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Capitolo XXII. Un atto di fede


Musica consigliata: "The Forest Queen" di Peter Gundry.

https://youtu.be/U9XK10VhW3A

Da quel maledetto viaggio, la sola certa conclusione che Andrew avesse tratto era la sua poca simpatia nei confronti degli equini. Non che non gli piacessero come animali da ammirare, ma in tutta franchezza si trovava molto meglio quando stava a terra, sulle proprie gambe.
Un altro motivo, era che trovarsi a cavallo gli ricordava la notte in cui Alex, Brian e Skyler lo avevano salvato dalla prigione e dalla condanna a morte. Quella volta lo aveva visto rischiare di nuovo la vita e sempre a causa sua, il che al momento lo faceva sprofondare nello sconforto totale.

Da quando si era messo in viaggio insieme a Iago e Frederick per tentare di rintracciare Alex e fermarlo prima che potesse fare qualcosa di stupido tipicamente nel suo stile, non si erano mai fermati, ma questo non aveva dato alcun frutto: di Alex non c'era alcuna traccia, anche se lui sapeva che era ancora nei paraggi, lo percepiva grazie al legame di sangue che condivideva con Alexander, in quanto suo Creatore. Aveva individuato, lungo la via, più volte tracce di sangue, alcune persino fresche, benché ciò potesse condurre a fallaci conclusioni: il sangue di vampiro si coagulava molto lentamente e questo, dunque, poteva indurre in errore, portare a credere che Alex fosse ancora nei paraggi quando invece, magari, non era affatto così.

Tutto ciò stava in ogni caso portando Andrew alla dolorosa conclusione che Alex non voleva essere trovato, e se era così, allora significava che l'influenza di Grober ormai si era fatta pressante e perenne. Non c'era da scordare che era partito in sella al diabolico cervo di nome Græb'senja. Ci avrebbe scommesso la testa che era stato proprio Grober a mandarlo, in modo da convincere Alex a lasciarli indietro.

Subito dopo la sua sparizione, Iago aveva avuto la faccia tosta di ribadirgli che se solo gli avesse permesso di uccidere Alex quando si era presentata l'occasione, niente sarebbe mai accaduto. Come se ammazzarlo avrebbe in ogni caso risolto qualcosa!

Andrew sollevò lo sguardo e lo puntò in direzione del cielo plumbeo e rigonfio di nubi rossastre che annunciavano qualcosa di ben peggiore di un bell'acquazzone o una tempesta.

Continua a peggiorare. Maledizione!

Guardò poi Iago, non molto distante da lui. Era in sella a uno stallone dal manto perlaceo e il crine del medesimo colore, in volto un'espressione cupa e disillusa. In tutta franchezza, Andrew era ormai giunto ben oltre il livello di sopportazione e tolleranza, e ora come ora Alex non era lì a impedirgli di dirgliene quattro o strapazzarlo come si deve.

Serrò le dita con maggior forza sulle redini. «Al tuo posto eviterei di fare quella faccia scocciata, lo sai?» lo apostrofò dopo qualche minuto, ormai stufo marcio del suo atteggiamento.

Iago si riscosse dal suo stato meditabondo e cupo, poi gli piantò addosso le iridi ambrate. «Parla quanto ti pare, ma se ho detto quelle cose, è solo perché avrei preferito vederlo morto, anziché posseduto da quel bastardo di Grober» replicò a denti stretti, senza farsi sentire dal nipote che si trovava in testa al loro piccolo gruppo. «Sapevamo che sarebbe finita così, è inutile che tu ti ostini a pensare il contrario.»

«Non mi ostino a pensare il contrario» fece a denti stretti Andrew. «Se si ama una persona, non ci si può permettere di gettare la spugna! Se tu davvero lo avessi amato, non avresti mai accettato di ucciderlo! Pensavo che mi avresti aiutato a proteggerlo e a guidarlo, e invece hai scelto di essere il suo boia!»

Si lanciarono occhiate straripanti di veleno.

Se Iago pensava di avere ragione, di averla sempre avuta, ebbene si sbagliava.

Si sbaglia, si ripeté a mente Andrew, mentre in lui si faceva strada un'improvvisa e impellente voglia di mettersi a piangere, perché ormai si era reso conto di essere il solo a mantenere viva la speranza.

Era il solo a sperare ancora che potesse esserci un lieto fine per lui e Alex, mentre gli altri ormai si erano arresi, davano Alex per spacciato e vedevano lui come un povero illuso che testardamente voleva vedere la luce in qualcosa ormai dominato dalle tenebre.

Il punto, però, era che non poteva arrendersi. Non poteva e basta. Non poteva accettare che Alex fosse ormai perduto, destinato all'oblio.

Se invece mi stessi sbagliando?, si chiese, con un nodo allo stomaco. Cosa farò se lui...?

La risposta la conosceva già: avrebbe dovuto mantenere la promessa fatta all'uomo che amava, ma ne era in grado? Davvero era capace di lottare contro Grober, specie dopo quel che era successo e stava ancora accadendo? Sarebbe stato capace di proteggere non solo se stesso, ma anche gli altri?

Non sono neanche stato in grado di tenerlo d'occhio, ricordò a se stesso.

I loro cavalli si fermarono di colpo non appena si ritrovarono di fronte al primo accenno di vegetazione intricata che offriva l'accesso alla foresta dove si diceva che quel demoniaco cervo trovava la propria dimora. La foresta in cui nessuno che vi si addentrava, poi, ne usciva più, vivo o morto.

