Tu non pensi mai con me.»

«Infatti non pensavo, hai ragione.»

Non ci stavo capendo più nulla. E quindi sbuffai.
«Oh tieniti pure i tuoi segreti. Raggiungo gli altri.» Dissi poco dopo prendendo la mia roba.

«Ma non vuoi sapere cosa facevo?»
Lui alzo di più la voce. Gli dava fastidio essere snobbato. Lo conoscevo troppo bene. E quindi arrivai al mio obbiettivo.

«Si che lo voglio, ma non ti chiederò più nulla. O parli o me ne vado.» Dissi perciò ancora di spalle.

In un soffio mi ritrovai la sua testa perfettamente incastrata nell'incavo del mio collo.
Era silenzioso e poi di getto confessò quello che stava facendo. «Stavo solo decidendo in che angolo di questa stanza volessi scoparti.»

Mi girai di scatto. Non riuscii a nascondere il mio sorriso. Eppure per quanto desiderassi di farlo proprio come le prime volte, cercai di mordermi le guance. Ma risultò inutile. Poiché mi sentii avvampare e poi essere completamente rapita dai suoi spostamenti.

Lo seguivo con gli occhi. Stava spostando dei banchi. E in un attimo mi ritrovai a cavalcioni su di lui con una stretta ai fianchi.

«Ti farà freddo, ma fa parte del gioco.» Disse infervorato prima di posarmi sui banchi. «Ti piacerà vedrai.» aggiunse infine prima di dedicare la sua bocca solo sul mio corpo.

Mi stesi suoi banchi. Lui prese a fare quello che faceva sempre bene: stupirmi.
Passo a baciarmi il lobo dell'orecchio e poi il collo. Scendeva sempre di più e lo faceva lentamente.
Con le mani, era già arrivato dentro l'elastico delle mie mutandine e accarezzava quella parte con una confidenza estrema. Toccava proprio quei punti in cui gemevo con tutta me stessa. E a quanto pare avevo capito il suo piano.

Con quei punti li, non avrei avuto più freddo. Perché in un lampo, sarei diventata un fuoco, e ci saremmo riscaldati con i nostri ardori.

«Prendimi.» Dissi subito dopo.
La sua mano lasciò la mia bocca. Mi accarezzo i capelli, riavviando dietro l'orecchio le lunghe ciocche rosse. Rise e io sentii ancora di più il calore del suo respiro sul mio stomaco nudo.

Prese a baciarmi più vigorosamente, prima i fianchi e poi scendendo di più, le natiche. Stuzzicò la parte interna delle mie cosce e poi di punto in bianco si fermò. Mi sembrò strano questo cambiamento di programma, ma poi capii. Voleva farmi innervosire, sapeva quanto avessi bisogno di lui in quel momento e quindi voleva che lo supplicassi.

A lui piaceva essere supplicato.

Ma non in quel momento. In quell'istante non glie lo avrei permesso. Doveva solo morire dalla voglia di fottere me. E non il contrario, anche se dapprima ero già sotto un treno per la voglia di averlo.

«Non fai niente?» Disse infervorito. Aveva più sete del mio corpo che di acqua in un deserto.
Ma non dissi nulla. Avevo le gambe semichiuse. E l'intimo ancora addosso. Sarebbe bastato poco per farlo tornare in azione, e invece il quel momento, decisi di stare al suo gioco.

Voleva essere desiderato? E allora lo avrei accontentato. Scesi dai banchi e mi disposi difronte a lui. Scesi lentamente sempre con lo sguardo piantato nei suoi occhi e successivamente mi appoggiai sulle ginocchia. Senza dargli tempo di capire, gli sbottonai la cinta, e gli sfilai i pantaloni.
Ora a contatto con il mio viso sentivo la sua erezione. Premeva e pulsava.
Mi guardai intorno e mi assicurai l'isolamento.
In seguito procedetti.
Sfilai anche le mutande, e oralmente lo feci affannare. Respirava come un toro davanti a delle luci rosse, e irruente perse la sua sfida.

«Vieni, vieni.» Disse subito sollevandomi da terra con più forza di quanto gli avessi mai visto. Di gran fretta mi ripose sui banchi, e tento di spalancare le mie gambe, ma con la stessa forza cercai di resistere.

«Che fai?» Mi chiese confuso.

Non risposi continuai a fare la seria.

«Apri.» Diceva. «Dai.»

