Capitolo XIX. Græb'senja
Musica consigliata: "Witchcraft" di Alphaxone.
https://youtu.be/5sPtVl1XLQ8
Giunti a Vadnasyl, una città dall'aria tranquilla e immersa in una realtà rurale, Iago aveva individuato una locanda dall'aspetto promettente e lì prima si erano rifocillati – o meglio, lui e il nipote lo avevano fatto – poi avevano deciso di fermarsi per riposare e finalmente dormire su dei letti, dopo mesi e mesi trascorsi quasi sempre a contatto con la nuda terra.
Per Andrew era stato quasi strano e alieno sedersi sul materasso e sprofondare nella superficie soffice di esso, ma aveva quasi subito accantonato il piacere della comodità quando si era ricordato che Alex, più di tutti, necessitava assolutamente di recuperare le forze, in una maniera o nell'altra.
I due giorni di cammino, quasi tre, lo avevano indebolito e di certo non avevano giovato alle condizioni precarie nelle quali versava da quando erano stati insieme ed era successo quel che era successo.
Iago a un certo punto lo aveva preso da una parte e gliene aveva dette di tutti i colori. «Come ti è saltato in mente? Ti sembrava nelle condizioni di fare certe cose? Che diavolo hai in testa, si può sapere?»
Andrew, in un primo momento, era stato tentato di chiedergli se si fosse arrabbiato per le conseguenze del rapporto con Alex, oppure per motivi legati a qualcosa come, ad esempio, la gelosia. Alla fine, però, aveva scelto saggiamente di non replicare e di beccarsi la sfuriata, non volendo peggiorare la situazione.
In fin dei conti, ormai non aveva più la forza necessaria ad arrabbiarsi. Si sentiva arrivato al capolinea, come tutti loro, e vedere Alex – in quel preciso momento – rannicchiato nel letto su di un lato, troppo stanco per fare alcunché, gli faceva passare ancora di più la voglia di infuriarsi.
Non si era neppure svestito e, a quanto pareva, si era addormentato quasi immediatamente.
Ogni tanto l'aveva visto tornare a tremare e fare di tutto pur di non farsi notare.
Drew si domandava cosa stesse cercando di dimostrare. Continuò a chiedersi questo e tanto altro ancora quando poi si distese accanto a lui e lo strinse a sé, pur sapendo che il suo abbraccio non l'avrebbe riscaldato. In momenti come quello tornava a odiare l'esser diventato un vampiro. Se fosse stato vivo, avrebbe potuto cedergli un po' del proprio calore corporeo, stretti l'uno all'altro com'erano, e invece non era possibile.
I pensieri cedettero il passo alla stanchezza. Alla fine, proprio come Alex, finì per assopirsi, ma subito si riprese e riaprì gli occhi con decisione. Trasalì, però, quando si accorse che Alex non era più al suo fianco e lui non si trovava affatto in...
Dov'era stato, fino a un attimo prima? Non riusciva a ricordarlo. Una visione che sembrava esser durata per anni, così vivida da essergli parsa reale, solo per un breve istante. Ma non lo era e lui... oh, si sentiva così bene, biecamente bene!
Abbassò lo sguardo e vide nella propria mano sollevata a mezz'aria e grondante rosso un cuore umano ancora impegnato nell'esalare gli ultimi, palpitanti e sfiniti battiti. Un attimo dopo si fermò e divenne un semplice ammasso di muscoli ormai morto.
Una parte di lui, ancora aggrappata alla visione di poco fa, provava orrore, dolore, ma l'altra invece no, sapeva che era giusto così, di aver agito solo per giustizia.
Un involontario e perfido mezzo sorriso incurvò le sue labbra. I suoi occhi accesi da una luce sinistra si abbassarono e guardarono il corpo privo di vita disteso su un umido e inospitale pavimento. L'odore di sangue fresco gli riempiva le narici, solo una fredda luce illuminava il silenzioso seminterrato.
