Capitolo XLI. La Giustizia del Demonio
Musica consigliata: "Pain" di Lucas King.
https://youtu.be/z-SlA2NI9kc
Godric si fermò, incapace di continuare a fuggire. Era esausto, aveva il fiato corto ed era un miracolo che non fosse stramazzato a terra.
Mai avrebbe immaginato, in tutta la propria lunga esistenza, di dover scappare a gambe levate da suo figlio, mentre l'altro era chissà dove e veniva torturato.
Se quello non era l'inferno, poco ci mancava. Forse era addirittura peggiore.
Non poteva affrontarlo. Non poteva e basta. Doveva trovare un altro modo per sfuggirgli.
Sì, ma quale?
Si guardò alle spalle, passandosi il dorso della mano sulla fronte. Le ferite che Eneas gli aveva inflitto durante il primo scontro, se così poteva essere definito, gli facevano male e se ne erano aggiunte altre.
Devo uscire da qui o finirò per dissanguarmi. Devo trovare Iago!
Fu allora che ricordò che là dentro, chissà dove, c'era anche Dante, imprigionato proprio come lui.
Solo il cielo sapeva quale scherzetto Grober gli avesse riservato.
Godric subito si diede mentalmente uno schiaffo. Al diavolo Dante. Non era più di sua competenza.
Eppure, quando si guardò ancora una volta intorno, solo per un momento sperò di vederlo saltar fuori da un momento all'altro.
Come sono patetico...
La distrazione gli fu quasi fatale quando, alle sue spalle, Eneas emerse dalle dense tenebre e sferzò l'aria con la spada che aveva sottratto proprio a Godric durante l'interminabile inseguimento.
Una ferita lunga e trasversale disegnò forme astratte e scarlatte sui vestiti dell'Efialte, sulla schiena che era già stata presa di mira più volte.
Non riuscì neppure a urlare, il fiato gli si era mozzato in gola non appena il fendente era calato su di lui. Rimase a terra, intontito e dolorante, il viso rivolto sul pavimento. Cercò di tirarsi su, ma gli procurò solo una lancinante sofferenza.
«Alzatevi!» ruggì Eneas, pronto a colpirlo di nuovo non appena fosse tornato in piedi. «Cosa c'è, padre? L'età inizia a farsi sentire?» lo schernì, la voce crudele e, come al solito, accusatoria.
Non ce la faccio più, pensò disperato Godric, tentando di strisciare in avanti e sottrarsi al figlio che si rifiutava di danneggiare a propria volta.
«C-Che cosa vuoi che faccia?» singhiozzò, la voce stridula, incrinata, simile a quella di un bambino spaventato. «Cosa vuoi che dica?» continuò, quasi ringhiando, sbattendo i pugni sul pavimento in un momento di impotente disperazione.
Eneas si avvicinò. La punta insanguinata delle spada pendeva a soli venti centimetri sopra il collo del padre. «Non c'è nulla che possiate dire o fare, ormai. Non avete mai amato me, la nostra famiglia, come avete amato Iago e l'uomo che ancora chiamate maestro, anche se vi ha condannato all'eterna vergogna e vi tratta come uno zerbino! Tutto questo perché decideste di salvare prima la sua famiglia, anziché la vostra! Ci avete abbandonati!»
Godric avrebbe voluto urlare che non era vero, che li amava ancora, tutti loro, anche se erano morti e lui invece era ancora vivo, pur senza esserselo meritato.
Benché fosse entrato in quell'inferno per salvare Iago, iniziava di nuovo a sprofondare nel male di vivere, nella stanchezza che per secoli lo aveva accompagnato.
In fin dei conti era stato Metatron a suggerirgli di arrendersi al proprio destino, di lasciare che si compisse, per quanto forse nefasto e orribile.
A cosa serviva lottare, ormai?
Non osò sollevare gli occhi, li tenne incollati al gelido pavimento ora viscoso per via del sangue.
«Fa' pure quello che il tuo padrone ti ha detto di fare» disse. «Sono io ad avere torto. L'ho sempre avuto.»
Per quale ragione sarebbe dovuto sopravvivere? Per poter di nuovo essere preso di mira da Grober e magari fare una fine peggiore di quella che ormai gli alitava sul collo? Per tornare a essere disprezzato dai propri simili e deriso dall'uomo che aveva cercato di aiutare e lo aveva ripagato con secoli di umiliazioni? Per morire di crepacuore, magari, quando qualcun altro a lui caro sarebbe stato di nuovo in pericolo?
Era meglio farla finita subito. Aveva sofferto abbastanza.
Rimase immobile come un animale che era stato condotto al ceppo del macellaio e sapeva di non avere più scampo né santi da invocare.
La sorte non era mai stata a suo favore e non c'era mai stato nessuno da pregare, in realtà.
Violet...
Ripensò alla sua bambina, alla sola cosa che avesse riportato un po' di luce nella sua vita avvolta nelle tenebre e nell'isolamento. Si disse di essere stato uno sciocco a immaginarsi un epilogo diverso, una vita trascorsa accanto a sua figlia, magari poter addirittura vedere Iago e Desya riconquistare il loro posto nel mondo e portare una nuova era. Aveva sognato di poter tornare a essere un brav'uomo, un padre di cui Violet un giorno sarebbe stata fiera e sul quale Desya e Iago avrebbero sempre potuto contare. Aveva sognato invano il ritorno del mattino dopo una lunga e interminabile notte costellata di mostri, senza rendersi conto di esser ormai diventato uno di loro e non poter più avere un finale decente per la vita assurda e disastrata che aveva condotto.