«Ora supplichi me?»

Lui capii il mio gioco. O meglio, la mia vendetta.
Così, si avvicinò al mio orecchio, e con la sua solita voglia di non perdere mai mi sibilo testuali parole: «Ti sbatterò così tanto» fece una pausa «che mi pregherai di farlo più forte per quanto gemerai.»

Le farfalle non svolazzavano più, al contrario, martellavano. Lo stomaco mi bruciava per l'eccitazione e il cuore ormai batteva in gola.

Quando si diresse verso il mio viso si leccò le sue labbra e le mani e poi iniziò di nuovo la più grande magia. Era dentro di me. Entrò piano e poi dirompente. E quell'armonia s'insinuò in noi come se non vedesse l'ora di farlo.

Ma ad un tratto, una scossa simile ad un lampo arrivò dritta sul mio collo. E poi una seconda, e una terza e poi una serie di immagini rapirono la mia mente.

Non vedevo più gli occhi di Draco infuocati, ma meglio ancora vedevo noi due che ci amavamo in un altro contesto. In seguito vidi un brutto litigio, e poi il primo e il secondo, e poi un'altro nostro bacio. Successivamente vidi noi due a Hogsmeade, e ulteriormente nella doccia ad assaporarci a vicenda.

Le immagini finirono. E le scosse scomparvero.

Tentai di fermare Draco, ma lui non smetteva affatto. Allora lo strattonai e ancora incredula dissi: «Le hai viste anche tu?»

Lui sbuffò e disse: «Dopo. Dopo le guardiamo quelle stelle.» E riprese i suoi movimenti. Era forte, energico e tanto affiatato. Tornò a baciarmi le labbra come se non ne avesse mai abbastanza, e poi di lampo anche lui chiuse gli occhi.

Si era fermato. E il suo corpo gelò in un istante.
Vide anche lui qualcosa, ne ero certa.

«Dio.» Disse subito dopo avergli aperti.

«Le-le... le hai viste?» Chiesi portando le mani davanti la bocca. Ero stupita.

«Si.» Mi confermò. «E ne voglio ancora.»

Riprese a muoversi dentro di me. Poi mi baciò di nuovo e lo fece con tutta la passione e l'amore possibile.
Fino a quando quei lampi presero entrambi, e no non ci fermammo. Insieme ora nelle nostre menti, guadavamo la nostra storia passata, senza fermare il nostro fervore.

Tutti i ricordi obliviati erano tornati. E questo voleva dire solo una cosa: chi ci aveva fatto questa maledizione stava diventando sempre più debole.

Pensai subito a Harry e ai suoi amici. Avevano rotto i primi Horcrux, ne ero certa, quanto a Piton, il suo cuore era ancora sotto tortura per aver ucciso la persona che lo aveva trattato come un figlio. E per questo si torturava da solo.

Le immagini non finivano più. E non appena entrambi esplodemmo di piacere tornammo alla realtà.

«Erano i nostri ricordi quelli?» Chiesi con una fitta al cuore.

«Si.» Rispose serio. Non sembrava tanto felice. Affatto. Draco odiava i ricordi. Non aveva avuto mai nessun ricordo felice prima di me, e per questo non riusciva mai a evocare il suo Patronus.

«Che hai?»

«Niente.» Si rivestì. Non disse altro. Prese la sua roba e scomparve poco dopo dietro la scalinata che portava di sotto.

Mi aveva lasciata sola, e non ne capivo il senso.

                                          ***

Il giorno seguente, ci ritrovammo di nuovo a lezione, con il peso degli esami che gravava su di noi come un macigno. Dovevamo dimostrare di aver sfruttato il tempo passato a casa, ma io mi sentivo completamente vuota, come se i ricordi fossero evaporati nel nulla.

I miei voti erano crollati in un baleno, e con essi anche quelli di Draco. Blaise, che aveva sempre faticato con la scuola senza mai preoccuparsene troppo, sembrava immune a questa tempesta. Amelia, sempre al limite dell'"Accettabile", non mostrava alcun interesse nel migliorare le proprie prestazioni. Ma noi eravamo diversi: le nostre valutazioni erano un riflesso della nostra lotta interiore.

Volevamo di più, e quel desiderio si trasformava in una tortura incessante.

Draco, in breve tempo, tornò a essere il solito ragazzo insopportabile. Io, da parte mia, ero sopraffatta dallo stress, e nessuno dei nostri amici sembrava capirci.

