𝐈𝐥 𝐬𝐨𝐠𝐧𝐨.
PHYTON'S POV
Inizio sogno
Un buio senza fine mi avvolge, risucchiandomi in una voragine senza fondo. Non c'è via d'uscita, non c'è speranza, solo un abisso opprimente che soffoca ogni pensiero, ogni respiro. È come se la realtà fosse stata cancellata e l'unica cosa che mi rimane è il silenzio assordante della mia mente. Cerco di muovermi, ma non posso. Cerco di urlare, ma la mia voce non trova eco.
Poi, all'improvviso, il dolore cessa.
Apro gli occhi, o forse no. La sensazione è quella di essere sveglia, ma tutto intorno a me è avvolto in un'oscurità densa e palpabile, come una coltre nera che nasconde ogni cosa. L'unica forma che riesco a distinguere è quella di una bambina. È distesa su una superficie fredda e liscia, immobile, quasi fosse una statua. Non posso fare a meno di fissarla, il cuore che martella nel petto, la paura che mi paralizza.
«Ciao...» La mia voce è un sussurro tremante, appena udibile, ma è tutto ciò che riesco a pronunciare.
La bambina alza lo sguardo lentamente. Ha i capelli lunghi e corvini, un viso pallido che sembra scolpito nella porcellana, e occhi vuoti, come se fossero finestre su un abisso ancora più oscuro. Non risponde, ma un istante dopo si alza, e con un movimento improvviso, mi afferra il polso. Non sento calore nella sua presa, solo un gelo che si insinua nella mia pelle, penetrandomi fino alle ossa.
Senza dire una parola, mi trascina via, e il mondo intorno a noi cambia.
Ora siamo nei giardini di Hogwarts. Lo riconosco immediatamente, anche se qualcosa è diverso, qualcosa è sbagliato. L'erba un tempo verde e brillante è appassita, ingiallita, come se il tempo l'avesse divorata. Gli alberi sono scheletri contorti, senza foglie, senza vita. E i prati, che un tempo erano pieni di studenti, sono disseminati di lapidi. L'aria è fredda e immobile, e ogni passo sembra riecheggiare in un silenzio innaturale.
«Ciao, Phyton.» La voce della bambina è sottile, appena un filo di suono, ma risuona nella mia mente come un rintocco funebre.
Mi volto verso di lei, cercando di capire chi sia, ma il suo volto mi sfugge. È familiare, eppure estraneo. Il suo sguardo, però, è quello che mi colpisce di più: un vuoto profondo, un abisso che riflette la mia paura.
«Chi... chi sei?» Chiedo, la voce che tradisce la mia confusione.
«Non mi riconosci?» Dice, inclinando la testa con un'espressione che non riesco a decifrare. Poi abbassa lo sguardo, posandolo sul foro rosso scuro che segna il suo petto. Sangue nero cola lentamente, macchiando il suo vestito candido.
«No...» Ammetto con un filo di voce.
«Avrei voluto dirti così tante cose, ma se non mi riconosci, allora è inutile.»
La sua voce si incrina, e per un attimo, il dolore nei suoi occhi diventa quasi insopportabile.
«Aspetta!» Urlo, il panico che monta in me. «Perdonami, io... non so chi tu sia, ma voglio capirlo! Voglio aiutarti!»
Lei non risponde, ma mi tende una mano.
«Vieni con me.»
Non so cosa fare. Tutto in me urla di scappare, ma il modo in cui mi guarda... non riesco a voltarle le spalle. Così allungo la mano, tremante, e intreccio le dita con le sue. Il gelo che percepisco è ancora più intenso, come se il mio stesso calore fosse risucchiato dalla sua presa.
Improvvisamente, il mondo si sgretola di nuovo.
Ora siamo in un bosco. Gli alberi sono spogli, i rami si protendono verso il cielo come mani scheletriche. La terra sotto di noi è nera, morta, e l'aria sa di muffa e putrefazione. Non ci sono suoni, nemmeno il canto di un uccello o il fruscio del vento.
«Perché siamo qui?» Chiedo, ma lei non risponde. Invece, si ferma e mi guarda con un'espressione enigmatica.
«Stringi la mia mano.»
Sono esitante, ma faccio come mi chiede.
Appena lo faccio, il mio corpo cambia. Sento un dolore lancinante attraversarmi, e poi il gelo. La mia pelle si scurisce, diventando opaca, priva di vita. I miei occhi bruciano, e quando li tocco, vedo che sono neri come la pece.
E poi, tutto cambia ancora.
Sono nel giardino privato della mia infanzia. Il giardino segreto di mio padre. Il profumo dei fiori è inconfondibile, dolce e rassicurante, ma c'è qualcosa di sbagliato. I colori sono troppo intensi, troppo vividi, quasi irreali.
E lì, al centro del giardino, ci siamo noi. Io e Helena. Due figure del passato che sembrano così lontane, eppure così vicine. La scena è familiare: siamo bambine, e stiamo decorando la fontana con i nostri fiori preferiti. Io con le mie rose nere, Helena con il suo delicato agerato blu.
Il cuore mi si stringe.
«Perché mi hai portata qui?» Chiedo, la voce incrinata dall'emozione.
Lei non risponde, ma quando mi volto verso di lei, la bambina è scomparsa.
«Helena!» Grido, la disperazione che monta in me. «Dove sei?!»
Ma invece di una risposta, il mondo si dissolve di nuovo.
Ora sono di nuovo nel bosco, e lei è davanti a me, ma qualcosa è cambiato. Il suo viso è ancora più pallido, il foro nel petto più profondo.
«Devo andare.» Dice, la sua voce spezzata. «È troppo tardi, Phyton. Addio.»
«Aspetta!» Urlo, cercando di afferrarla, ma è troppo veloce.
E mentre svanisce nell'oscurità, mi lascio cadere a terra, il petto che brucia e le lacrime che rigano il mio volto.
«Helena...» Sussurro, la voce spezzata.
E poi, una luce rossa inizia a brillare nell'oscurità, avvolgendomi completamente.
Fine sogno
«Draco...» Il suo nome è tutto ciò che riesco a dire, mentre riapro gli occhi.
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