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Capitolo 7

Mila

Appena i primi raggi di luce filtrarono dalla finestra, aprii gli occhi e rimasi qualche minuto sdraiata sul letto, consapevole di avere molto tempo per potermi preparare.

Non lasciavo mai le tapparelle totalmente chiuse in modo che la stanza si illuminasse il prima possibile.

Appena fui abbastanza sveglia, mi alzai e mi vestii con estrema lentezza.

Nemmeno mamma, che solitamente era la prima a uscire di casa, non era ancora in piedi.

Senza fare colazione, misi le scarpe e uscii di casa con lo zaino sulle spalle.

Fuori circolava qualche macchina, alcune persone correvano o portavano a spasso i cani.

Io invece andai verso il Winter Petals, la fioreria di Carol. Aperta dalle sette di mattina fino alla sera. Quel negozietto di fiori era la sua seconda casa, così come lo era per me.
Aspettai qualche minuto fuori guardando l'insegna e iniziai a chiedermi se c'entrasse qualcosa con la storia sulle ortensie che mi aveva raccontato mamma.

Quando vidi Carol arrivare accompagnata dal tintinnio del suo mazzo di chiavi, non ci pensai oltre.

"Buongiorno Millie. Dovrei darti una copia di chiavi, così non ti lascio congelare al freddo" disse prima di aprire la porta. Accese le luci e mi fece entrare.

Fuori in realtà le temperature non erano poi così basse, ma Carol odiava farmi aspettare. Aveva provato più volte a convincermi di non uscire di casa così presto, ma preferivo raggiungere il suo negozietto prima di andare a scuola, senza badare all'orario.

"Piccola Millie..." Mi guardò da dietro il bancone dove si era appena appostata, sistemando la giacca su una sedia. "Ho saputo che hai iniziato a lavorare... perché non me lo hai detto? Ti avrei fatto lavorare qui da me, lo sai..."

Non avrei mai accettato dei soldi da parte di Carol. Andavo da lei per aiutarla, perché mi piaceva farlo e non volevo alcun resoconto personale.

"Mi basta venire qui quando posso. Voglio solo darti una mano." Annuì comprensiva.

"Come sta andando?" chiese poi iniziando a sistemare qualche vaso esposto in vetrina.

Senza starmene con le mani in mano, mi avvicinai per aiutarla a spostarli.

"Bene, ho conosciuto Mason. È un bambino introverso, ma come biasimarlo... non gli è concesso di esprimersi come vuole. Pensa, Victoria non gli lascia neppure attaccare un foglio sul muro..." raccontai.

"Immagino" commentò lei come se avesse già sentito qualcosa sul suo conto, probabilmente da mamma.

"... dovresti vedere la sua stanza. Le pareti sono scure e spoglie. Mi dà un senso di vuoto. Come può un bambino aprirsi con gli sconosciuti se non può nemmeno farlo nella sua stessa casa?" Il solo pensiero mi rattristava.

"Nessuna famiglia è perfetta. Tu lo sai bene. E sai anche che non puoi farci niente, se non aiutarlo ad affrontare la situazione in modo diverso" disse.

Ci pensai su mentre Carol continuava a spostare i vasi per liberare la vetrina. La sua costante voglia di cambiamento, la portava a sostituire i fiori esposti ogni mese tenendo in considerazione un tema specifico.

La vidi allontanarsi e la seguii con lo sguardo quando tornò con in mano alcuni girasoli.
Sparì di nuovo per andare a prendere altri fiori.

"Ecco qui i narcisi. Simbolo di rinascita e nuovi inizi, perfetto per settembre!" esclamò, mentre li sistemava in vetrina trovando la giusta posizione. "Le calendule. Ci sono diversi miti su questo fiore... Si credeva che fosse un regalo del sole per mantenere lontani il male e la tristezza."

Il suo interesse per i fiori, l'aveva spinta a informarsi non solo sulle loro proprietà, ma anche sulla mitologia. Raccontandomi tutte quelle curiosità non faceva che catturare sempre più la mia attenzione.

La osservavo mentre accarezzava i petali, affiancava i vasi e cercava di mantenere una certa armonia tra le varietà di fiori.

Non ci misi molto a capire che il tema scelto fosse un colore: il giallo. Aggiunse alcuni mazzetti di primule, tulipani, rose, crisantemi...

"Ecco anche le zinnie, associate all'amicizia sincera e alle relazioni durevoli" disse completando il lavoro ed entusiasta uscì dal negozietto trascinandando fuori anche me.

Restammo qualche secondo a osservare la vetrina.