Era già dicembre, eppure l'ombra di quel maledetto settembre continuava a pesarci addosso.

«Noi andiamo a Hogsmeade. E voi?» Pansy ci guardava dall'alto di un tavolino sistemato tra le poltrone, un misto di preoccupazione e curiosità negli occhi.

«Lasciali stare, Parkinson. Non vuoi finire come quel pesce appeso al muro, vero? Li conosci, potrebbero gelarti all'istante con un solo sguardo. Lasciamoli in pace,» intervenne Blaise, cercando di smorzare la tensione.

Le sue parole, anche se forse non del tutto appropriate, avevano il potere di rasserenarci, anche solo per un attimo.

Finalmente, il destino sembrava sorriderci: Piton aveva concesso una serata a Hogsmeade, e quasi tutti gli studenti avrebbero lasciato quella prigione senza pensarci due volte.
Era giunto il momento di sfogarci, di liberarci da tutta quella frustrazione accumulata.

«Posso avere l'onore di capire, stronzo?» dissi, non appena gli altri si allontanarono dalla sala.

«Dici a me?» Draco non alzò nemmeno lo sguardo, concentrato su un tema di Trasfigurazione.

«Sulla Torre. Mi hai lasciata sola. Dopo... insomma, perché?» Parlai a singhiozzi, ogni parola pesava come un macigno, mentre lui continuava a scrivere, completamente assorbito.

«Non ricordo,» rispose secco, lo sguardo ancora fisso sui fogli. La sua indifferenza mi fece esplodere.

Mi avvicinai a lui, afferrai la sua penna e la scagliai via. «Sei una bambina,» disse, riprendendo l'oggetto con una calma irritante. Si contorse per trovare una posizione comoda, come se non fossi nemmeno lì.

«Basta!» esclamai, il nodo alla gola diventava insopportabile. «E mollala!» lanciai di nuovo la penna, la rabbia che ribolliva dentro di me. «Ora mi ascolti! Non puoi lasciarmi lì da sola! Non puoi!»

«E perché no? Sei abbastanza grande e vaccinata per scendere giù da sola.»

«Ma sei serio?» chiesi incredula, il cuore che pulsava nella mia gola.

«Ti sembra che stia ridendo?» La sua espressione beffarda tornò, e in un attimo di frustrazione, lo schiaffeggiai, colpendolo in pieno sul volto.

Il segno della mia mano si stampò sulla sua guancia, rossa di indignazione. Ero furiosa, delusa e profondamente amareggiata. Come poteva trattarmi in quel modo?
Lui si accarezzò la guancia, e i nostri sguardi si incrociarono come due avversari sul campo di battaglia. Chiuse i suoi materiali scolastici e si allontanò, dirigendosi verso il suo dormitorio.

La porta si chiuse con un tonfo che sembrava rimbombare nel mio cuore. Un mix di rabbia e vulnerabilità mi assalì. Non potevo credere che Draco avesse avuto l'audacia di lasciarmi in quel momento, come se le mie emozioni non contassero nulla.

«Ma che diavolo gli è preso?» mormorai tra me e me, ignorando gli sguardi curiosi degli altri studenti che si affollavano nei corridoi. Avevo bisogno di sfogarmi, di allontanare quel nodo alla gola che mi soffocava.

Mi girai verso la finestra, cercando di respirare profondamente per calmare il tumulto nel mio cuore. Il paesaggio di Hogwarts, magnifico sotto il cielo grigio di dicembre, non riusciva a distrarmi dalla mia frustrazione. Era come se un pesante velo di malinconia coprisse tutto.

«Ehi, tutto bene?» mi chiese Pansy, avvicinandosi con cautela. La sua voce era morbida, ma non potevo sopportare la sua pietà in quel momento.

«Non è affar tuo,» risposi bruscamente, girandomi per tornare a osservare il panorama. Pansy si fermò, sorpresa dalla mia reazione, ma non si allontanò.

«Sai, non ti fa bene litigare così con Draco. È solo un po' stressato per gli esami,» cercò di difenderlo, ma le sue parole mi infastidirono ulteriormente.

«E questo giustifica il suo comportamento? Lasciami sola, Pansy. Ho bisogno di pensare.»