A terra non vi era un corpo qualsiasi, ma quello di una persona che sapeva, sentiva di aver bramato di uccidere per anni e che ora era finalmente morta. Il cadavere era privo di vestiti, rannicchiato in posizione semi-fetale, polsi e caviglie incatenati, la morsa di ferro talmente stretta da aver provocato abrasioni e ferite sanguinolente e probabilmente infette. Vi erano segni di violenza indicibile su quel corpo: lividi recenti o quasi guariti, tagli procurati da qualcosa di molto affilato e preciso, morsi di vampiro, le unghie erano spezzate, come se avesse tentato e ritentato di sottrarsi alle torture aggrappandosi al pavimento, o cercando di fuggire. Sangue rappreso fra le gambe, riusciva a intravederlo. Una ferita cava e profonda inferta da artigli feroci, una poltiglia di costole, carne e muscoli strappati via. Il sangue si spandeva accanto al cadavere, lucido e rosso scuro, una delizia di visione per quella parte di lui che aveva desiderato tanto quel momento.
Si mosse di lato e fu allora che vide che gli occhi erano ancora aperti, ma spenti e vitrei, argentei, ancora più chiari sotto la luce violenta che pendeva sopra di loro. La sua vista da vampiro, infallibile, catturò una lacrima scendere dalle folte e lunghe ciglia e bagnare il pavimento.
Alex era morto, era stato lui a ucciderlo e anche se ora il silenzio era così denso da essere assordante, sapeva che fino a un minuto prima il seminterrato era stato ricolmato da grida di dolore disperate e vane suppliche. Non lo avevano impietosito, anzi lo avevano solo fatto arrabbiare più che mai. Ora ricordava tutto: stufo di sentirlo piangere, gli si era accostato; Alex, impotente e terrorizzato, si era in un certo senso chiuso a riccio, nel tentativo di sfuggire alle ennesime botte, ma Andrew non si era avvicinato per picchiarlo come sapeva di aver fatto ripetutamente, ma per porre fine alla faccenda una volta per tutte. In malo modo lo aveva afferrato, gli aveva affondato una mano artigliata nel torace e lentamente, in modo che potesse soffrire fino alla fine, strappato via il cuore, guardandolo negli occhi, osservando la vita abbandonarli.
Però sapeva di non esser stato lui ad approfittarsi ripetutamente di quel corpo inerme e privo di difese e ora morto.
Una bassa e soddisfatta risata risuonò alle sue spalle; una mano batté su una di essa. «Che gran bello spettacolo! Bravissimo!» esclamò la voce. Era Arwin e lo osservava con gli occhi azzurri maliziosi e luccicanti di bieca soddisfazione. «Hai persino superato me, il che la dice lunga!» Spostò le iridi cerulee sul cadavere. «Che peccato, però! Era un tale bocconcino! Sapessi cosa ti sei perso, caro Andrew! Se solo ci fossi stato... Urlava come una ragazzina! Credo che le mie doti di amatore non gli fossero granché gradite! Ha smesso di lamentarsi e gridare quando gli ho detto che eri stato tu a venderlo a me come una vacca da montare finché mi fosse garbato e a te fosse stato bene. A quel punto è stato docile e zitto come un agnellino. Un po' mi dispiace che tu abbia deciso di finirlo così presto. Avremmo potuto fare una cosa a tre!»
Andrew di nuovo si sentì diviso in due: da un lato era indifferente, forse persino stava godendo nell'udire di come Arwin avesse abusato di Alexander, ma dall'altro provava disgusto per tutto quanto e, soprattutto, per se stesso. Sapeva in cuor proprio di essersi fermato spesso sulla porta del seminterrato e di aver persino sbirciato di tanto in tanto, o esser rimasto in ascolto di quelle grida spaccatimpani. Aveva sorriso vedendo attraverso il buco della serratura Arwin incombere su Alex come una belva, forzarlo a terra col viso rivolto sul pavimento e straziare la sua dignità per giorni e giorni, finché la vittima aveva smesso di lottare e aveva iniziato a restare immobile e subire in rigoroso silenzio.
Poi si era finalmente deciso a intervenire e solo per rendere ancora di più la permanenza di Alex là dentro un inferno. Era stato lui a torturarlo, usando a un certo punto l'orrenda e soddisfacente maledizione che aveva imparato in quel libro di magia nera, il Necromantia Averni. Aveva sollevato la mano e pronunciato la formula con un tono di gelido comando, il suono della parola arcana e antica, la sua stessa pronuncia, simili a un ringhio di belva: «Merasya!». La stessa maledizione di tortura che Arwin aveva usato anni prima proprio su di lui.