"È come essere colpiti direttamente dai raggi del sole. Proprio quello che ci vuole dopo la fine dell'estate!" commentò soddisfatta.

La maestria e professionalità di Carol mi stupivano ogni volta.

"Sei riuscita a colorare anche un quartiere come questo" osservai.

"Il Bronx si sta trasformando e io rappresento i cambiamenti in vista" affermò.

Carol riponeva fin troppa fiducia in quel quartiere. Nonostante in parte avesse ragione, vi erano comunque vicoli o locali poco raccomandabili.

Casualmente i miei occhi ricaddero sull'orologio appeso alla parete in bella vista. "Devo andare a lezione! Sono in ritardo!" dissi accorgendomi di quanto il tempo fosse passato in fretta.

"Buona giornata, Millie" mi salutò Carol. Corsi a darle un bacio sulla guancia, lei me ne rivolse uno volante mentre uscivo.

🜲

Avevo saltato la lezione di matematica, perché la mia priorità era stata mantenere il mio solito passo lento invece di seguire l'unica materia in cui mi risultava difficile concentrarmi.

Dopo le ore di inglese e storia, mi maledissi mentalmente per essere arrivata in ritardo, ripensando alle volte in cui continuavo a commettere lo stesso errore.

Mi portai il libro di matematica dietro mentro mi dirigevo in mensa.

Preso il vassoio, girai intorno alla sala alla ricerca di un tavolo vuoto, quando qualcuno mi fermò per il braccio costringendomi a voltarmi.

Un ragazzo che non conoscevo mi stava sorridendo. Un sorriso genuino e innocente.

"Ehi Mila, siediti con noi." Con noi intendeva se stesso e una ragazza al suo fianco che mi guardò storto avvicinandosi gelosamente a lui.

"È lei che mi ha preparato il bouquet per farmi perdonare" disse a lei che si rilassò all'istante. 

A quel punto mi tornò in mente il giorno in cui l'avevo visto.

Era entrato nel negozietto di Carol e io mi trovavo proprio dietro al bancone, presa a sistemare i bigliettini su una scatola ordinandoli per colore, dopo che Carol li aveva fatti cadere a terra sparpagliandoli.

Avevo notato fin da subito quanto fosse nervoso e agitato, tremava e a malapena riusciva a spiegare la situazione. Aveva raccontato di aver dimenticato il mesiversario e la fidanzata aveva smesso di rivolgergli parola per rabbia.
Non sapendo come comportarsi, aveva deciso di regalarle un mazzo di fiori per farsi perdonare ed ero stata proprio io ad aiutarlo a sceglierlo e a comporlo.

Ogni volta che aggiungevo un fiore, spiegavo il suo significato. Viole, rose rosa e gigli bianchi, perfetti per esprimere perdono, pentimento e amore.

Mentre parlavo, avevo la sensazione che non mi stesse ascoltando. Non perché non volesse, ma era troppo teso e disperato per concentrarsi. Così avevo scritto su un foglietto delle frasi brevi che potevano essergli utili.

Mi sedetti di fronte a loro due continuando a ripensare a quel giorno.

"Devo ringraziarti. Non l'ho fatto abbastanza" ammise imbarazzato. Probabilmente si riferiva al fatto che, concluso il mazzo, era inciampato distruggendolo. Ero stata costretta perciò a rifarlo, sotto il suo sguardo desolato.

"Non preoccuparti. Sono felice che vi siate riappacificati." In realtà non li conoscevo affatto, poco mi interessava. Ma quel ragazzo continuava a guardarmi in attesa che dicessi qualcosa.

"Io sono Amanda" si presentò lei. "Quel mazzo era veramente particolare e Jake era molto entusiasta di mostrarmelo. Ha insistito tanto e alla fine ho ceduto e l'ho perdonato."

Smisi di ascoltarli e mi concentrai sul cibo.

"Ehi Jack." Un ragazzo si avvicinò al nostro tavolo e catturò l'attenzione di Jake. Dietro di lui il suo gruppo di amici. "Ti restituisco il favore."

A quel punto versò il contenuto del suo bicchiere addosso a Jake, rise con gusto e se ne andò senza dire altro se non "Sfigato" con un sussurro. Il gruppo di ragazzi ci passò accanto prima di seguirlo e il mio sguardo incrociò quello di Dan per una frazione di secondo.

"Mi chiamo Jake" borbottò lui tra sé e sé. Amanda gli diede un colpetto dietro alla nuca.