Era il bosco più spettrale e sgradevole che avessero mai visto. Il cavallo di Frederick, che si trovava più vicino ad esso, cominciò a mostrare palesi segni d'irrequietezza: grattava il terreno, si agitava sul posto, cercava di arretrare e Rick a stento riuscì a impedirgli di arretrare. Tenne saldamente le briglie fra le dita e gli sussurrò qualche parola per calmarlo, ma invano. La bestia nitriva e sbuffava, terrorizzata. Ben presto anche la giumenta di Andrew e lo stallone di Iago iniziarono a imitare il comportamento del cavallo di Frederick.

Una strana e improvvisa folata di vento gelido fece letteralmente barcollare la giumenta di Andrew e l'animale, a quel punto, diede di matto e disarcionò il suo cavaliere che rovinò a terra. La bestia scappò a più non posso, lasciandosi ben presto alle spalle il gruppo, svanendo nella fitta bruma che aleggiava in quei luoghi.

Andrew si rimise in piedi e cercò di scrollarsi di dosso la polvere. «Stupido ronzino!» sibilò irritato, già abbastanza coi nervi a fior di pelle. Iago e Frederick si scambiarono un'occhiata tesa.

Andy, intanto, si era voltato a guardare di nuovo la foresta. Era nera, fitta, non si vedeva quasi niente al suo interno.

Un dubbio gli era appena sorto, ma come poteva trovare una conferma?

«Iago, scendi da cavallo ed entra per primo. Forza, svelto. Anche tu, Frederick.» Vedendoli sul punto di dire qualcosa, però, spazientito disse a entrambi di non fare domande e dargli retta.

I due, benché contrariati, fecero come era stato loro detto e accadde proprio quel che Andrew si era aspettato: prima Iago, poi il nipote di questi, vennero respinti nel senso più letterale del termine dalla foresta. Con violenza furono risospinti indietro, come se l'accesso all'intrico di alberi e arbusti fosse stato loro proibito.

Iago aiutò suo nipote a tornare in piedi. «Che diavolaccio significa?» gemette Frederick, il quale fu grato di non essersi rotto niente dopo un ruzzolone del genere. Il bosco non era andato di certo per il sottile in quanto ad auto-difesa.

Andrew non disse niente. Scelse di mostrarglielo, invece: si avvicinò a sua volta all'entrata del bosco e lui, a differenza dei compagni, non venne respinto. In realtà di nuovo spirò una strana volata di gelido vento che stavolta parve volerlo spingere dentro, attirarlo.

Iago si sentì gelare. «No, Andrew. Scommetto su quel che ti pare che si tratta di una trappola. Non entrerai lì dentro! Non te lo permetterò!»

«Non mi pare di aver chiesto il tuo permesso» rispose il vampiro, il tono distratto. Era concentrato, piuttosto, nel tentare di spiegare quella strana sensazione che gli stava attraversando le ossa, le viscere, il corpo intero e forse anche l'anima. «Non c'è altro modo. Mi spiace ammetterlo, ma d'ora in poi dovremo giocare secondo le regole di Grober. Il gioco l'ha cominciato lui, d'altra parte. È il suo mondo questo, siamo suoi ospiti, anche se è come essere ospiti del Diavolo in persona.»

«Non è un gioco!» protestò Rick, in pieno panico. «Se entri là dentro, sta' pur sicuro che non ne uscirai vivo!»

«ALLORA COSÌ SIA!» tuonò Andrew, ormai ai ferri corti in fatto di pazienza. L'esclamazione si diffuse attorno a loro in un eco da far venire i brividi, «Alex è là dentro! Lo sento! Più aspetto e più corro il rischio che si allontani ancora! Bene o male. abbiamo iniziato tutto questo insieme, perciò sempre insieme andremo fino in fondo, e non esiste niente o nessuno che ormai possa fermarmi! Se volete, potete pure mettervi sulla mia strada, ma sarebbe anche la vostra ultima azione, ve lo garantisco!»

Non avrebbe permesso più a niente e a nessuno di frapporsi fra lui e la salvezza di Alex.

Abituato com'era ormai a brandire l'arma, sfoderò la spada senza troppi problemi. Non intendeva addentrarsi in quella foresta privo di difese. Aveva imparato tramite gli errori passati che andare incontro all'ignoto in un bosco significava a morte sicura.

Si sentì raggelare, però, quando vide la lama della spada sgretolarsi fino a diventare qualcosa simile alla cenere. Rimase solo l'elsa che ovviamente, da sola, era inutile.

Sibilò un'oscena imprecazione e la gettò a terra. «Va bene, Grober!» fece a voce alta, molto alta, guardando ora in qua, ora in là, come se quel bastardo si trovasse ovunque. «Va bene! Tua la casa, tue le regole!» In risposta ricevette solo un vago e lontano stormire di foglie, chissà dove in quel labirinto naturale di alberi. «Che tu sia maledetto» ringhiò tra sé il vampiro. «Che ti venga un colpo!»

Tornò a rivolgersi a Iago e a Frederick. «Voi proseguite secondo il cammino che abbiamo stabilito qualche giorno fa. Non so quanto ci vorrà per ritrovare Alex, ma in caso non vi raggiungessimo... be', andate avanti e basta. Siamo qui per Kyran, giusto? Il tempo ormai stringe, non potete permettervi altre esitazioni. Andate avanti lo stesso, con o senza di noi.»