Sapeva bene cosa si provava: un dolore così intenso e viscerale, infernale, da far desiderare a chiunque non di morire, ma di non essere mai esistito. Come se ogni singola parte del corpo, persino le cellule che lo componevano, fossero perennemente sottoposte a una tale e lancinante sofferenza, a uno stress così disumano, da far sembrare qualsiasi altra tortura una delizia.
Sorridente e soddisfatto, lo aveva osservato contorcersi a terra, le catene venir strattonate e produrre un rumore infernale; le grida farsi sempre più assordanti e acute, spezzate solo dalle lacrime e le vane preghiere. Lo aveva pregato, sì, tante volte, e Andrew si era sempre limitato a rifilargli un calcio nelle costole per fargli capire che a ogni supplica avrebbe ottenuto solo altro dolore, altra umiliazione.
Gli aveva fatto rivivere tutto quello che lui aveva dovuto subire per colpa sua. Gli era stata bene quella fine da cane. Se l'era meritata, era giusto così!
Di nuovo il suo corpo agì in maniera in parte involontaria, come se non fosse lui a governarlo completamente: storse le labbra con disprezzo e disse rauco che non si sarebbe sognato neppure per sbaglio di sfiorare quel bastardo in quel senso. «Avrei preferito fottermi la creatura più ripugnante e stupida della terra.» Si avvicinò di più al cadavere e gli assestò un leggero calcio, cosa che lo fece voltare e restare disteso a terra in una posizione innaturale, simile a quella di una bambola di pezza. Rimpiangeva solo di non avergli cavato gli occhi, prima di ammazzarlo; gli stessi occhi che lo avevano ingannato e preso in giro tante, troppe volte; quelli che erano rimasti a guardare mentre lui veniva aggredito da Arwin.
«E adesso cosa ce ne facciamo di questa roba?» domandò gelido, la parte di lui che provava repulsione era sempre più lontana, la voce sempre più flebile e morente.
«Al corpo ci penso io, non temere» replicò ambiguo Arwin. «André apprezzerà molto il tuo dono e credimi, Andrew, quando tornerà al potere, verrai ricompensato a dovere.»
«A me però di ciò che pensa André non frega un accidenti» rispose l'altro vampiro, sempre più glaciale. «Me ne sbatto delle sue ricompense.» Si voltò a guardare Arwin, sollevò una mano. «Rasya!» tuonò. Si sprigionò un'accecante luce rossa: sottili, minuscole e lunghe catene di pura energia scarlatta serpeggiarono dal palmo della sua mano e si diressero verso un attonito Arwin e affondarono nel suo petto. Andrew sentì che doveva tirare e allora lo fece: serrò le dita sulle tante catene e tirò, ancora e ancora, traendo fuori dal vampiro una sagoma rossa, priva di tratti e a malapena umana. La figura cercava di sottrarsi a lui, di opporre resistenza, ma era inutile. Ecco che dal suo palmo affiorò un teschio orripilante che sembrava squagliarsi: aprì le fauci dai denti aguzzi, nell'aria risuonò una lontana e appena percepibile risata demoniaca e stridente e il teschio iniziò a risucchiare la sagoma umana finché essa non sparì fra le mascelle aperte, le quali si richiusero all'istante. Un'esplosione sorda, vibrante e profonda scosse l'intera stanza, persino le viscere del giovane vampiro. Tutto poi svanì, così come era apparso, e tornò il silenzio. A terra c'era ora anche il corpo senza vita di Arwin, il viso contratto in un'espressione di terrore e sgomento.
Andrew però non ci fece caso, troppo impegnato a riguadagnare il respiro, come se avesse corso o fatto uno sforzo immane. Sorrideva, fissando il vuoto, dentro di sé percepiva la forza aumentare, i poteri ribollire di potenza come un vulcano prossimo a esplodere. Esalò un lungo e soddisfatto sospiro. La sensazione che stava attualmente provando, per dirlo in parole povere? Migliore di tutto quanto, dell'amplesso più sensazionale e soddisfacente, del sapore del sangue fresco che scivolava in gola, delle grida di Alex, della faccia sconvolta di Arwin. Un piacere intenso e perverso.