"Stupido. Quante volte devo ripeterti di stare lontano da loro? Sei il solito combinaguai!" si lamentò lei. "Diglielo anche tu, Mila. Magari si convince."

Odiavo essere interpellata per inserirmi in discorsi in cui avevo poco a che fare. Mi limitai ad abbozzare un sorriso incerto, restandone fuori.

"Lei è troppo buona per dirti qualcosa, ma diamine Jake, sono i Kings! Devo ricordarti delle voci che girano sul loro conto?" continuò Amanda e lui si ammutolì.

Restare lontano da tutti mi teneva alla larga da problemi di quel genere. Non avevo la minima idea delle voci alle quali si riferiva Amanda e ne ero sollevata.

I suoi rimproveri tenevano occupata la mia mente mentre continuavo a mangiare. Per una volta, me ne stavo in silenzio senza preoccuparmi di far riaffievolire qualche brutto ricordo.

"Tu ci vieni Mila?" Sentii a un certo punto, quando afferrai la mela nononostante non fossi intenzionata a mangiarla.

"Scusa, cosa?" mi ritrovai a chiedere accorgendomi di non aver prestato attenzione al discorso. Fissai la mela, con il pollice lasciai un piccolo solco, poi la riappoggiai sul vassoio.

"Ci vai alla festa degli Eagles?" Quella di cui mi aveva parlato Alis.

"No."

"A sapere che è stata organizzata da loro, nemmeno noi volevamo andarci. Ma credo ci sarà molta gente, non succederà niente. Sarà divertente" pensò Amanda.

Jake puntò lo sguardo sulla mia mela e la indicò. "Non la mangi quella?"

Scossi la testa. "Fai pure."

"C'è un ragazzo che ti sta osservando" fece Jake prendendo la mela dal mio vassoio e dando subito un morso.

Mi girai leggermente, ma nemmeno mi impegnai a concentrare lo sguardo in qualche punto, perché non mi importava veramente sapere chi fosse. Volevo solo darne l'impressione.

"No, non da quel lato. È dietro di te, all'ingresso. È un King" disse però Amanda soddisfando una curiosità... che non avevo.

🜲

Arrivai alla villa Clark. Esitai come mio solito prima di suonare il campanello.

Da quando iniziava la giornata, non facevo che pensare al tempo che avrei trascorso con Mason subito dopo le lezioni, eppure quando quel momento si avvicinava, iniziavo a chiedermi se la mia compagnia gli facesse bene.

Entrai in casa e feci per chiudere la porta, ma questa rimase aperta e subito dopo vidi Dan. Doveva essere tornato da scuola.

Raggiunsi la stanza di Mason, convinta che lo avrei trovato lì, invece non c'era.

Così uscii dalla camera e mi guardai intorno. Dan in quel momento stava risalendo le scale.

"Cosa cerchi?" domandò scocciato.

"Tuo... fratello." La risposta mi sembrava ovvia. "Non è in camera."

In quel preciso istante qualcuno sbucò da una stanza vicina. "Dan!"

Mason corse ad abbracciarlo. Dan continuò a mantenere la stessa espressione dura, ma mi accorsi della mano che lasciava delle lievi carezze sulla schiena del fratellino. 

Inaspettatamente, quest'ultimo si staccò da lui e corse a fare lo stesso con me, circondando le mie gambe con le braccia. Il gesto, scaturito da una gioia insolita, mi fece sorridere e gli accarezzai la testa dolcemente. "Ehi Maze."

Mason si staccò da me rivolgendomi una lunga occhiata ed ebbi paura di aver sbagliato qualcosa. Con gli occhi spaventati cercai lo sguardo di Dan, ma il suo continuava a essere gelido. Fece spallucce con l'aria di uno che non sapeva darmi spiegazioni, ma qualcosa mi spingeva a credere il contrario.

Sentii una leggera tirata all'altezza del polso. Mason aveva afferrato la manica della felpa e stava tentando di trascinarmi in camera sua.

Di nuovo, Maze era riuscito a scacciare i miei dubbi.

Rimase in silenzio fino a quando non ci sedemmo entrambi sul tappeto morbido.

"Volevo fare uno scherzo" ridacchiò Maze a un certo punto.

"Che scherzo?" chiesi confusa.

"A Dan... però poi ho cambiato idea" confessò e prese alcuni trattori giocattolo lì vicino iniziando a muoverli avanti e indietro.

"Ti piace fare scherzi?" E annuì tenendo lo sguardo basso sui trattori.

"Io e Dan siamo bravi a farli" disse.