Dopo un momento di silenzio, Pansy infine si allontanò, lasciandomi sola con i miei pensieri. Feci un respiro profondo e chiusi gli occhi, cercando di trovare un po' di chiarezza in quel caos. Dovevo affrontare Draco, farmi sentire, ma come avrei potuto farlo senza lasciarmi sopraffare dalle emozioni?

Mentre riflettevo, il campanello della cena suonò, e il resto degli studenti cominciò a muoversi verso la sala da pranzo. Sapevo che avrei dovuto unirli, ma l'idea di rivederlo mi bloccava.
Decisi di restare un altro momento da sola, sperando che il tempo potesse calmare le mie acque agitate. Ma sapevo che, prima o poi, avrei dovuto affrontare la verità: non potevamo continuare a ignorarci, né a ferirci in quel modo.

La mia mente tornò a ripercorrere i ricordi della Torre. Forse era stata solo una svista, un errore di comunicazione, ma il peso di quelle parole non dette pesava come un macigno. Dovevo trovare un modo per parlare con Draco, per capire cosa stesse succedendo dentro di lui.

Con un sospiro, decisi di alzarmi e dirigermi verso la sala da pranzo. Non sapevo cosa avrei trovato, ma sapevo che non potevo più fuggire. La verità doveva venire a galla, e io ero pronta a scoprirla, costi quel che costi.

«Te ne vai?» gridai alle sue spalle, la voce carica di emozione. «Ritorni a scappare? È questo che insegnerai a nostro figlio? A lasciare sola la sua donna e a fuggire dalle proprie responsabilità?»

Draco si fermò per un attimo, indeciso. Non sapeva se girarsi e rispondermi o continuare a ignorarmi. Lo osservai mentre abbassava il capo, i suoi passi che lo portavano giù per le scale del dormitorio, e sentii un nodo stringersi nel petto. Ogni passo che allontanava il suo corpo sembrava risuonare come un eco della nostra frattura.

Erano le ventuno. Mancava solo un'ora al rientro degli altri, e la mia mente si affollava di pensieri confusi. Rimuginavo sulla nostra discussione, cercando di capire dove avessi sbagliato. Ma, come sempre, Draco era un enigma avvolto in un mistero; dovevo decifrare il suo cuore, ma in quel momento sentivo solo confusione.

Non siamo più adolescenti; non possiamo permetterci di rovinare tutto per questo orgoglio insopportabile. Dobbiamo farlo per il nostro amore, per nostro figlio.

Con determinazione, uscii dalla mia stanza. Le scale a chiocciola sembravano allungarsi sotto i miei passi, il cuore che batteva forte in petto. Scesi i primi due piani, poi mi diressi verso il terzo, dove sapevo che si trovava. Alla fine del corridoio, intravidi la sua chioma platino spuntare all'improvviso.

Il cuore tornò a battermi in gola. Capii che anche lui si stava avvicinando.

«Ciao,» disse, un sorriso imbarazzato che cercava di mascherare il suo disagio. Mi prese per mano, conducendomi nella sua stanza.

«Quindi, ho ragione io,» affermò, con un tono provocatorio che cercava di sdrammatizzare.

«No, non significa questo,» ribattei, cercando di mantenere la calma.

«E che cosa significa, allora?» Incrociò le braccia, lo sguardo sfidante. Mi sdraiai sul suo letto, nervosa come una bambina capricciosa. «Stavo per venire da te per chiarire. Volevo solo mettere da parte l'orgoglio.»

«Mh. Okay,» disse, ma le sue parole erano più un modo per chiudere la questione che un vero compromesso.

«Va bene,» dissi, rendendomi conto che avevo sbagliato a colpirlo. Sapevo che i miei comportamenti lo infastidivano. «Volevo scusarmi per gli schiaffi,» aggiunsi, alzandomi di scatto e correndo ad abbracciarlo.

Lui rimase con le mani nelle tasche, ma mi strinse con dolcezza. Baciò la mia fronte, un gesto che mi fece sentire un po' più al sicuro, ma poi si allontanò di nuovo.

«Voglio solo capire, Draco. Non possiamo più comportarci come bambini.»

«Lo so,» rispose, fissando un quadro appeso alla parete.

Era una foto di noi due con Scorpius. L'immagine si muoveva, catturando il sorriso più bello che avessi mai visto sul volto di Draco. I suoi occhi brillavano di lacrime di gioia, e in quel momento, il mio cuore si riempì di calore.