«Vi aspetteremo più che potremo» tentò Iago. Tra tante altre cose, rabbrividiva al solo pensiero di cosa gli avrebbero fatto gli altri, specialmente Samantha, se fosse tornato senza quei due. Si immaginava già Samantha usarlo come bersaglio per il lancio dei coltelli, se solo le avesse detto che aveva lasciato indietro suo fratello, per giunta in una foresta come quella.

«No, invece. Appena riuscirete a salvare Kyran, tornerete dritti filati a casa. Comunque vada a finire per me e Alex. Su questo non intendo discutere.» Andrew fece un bel respiro. «Be', qui le nostre strade si separano. Onde evitare equivoci e false speranze: addio.» Che fosse una trappola lo aveva ben inteso, e se era così allora Grober avrebbe fatto di tutto per annientarlo. In quella foresta aveva l'imbarazzo della scelta in quanto a metodi per toglierlo di mezzo una volta per tutte e lui non era così sicuro di poter far fronte a qualsiasi pericolo si annidasse là dentro. Sperava solo di trarre almeno in salvo Alex. Per il resto... se doveva tirare le cuoia, c'era poco da scalpitare o disperarsi, e comunque preferiva morire provando fino in fondo a lottare, piuttosto che comportarsi da vigliacco.

Gli devo la vita, d'altra parte.

Non osò guardarsi indietro né rivolgere un'ultima occhiata a Iago e Frederick.

Benché fosse capace di vedere attraverso le tenebre, per un semplice scrupolo in più evocò una sfera di luce biancastra e con quest'ultima come sola compagna di viaggio mosse un primo passo.

Per un solo, breve e inquieto istante, gli sembrò che la foresta si fosse in un certo senso dispiegata, aperta per accoglierlo a braccia aperte, o meglio rami aperti.

Lo spazio parve dilatarsi, il bosco divenire ancora più grande ed esteso, espandersi.

Un brivido corse lungo la colonna di Andrew, ma lui non le diede retta e proseguì.

Non ci volle molto perché la fioca luce sanguigna del giorno cedesse il passo alle ombre della foresta che era così fitta da non lasciar intravedere neppure uno spiraglio di cielo.

Non fu semplice avanzare. Arrancava nella vegetazione, innervosito dal fruscio che ogni tanto sentiva provenire ora da dietro, ora da davanti, ora tutto intorno a lui.

Avvertì più volte l'orribile sensazione di essere spiato, osservato da qualcosa, o da qualcuno. Forse fu solo un'allucinazione provocata dall'ansia, dai brutti ricordi che conservava dei boschi, ma di tanto in tanto gli sembrò di intravedere in quel labirinto di alberi, cespugli e quant'altro occhi nelle tenebre: occhi gialli, o rossi, che seguivano ogni suo movimento.

L'angoscia avanzava, sentimenti opprimenti e pregni di tristezza, di disperazione e dubbio si facevano largo nel suo cuore. Persino quest'ultimo tremava come una foglia.

Senza poterlo evitare, Andrew rimase in ascolto del suo stesso respiro che andava facendosi via via più veloce e irrequieto.

Da qualche parte gli alberi stormivano. Chissà dove creature non meglio identificate emettevano versi che mai aveva udito in altri luoghi; sibili, fruscii indistinti; rauchi gemiti; gracchianti lamenti e gorgoglii da far accapponare la pelle.

Inutilmente si guardò indietro, solo per incontrare un breve tratto della foresta illuminato dalla fioca luce della sfera che galleggiava accanto a lui. Niente, non c'era niente.

In che guaio sono andato a cacciarmi?, pensò, la gola secca e serrata per la paura irrazionale che sentiva crescere dentro di sé.

Una cosa l'aveva capita: il soggiorno nella foresta sarebbe stato un incubo a occhi aperti. 

«Dove sei, Alex?»

Il suo debole e tremante sussurro venne inghiottito dalle tenebre, senza ottenere risposta alcuna.

Era notte inoltrata quando Alice, stando ben attenta a non farsi beccare mentre gironzolava di notte per il castello, finalmente bussò alla porta della stanza di Erik.

Il ragazzo, rimasto sveglio fino ad allora, ancora vestito e pronto per seguire ogni direttiva della donna, corse ad aprire.

Lei era nervosa, fece di tutto per non incrociare i suoi occhi. «Prendi questi.» Gli allungò quella che sembrava un'autentica e sottile spada e quello che, invece, subito si capì fosse un pugnale. Tutti e due erano al sicuro nei rispettivi foderi. «Lame Azraelite» spiegò Alice, il tono di voce spento e nervoso allo stesso tempo. «Lorenzo voleva le avessi tu.»

Il giovane le prese. «Cosa gli è successo? Perché non è con te? Com'è andata finire con mio nonno?» sussurrò.

Lei non rispose.

«Zia Alice, dimmelo!»

«Lo ha fatto imprigionare. Non mi permettono di vederlo, né di parlargli, ma è alle segrete che siamo diretti e da esse usciremo verso l'esterno. Conosco bene ogni cubicolo di questo posto, ormai.»

«Quindi lo libereremo? Verrà con noi anche lui?»

«No, Erik. E nemmeno io ti seguirò nel Regno Parallelo. Sarai da solo.»

«Cosa? Ma...»