I mostri, coloro che si comportavano male e voltavano le spalle alle proprie colpe, non meritavano un lieto fine.
Che stupido... che illuso era stato.
«Fallo» disse a Eneas, la voce rotta dai singhiozzi che non riusciva in alcun modo a ricacciare indietro. Aveva sempre pensato che al momento della morte avrebbe riso in faccia a quest'ultima, invece eccolo lì, a terra come un verme, in lacrime come il ladro che veniva trascinato in prigione dopo l'ennesima malefatta. Ormai, però, non era più questione di giusto o sbagliato, di bene o male, di onore o disonore. C'era una sola cosa che desiderava ottenere ed era la libertà, e non l'avrebbe mai ottenuta da vivo. Ci sarebbero sempre state delle catene ad attenderlo, delle colpe a tormentarlo.
Eneas, senza la minima ombra di emozione, impugnò con entrambe le mani la spada di suo padre e si preparò ad affondare la lama nella sua schiena per l'ultima volta.
Quando fu a un centimetro dal bersaglio, tuttavia, venne colpito in pieno da qualcosa che produsse uno stridore di pura elettricità, come un'autentica scossa provenuta da un fulmine del cielo mandato dalla Provvidenza. Eppure non si trattava di Dio né del Diavolo, bensì, semplicemente, di Dante, il quale si avvicinò in poche falcate. «È l'ora della nanna, Eneas!» ringhiò. Fra le dita evocò una sfera di energia elettrostatica che mandava bagliori arancio-scarlatti, eppure sembrava ancora fuoco e nessuna delle due cose. «Torna nelle tenebre, adesso!» La scagliò addosso allo Specter e sotto lo sguardo attonito e parzialmente velato dall'avanzare dell'incoscienza di Godric, la creatura venne avvolta da migliaia di sottili saette e infine si disintegrò come un feticcio di terracotta. Ciò che rimase fu un semplice cumulo di cenere.
Dante si asciugò la fronte e poi scoccò un'occhiata a Godric, ma quest'ultimo aveva perso i sensi dopo aver visto il figlio morire, in un certo qual modo, una seconda volta. «Sei il solito idiota» sibilò tra sé l'altro Efialte. Alzò gli occhi al cielo, agguantò l'ex-allievo e se lo mise in spalla, malgrado quest'ultima, la destra, fosse ferita e in pessimo stato.
Ammetteva di aver avuto la tentazione di accettare la proposta di Grober, poi però si era detto che sarebbe stato uno stupido a farlo. Aveva ricordato a se stesso che i morti tali restavano e che la natura non poteva essere sempre ostacolata. Le cose stavano in quel modo e ormai niente e nessuno avrebbe potuto salvarlo o farlo redimere. Di cose malvagie, spregevoli e meschine ne aveva fatte e no, non se ne pentiva ed era solo un bene che sua moglie e sua figlia fossero morte. Si erano risparmiate la sua discesa all'inferno.
Grober non poteva restituirgli ciò che aveva perso. Le promesse del diavolo erano come le promesse dei marinai: belle quanto false e campate per aria.
Dopo il suo secco e rabbioso rifiuto, beh... sua figlia, la sua bambina, la sua adorata Yvaine, si era trasformata in un piccolo demonio manovrato come una marionetta da Grober. Lo aveva aggredito e diamine se gli aveva dato filo da torcere!
A quel punto aveva cercato in ogni modo di uscire da quella situazione. Aveva provato con ogni singolo incantesimo che conosceva fino ad arrivare a quello più potente, certo, ma anche difficile da controllare e causa di un grosso dispendio di forze. Era lo stesso che aveva usato su Eneas.
Gli Efialti lo conoscevano come una sorta di incanto che fungeva da esorcismo fatto appositamente per liberarsi delle creature delle Tenebre qual erano anche gli Specter.
Poche volte gli era toccato di ricorrere ad esso e non sempre era andato a segno. Come si era soliti dire, tuttavia, la necessità e il pericolo rendevano l'uomo ingegnoso.
Non restava altro che capire come andarsene da lì. Dante aveva però compreso una cosa: non si trovavano nel castello originale di Specula. Quella era una versione distorta di suddetto luogo, una sorta di limbo, un labirinto di orrori o, semplicemente, una prigione.
Si fermò quando comprese di dover riposare un po'. La ferita sulla spalla gli faceva un male tremendo e Godric era attualmente un peso morto.
Lo adagiò a terra, la schiena contro la parete di pietra che li affiancava.
Dove cazzo sono, esattamente?, pensò spazientito, avendone sul serio abbastanza di quelle baggianate di pessimo gusto nel tipico stile dozzinale di Grober.
«Aspetta solo che ti metta le mani addosso, viscido bastardo» ringhiò.
Iniziava a sospettare che il presunto rapimento di Iago fosse stato un mero specchietto per le allodole. Lui e Godric erano stati attirati lì con l'inganno a causa di una comune debolezza.