Ebbi la sensazione che lui e Dan avessero un buon rapporto, eppure il secondo tentava di nasconderlo di fronte agli altri.

"Anche io voglio far parte della squadra" azzardai. Maze mi scrutò e accennò a un sorrisetto.

"Noi siamo già una squadra" fece lasciando un attimo i giochi sul tappeto e venendo verso di me per darmi un altro abbraccio che accolsi senza esitazione. Quel bambino mi sorprendeva ogni giorno di più e io cominciavo ad affezionarmi.

A quel punto sentii delle voci provenire dal piano di sotto farsi sempre più animate. Rivolsi una rapida occhiata a Mason per capire se si fosse accorto, ma sembrava concentrato a costruirsi un percorso per le macchinine con gli oggetti più disparati.

Iniziai ad avere un brutto presentimento e preferii uscire dalla stanza per controllare la situazione.

"Questa sera verranno dei colleghi e tu devi essere presente!" La voce di Victoria. Non la vedevo ma la sentivo molto chiaramente.

Rientrai in stanza per assicurarmi che Maze stesse ancora giocando. "Ehi," sussurrai per attirare la sua attenzione, "vado a bere un po' d'acqua. Tu aspettami qui."

Non disse nulla e non si mosse. Chiusi la porta e restai sul corridoio ad ascoltare.

"Non puoi andare da lui ogni volta!" si lamentò Victoria mantenendo il tono alto.

Riuscivo a vedere Dan, vicino alla porta d'ingresso. Puntò il dito contro sua madre e la guardò con rabbia, una rabbia ancora più accesa del solito. "Tu! Sei tu la responsabile! Se voglio andare da lui, ci vado. E non sarai tu a impedirmelo!"

"Va bene" si compose lei fintamente, pronta a continuare l'attacco. "Va bene, vai da quel tossico che non fa altro che bere. Magari può darti i giusti insegnamenti, quelli che non ho saputo darti io, vero?"

Mi chiedevo cosa lo portasse a non abbassare quella maniglia e uscire senza continuare la conversazione. Forse le troppe emozioni negative represse.

"Nonostante tutto, rimane migliore di te" asserì il figlio avvicinandosi di qualche passo a lei senza paura.

"Vai da lui allora" iniziò Victoria con tono calmo. Poi però cambiò repentinamente. "Vai, tanto ormai sei tale e quale a tuo padre! Torni a casa la sera barcollando, credi che non lo noti nessuno? Non sai fare altro che bere, fumare e chissà... forse ti droghi anche, come tuo..."

Dan non lasciò il tempo di finire la frase che prese un vaso e lo scaraventò davanti a sé. Il suono frammentato del vetro rotto fu seguito da un lunghissimo silenzio. Per un attimo pensai che avesse colpito la madre, ma il rumore dei tacchi mi fece intuire che non fosse così.

La porta fu chiusa con un tonfo. Dan era uscito.
Dopo qualche minuto, anche Victoria se ne andò.

Sentii il tintinnio dei pezzi di vetro.
Decisi di scendere e vidi mamma che se ne stava occupando. Accorgendosi della mia presenza, alzò lo sguardo, ma non fiatò.

I miei occhi però cercavano spiegazioni per ciò a cui avevano appena assistito.

Mamma sospirò. "Dan non sopporta sua madre... Spesso i comportamenti che assume hanno lo scopo di infastidirla. Oggi verranno a cena dei colleghi di Victoria e lei tiene molto... all'apparenza ecco. Vuole che siano tutti presenti e in perfetta forma."

Mentre parlava, continuava a inserire i pezzi di vetro in una busta. La guardai attentamente e con insistenza come se avessi il potere di proteggerla da quei frammenti che potevano ferirla.

Se mi fossi avvicinata per aiutarla, mi avrebbe fermata, così evitai direttamente. "Victoria sbaglia" sussurrai e me ne pentii subito. Non avrei dovuto giudicarla.

"Ha sbagliato tante volte..." disse però mamma, "e Dan ne è consapevole. Non ha mai avuto l'appoggio della madre, nemmeno quando ha tradito suo padre. Non si è preoccupata di come potesse sentirsi il figlio. E Victoria sbaglia ancora, pretendendo che lui ora l'ascolti, dopo tutti gli errori commessi."

Nella mia testa immaginai un piccolo Dan, molto simile a Mason. Solo.

"Torno su" sussurrai continuando a pensarci.

"Resta per cena" disse mamma. "Ci inventeremo qualcosa con papà. Ma Mason ha bisogno di te questa sera. Non si sente a suo agio quando ci sono ospiti e a tavola resta sempre in silenzio seduto su un posticino appartato."