«Non libereremo lui. Ho cercato di farlo ragionare, credimi. Non ero neanche d'accordo con il suo piano, in realtà, se non su una cosa: far fuggire te da questo posto. Lorenzo, però, ha deciso diversamente. Saranno vite innocenti e prive di colpe quelle che ti porterai dietro, verso la salvezza. Per questo ti ho dato quelle armi: potresti dover difendere non solo te stesso, ma creature troppo inermi per badare a se stesse. Hai detto di essere ormai grande, Erik. Di saper cavartela da solo. È il momento di dimostrarlo.»

La spada e il pugnale a momenti caddero di mano al ragazzo, il quale scosse la testa febbrilmente. «No, no, no! No! Non voglio uccidere nessuno! Non puoi dirmi di...»

«Potresti non avere scelta, Erik» lo interruppe duramente la donna. «Non incontrerai sempre, là fuori, persone disposte a ricambiare la cortesia, a provare pietà e compassione. Il mondo è pieno di delinquenti, Erik, e di oscurità. Ormai aleggia e vaga ovunque, presto si scatenerà il panico, le creature più orrende e senza freni verranno sguinzagliate. A quel punto non avrai più una scelta e si ridurrà tutto a questo: o tu, o loro.»

«Ma... zia...»

«Ascoltami!» sbottò sottovoce lei, afferrandolo per le spalle. «Lorenzo non ha potuto dirti più di tanto, ma io ora ti dico questo: è vero, a Obyria forse troverai persone disposte a ospitarti e reclutarti nella Resistenza, ma non dimenticheranno mai chi sei e chi sei stato fino ad ora, da dove vieni. Non lo scorderanno mai, Erik, mai! Perciò non dimenticarlo neanche tu e dimostra loro, piuttosto, che si sbagliano sul conto di tante persone.»

«M-Ma allora...»

«Te lo dico perché non so cos'abbiano fatto di preciso a tua madre, Erik. Forse l'hanno sbattuta in cella, forse invece l'hanno uccisa e hanno nascosto la cosa, forse invece è viva e sta collaborando con la Resistenza. Tu, però, fidati con moderazione di tutti quelli che incontrerai. Non essere ingenuo, Erik, perché gli ingenui sono sempre i primi a fare una brutta fine, sono le vittime predilette degli astuti.»

Erik non sapeva cosa dire o come rispondere. Non aveva la più pallida idea di cosa stesse parlando Alice, ma era chiaro che fosse importante. Si limitò ad annuire incerto. «C-Cercherò di ricordarlo. Zia Alice?»

«Cosa?»

«Fra loro troverò anche mio padre? Finalmente saprò chi è?»

«Sì, lo incontrerai sicuramente.»

«E chi è? Come farò a...»

«Non fidarti neanche di lui, Erik. Se gli fosse importato qualcosa di te, si sarebbe recato da un pezzo qui a reclamare la propria patria potestà su di te. Se è furbo e sveglio come sono sicura che sia, ha capito chi sei e lo stesso ha scelto di ignorarlo, perciò è meglio se te ne fai una ragione di lui, credimi. Non ti perdi niente. Se riuscirai a ritrovare tua madre, fidati solo di lei. Di mamma ce n'è solo una, d'altronde.»

Erik annuì, abbattuto più di prima di fronte a quella tetra prospettiva di un padre indifferente e una madre dispersa. Probabilmente Alice aveva voluto fargli capire una triste verità: era da solo e da solo avrebbe dovuto lottare.

Lei, capendo di esser forse stata troppo dura e scoraggiante, sospirò e gli sfiorò il viso con fare materno. «Te la caverai, Piccolo Principe. La capacità di adattarti, di sopravvivere e combattere ce l'hai nel sangue.» Fece una pausa. «Ricordo quando tua madre tornò a casa e mi disse che era rimasta incinta. Le sono stata vicino, sai? Sempre, fino alla fine. Sei nato nella sua camera da letto, eravamo presenti solo io e sì, anche tuo nonno. Ti ho visto nascere, Erik, e so che hai la stoffa per sopravvivere fino alla fine di tutto quanto.»

Non lo respinse quando il ragazzo si gettò fra le sue braccia, scosso dai singhiozzi. Cercò anzi di rassicurarlo e di fargli forza, stringendolo a sé. Gli sussurrò che sarebbe andato tutto per il meglio, anche se la vedeva dura.

Grober, ormai, era quasi al culmine del potere. Sembrava fin troppo di ottimo umore e non era un buon segno. L'aveva messa di fronte a un ultimatum: se avesse ucciso James Wolf entro lo scadere del tempo, avrebbe risparmiato e rimesso in libertà Lorenzo.

Da un lato c'era suo fratello, dall'altro l'uomo che amava, che sempre l'aveva rispettata e vista come una persona normale e non un mostro. Da una parte il suo gemello che non vedeva sin dall'infanzia e di cui conservava ben pochi ricordi, un fratello che ai suoi occhi non rappresentava praticamente niente; dall'altra una persona che invece per lei valeva quanto il mondo intero.

La scelta non era stata così difficile, dopotutto. Preferiva vedere suo marito vivo, piuttosto che James. Lui, in fin dei conti, avrebbe dovuto ucciderlo in ogni caso e ora aveva una ragione valida per andare fino in fondo.

Eppure da un lato temeva che uccidere James non sarebbe bastato a garantire l'assoluzione a Lorenzo. Iniziava a sospettare che Grober non l'avesse ucciso per una ragione ben precisa e studiata nei minimi particolari, e temeva che tale ragione coinvolgesse il padre di Lorenzo: Dario.