Il prossimo che viene a dirmi che sono un menefreghista, giuro sulla tomba di mio padre che lo spedisco sulla luna a suon di calci nel culo.
«Davvero impressionante!»
Sobbalzò. «Porca puttana!» Si voltò e sussultò una seconda volta vedendo André, anzi Grober, a un centimetro di distanza. Arretrò di due passi. «La dovete seriamente smettere tutti quanti di comparire alle spalle della gente, sai?» sibilò. «Che altro vuoi? Perché non siamo ancora liberi? Abbiamo sconfitto gli Specter e non c'è nessun Iago da salvare, lo sai benissimo e l'ho capito anch'io!»
Non gli faceva nessuna paura.
Grober sogghignò. «Oh, tu te la sei cavata sicuramente bene, ma Godric non ha sconfitto nessuno. Come al solito ti sei rivelato un bravo maestro e sei intervenuto in tempo per togliere dai pasticci il tuo allievo. Per quanto sia commovente, Dante, la tua scelta ha azzerato gli sforzi di entrambi.»
«Che cosa?» ringhiò Dante, ormai sul punto di strozzarlo. «Niente scherzi e facciamola finita! Basta con le cazzate!»
«Sei davvero un cuor di leone, almeno quando tua figlia non è nei paraggi. Prima non sembravi così impetuoso e pronto a ruggire, sai? Eri più un micetto che a stento riusciva a rizzare il pelo, a mio parere!»
Prima ancora di potersi frenare, Dante gli aveva già mollato un pugno dritto in faccia. «Vaffanculo!»
Grober si tenne il naso e se lo rimise a posto con uno spiacevole scricchiolio. «Perbacco! Tu sì che picchi duro! In una cosa tu e Dario vi somigliate, dopotutto!»
«Non nominarmi quello là! Ne avrei di cose da dire sul suo conto!»
«Ma se è persino venuto fin qui a salvare te e Godric!» esclamò la divinità, un luccichio mefistofelico nello sguardo.
«Puttanate» sputò fuori Dante.
«Oh, sei libero di non credermi, ma in questo preciso istante se la sta vedendo con degli Specter creati appositamente per lui e con una caccia al tesoro, chiamiamola così!»
«Cosa?»
«Gli ho detto che avrei lasciato in libertà Godric e te, se lui fosse riuscito a scovare il nascondiglio dei tuoi occhi.»
L'Efialte si sentì gelare, poi si riprese e inspirò profondamente. «Cazzo.» Ora sì che erano tutti quanti nei guai. «Quell'idiota!»
Perché quel vampiro non riusciva a combinarne una giusta? O almeno a non incasinare i suoi piani?
Grober si strinse nelle spalle. «Sì, è stato piuttosto presuntuoso, come al solito. Altra cosa in comune con te.»
«Cosa succede se non troverà quei cosi in tempo?» Dante sapeva molto bene di quella storia degli occhi e tutto il resto. Si rammaricava solo che i suoi genitori non avessero saputo pensare a un nascondiglio migliore, ma d'altronde Grober era pur sempre Satana. Il Diavolo sapeva sempre tutto o quasi.
«Oh, nulla di che. Se fallirà, mi apparterrà per sempre e... beh, anche tu farai una brutta fine. Per riavere Rasya ho bisogno di rimettere insieme i pezzi mancanti e per recuperare i pezzi, scusa se sarò brutale, vanno distrutti gli involucri che li racchiudono. Cos'è che disse un tale? ‟Per fare la frittata bisogna prima rompere le uova". Per quel che concerne Godric, mi divertirò parecchio a fargliela pagare per avermi messo i bastoni fra le ruote una volta di troppo. Pensava di poter nascondere al mio sguardo vigile Alexander e il bello è che è stato lui stesso a costituirsi di sua spontanea volontà. Non ho dovuto far altro che dargli una spintarella.»
L'Efialte ignorò appositamente il resto del discorso. Al momento gli importavano ben altre cose più urgenti di un vampiro idiota che si era messo nel sacco da solo. Non conosceva quel tizio e non gliene fregava un accidente dei suoi accordi con Grober. In quanto a Godric, al momento aveva opinioni discordanti e agli antipodi sul suo conto. «Perciò, anche se tentassi di uscire da questo inferno sconfiggendo qualsiasi altro nemico, lo stesso sarei vincolato alla vittoria o alla sconfitta di Dario.» Serrò i pugni. «Era il tuo piano sin dall'inizio, non è così? Volevi noi due e adesso hai entrambi fra le tue grinfie. Eravamo noi il vero bersaglio, miserabile carogna!»
Grober fece spallucce. «Niente di personale, davvero. Beh, in parte lo è, in realtà. Io e la tua controparte, come ben sai, abbiamo dei conti in sospeso. Prima o poi doveva arrivare questo giorno. Tu, Dante... come dire? Sei una vittima collaterale, anche se non è che tu abbia chissà cosa da perdere. Sbaglio? Non vedo come potrebbe interessarti il tuo futuro, quando sai bene di non essertene mai figurato alcuno.»
«Sbagli eccome» replicò a denti stretti l'Efialte. «E ti sarei immensamente grato se per una volta evitassi di farti gli affari miei. Non vengo di certo a sbandierare i miei piani per l'avvenire a te!»
