𝐈𝐬𝐭𝐢𝐧𝐭𝐨 𝐨 𝐫𝐚𝐠𝐢𝐨𝐧𝐞?
PHYTON'S POV
Era giovedì sera, le otto passate. La scuola era silenziosa, tranne per il crepitio del fuoco nel camino. Mi ero promessa di raccontare ad Amelia del mio pomeriggio a Hogsmeade, ma quando arrivai in sala comune, la trovai seduta vicino a Blaise, assorta in una conversazione animata. Non potevo negarlo, sembravano quasi... perfetti insieme.
Li osservai per un attimo da lontano, incapace di distogliere lo sguardo. Cosa stava succedendo tra loro? Quando mi accorsi che stavo solo perdendo tempo, decisi di interromperli. Mi schiarì la gola con forza, facendo finta di tossire, sperando che notassero la mia presenza.
«Buonasera... ehm, Amelia, vuoi venire?» dissi, cercando di sembrare casuale, ma sentendo una fitta di fastidio dentro di me. Lei mi guardò, sorpresa ma senza un sorriso, come se avesse avvertito una sorta di distanza tra noi.
Arrivammo insieme alla Sala Grande. Mentre raccontavo tutto nei minimi dettagli, Amelia mi interrompe. «Vai piano con le illusioni, Phyton. Draco non è il tipo di ragazzo che sembri frequentare... e, visto che non sei nemmeno troppo vicina a lui, mi sembra che tu possa tranquillamente osservare... quel trio.»
Neville, come mi aspettavo, non era presente. Un senso di colpa mi attanagliò il petto, ricordando le parole di Harry che risuonavano ancora nel mio cuore. Il mio istinto mi diceva di fare qualcosa per aiutarli, di andare da loro. Ma la ragione mi ammoniva di non farlo.
La notte avanzava e tornai nella mia stanza. Era difficile, quasi impossibile, chiudere occhio. Sentivo come se le ombre stessero parlando con me, tirandomi in mille direzioni opposte. Da un lato, la mia indole mi spingeva verso di loro, verso il mio desiderio di fare la cosa giusta. Dall'altro, la ragione mi diceva di restare distante, di non mettere a rischio nulla di più.
Alla fine, la decisione fu presa. Senza pensarci troppo, mi avviai verso il settimo piano, con il cuore che batteva all'impazzata. Dovevo farlo, dovevo vedere con i miei occhi. Non avrei permesso che il dolore di quella situazione mi inghiottisse.
Mi avvicinai alla porta della Sala Comune dei Grifondoro, cercando di muovermi silenziosamente. Il buio mi avvolgeva e il rumore dei miei passi sembrava non fare eco. Ma subito avvertii qualcosa di strano, un sussurro dietro di me. Non mi voltai. Non avevo tempo per questo.
Arrivai finalmente alla porta e sussurrai le parole d'accesso che Ron mi aveva rivelato: «Fortuna Maior». Un colpo secco e la Signora Grassa mi permise l'ingresso. Mi ritrovai in una sala accogliente, con soffici poltrone e un enorme camino che dominava la stanza. Il tappeto rosso vermiglio e oro sembrava brillare sotto la luce fioca. Le pareti, ricoperte da arazzi, raccontavano storie antiche.
Il mio sguardo si spostò velocemente quando sentii un rumore. Il prefetto Percy Weasley scendeva dalla scala a chiocciola. Non c'era più tempo. Dovevo agire. Senza esitazione, mormorai l'incantesimo giusto: «Silencio!». In un battito di ciglia, diventai un piccolo camaleonte che si mimetizzava perfettamente con la colonna accanto.
Percy si fermò, lanciando uno sguardo sospettoso. «C'è qualcuno qui?» mormorò, scrutando la sala.
Nel silenzio più assoluto, restai immobile, ma sentivo il mio cuore battere forte contro il petto. Per fortuna, un rumore in lontananza attirò la sua attenzione. «Chi stai cercando, Percy?» chiese Ron, con tono sarcastico, mentre Harry e Hermione si univano a lui.
Percy si limitò a scuotere la testa, visibilmente preoccupato. «Giuro che ho sentito qualcuno entrare... ma vi tengo d'occhio!» disse prima di andarsene.
Non appena fui sicura che se ne fosse andato, annullai l'incantesimo e mi rivelai. Ron mi guardò con occhi pieni di disappunto. «Miseriaccia...» sussurrò, scuotendo la testa.