«Quindi?» chiesi, interrompendo l'incanto.

«È complicato. In realtà, lo è per me.»

«Dimmi qualcosa che non so!» esclamai, cercando di portare un po' di leggerezza.

«Sono serio. Abbastanza serio.» La sua espressione cambiò, e il suo viso, di solito così sicuro, mostrava solo amarezza.

«Ho visto una cosa tra i nostri ricordi.»

Ero andata ufficialmente nel pallone. Erano tanti i ricordi... come potevo trovare un mio errore tra tutti?

«Tu promettevi una cosa a mia madre. Era un voto infrangibile quello che ho visto.»

I miei occhi si illuminarono. Tornai indietro nel tempo, richiamando alla mente quelle immagini. Le gambe cedettero, e quasi persi i sensi.

«Draco!»

Lui mi afferrò in tempo, sostenendomi. Avevo la vista offuscata; davanti ai miei occhi si materializzò l'immagine di sua madre supplicante.

Era vero. Avevo promesso a Narcissa di proteggere Draco. L'avrei difeso dinanzi a tutto, soprattutto davanti alla morte. Mi sarei sacrificata per lui. Questo era ciò che avrei fatto per tutti, per il nostro amore, per nostro figlio.

«Non posso lasciarti andare, non posso,» dissi, la voce tremante.

«Lo so, Phyton. Ma dobbiamo affrontare questo insieme. Non possiamo permettere che il nostro orgoglio ci distrugga.»

Già sapevo che la strada non sarebbe stata facile, ma in quel momento, mentre mi stringeva a sé, capii che avremmo affrontato qualsiasi tempesta, insieme.

«Non possiamo continuare a nasconderci dietro le nostre paure,» aggiunsi, guardandolo negli occhi. «Siamo più forti di così.»

Draco annuì, un sorriso appena accennato che illuminò il suo volto. «Sì, lo siamo. E prometto che non scapperò più. Affronteremo tutto, mano nella mano. Non ci sarà più spazio per le scuse, solo per l'amore e la comprensione.»

In quel momento, il peso dei nostri conflitti sembrò alleggerirsi, e una nuova determinazione si fece strada tra di noi. Sapevo che, qualunque cosa ci attendesse, avremmo trovato la forza di affrontarla insieme, uniti come una vera famiglia.


Ecco una versione più avvincente e con un ritmo narrativo più teso:

Non appena ripresi conoscenza, i suoi occhi mi colpirono di nuovo. Erano spenti, ma c'era una preoccupazione profonda in essi, un misto di tristezza e delusione che mi lacerava il cuore.

«Credevi... che non fossi capace di... di proteggermi da solo?» La sua voce tremava, e io sentivo ogni parola come una scossa dentro di me.

«No! No!» Risposi senza voce, prendendo le sue mani con forza. «No, amore, tu sei fortissimo. Non sai quanto ti invidio per la tua forza.»

Lui scosse la testa, gli occhi pieni di una rabbia che non riusciva a nascondere. «Tu lo sai che tutti mi vedevano così. Un bambino viziato, sempre protetto dal padre, sempre nascosto dietro la sua ombra!»

«Beh, tesoro...» iniziai, cercando di fare luce in quella tristezza che ci separava. «Ricordo bene che dicevi sempre: 'Mio padre lo verrà a sapere!'» aggiunsi, un sorriso che cercavo di mascherare sotto il peso della situazione.

Lui sbuffò, una rabbia soffocata che tremava nelle sue parole. «Lo dicevo per spaventare! Mio padre era il tipo che lasciava il segno a chi osava mettermi i bastoni tra le ruote... lo sai bene.»

«Lo so,» risposi, e il mio sguardo si fece più serio. «Ma non ho mai pensato questo di te. Non ti ho mai visto così. Non sei un bambino viziato, Draco.» Un respiro profondo, poi sospirai. «Ma dovevo prometterlo a tua madre. Quell'anima tormentata aveva bisogno di sentirsi rassicurata. E, comunque, ti proteggerei sempre, anche se non ce ne fosse bisogno.»

Draco si mordicchiò il labbro, una furia silenziosa che bruciava dentro di lui. Si scusò ancora per avermi lasciata da sola sulla Torre, ma il suo orgoglio era stato ferito più di quanto volesse ammettere. Non sopportava l'idea di essere trattato come un bambino, anche se in fondo lo sapevamo entrambi: lui sapeva proteggersi. Ma nessuno avrebbe mai potuto prevedere quanto sarebbe stato doloroso per lui affrontare da solo quella battaglia.