Grober, senza l'ausilio di una parola in più, capì e rise di gusto. «Gli vuoi ancora bene!» esclamò ilare, accennando a Godric. «Da non credere! E pensare che lo hai persino maledetto a vita! Sei veramente una figura tragica, Dante! Non si può non avere pietà di te! È da spezzare il cuore come tu tenti in ogni maniera di fare la cosa che ritieni più giusta e poi finisca sempre per scavarti la fossa da solo! L'ho detto: una figura tragica!»
Dante, difficile a dirsi, si limitò a incassare in silenzio quelle parole piene di scherno. Chi taceva acconsentiva e lui ne era l'esempio lampante.
«Non so, tuttavia» continuò la divinità, «se Godric sia a questo punto disposto a perdonarti, sai? Ti odia, amico mio. Ti odia eccome! Sei riuscito a farti detestare dall'ultima persona alla quale ancora interessavano le tue sorti. Sei un portento nel renderti odioso e insopportabile agli occhi di chiunque, persino coloro che un tempo chiamavi amici! Te ne rimaneva solo uno e fino all'ultimo ti sei impegnato a fondo per allontanarlo!»
Dante sorrise in modo forzato. «Lo scettro spetta a te, però» ribatté secco. «Sei tu a essere il più odiato di tutti. A tuo confronto sono un semplice lacchè.»
«Credimi, me ne importa davvero ben poco. Non sono come te. Non ho mai avuto niente da dimostrare al prossimo. Tu fai la parte dello spaccone borioso, di quello che spergiura di non avere bisogno di nessuno, ma in realtà sei poco meno di un ragazzino arrogante che ha preferito incolpare un innocente, anziché se stesso. Hai preferito dare la colpa a Godric anche se tu, mentre la tua famiglia veniva trucidata, te la spassavi e facevi le capriole nel letto con l'affascinante re Petya. Sei alla ricerca di un perdono che non otterrai mai, Dante, perché tu in primo luogo non sei mai stato capace di perdonare. Sei un cane che si morde la coda e che ora sta per addentarla, non sapendo quanto dolore gli procurerà farlo. Se credevi che presentandoti qui e stando alle mie regole te la saresti cavata o avresti avuto vita facile, è proprio giunta l'ora che ti rimetta a fare i conti per bene.»
«E tu, invece, che cosa stai cercando? Mh?» lo provocò l'Efialte, gli occhi che dardeggiavano per la rabbia crescente che ormai stentava a contenere. Sapeva che Grober lo stava facendo inferocire appositamente, ma sapeva anche di essere davvero stufo di quel giochetto perverso e di voler sì e no spaccargli la faccia. Non era la cavia né lo zimbello di nessuno e non avrebbe permesso a quel mostro di rinfacciargli il suo passato. Sapeva cosa aveva fatto, conosceva bene le colpe che aveva sulla coscienza e non si sarebbe fatto mettere sul banco degli imputati da uno come Grober.
«Vuoi farmi parlare e farmi spiattellare tutto il mio piano? Mi hai preso per un cattivo dei cartoni animati?» cinguettò la divinità, guardandosi le unghie con finto interesse.
«Poco ci manca. Di certo finirai come uno di loro e tutta la dinamite che hai appositamente radunato ti esploderà in faccia. Non vedo l'ora che accada, tra parentesi!»
«Lo vedrai, Dante. Lo vedrai che cosa ho in mente.» Grober si coprì le labbra e assunse una finta aria dispiaciuta. «Ops! Verbo sbagliato, scusami! Dimenticavo che sei cieco!»
«Smettila» ringhiò l'altro.
«Altrimenti, volpacchiotto?» Il dio Sverthiano si avvicinò a braccia conserte. «Non ne hai il fegato, vero? Sai che se cedessi alla tua indole bestiale, poi ti ritroveresti con una bella museruola, forse nel senso letterale del termine, proprio com'è accaduto in passato. A quanto pare Petya ti ha addomesticato alla perfezione!» Si accostò ancora. «Oppure sei troppo affezionato alla promessa fatta al tuo paparino, all'uomo morto per colpa tua, tanto per cambiare? Te lo ricordi, vero, Dante? Troppo accecato dall'affetto per tuo zio per capire che era stato lui a imbastire quell'imboscata servendosi di te. Sai, però, chi è stato a dargli l'idea? Ce lo hai proprio di fronte adesso. Oh, sì! Ti osservo da un bel po' di tempo e credimi, è stato delizioso vederti sprofondare nelle tenebre alle quali sei devoto, anche se ora giochi a fare l'eroe pur sapendo che è un ruolo che non ti si addice. Sai di essere spregevole quanto me. Lascia perdere l'ipocrisia, non è roba per te.»
Dante sembrava fumare dalla rabbia.
«Toglimi una curiosità: quando hai realizzato che tutto ciò che tenti di fare, tutto ciò che osi toccare, prima o poi si tramuta in cenere? Quando hai capito di essere una calamità ambulante?»
L'Efialte affondò le unghie nei palmi delle mani.