«Sì...» Rise tra sé. «Oh, sì!» Era quello, dunque, il potere. Quello si provava nel sapere di poter fare qualsiasi cosa a chiunque. Gli piaceva, gli piaceva assai!
E dire che per un attimo ho quasi esitato ed ero sul punto di mollare tutto e lasciar perdere la mia vendetta! Che idiota!, pensò divertito.
Sì, inizialmente aveva sfidato Arwin, ma poi... poi si era rimangiato tutto e aveva convinto il suo Creatore di aver solo detto una stronzata e di non voler assolutamente ripensarci, di voler andare anzi fino in fondo.
Si era detto che di certo, al suo posto, Alex non avrebbe avuto tante stupide remore. Lui avrebbe agito e basta, da egoista qual era. In fin dei conti lo aveva già abbandonato in passato, lasciato indietro e anteponendo se stesso a lui. Alex non si sarebbe mai sacrificato al suo posto.
Lanciò un'occhiata bieca al cadavere, gli occhi che rilucevano sinistri. «Ma d'ora in avanti non mi tradirai più. Mai più. Spero che l'inferno ti stia divorando vivo, in questo preciso istante» sibilò, fra il disprezzo e il disgusto. «È quello che ti meriti.»
Aveva fatto bene a non ucciderlo in ospedale e, piuttosto, scostare le coperte, prenderlo su e portarlo via, in quello scantinato. Che faccia aveva fatto quel traditore quando si era reso conto di non essere più al caldo e al sicuro sotto le coperte del letto d'ospedale, né avvolto nella veste da paziente, ma nudo ed esposto come un verme, proprio come lui quando si era risvegliato dopo l'aggressione di Arwin e aveva capito di essere nei guai fino al collo.
Talmente si ritrovò impegnato a pensare a cosa fare del cadavere di Alex – se farlo a pezzi e darlo in pasto a qualche animale selvatico, o ancora, ad esempio, scioglierlo nell'acido – da non accorgersi di tutto finché non fu tardi: qualcuno irruppe nello scantinato.
«È qui! Presto!» la voce di un uomo abbastanza giovane risuonò dalle scale. Qualcuno scese velocemente e prima che il vampiro potesse voltarsi e far di nuovo uso di uno degli Anatemi, la persona appena arrivata lanciò qualcosa che fendette l'aria e poi si serrò sui suoi polsi con una dolorosa e fredda morsa. Li strattonò, ma scoprì che più lo faceva e più si sentiva privato delle forze.
Decise di affrontare l'aggressore e scorse un uomo dall'incarnato pallidissimo, il viso avvenente e occhi e capelli scuri. Sembrava sia scioccato che furibondo. V'era anche dell'altro, però, qualcosa che Andrew, furioso com'era, non si degnò di approfondire.
Sapeva solo che quello era un vampiro, proprio come lui, e da egli si irradiava ora un'aura talmente pericolosa e autoritaria, che persino Arwin sarebbe sbiadito a suo confronto.
L'uomo si avvicinò. «Sei stato tu a scagliare l'Anatema Rasya? Rispondi» chiese calmo, ma anche glaciale e distaccato.
Andrew restrinse lo sguardo. Quel tipo aveva un che di vagamente familiare. Sapeva di averlo già visto, anni fa, da qualche altra parte.
«Chi vuole saperlo?»
«Il Principe dei vampiri. Ebbene?»
Andy rise tra sé. «Oh! Giusto! Sei quello di cui parlava Skyler un po' di tempo fa! Quel gran pallone gonfiato che minacciava di fare chissà cosa se non avessi obbedito come un cagnolino!» esclamò, per nulla impressionato. «Be', Principe Azzurro mancato, mi spiace informarti che non ho paura di te e sì, sono stato io a lanciare la maledizione e me ne vanterò finché avrò vita!»
Vide le labbra piene dell'altro tremare, e non di certo per sorridere. Quasi come se la risposta lo avesse atterrito.