Se quest'ultimo lo aveva risparmiato al termine del loro duello, significava che non aveva alcuna intenzione di vendicarsi, che teneva a Lorenzo, nonostante tutto, e questa era una debolezza pericolosa, a doppio taglio. Grober era uno di quelli che sfruttava certe debolezze, i legami familiari.

Si scostò da Erik e gli asciugò le guance. «Andiamo, ora. Prima faremo una piccola fermata nella mia stanza. Capirai presto perché. Vieni.»

Insieme si incamminarono per i corridoi immersi quasi completamente nelle tenebre, finché Alice non fece fermare Erik di fronte a una porta e gli disse di aspettare. Alcuni minuti dopo la vide uscire dalla stanza. Fra le sue braccia, però, c'era un bambino che non superava i due anni di età: aveva i capelli scuri e gli occhi di sua madre, azzurro-violetti e vispi, ma ora pieni di confusione. Erik lo riconobbe subito: era il piccolo Stefano, l'unico figlio di Alice e Lorenzo.

Il piccolo timidamente mosse una manina a mo' di saluto.

Erik cercò di sorridergli, ma era talmente nervoso che fallì miseramente. «Zia Alice, che significa?»

«Almeno saprò che sarà al sicuro» disse lei. Sembrava sull'orlo delle lacrime. «Non voglio rimanga senza protezione, Erik, e non so se io e suo padre lo rivedremo o meno, non con questa guerra in corso. So di chiederti molto, ma preferisco affidarlo a te. Sei una delle poche persone di cui mi fido, non ho nessun altro.»

«M-Ma io ho solo quindici anni» protestò debolmente il ragazzo.

«Lo so» rispose lei, la voce altrettanto flebile. «Ma hai più speranze di me di uscire vivo dalla guerra.»

Sistemò meglio fra le braccia Stefano e fece cenno al giovane di seguirla. Ogni tanto dovette zittire il figlioletto, il quale continuava a chiedere dove stessero andando.

«Tieniti pronto a usare la spada, Erik» disse sottovoce al ragazzo. «Non ci permetteranno di passare. Capiranno subito che abbiamo in mente qualcosa.»
I gradini delle segrete erano tanti e ripidi, antichi, scivolosi.

Proseguirono con cautela, finché al termine dell'ultima rampa non incrociarono il primo ostacolo. All'ingresso delle prigioni non erano incappati in neppure un soldato, cosa che aveva fatto intendere a Erik che fosse in atto il cambio di guardia. Tuttavia, fu proprio in una delle guardie che si imbatterono. L'uomo, vedendoli, subito si insospettì. «Cosa ci fate qui?»

Il ragazzo capì che non c'era tempo per inventare una scusa, per aggirare il problema. Bisognava agire. Le sue mani tremanti si serrarono con forza sull'elsa della spada già sguainata. Appena la guardia fu vicina, la lama tracciò un breve e maldestro semicerchio ed Erik ebbe fortuna: la spada si ritrovò conficcata di lato nel collo dell'uomo. Erik fece un salto indietro, evitando per un pelo il violento fiotto di sangue che schizzò fuori dalla gola squarciata della guardia.

Per fortuna, tramite un incantesimo Alice impedì a Stefano di sentire il gorgoglio agonizzante dell'uomo ora steso sul pavimento. Il bambino non vide niente perché la madre si era premurata di stringerlo a sé, con le spalle rivolte verso l'esterno.

Erik tremava da capo a piedi, fissava terrorizzato la guardia ormai priva di vita, il sangue che si espandeva sul pavimento di pietra. Sembrava nero, nella penombra.

Aveva appena ucciso una persona...

Ci mancò poco che vomitasse anche l'anima, trattenne per miracolo un violento conato e Alice non poté che guardarlo con aria afflitta. Le dispiaceva averlo costretto a fare una cosa del genere, ma certe cose andavano fatte per forza.

«Recupera la spada. Continuiamo.»

Erik si avvicinò reticente al cadavere e gli ci volle un po', specie per la vista offuscata dalle lacrime, per estrarre dal collo della guardia la lama nera e ora grondante rosso.

Avrebbe voluto gettarla via, lontano da sé, dai sensi di colpa che già lo stavano attanagliando, dalla voce nella testa che gli ripeteva che era un assassino, che aveva ucciso un uomo di cui non sapeva niente. Si chiese se avesse avuto magari moglie, o anche dei figli, una famiglia. Si domandò chi era stato quell'uomo, se davvero aveva meritato una fine del genere.

Se lo chiese per ogni singola guardia che fu costretto ad assassinare lungo la strada e il disgusto per se stesso andò aumentando di pari passo con la dimestichezza nel recidere una vita dopo l'altra. Se era questo che aveva nel sangue, allora nelle sue vene scorreva la linfa vitale di una famiglia di assassini, si ritrovò a pensare.

Non fu sempre facile, dovette a volte lottare, combattere, si ritrovò con una ferita al braccio e un graffio per fortuna lieve sullo zigomo. Le ferite sarebbero guarite, a differenza della sua coscienza ormai ridotta in frantumi.

Tutto ebbe fine quando Alice e lui si fermarono di fronte a una cella in particolare. Erik rinfoderò la spada e con le mani scosse da un tremore incontrollabile usò le chiavi per aprirla, proprio come gli aveva appena ordinato di fare la donna.