Grober inclinò la testa. «Ciò che davvero mi interessa di sapere, per pura e genuina curiosità, è cosa provasti quando venisti a risapere che Talia era morta. Cos'hai provato ancora dopo quando Petya, alla fine, ti ha confessato che fu Misha a innescare il meccanismo del bracciale che lei indossava. Dev'essere stato orribile, dico bene? O forse no. In fin dei conti si trattava solo di una puttana morta.» Sghignazzò vedendo l'espressione di Dante. «È davvero una soddisfazione vedere nei tuoi occhi i sensi di colpa e il rimpianto. Non immaginavi che si sarebbe cacciata nei guai dopo che te ne eri andato perché non riuscivi a scegliere fra la tua amata Neera e quella piccola fata nata bastarda. Amavi Talia, non è così? Il solitario Dante si era innamorato dopo secoli trascorsi in totale solitudine! Eri innamorato di lei, ma amavi molto di più te stesso. Tu odi Petya non per cosa accadde alla tua famiglia, ma perché non diede un freno a Misha quando era giunto il momento di farlo. Lo odi perché non fece niente per evitare il disastro che ha trascinato via con sé quella ragazza e odi te stesso perché sai che se fossi rimasto, Talia avrebbe avuto la possibilità di costruirsi finalmente una vita vera. Sai che è colpa tua e non lo sopporti, non tolleri di non poter rifilare una simile responsabilità a qualcun altro!»
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso, eppure Dante oppose ancora resistenza, seppur letteralmente prostrato dalla lotta interiore che si stava svolgendo dentro di lui. Grober lo squadrò con un sorriso sinistro, osservò quell'orgogliosa creatura finalmente crollata in ginocchio e piegata su se stessa tremare come una foglia, serrare i pugni sul pavimento.
«Avanti, volpe, vieni allo scoperto.» Si avvicinò ancora. «Mostrati, forza! A meno che tu non abbia imparato ad amare il bel collare che Petya ti ha messo!» Sollevò una mano e fece per usare i poteri in modo da abbattere l'ultima barriera che separava Dante dalla bestialità e finalmente aprire uno spiraglio nella sua mente, ma una voce flebile, eppure allo stesso tempo minacciosa e furente, lo fece arrestare e rimanere con le dita a mezz'aria. I suoi occhi cerulei, lentamente, si posarono su Godric: aveva ripreso conoscenza e per quanto non riuscisse a mettersi in piedi, stava ricorrendo a tutte le forze che gli erano rimaste per sostenere il peso del corpo, per tenere alta la testa e guardare con sprezzante odio e con rabbia il perfido dio. Le sue iridi color ambra scintillavano d'ira, di grinta ritrovata.
Grober lasciò perdere Dante e si avvicinò all'altro Efialte. Non ghignava più, era altrettanto intimidatorio e ricolmo d'odio. «Scusami? Ti spiacerebbe ripetere?»
«Ho detto» esalò Godric a denti stretti, «che devi lasciarlo in pace!»
L'altro rise, schernendolo. «Oh! E sarà uno come te a impedirmi di fare quel che mi pare, vero? Perbacco, Godric! Non ti facevo così burlone!»
«Non sto affatto scherzando!» Spinto dalla furia, Godric tornò su, tenendosi appoggiato alla parete per trovare uno stabile sostegno. «S-Se... se provi a toccarlo o a fargli... fargli perdere il controllo che ha tanto faticato per ritrovare... giuro che mando a quel paese tutto e ti ammazzo! Non mi importa se così scatenerò l'inferno sulla Terra! Lui non devi toccarlo! Ha già sofferto più di quanto chiunque potrebbe tollerare!»
Grober restrinse lo sguardo. «Senti senti!» Tornò a sogghignare vedendo Dante alquanto preoccupato e intimorito da quel che stava avvenendo. «Sto per esaudire le preghiere che per tanto tempo hai covato nel cuore.» Tornò a fissare l'altro Efialte. «Che sia di lezione a te e anche alla tua controparte. Che ciò vi insegni a non scherzare con il fuoco e con il Diavolo.»
«Allora si vede proprio che non conosci affatto i miei reali desideri» lo contraddisse Dante rauco, la voce più ferina. Grober si concentrò di nuovo su di lui e vide che ora reggeva in mano un pugnale, la lama puntata con forza alla gola. «Sai meglio di me cosa succede se sono io a crepare e io so che non intendi incontrare il tuo vecchio amichetto Rasya, non prima di aver ripreso possesso del tuo corpo e dei tuoi poteri al completo. Mi chiedo cosa succederebbe se ora decidessi di farla finita e di far tornare il tuo schiavo agli antichi fasti. Dici che ti prenderebbe a calci nel culo da qui all'eternità? Si metterebbe molto male per te, visto che non hai ancora riacquisito tutti i tuoi poteri al completo. Non riusciresti a controllare Rasya, dico bene? Si rivolterebbe contro di te come un'aspide!»
«Non osare!» ringhiò Grober.
«E tu lascia in pace Godric! Non è alla tua altezza e lo sai benissimo! Sei solo uno spocchioso, arrogante, viziato ragazzino che se la prende con avversari facili da abbattere! Vigliacco bastardo! Se ci tieni tanto a lottare contro qualcuno, allora fatti avanti con me, se ne hai le palle!» Accennò a Godric con un lieve movimento del capo. «Lascia che torni a casa. È debole, si regge in piedi per miracolo! Sta morendo, non lo vedi?»