Altri passi, qualcun altro scese e raggiunse il vampiro dagli occhi scuri: Askan. Andrew aveva sentito parlare di lui da Arwin. Pareva sconvolto, sull'orlo delle lacrime. «Altezza... è... è successa una cosa orribile... ho cercato di chiamarvi ma...»
«Cosa?» incalzò innervosito il Principe. «Cos'è accaduto? Parla!»
«V-Venti minuti fa... Skyler ha iniziato a sentirsi male... poi... poi non so cos'è successo! Quando eravamo sul punto di chiamare qualcuno, lui...»
«Askan, santa pazienza, dimmi cos'è successo!» sbottò spazientito l'altro vampiro.
«È morto! Morto, vi dico!» sbottò in lacrime Askan. «N-Non ha più polso!»
L'espressione bieca di Andrew scivolò via dal suo giovane viso, rimpiazzata dall'orrore. Ma... com'era possibile?
Venti minuti fa, all'incirca. Venti minuti fa...
I suoi occhi corsero al cadavere di Alex.
Venti minuti fa Andrew aveva ucciso proprio lui e Skyler, per qualche assurdo caso, era morto a sua volta nel medesimo lasso di tempo.
Di colpo la sua visione cambiò e davanti a sé vide tre figure immerse nelle tenebre, così oscure e radianti malvagità da essere ancora più nere del buio stesso. Sentiva di conoscere il loro nome, di sapere cosa formavano assieme.
Qualcosa che aveva a che fare con l'oscurità.
Serrò le palpebre e di nuovo si ritrovò nel seminterrato in compagnia degli altri due vampiri. Alle sue spalle, nel silenzio tombale appena calato, udì un inquietante e metallico cigolio di catene; catene che strisciavano sul pavimento, poi si infrangevano con un rumore secco e orribile. Conosceva quella voce, il suono di quei sospiri. Non poteva essere... no! Lo aveva ucciso!
Le espressioni del Principe e di Askan erano la perfetta rappresentazione del terrore.
Andrew, lentamente, si voltò: a terra c'era il cadavere di Alex che, per qualche motivo, era tornato ad animarsi, a vivere. Qualcosa però non tornava: cos'era successo ai suoi capelli?
Arretrò di un passo, vide quelle dita magre e affusolate artigliare il pavimento con le unghie diventate all'improvviso color onice. Che cosa significava? Quale creatura stava osservando, esattamente? Che fosse uno zombie, o qualcosa del genere?
No, non lo era, era qualcos'altro che irradiava pura malvagità, di terribilmente sbagliato e innaturale. Qualcosa che sarebbe dovuto restare sepolto negli abissi infernali.
Andrew boccheggiò quando gli occhi del cadavere redivivo si sollevarono e piantarono proprio su di lui. Occhi orribili, il bianco era diventato nero pece, le iridi grigie di un oro splendente e fiammeggiante, fiamme degli inferi che ardevano nel teschio. Per quanto in preda all'orrore, in cuor proprio seppe dare un nome all'essere che ora sorrideva biecamente e si beava di una vittoria della quale era il solo a essere a conoscenza: il Padre delle Tenebre. Quel nome balzò fuori dagli angoli più remoti del suo cervello, lo fece con prepotenza, simile a un grido.
Suo malgrado si ritrovò ad arretrare, finché non udì in alto la porta del seminterrato aprirsi di nuovo e da essa sprigionarsi una luce abbagliante e pura.
In essa gli parve di scorgere una sagoma familiare, totalmente immersa in quel fulgore quasi angelico: l'esatto contrario del demone alle sue spalle che lentamente si stava tirando su da terra, le sue intenzioni tutto fuorché amichevoli.
La figura in alto tese un braccio, una pallida ed evanescente mano si protese. Sembrava aspettare che lui la raggiungesse e afferrasse.
Andrew allora d'istinto corse, risalì i gradini uno dopo l'altro senza osare guardarsi indietro, poi afferrò quella mano. Scorse due occhi grigi e amorevoli, un dolce e sincero sorriso, un viso che conosceva benissimo e sapeva esser forse la sola cosa reale là dentro.