«Abbiamo un problema...» aggiunse, rivolgendosi a Harry e Hermione.
«Che ci fai qui?» chiese Hermione con sospetto, fissandomi intensamente.
Harry mi si avvicinò, ancora incredulo, ma con uno spiraglio di speranza nei suoi occhi. «Come hai fatto a... non dirmi che... hai deciso di aiutarci?» La sua voce era bassa, ma piena di emozione.
«Sì,» risposi con fermezza, il mio cuore ora più leggero, ma pieno di una determinazione nuova.
Harry sorrise, guardando Hermione e Ron. «È dei nostri,» annunciò con un sorriso che irradiava un senso di sollievo.
Hermione mi guardò ancora con diffidenza. «Come possiamo esserne sicuri? Chi ci assicura che non sia qui per fare la spia di Malfoy?» chiese, il tono scettico ma preoccupato.
Mi alzai e con voce sicura, risposi: «Ho capito fin da subito la grande responsabilità che Harry ha sulle sue spalle. Dopo tutto, Sirius Black è in sua cerca. E se nessuno può uscire dalla scuola, nemmeno per una vacanza natalizia, la causa è sua. Io non posso aiutarti a trovarlo, ma posso aiutarti a difenderti dai dissennatori. Sono creature letali se non vengono fermate.»
Harry annuì, con l'espressione più seria che avessi mai visto. «Il professor Lupin mi sta aiutando con questo, ma se decidi di unirti a noi, avremo bisogno di tutta l'esperienza possibile.» Si girò verso Hermione, che esitava ancora. «Non voglio più avere a che fare con quei mostri.»
Pochi attimi di silenzio, poi Hermione, pur non completamente convinta, sembrò arrendersi. «Va bene,» disse, con tono amaro. «Ma mi fido di Harry. Spero che tu sappia quello che fai.»
Ci facemmo appuntamento per il giorno dopo, alle sei, nell'aula delle Arti Oscure.
Uscendo furtivamente dalla torre, mi diressi verso la mia sala comune. Passai davanti alla porta e sussurrai: «Purosangue». Quando entrai, mi avviai verso la scala a chiocciola, pronta per tornare al mio dormitorio.
Era fatta. Avevo fatto la cosa giusta, mi dissi, tirando un sospiro di sollievo.
Ma un improvviso battito di mani mi fece sobbalzare. Mi girai di scatto.
Pansy, Tiger, Blaise, Draco e Amelia. Tutti lì, e tutti con uno sguardo che mi perforava l'anima.
Amelia sembrava estraniata, il volto abbassato, mentre gli altri mi fissavano con occhi pieni di furia.
Pansy sorrise, ma era un sorriso gelido. «Bene bene, principessa, dove sei stata?» chiese, la voce tagliente come una lama.
Draco non disse nulla, ma i suoi occhi mi fissavano, pieni di delusione. Non cercai nemmeno il suo aiuto. Non sarebbe arrivato.
Pansy continuò, provocatoria: «Pensi di andare in giro a tuo piacimento, mettendo a rischio i punti della nostra casa, e poi unendoti al nemico?»
Amelia cercò di scusarsi, ma Pansy la interruppe con uno sguardo sprezzante.
«Lasciateci soli,» ordinò Draco, la sua voce piena di rabbia. Gli altri si allontanarono, lanciandomi sguardi minacciosi mentre passavano accanto a me.
«Draco... io... avevo bisogno di parlare con i miei amici,» cercai di spiegare, ma la sua espressione divenne ancora più gelida.
«I tuoi... amici,» ripeté, la sua voce lenta e sarcastica. «Si vede che sei dalla loro parte ora. O sei con noi, o con loro, Phyton.» La rabbia nel suo sguardo era palpabile.
«Non hai capito come funziona, vero?» continuò, il suo ghigno si fece più oscuro. «Non sei più una di noi. Da oggi, sono Malfoy per te.»
Con uno strattone, sparì nell'ombra, lasciandomi sola.
Mi guardai intorno, il cuore pesante. Mi ero illusa di avergli fatto vedere una parte di me. Mi ero illusa che lui capisse. Ma no, era tutto un gioco.
Ero stata solo un altro pezzo nella sua scacchiera.
Ma non potevo demoralizzarmi. Non per lui. Non per Malfoy.
Avrei affrontato tutto da sola, come avevo sempre fatto.
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