Godric era spiazzato. Non sapeva cosa dire o fare, cosa pensare. Certo, non gli aveva fatto molto piacere esser definito non all'altezza di Grober, un avversario quasi indegno di quel mostro.
«Lascialo andare» ripeté l'altro Efialte, ma la voce, stavolta, gli si spezzò sul finire della frase. «Hai me. Non ti basta? Lui non deve morire per forza, lo sappiamo entrambi! Smettila di fare lo stronzo e affronta me!»
Non osò guardare Godric. Pur non potendo vederlo sul serio, sapeva che però, in un momento come quello, in cui il passato sembrava aver preso gusto nello sbattergli in faccia cose che aveva voluto forzatamente scordare, in lui avrebbe rivisto una sagoma piccola e bianca, quella di un minuscolo Efialte che un tempo gli era stato affidato affinché lo istruisse sulla magia e sull'arte delle armi. Il ragazzino che una volta aveva detto che un giorno sarebbe diventato come lui, un Ammazzadraghi, un eroe.
Lui non aveva risposto, era rimasto in silenzio, non volendo infrangere i sogni di un bambino dicendogli che non era affatto un eroe e che nessuno, sapendo chi era davvero, sarebbe voluto diventare come lui.
Si era pentito, in passato, prima dello scoppio della guerra civile, dello scontro con Petya, di non essere stato un maestro affettuoso, uno di quelli che ogni tanto gratificavano gli allievi dicendo loro che erano stati bravi, che stavano imparando bene la lezione. Tornò a pentirsene quando si rese conto che uno di loro due, probabilmente, non sarebbe uscito vivo da quell'infernale posto.
Aver eliminato lo Specter di sua figlia gli aveva aperto gli occhi, in un certo senso. Una terapia d'urto che aveva dato i suoi frutti, per quanto amari.
Odiava se stesso per aver detestato le persone sbagliate ed essere stato cieco, realmente cieco, di fronte alla verità, e ormai era tardi per chiedere scusa, per rimediare agli errori che aveva commesso e farsi perdonare dalle persone che, a conti fatti, aveva tradito in ogni maniera. E tutto per cosa, poi? La vendetta mai gli era sembrata stupida e inutile come in quel momento.
Ripensò anche a Talia, la dolce Talia che gli aveva fatto girare la testa quando ormai si era convinto di non poter più albergare nel cuore altro, se non l'odio e la diffidenza. Le aveva voltato le spalle per amore di un'ira mai sopita, rinunciato a rifarsi una vita perché troppo ancorato a quella che aveva perso secoli addietro. Non era riuscito a detestare Misha, venendo a sapere che era stato lui a causare la morte di Talia, perché in fin dei conti quel ragazzo era stato avvelenato nella mente da Grober e dalla volontà di riportare indietro dalla morte Iago, il suo adorato fratello morto ingiustamente.
La verità? Era stanco di odiare, di affibbiare ad altri colpe che erano esclusivamente le sue e di venir meno alle proprie responsabilità. Non aveva fatto altro che scappare dal passato e dal futuro ed era arrivato il momento di farla finita. L'elefante nella stanza era troppo ingombrante per essere ignorato.
Grober tacque a lungo, i suoi gelidi occhi cerulei che guizzavano da Dante a Godric e viceversa. Quando finalmente la sua espressione mutò, fu inquietante vederlo rilassarsi e sorridere con aria vagamente compiaciuta e sicura. «Molto bene, allora. Fa' ciò che hai minacciato di fare. Avanti, Dante. Voglio vedere il tuo sangue macchiare il pavimento. Anche se...»
Unì le mani e quando le separò, fra di esse ardeva una fiamma azzurra che lambiva l'aria senza produrre alcun crepitio. In realtà da essa pareva provenire un sommesso e lontano suono di sospiri misti al battito di un cuore. «Dimentichi che attualmente alcune parti del Mondo Ultraterreno sono sotto il mio controllo. Ciò significa, furbacchione, che posso estinguere il fuoco tra le mie mani quando e come mi pare. Sai già a chi appartiene questa fiamma vitale e sai che non esiterò a soffiarvi sopra come se fosse una candelina di compleanno su un bel cupcake!»
Strinse lievemente le dita sulle lingue di fuoco e Godric sussultò, poi si strinse il torace con entrambe le mani e si piegò in avanti, senza fiato e con gli occhi sbarrati.
Grober sorrise maligno. «Quello che nessuno di voi ha ancora capito, signorini miei, è che se siete tutti ancora vivi è solo perché sono io a volerlo e a permetterlo.»
Godric rantolò. «Come... com'è possibile?»