Tre mesi passarono, e marzo arrivò con un cielo grigio e minaccioso. L'emergenza che ci aveva fatto tornare alla dimora di Draco era ancora un mistero per me. Non sapevo cosa ci stesse aspettando, ma il senso di inquietudine era palpabile.

Quando entrammo, Lucius Malfoy ci accolse con un'espressione che non avevo mai visto prima. Il suo sopracciglio era sollevato come se volesse sfidare l'intero mondo. Un sorriso malizioso gli solcava il volto, sprigionando una potenza e una supremazia che non potevano passare inosservate. Dietro di lui, Narcissa ci guardava, gli occhi pieni di supplica, come se ci stesse pregando di restare in silenzio.

Draco ed io ci scambiammo uno sguardo. Non capivamo cosa stesse accadendo, fino a quando, senza preavviso, lei apparve. La stessa donna che aveva invaso la nostra vita con rabbia e ostilità solo pochi mesi prima.

«Sorpresa,» disse, la sua voce suonava più gelida del solito, mentre stringeva con forza il braccio attorno a una figura che non riuscivo a identificare subito.

Poi, come se il tempo si fosse fermato, la figura si rivelò. Hermione.

I miei occhi non vollero credere a quella scena. Il mondo sembrò rallentare intorno a me, mentre il respiro mi mancava. Hermione, la stessa Hermione che avevamo lasciato alla sua vita, era lì, prigioniera, come una pedina in un gioco che non capivamo. Il mio cuore batté forte, mentre una marea di domande e preoccupazioni mi travolgevano.

Cosa stava succedendo davvero? E cosa significava tutto questo per noi?

Ho cercato di rendere il testo più teso e avvincente, mettendo l'accento sul conflitto interno dei personaggi e sull'incertezza della situazione, mentre i dialoghi rimangono carichi di emozioni. Se desideri altre modifiche, fammi sapere!

Lucius si avvicinò a noi con passo veloce, gli occhi brillanti di eccitazione. «Seguitemi,» ordinò.

«Cosa sta succedendo?» chiese Draco, stringendomi la mano con una presa forte, che tradiva la sua paura. Lucius non rispose, ma ci fece entrare nel salotto, che appariva stranamente buio, come se l'oscurità stessa si fosse radunata al suo interno.

Quando i nostri occhi si abituarono alla penombra, lo vedemmo: Harry Potter. Era lì, legato e malridotto. Il suo volto, un tempo riconoscibile, era ora deformato, come se fosse stato schiacciato da una forza misteriosa. La pelle lucida e rosea, i capelli neri che gli arrivavano alle spalle, sembravano ormai parte di un altro corpo. La sua cicatrice, un tempo distintiva, era ora tirata, e il suo sguardo evitava il nostro.

Accanto a lui c'era Greyback, che lo teneva fermo con una mano tra i capelli, come se Harry fosse nulla più che una preda. L'aria era densa di tensione.

«Venite,» disse Lucius, con un tono che non ammetteva repliche. Ci avvicinammo a passo lento, il cuore che ci martellava nel petto.

Draco, con il viso pallido come una lastra di pietra, mi guardò brevemente, ma non riuscì a dire nulla. Io, a fatica, riuscivo a respirare. La scena davanti a noi era intollerabile.

Lucius si girò verso di noi, i suoi occhi scintillavano d'impazienza. «Allora, Draco, Phyton... Ditemi, è lui? È davvero Harry Potter?» La sua voce aveva una freddezza glaciale, ma era chiaro che non ci stava chiedendo un'opinione. Stava aspettando una conferma.

Harry ci guardò, il suo sguardo sfuggente. Sapeva che avremmo riconosciuto quel volto, anche se fosse stato ridotto a un'ombra di sé stesso.

«Non so...» rispose Draco, la sua voce tremava, ma era troppo veloce nel dare la risposta che mi fece quasi vacillare. Mi sorpresi nel vedere la sua paura, ma capivo che non riusciva a guardare quel mostro che un tempo era stato un uomo. Non riusciva nemmeno a guardare Harry come se avesse paura di farlo.