All'interno vide in un angolo un ragazzino sugli undici anni e un bambino che avrà avuto sì e no un anno in più di Stefano. Il ragazzino riconobbe Alice e cercò di raggiungerla, gli occhi azzurri furenti, ma le catene alle caviglie gli impedirono di fare più di tre passi. «Dov'è mia sorella?» urlò. «Dov'è Daisy?» Rimase interdetto vedendo Stefano ed Erik. «M-Ma che...»

Il bambino con cui condivideva la cella, invece, rimase zitto e a terra: aveva l'aria decisamente più patita dell'undicenne, capelli neri e occhi castani di una tonalità talmente chiara da sembrare quasi ambrati.

Erik deglutì e consegnò al ragazzino le chiavi. «S-Sbrigati! Togliti le catene e fai lo stesso con lui, dai!» Accennò al bambino che li fissava impaurito e tremava come una foglia. «Zia Alice, chi è?» chiese sottovoce alla donna.

Lei deglutì. «Lui è Dorian Reece. Appena saremo fuori da qui ti spiegherò meglio. Per ora ti basti sapere che non ha più nessuno ad attenderlo a casa. Sua madre, Peggy, è morta. Collaborò con James Wolf per far affiorare tutta la storia della B.I.R. Sai... i laboratori in cui molti Efialti vennero torturati e sottoposti a esperimenti. Dorian è nato proprio in uno di essi, era un clone.»

«Un clone di chi?» chiese trafelato Erik, più sconvolto che mai.

«Il clone di Iago. Il Re Stregone di Varesya. L'Efialte che ha salvato la vita a te, tra l'altro. Sì, Erik. È stato lui.»

Erik spalancò gli occhi. «Oh, dio...»

«Lui, invece...» continuò Alice, accennando al ragazzino che intanto aveva convinto Dorian a mettersi in piedi e seguirlo. «È Anthony Woomingan e proprio come te non può restare qui. Lorenzo si è pentito di averlo preso, insieme alla sua sorellina, e voleva che venisse liberato e portato dagli amici di suo padre.»

Anthony, il quale aveva sentito eccome quell'ultima parte del discorso, restrinse lo sguardo. «Cosa c'entra papà?» chiese brusco. «E cosa avete fatto a mia sorella?»

«Tua sorella si trova già al sicuro e tu, fra non molto, la raggiungerai» si limitò a rispondere la donna, squadrando un po' gelidamente il ragazzino. «Cerca di essere grato a me e a questo ragazzo. Guai a te se farai altre storie. Ti stiamo salvando.»

Anthony parve perdere la pazienza e pestò un piede a terra. «Salvarmi! Siete stati voi a rapirmi!»

«E adesso abbiamo cambiato idea!» sbottò Alice. «Il tuo adorato padre e la tua amata madre avrebbero potuto insegnarti a stare zitto quando devi, tanto per dirne una!»

Il ragazzino ammutolì, ma era chiaro che lei avesse toccato un nervo scoperto. In fin dei conti, Anthony aveva visto sua madre morire e ignorava tuttora che il padre, invece, fosse chissà dove a Sverthian e forse ormai prossimo alla rovina totale.

«Adesso andiamo, forza.»

Alice uscì dalla cella, ma il giovane Woomingan rimase dov'era, una sua mano che stringeva quella più piccola e fin troppo magra di Dorian.

Erik si fece forza. «Ha detto la verità: vogliamo farvi uscire da qui. Se rimarrete, loro...»

«... ci uccideranno» terminò al suo posto Anthony, facendogli venire i brividi per una tale consapevolezza della morte che altri undicenni sicuramente ignoravano.

Il quindicenne fece per rispondere, ma dei rumori attirarono la sua attenzione: a quanto pareva, erano stati scoperti.

«Dobbiamo andare! Forza!»

Spinse fuori dalla cella il ragazzino e per assicurarsi che il piccolo Dorian non rimanesse indietro, prese in braccio quest'ultimo.

Raggiunsero Alice la quale era ferma di fronte a una parete. «Qui c'è un passaggio segreto» spiegò a Erik, mentre le guardie erano sempre più vicine. «Le scale non sono molto ripide. Percorretele fino in fondo e solo quando sarete fuori potrai usare lo specchio per far uscire da questo regno tutti quanti. Quando sarà il momento, ordina al portale di condurti presso il Regno dei Figli della Natura. Re Cynder è più permissivo e ha accettato di tener aperto per te un portale, ma solo fino a mezzanotte. Dovrete fare in fretta.»

Aveva incontrato Cynder proprio prima di andare a prendere Erik. Daisy si trovava proprio sotto la sua tutela e quella della regina Nephele. Era stata la bambina a garantire ad Alice l'aiuto dei due sovrani. Quando aveva chiesto di Zelda, non le avevano risposto, però, non fidandosi abbastanza, probabilmente. Cynder sapeva che Erik era suo nipote e anche per quello aveva deciso di fare uno strappo alla regola e andare contro i precisi ordini del fratello. Le era quasi sembrato a conoscenza di cose di cui invece Alice era all'oscuro.

Erik strinse forte nella tasca dei jeans il piccolo specchio che si era portato dietro. Annuì. «Tu non verrai con noi?»

«No... Non verrò con voi. Dovrete cavarvela da soli, da qui in avanti.»

Il ragazzo rimise a terra Dorian e Anthony, capendo la solfa, riprese il bambino per mano e gli sussurrò qualcosa.