«Non è ovvio?» ghignò la divinità. «Alex ha già deciso del proprio destino, ha accettato la fine, la sconfitta, e questo rende me più forte e determinato, così tanto da poter permettermi trucchetti come quello che state vedendo.» I suoi occhi scintillanti di bieca soddisfazione tornarono su Dante. «Sapete com'è: quando un re è assente, è naturale che qualcuno finisca per soppiantare il suo dominio. Il regno di Azrael, i morti, sono sotto il mio controllo visto che Rasya, il solo che possa eguagliare l'Angelo della Morte, ha scelto di lasciare tutto in mano ai suoi eredi che preferiscono agire in base ai sentimenti, piuttosto che secondo ciò che va fatto a qualsiasi costo. Ha commesso un grave errore ad affidare a te e a Dario un compito che chiaramente non siete all'altezza di portare a termine.» Fece rimbalzare la fiamma sul palmo della mano e quando fu sul punto di parlare di nuovo, Godric lo anticipò: «Cos'è che vuoi veramente da tutti quanti noi?» chiese stremato. «Perché tutto questo odio? Cosa vuoi ottenere inimicandoti il mondo intero?»
In parte stava chiedendo per perdere tempo nella speranza che Dario si desse una mossa e riuscisse in qualche maniera a raggiungerli, dall'altro lato, però, era davvero alla ricerca di una valida spiegazione per la sofferenza che Grober stava causando a tutti loro.
Non era pazzo, nossignore. Grober non era una divinità folle e sregolata, anzi l'esatto contrario.
Non faceva mai niente per niente.
Il dio Sverthiano assunse un'espressione così seria da risultare tetro e cupo. La fiamma nella sua mano svanì e le dita si chiusero di scatto.
«Le mie ragioni non devono in alcun modo interessarti.»
«Invece mi interessano eccome.»
Dante fece una smorfia. «Te lo dico io perché: è un maledetto stronzo. Serve dire altro?»
L'altro Efialte lo squadrò. «Come al solito dimostri di avere la stessa sensibilità di una pietra.»
«Meno male, allora, che ci sei tu a ristabilire l'equilibrio nell'universo.»
«Fa' un favore a tutti e chiudi quella cazzo di bocca per cinque minuti. Pensi di farcela, Dante?»
«Qui sei tu a dare i numeri! Ti stai dissanguando per colpa sua e te ne stai lì a fare lo psicologo mancato! Perché, già che ci sei, non lo inviti a casa tua per una maratona di tutti i film d'amore più melensi degli ultimi trent'anni?»
«Voglio solo capire, va bene?» insisté Godric spazientito. «So bene chi e cosa è, ma non per questo dobbiamo pensare che sia un pazzo privo di ragione e che stia facendo tutto questo solo perché ha il potere di farlo e voleva semplicemente trovarsi un hobby! Ti direi di andartene a quel paese, ma so che persino lì ti rispedirebbero indietro a calci!»
L'Efialte più anziano rise con scherno. «Mi stai prendendo in giro, vero?» fece poi rabbioso. «Solo tu potevi uscirtene con questa marea di fesserie! Non mi sorprende che Iago sia diventato a un certo punto un delinquente sregolato sotto il tuo stesso naso! Ti metti a disquisire di chissà quali traumi passati con questo bastardo qua, anche dopo quello che è stato capace di fare!»
Il più giovane, ormai totalmente preso dalla discussione, fece dei passi avanti e guardò con gelo il suo interlocutore. «Anche tu sei stato capace di fare cose orribili, Dante, eppure sono ancora qui a rivolgerti la parola, per quanto in realtà non meriteresti altro, da parte mia, se non il disprezzo e l'indifferenza. Chi è il vero idiota, dimmi?»
«Non penso di poter essere messo al suo stesso livello.»
Godric sorrise sardonico. «Non saprei, sai? Ho diversi dubbi a riguardo, ultimamente.» Un altro passo avanti. «Solo perché prima mi hai salvato la vita, questo non significa che io abbia dimenticato tutto quello che ho dovuto sopportare per colpa tua. Non è stato Grober a porre fine alla mia vita sociale, al rispetto e alla fiducia dei nostri simili. Non è stato lui a portarmi via l'intera esistenza che avevo, Dante. Sei stato tu. Per tanto tempo ho incolpato Petya e me stesso, ma ho capito di aver sempre abbaiato contro l'albero sbagliato.» Fece una pausa. «Sai... la verità è che ti odio. Ti odio e basta. Non c'è nient'altro e non esiste nulla che potrebbe farti guadagnare il perdono da parte mia. Ti odio in maniera indescrivibile e indiscriminata, e finalmente riesco a dirtelo in faccia. Non sai che liberazione sia poterlo fare senza sentirmi in colpa. Ho parlato con Jake della maledizione che tanto magnanimamente mi avevi scagliato addosso e ho mentito perché mi vergognavo ad ammettere che in realtà una soluzione esiste e mai sono riuscito a metterla in atto.»
C'era un modo per porre fine agli effetti del marchio che lo aveva condannato alla vergogna e al disprezzo dei suoi simili: eliminare l'artefice del sortilegio. Nell'Oltrespecchio non vi era potere più grande e misterioso del sangue versato.
«Se ancora non ho fatto niente, è perché altrimenti ucciderei anche una persona che rispetto e ritengo valida mille volte più di te. Non ti ho ucciso e non ho liberato me stesso perché altrimenti sapevo che Iago e Desya ne avrebbero risentito in qualche maniera, perché loro, malgrado tutto, sono ormai i soli esseri viventi ad amarti per ciò che sei, nonostante tutti i tuoi difetti. Sai chi è stato a insegnare loro l'importanza dell'affetto a qualsiasi costo? La stessa persona che hai ora di fronte e a cui hai poco fa detto di aver cresciuto tre ragazzi senza spina dorsale.»