«Vieni via da qui.» Avrebbe riconosciuto ovunque quella voce e Andrew finalmente capì la verità: era tutto un incubo, un prodotto della sua mente, niente era reale. Attorno a sé sentì con chiarezza il rumore di tanti vetri che andavano infrangendosi ed esplodevano in mille frammenti. Non ci badò e seguì fuori da quel posto Alex, il vero Alex. La luce era così abbagliante da costringerlo a serrare le palpebre e quando finalmente capì di poterle riaprire...
Ci mise un po' a mettere a fuoco. Non appena vi riuscì, riconobbe quasi subito la stanza. La sola differenza era che sopra di sé poteva osservare con chiarezza il viso preoccupato e angosciato di Alex, i suoi occhi fissarlo, come se avesse il fiato sospeso. Il vampiro dai capelli dorati comprese che si era svegliato e si rasserenò un poco, scostandogli i capelli dalla fronte.
«Meno male» disse, la voce rauca, come se fino a quel momento avesse pianto. «Ammetto che iniziavo davvero a spaventarmi.»
Andrew si tirò su parzialmente e non smise di guardarlo. Allora era davvero tutto un incubo. Niente è successo, niente era reale, pensò, un bel po' sollevato, tuttavia sapeva bene che ci sarebbe voluto del tempo perché dimenticasse le cose orribili che aveva visto e udito, o ancora farsi una ragione di quel cadavere che aveva visto sul pavimento del seminterrato, privo del cuore e poi tornato per qualche motivo in vita, ma del tutto differente, divorato dall'Oscurità.
Che fosse una specie di premonizione? Ma come poteva essere? Niente era mai accaduto. Sapeva per certo di non aver mai ucciso Alex e di essersi alla fine schierato dalla parte giusta.
Non poteva essere un sogno premonitore, troppi dettagli non gli tornavano!
Eppure sembrava così reale...
«Perché ti sei spaventato?» chiese dopo un po'.
Alex esitò. «Ti agitavi nel sonno, piangevi, ti lamentavi, tremavi. Non sapevo cosa fare, ho provato a svegliarti in ogni maniera ma era come se qualcosa ti impedisse di tornare nel mondo reale. Ti sono stato vicino, ti ho tenuto la mano e ho aspettato, sperando che così tu riuscissi a liberarti.»
Andrew di nuovo non rispose subito. Eppure, alla fine, ti ho visto. Hai aperto quella porta e sei venuto a salvarmi.
Cercò di abbozzare un sorriso, più per rassicurare lui che per reale convinzione. «Ha funzionato, suppongo.» Vide che però qualcosa lo angosciava. «Cosa c'è?»
«N-Niente. È solo che... Non lo so, ho paura che Grober ti abbia preso di mira, Andrew. Iago, prima che partissimo, mi ha spiegato che esistono incantesimi ben precisi, maledizioni anzi, che permettono a chiunque di giocare con la mente delle proprie vittime, persino con i sogni. Io... Io penso che Lui abbia usato una di queste maledizioni, ecco perché non riuscivi a svegliarti.»
«I Sette Anatemi» gli fece eco Andrew, la voce sepolcrale. «Ne ho sentito parlare, sì, ed erano anche in quel libro malefico, il Necromantia Averni.»
Persino quando aveva dato vita a tutto quel disastro a Hanging Creek, leggendo le descrizioni di quelle maledizioni, aveva provato un senso di disgusto e orrore alla sola idea di scagliarne una qualsiasi su una persona. I Sette Anatemi erano il lato più abietto e crudele della magia, non serviva essere degli esperti per capirlo, e chi aveva un po' di cervello si teneva alla larga da certa roba.
Però, nell'incubo, io ho fatto uso della maledizione peggiore: Rasya.
Non voleva pensarci.
«Be', che faccia pure del suo peggio, poi riderò un casino quando toccherà a me rispedirgli tutto quanto con tanto di interessi» aggiunse.
Alex sussultò e gli tappò la bocca. «No, non dire queste cose! Né ad alta voce, né nei tuoi pensieri! Non provocarlo, Andrew! Lui... Lui ci sta sorvegliando, so che è così, credimi! Non aizzarlo!»
Drew gli prese la mano e la scostò con delicatezza. «Non ho paura di Grober, Alex. Finché se la prende con me, mi va benissimo. È te che non deve permettersi neppure di sfiorare.»