Alice, invece, consegnò il figlioletto a Erik, dopo avergli baciato il capo un'ultima volta. «Fai il bravo, tesoro» disse, lacrime nere ora rigavano le sue pallide guance. «Io e papà ti vogliamo bene. Capito?»

Ignorò il piccolo che non voleva saperne di stare buono in braccio al ragazzo e cercava di appigliarsi a lei.

Alice fece violenza sul proprio istinto materno e sospinse tutti quanti nella passaggio ora aperto. Appena furono dentro, lo fece richiudere e si sbrigò a scappare. Sarebbe stato un problema se si fosse fatta beccare.

Erik, intanto, aveva evocato una sfera di luce per non restare completamente al buio. Il passaggio era stretto, ma gli scalini illuminati dal fioco riverbero del globo luminoso erano bassi e non molto ripidi, tuttavia parevano infiniti, divorati dalle tenebre che regnavano sovrane là dentro.

Si guardò attorno per assicurarsi che ci fossero tutti e, intanto, cercò di far calmare Stefano.

«Statemi vicini. Capito?» Si rivolse a Anthony. «Non lasciar andare la mano di Dorian. Presto saremo fuori.»

Finalmente comprese le parole di Alice: ora era lui il più grande in quel gruppo e in lui era riposta la sopravvivenza di quei ragazzini.

Anthony si limitò a fare un cenno con la testa, senza staccare gli occhi azzurro scuro dalle scale inghiottite dal buio.

«Se qualcosa si muove, restate vicino a me e lasciate che ci pensi io.»

Senza una parola in più, cominciarono a scendere adagio.

Il percorso proseguì senza intoppi, non sembravano esser stati scoperti, e dopo chissà quanto tempo finalmente giunsero alla fine della scalinata. Erik riprese in tempo sia Dorian che Anthony quando questi ultimi, non vedendo gli ultimi due gradini, rischiarono di cadere a faccia in giù e spaccarsi il naso. «Grazie» biascicò Anthony, ancora un po' scontroso, e nel frattempo scompigliò i capelli di Dorian per rassicurarlo. Sembrava essergli affezionato. Trasferì poi i due grandi occhi azzurri sulla porta che si stagliava di fronte a tutti loro. «È chiusa, vero?» fece retorico, roteando gli occhi. «E ora come facciamo?»

«Zitto un attimo» fece Erik. «Sto cercando di ricordare la formula giusta.»

«La formula di che?»

Dorian si dimostrò più accorto dell'undicenne: tirò una logora manica della maglietta di Anthony e quest'ultimo, sbuffando sonoramente, tacque.

Erik parve finalmente, dopo cinque minuti, ricordare l'incantesimo e lo sussurrò: la porta si aprì e uscirono tutti quanti nel cortile deserto e buio.

«Uh... non per fare il guastafeste» disse lentamente Anthony. «Ma ora cosa facciamo?»

«Dammi un attimo e lo vedrai.»

«Vedrò, vedrò...» borbottò il giovane Woomingan, scettico. «Vedrò che tra un attimo ci ritroveremo tutti di nuovo in cella. Ecco cosa vedrò.»

«Ci sai stare zitto, piccolo menagramo?» fece esasperato il ragazzo.

«No, e tu?» replicò a tono il più giovane con un sorriso tirato. «Questo qui non sa neanche dove ci troviamo, secondo me. Non mi sembra tanto sveglio» disse fra sé.

«Ti ho sentito, nanerottolo» lo riprese un po' piccato Erik. «Forza, afferrami il braccio. Non questo! l'altro! Come faccio sennò a... Ecco! Prendi per mano Dorian e tienilo saldamente, o finiremo per disperderci tutti.»

Non era facile stare in quel modo, specie perché reggeva in braccio anche Stefano, ma alla fine riuscì a ordinare al piccolo specchio di condurli a destinazione. Ricordava l'incantesimo insegnatogli da sua madre in quella lingua strana e per fortuna pronunciò ogni parola in maniera corretta.

Lo specchietto si illuminò sempre di più finché la luce non li avvolse tutti quanti.

Si sentirono risucchiare, poi vorticare, infine rovinarono a terra ed Erik, per fortuna, cadde di schiena e il povero Stefano ricominciò a frignare.

Anthony cercò di mettersi in piedi, ma barcollava come un cerbiatto appena nato e aveva l'aria di uno che vedeva le stelline vorticargli tutte attorno alla testa. «M-Ma cosa... come...» biascicò. «Che cavolo hai fatto, Coso?»

Il quindicenne sbuffò. «Mi chiamo Erik, tanto per cominciare, e seconda cosa: ci siamo appena teletrasportati.»

«Eh?»

«Teletrasportati!» ripeté il ragazzo, un po' a corto di pazienza. «Sai, no? Quando...»

«Il teletrasporto non esiste!» urlò Anthony, ripresosi finalmente dallo scombussolamento. «Hai... Hai solo fatto un giochino strano con lo specchio e con le lucine, ecco tutto!» aggiunse, gesticolando in maniera ridicola per imitare il più grande.

«Allora guardati un po' attorno, genio!»

Il ragazzino lo fece e con disappunto notò che in effetti erano in un posto ben diverso da quello strano castello sperduto chissà dove. «Uh... siamo... siamo in un giardino. Credo» fece stralunato.

«Appunto» gli rifece il verso Erik. «Da dove cavolo vieni per essere così scettico?»