"Va bene" accettai. Salii le scale ed entrai nella stanza di Mason.

Sul tappetto c'erano appoggiati i trattori, ma lui non era lì. Prima di farmi prendere dal panico, controllai sotto al letto, aprii l'armadio. Poi andai verso il bagno e bussai, ma nessuno fiatò.

Mi guardai intorno finché non fermai lo sguardo sulla stanza di Dan, da dove Maze era sbucato al mio arrivo.
Decisi di tentare. Aprii la porta molto lentamente e lo vidi, rannicchiato sul letto a piangere.

Mi sedetti su un angolo abbastanza vicino a lui. Non si mosse, continuando a singhiozzare.

"Maze." Portai la mano sul suo fianco e cercai di consolarlo con qualche carezza. "Se piangi, sono triste anche io..."

Si tolse le mani dalla faccia che fino a poco prima coprivano gli occhi. Di un blu brillante e lucido.

"Dan non vuole bene alla mamma. Lui vuole andare via e mi lascerà da solo." Tirò su col naso e mi guardò, qualche lacrima continuava a bagnargli le guance.

"Non è vero Maze. Dan è solo un po' arrabbiato, ma gli passerà. Tu non sei mai arrabbiato?" cercai di tranquillizzarlo facendolo ragionare.

Rimase in silenzio. "Dan ti vuole bene, non ti lascerà. Te lo prometto" continuai.

Si portò a sedere, si avvicinò e mi abbracciò. Capii che quel gesto lo facesse sentire al sicuro.

"Però lui si fa male" disse con un filo di voce. "Io lo vedo."

Si riferiva forse alle parole di Victoria? Aveva urlato al figlio che tutti si fossero accorti delle condizioni in cui tornava la sera.
Lo aveva notato anche Maze?

"Mila... puoi prenderti cura di Dan come lo fai con me?" sussurrò sul mio petto. "Io posso farcela anche da solo" ammise poi cercando di apparire sicuro di sé. Mason voleva rinunciare al tempo trascorso con me, nella speranza che potessi dedicarlo a Dan.

Sentii diverse fitte proprio sul punto del corpo in cui Maze si era appoggiato. Fui travolta da emozioni diverse. Percepivo il dolore che si istillava a ogni sua lacrima dentro di me appesantendomi il petto. Da una parte ero felice nel pensare che Mason si sentisse bene con me e volesse condividere quella serenità con il fratello maggiore. Ero però anche spaventata, perché Mason mi aveva espresso un suo bisogno. Mi aveva chiesto di prendermi cura di Dan. E l'idea di non riuscirci mi terrorizzava. Non volevo che Maze soffrisse ancora, il mio compito era aiutarlo.

"Dai sdraiati qui." Lo feci stendere. Appoggiò la testa sul cuscino e io mi misi a fianco.

Iniziai a scorrere le dita sui suoi capelli. Continuai finché non chiuse le palpebre e il suo viso apparve rilassato.
Aspettai qualche minuto per accertarmi che si fosse addormentato, lo coprii con la coperta e vagai per la stanza alla ricerca di un foglio e una penna.

Non sarei rimasta a cena. Maze aveva bisogno di riposare, lasciare che i pensieri negativi lo abbandonassero.
Victoria avrebbe cenato senza la famiglia al completo.

Decisi di andare in camera di Mason per prendere un pezzo di carta e qualcosa con cui scrivere, per evitare di frugare troppo tra le cose di Dan.

Nella stanza notai il blocco di disegni fatti il primo giorno che mi ero presentata. Li sfogliai uno ad uno finché non trovai quello che raffigurava suo fratello. All'omino stilizzato dai colori spenti ne aveva affiancato un altro più piccolo disegnato con il pennarello verde, per cui dedussi si trattasse di Mason.
Lo presi e tornai nella stanza di Dan.

Lasciai il disegno sul comodino. Poi presi il foglietto e iniziai a scrivere. 
"Maze si è addormentato sul tuo letto. Ti prego non svegliarlo e restagli accanto tutta la notte. Ha bisogno che tu stia al suo fianco. -Mila"

🜲🜲🜲
Mason mi fa tanta tenerezza 🥹

Capitolo leggermente più lungo del solito, perché iniziano ad esserci più cose da raccontare! Vi è piaciuto?

Nel prossimo, si torna al pov di Alis!
Qualcuno ha detto festa?

Mi piacerebbe aprire un account tik tok, ma non penso di avere tempo per gestirlo... vedremo🥲

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