Grober, il quale fino ad allora si era tenuto in disparte e aveva osservato la scena con bieco interesse, sogghignò. «Era proprio ora che gli dicessi come stanno davvero le cose, sai?» intervenne, rivolgendosi poi a Dante. «Da quel che ho capito, sei sul serio riuscito a farti odiare da quello che una volta era il tuo pupillo. Mi inchino di fronte a tanta perseveranza e a una simile bravura!» Raggiunse Godric. «Sai, ho deciso di risparmiarti, almeno per oggi. Ti consideravo uno smidollato che ormai non poteva più in alcun modo attirare la mia curiosità, ma mi hai davvero sorpreso. Apprezzo sempre chi sa essere sincero in primo luogo con se stesso.»
Godric lo squadrò. «Mi lasci andare?»
«Esattamente.»
«E a che scopo? Tanto prima o poi mi ucciderai comunque e lo sappiamo tutti e due. Fallo adesso e smettiamola con questo teatrino, Grober.»
«È vero, un giorno ti serrerò le mani sulla gola e guarderò i tuoi occhi spegnersi, ma non oggi, Godric. Non oggi.» Grober tacque per alcuni istanti e fece ondeggiare l'indice in direzione di Dante. «Puoi andare e la sola condizione che ti impongo è di andartene senza di lui. Cosa ne dici?»
Seguì un lungo, teso silenzio. A lungo i due Efialti si guardarono a vicenda. Nello sguardo di Godric, però, vi era un gelo estraneo alla sua indole in fin dei conti umana, buona e corretta.
«Cosa dico?» disse infine. «Dico che costui può andare a farsi fottere. In fin dei conti se la cava bene solamente quando è da solo, giusto? Il prode Dante non ha bisogno di nessuno, se non ricordo male il suo detto preferito.» Piegò un angolo della bocca. «Non c'è più niente che mi trattenga qui e in fondo io non sono all'altezza di questa impresa, sempre se la memoria non mi inganna.»
Sapeva che ciò che stava dicendo e facendo era degno del peggiore girone infernale, di quello riservato ai traditori, ma sapeva anche che era giusto così, che una rivincita, per quanto spregevole e crudele, gli fosse dovuta.
Sapeva che Dante vacillava solamente con quel genere di ceffoni: quelli invisibili, quelli dati senza sollevare un dito, quelli che colpivano dritti allo stomaco.
«Cavatela da solo sapendo di essere da solo. Io l'ho fatto per secoli.»
Lo vedeva che per una volta, una soltanto, il colpo era appena andato a segno. Riusciva a intravedere una grossa spaccatura nella corazza dell'uomo che aveva finalmente ammesso di odiare, e non provava niente per ciò che stava guardando e osservando. Non c'era niente, se non un senso di liberazione e di bieca, serpentina vittoria.
Se Grober aveva deciso di lasciarlo andare, tanto meglio. Non era in ansia per Dario. Lui sapeva davvero cavarsela da solo, era abbastanza arguto e spigliato da uscire da quella situazione in piedi, proprio come un gatto che cadeva sempre sulle zampe, e se quel vampiro fosse uscito vittorioso dalla cosiddetta caccia al tesoro, allora c'era una possibilità anche per Dante e lui non era in dovere di sentirsi in colpa né responsabile di alcunché.
Prima lo aveva difeso, aveva detto a Grober di lasciarlo stare, ma di fronte all'ennesima dimostrazione dell'insopportabile superbia che quell'Efialte mai aveva scelto di smussare e di abbandonare, aveva deciso di ritrarre la mano che gli aveva teso, capito finalmente che non meritava alcun aiuto, non da parte sua.
Iago era suo figlio e un padre la cui mente tornava poi limpida e fredda, sempre sapeva in cuor proprio se uno dei suoi figli si trovava in pericolo o meno. Gli Efialti in questo erano maestri, lo avevano nel sangue, era proprio della loro natura.
Iago stava bene, era al sicuro. Non gli importava altro che di questo.
Dante non disse niente e con ostinazione posò gli occhi altrove e quell'atteggiamento, quella semplice azione, furono per Godric un segnale forte e chiaro che gli impose di non aggiungere altro e di tirare dritto per il corridoio. Avrebbe trovato da solo la via del ritorno, lo sapeva, proprio come sapeva di aver forse superato la vera prova cui Grober quel giorno l'aveva sottoposto. Era proprio vero che non tutto il male veniva per nuocere. A volte serviva il male per curare una vecchia ferita e finalmente spingerla a guarire, a diventare una semplice e innocua cicatrice che solo il tempo avrebbe fatto sbiadire.
Sapeva di aver vinto, a modo suo, e non aveva rimpianti. Era stanco, provato nel corpo e nella mente e aveva grosse probabilità di tornare dagli altri più morto che vivo, ma almeno aveva appreso una nuova lezione e infatti quel giorno, in un certo senso, Grober gli aveva dimostrato una semplice verità: così come esisteva la giustizia divina, vi era pure quella del demonio. Forse era il solo, vero equilibrio sul quale intere ere passate di storia ed evoluzione poggiavano le fondamenta.
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