«Los Angeles. Sei tu quello strano, non io.»

«Non sono strano, so solo usare la magia.»

«Magia?» Anthony storse il naso. «Davvero?»

«Sì, davvero.»

«Quindi quel gioco con le lucine di prima era una magia?»

«Non era un gioco con le lucine! Era una forma di teletrasporto! Santa pazienza!»

«Ah. Va bene.» Anthony, stanco di discutere e di parlare di magia e altre stupidaggini che sua madre sempre gli aveva detto che non esistevano, tornò a guardarsi attorno. «E ora che facciamo?»

«Non lo so.» Erik, che finalmente era riuscito a calmare Stefano, guardò quest'ultimo avvicinarsi con infantile interesse a Dorian e pigolare un maccheronico saluto, al quale però Dorian non rispose. Il piccolo Efialte, invece, si nascose dietro Anthony, facendo capolino solo con la testa da dietro il ragazzino.

«Che gli è capitato?» chiese Erik, accennando a Dorian.

Anthony smise di osservare il curato e incantevole giardino illuminato dalla luce giallognola di una fioca luna e abbassò gli occhi sul suo ex-compagno di cella. «Non lo so. C'era da prima che arrivassi io, ossia da ieri. Quando gli ho fatto capire che non volevo fargli del male, però... non lo so, penso si sia affezionato a me, come io mi sono affezionato a lui.»

Anthony sembrava un ragazzino maturato troppo in fretta. «E a te, invece, cos'è successo? Perché ti trovavi laggiù?»

«Io... non lo so. So solo che ieri sono arrivati tre uomini e... hanno...» Il ragazzino non riuscì a proseguire. I suoi occhi azzurri si riempirono di lacrime al ricordo di ciò che aveva visto: Mathias e sua madre venir uccisi di fronte a lui. Ricordava vagamente quella scena, anche se l'aveva vissuta in prima persona. Ricordava di aver stretto a sé la sorellina che piangeva disperata, proprio come sua madre gli aveva detto di fare. Gli aveva detto di non perdere di vista Daisy, che sarebbe andato tutto bene, ma non era vero. «Non so neanche dove sia mio padre» mormorò. «Lui è andato via. Abita lontano, adesso, e non ha mai cercato me e la mamma.»

Erik si accigliò. «Tuo padre si chiama Alex?»

«Sì. Perché?»

«Be'... da quello che so, potrebbe essere coinvolto in questa storia. Sei stato preso perché sei suo figlio.»

Anthony era spiazzato e confuso. Quando fece per aprir bocca, però, la loro attenzione venne attirata da una voce.

Si voltarono e videro un uomo e una donna vestiti in abiti eleganti e intenti a guardarli.

L'uomo si rivolse al quindicenne: «Sei Erik?» chiese.

Il ragazzo capì di trovarsi di fronte a Re Cynder. Senza riuscire a spiccicare parola, col cuore che batteva all'impazzata per l'ansia, annuì velocemente. Si tranquillizzò un po', tuttavia, vedendo che la donna, la regina anzi, aveva lo sguardo buono e sorrideva a tutti loro con gentilezza.

«Tua madre ti sta aspettando, Erik. È rimasta sveglia fino ad ora, sapendo che sareste arrivati qui» continuò il re. «Venite. Sarete stanchi dopo quel che avete passato.»

Erik deglutì e agì d'impulso. «Maestà, p-per favore, tenete voi questi.» Fece un passo avanti e abbandonò sull'erba spada e pugnale. «Non ne ho più bisogno e non voglio più prendere in mano un'arma in vita mia.»

Si arrischiò a sollevare gli occhi e vide sulle labbra del re un sorriso appena accennato, ma piacevolmente sorpreso e di approvazione. «Non hai niente di cui preoccuparti. Qui siete in territorio amico. Non vi verrà fatto alcun male né verrete chiusi in una cella.» Il sovrano raccolse le due armi e le porse di nuovo al ragazzo. «Tienile con te, però. Apprezzo il tuo gesto, Erik, ma temo che non sarà stata l'ultima volta questa. Probabilmente dovrai brandire ancora queste lame, anche se mi auguro che tu non debba farlo.»

Anthony si fece coraggio. «Ma tu sei davvero un re? Voglio dire...»

«Sì, lo sono» rispose l'uomo. «Ma voi potete chiamarmi Cynder. Lei è mia moglie: Nephele. Io conosco tuo padre, Anthony, è uno dei miei amici più cari e ha pensato molto a te, anche se era lontano.»

«Hai visto papà? Quando?» chiese trafelato Anthony, già ansioso di rivedere Alex.

Cynder sospirò. «L'ultima volta è stata mesi fa, purtroppo. Ora... be', ora è in viaggio, Anthony, e parlarne adesso sarebbe troppo. Sei stanco, devi riposare.» Il tono di voce, per quanto gentile e caldo, lasciava intendere che non sarebbe tornato sull'argomento, non subito almeno.

Nephele si rivolse ai due bambini e fece loro cenno di avvicinarsi. Dorian fu il primo a raggiungerla, forse ascoltando l'istinto che gli diceva che Nephele era buona. Ben presto anche Stefano gli andò dietro, convinto dal sorriso dolce della donna.

Erik e Anthony furono gli ultimi a seguire i due sovrani fuori dai giardini e dentro il magnifico palazzo nel quale risiedevano il re e la regina delle Ninfe e dei Sileni.

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