Lucius si avvicinò a noi, la sua mano appoggiata sulle nostre spalle in un gesto che doveva sembrare affettuoso, ma che sentivamo più come una minaccia. «Ragazzi,» continuò con voce fremente di eccitazione, «se consegneremo Potter al Signore Oscuro, tutto andrà per il meglio. E non dimenticheremo chi l'ha preso, giusto?»

Greyback, che aveva osservato tutto in silenzio fino a quel momento, intervenne con un ringhio. «Non pensare che tu abbia il diritto di arrogarti il merito, Lucius.»

Lucius non si fece intimidire. «Certo che no,» rispose con una risata nervosa, avvicinandosi al corpo di Harry. La sua faccia si deformò in un sorriso che avrebbe fatto rabbrividire anche i più coraggiosi. Guardò Harry da vicino, come se stesse cercando di scoprirne i segreti più oscuri. «Che gli avete fatto?» chiese a Greyback, il suo tono ora più serio. «Perché è ridotto così?»

«Non siamo stati noi,» rispose il lupo mannaro con tono sordo, ma Lucius non sembrava convinto.

«Sembra una Fattura Pungente,» commentò Lucius, scrutando la fronte di Harry. «Guardate, qui... potrebbe essere la cicatrice, ma è strana... molto strana.»

«Draco, Phyton, venite. Guardate bene. Cosa ne pensate?» Lucius ci invitò a dare un'occhiata, e ci avvicinammo con riluttanza. Non riuscivamo a capire cosa fosse realmente accaduto a Harry, ma la sua pelle contorta e il suo volto deformato erano un chiaro segno che qualcosa di terribile gli era stato fatto.

Draco esitò. Guardò Harry per un attimo, poi mi prese la mano, quasi come se temesse che Harry potesse ancora riconoscerci. «Non so...» ripeté, mentre si girava e mi tirava lontano. Sapevo cosa stava cercando di fare, e non riuscii a fare altro che seguirlo, senza parole.

Nel frattempo, Narcissa, che osservava in silenzio, si fece avanti. «Lucius, dovremmo essere certi che sia veramente lui,» disse con calma glaciale. «Se chiamiamo il Signore Oscuro senza esserne sicuri, rischiamo troppo. La bacchetta di prugnolo che abbiamo qui... non corrisponde alla descrizione di Olivander.»

Lucius sembrava infastidito, ma si rese conto che sua moglie aveva ragione. Un'ombra di dubbio gli attraversò il volto. «D'accordo,» mormorò, «ma siamo sicuri che non sia Potter?»

Narcissa si avvicinò, gli occhi fissi sulla bacchetta. «Questa non è la vera spada di Grifondoro...» commentò, con un sussurro quasi impercettibile. «La vera spada è...»

Lucius la interruppe, agitato. «Non perdiamo tempo, Narcissa. Se lo scopriamo, tutto sarà sistemato.»

Nel caos che si stava creando, un nuovo rumore ci fece voltare. Bellatrix Lestrange era entrata nella stanza, il suo passo sicuro e la sua presenza inquietante come sempre.

«Cosa sta succedendo?» chiese con voce rotta dal suo solito entusiasmo malato. I suoi occhi si fissarono su Hermione, che nel frattempo si trovava vicino a Harry.

«Ah, la Granger,» mormorò Bellatrix, avvicinandosi lentamente. «E quello accanto a lei... è il ragazzo Weasley, vero?»

«Sì,» confermò Lucius, cercando di mettere ordine nella confusione. Ma Bellatrix non sembrava interessata a risposte. Il suo interesse era solo per Harry. «Potter?» strillò, guardando Harry come se fosse la sua unica ossessione.

Nel frattempo, un rumore proveniente dal piano inferiore fece sobbalzare tutti. Era il suono di passi rapidi, e tutti, anche Bellatrix, si girarono di colpo.

Bellatrix, con la bacchetta alzata, sembrava pronta a colpire. Ma una voce da dietro interruppe. «FERMATE!» Un'esplosione di luce rossa attraversò la stanza e la confusione esplose. In un attimo, Harry, Ron e i prigionieri si trovarono nel mezzo di una battaglia furiosa.

Ci ritrovammo tutti in un turbine di azioni veloci e movimenti caotici. Ogni gesto sembrava carico di pericolo. Ma mentre tutto intorno a noi sembrava crollare, io e Draco ci stringemmo ancora di più. Non c'era più tempo per paura, solo per agire.

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