«Non dire scemenze» lo zittì Alexander, un po' troppo bruscamente. «Credimi, Andrew, qui sei tu a essere importante. Sei tu che Grober non deve osare sfiorare. Che faccia di me quel che gli pare, se vuole, conta solo che tu resti al sicuro dalle sue grinfie.»
«E perché io sarei così fondamentale, dimmi?» Andy non riuscì a frenarsi. Ne aveva abbastanza di quella storia. «Cosa mi rende più speciale di te, o di chiunque altro? A me importa se tu stai bene o male, Alex!»
«A livello globale non conta niente il mio stato di salute» replicò laconico l'altro, con più durezza. «Non farmi parlare, Andrew, non posso. Non costringermi.»
«Invece dovresti dirmi cosa sta succedendo! Non potrai lasciarmi all'oscuro di tutto per sempre!» Andrew sgusciò fuori dal letto e si alzò. Sentiva il bisogno di camminare, se non altro per tenere a bada il nervoso. Non lo sopporto quando fa così! Quando prima lancia la pietra e poi nasconde la mano! Si fermò e tornò a guardare l'amato. «Insomma, parlami! Dimmi che cos'hai in mente! Dimmi almeno se è il caso che mi preoccupi!»
Alex volse lo sguardo altrove, si rifiutò di incrociare il suo. «Non... Non capiresti. Per favore, non parliamone più.»
«No, bello mio! Ne parliamo eccome! Cosa ti fa pensare che non capirei?»
«È un peso che voglio portare da solo. Tutto qui.»
«MA TU NON SEI SOLO, PORCA MISERIA!» perse la pazienza Andrew, esasperato, solo per poi pentirsi del proprio scatto di rabbia quando vide l'altro ritrarsi e restare visibilmente in all'erta. «V-Va bene, scusami. Il punto è che vorrei solo che tu non mi nascondessi le cose. Vorrei che tu potessi fidarti di me.»
Sobbalzarono tutti e due quando la porta della stanza si aprì e videro sulla soglia un alterato Iago. «Si può sapere che diavolo sta succedendo qua dentro?» chiese concitato l'Efialte, squadrandoli a turno. «E tu...» fece, rivolgendosi a Andrew. «Che ti salta in testa di urlare in quel modo?»
Andrew contò fino a tre e al quattro esplose: «Non sono affari che ti riguardano! Problemi di coppia, presente?», replicò a denti stretti, gli occhi che mandavano faville.
Alex si sbrigò a risanare la situazione. «V-Va tutto bene, Iago, davvero. È stata colpa mia, non sua.»
«In ogni caso» intervenne l'altro vampiro, «non accetto di farmi sgridare dallo stronzo che solo giorni fa era a un passo dall'ammazzarti come se fossi stato una bestia da cortile!».
Non credeva avrebbe mai perdonato a Iago il tentativo di assassinare Alex, per giunta quando quest'ultimo era in condizioni critiche.
Iago lo raggiunse in poche falcate, lo agguantò per un braccio e trascinò fuori. Appena ebbe chiuso la porta, si voltò a squadrare furibondo Andrew e un attimo dopo gli assestò un pugno dritto in faccia.
Andy si tenne il punto colpito, ma appena risollevò lo sguardo percepì un'ondata di collera attraversarlo e poi trasformarsi in forza vera e propria che si riversò contro l'Efialte, spintonandolo dall'altro capo del corridoio e poi facendogli sbattere la schiena con violenza contro la parete.
Iago si rimise in piedi, gli occhi ora brillavano come due tizzoni ardenti. «Mi hai stancato» sibilò, rimettendosi su e raggiungendo il vampiro. «Sei solo un arrogante!»
Andrew sogghignò, sinistro. «Ma senti da chi viene la predica!» commentò beffardo, ripulendosi il sangue dal naso fuoriuscito in seguito al pugno. «Pensi di essere quello che sa sempre tutto! Di essere indispensabile per gli altri! Vuoi la verità, Iago? Non basti neanche a te stesso!»
«Chiudi quella dannata bocca! Se non altro non sono andato in galera per aver dato di matto per una stupidaggine!»
«E cosa mi dici di quelli che hai ammazzato quando ancora ti divertivi a uccidere innocenti per il semplice gusto di spargere terrore? Eh? Non ti permetto di giudicarmi!»
La discussione si arrestò nel momento in cui, dal nulla, il pavimento, le stesse pareti, presero a vibrare e tremare, come in preda a una scossa di terremoto piuttosto forte.
«Avete finito?» chiese Alex, squadrandoli con palese indignazione. Era in mezzo al corridoio e per quanto fosse semplicemente assurdo, pareva esser stato proprio lui a causare quel breve scompiglio. «Vi dovreste vergognare e basta!» Gli altri due, però, erano troppo impegnati a notare che sulla parete dove in apparenza il vampiro aveva posato una mano, e sul pavimento, proprio sotto di lui, v'erano insolite bruciature ramificate, simili a crepe. Qualunque cosa fosse accaduta, non sarebbe dovuta succedere. La cosa peggiore era che gli occhi grigi di Alex erano ancora in parte avvinti da un lieve bagliore dorato e fiammeggiante. Lui, poi, sembrava consapevole di tutto questo, ma non ne fece menzione, non diede segno di voler parlarne. «Dovete smetterla di litigare, o gli altri non avranno scampo. Cercate di ficcarvelo in testa, prima che sia troppo tardi» concluse gelido, un tono di voce così diverso da quello che aveva di solito, estraneo.
Iago gesticolò incerto, deglutendo. «F-Forse è solo la luce, m-ma...» Cercò di indicare i suoi capelli. «N-Non sono più chiari, di solito?»
Non ricordava che la chioma di Alex avesse una tonalità più scura, quasi tendente al rame.
Com'era possibile che ci fosse stato un cambiamento del genere in pochi minuti?
Quanto ancora sarebbe cambiato? Quanto sarebbe diventato irriconoscibile?
«Che cos'hanno?» incalzò glaciale Alexander. Pareva di nuovo nel bel mezzo di quei momenti in cui il suo carattere subiva una trasformazione raggelante e Alex, semplicemente, smetteva di essere se stesso.
L'influenza di Grober si sta rafforzando, ragionò Andrew, in preda all'ansia. È come se lo divorasse un po' alla volta.
«Sei tu che dovresti capire che arrendendoti a lui vanificherai i nostri sforzi» si permise di dire. «Gli stai permettendo di usarti, Alex.»
«Non so di cosa parli» rimbeccò l'altro vampiro, voltandosi a guardarlo. «O meglio: sei tu a non sapere un bel niente.»
Drew percepì irradiarsi da lui qualcosa di sinistro e per nulla rassicurante. Sembrava più stanco e patito che mai, eppure...
«Me ne torno a dormire» tagliò corto un attimo dopo Alex. Non diede loro neppure il tempo di rispondere e fatto ritorno alla porta della stanza, la aprì e richiuse con un lieve tonfo. Un secondo più tardi udirono la serratura girare due volte.
Iago respirò velocemente, come se fino ad allora avesse smesso di farlo. «Se siamo tornati alla ragione, ho una cosa da dirti.»
«Quale?» incalzò Andy, ancora alterato.
«Non qui. Scendiamo di sotto. Ho bisogno di bere qualcosa.»
Si recarono quindi al piano inferiore della locanda. Era tarda sera e ormai c'era poca gente in circolazione. Si sedettero a uno dei tavoli, a circondarli un'ambiente immerso in una luce soffusa. Era quasi buio là dentro, per la verità, e più che essere un'aria rilassante, risultava piuttosto un bel po' lugubre.
«Prima che arrivassimo qui, per giorni mi è parso di vedere qualcosa tra gli alberi osservarci, specie quando calavano le tenebre. Un'ombra. Ogni volta che però cercavo di capire cosa fosse, si ritraeva e spariva.» Iago parlò solo quando la giovane donna che presidiava il bancone della locanda fu andata via.
Andrew si accigliò. «È capitato anche a me, ma solo una notte e pensavo di aver avuto le traveggole, sai... la stanchezza e tutto il resto.»
«Le allucinazioni collettive sono un evento piuttosto raro e comunque molto discusso» disse allusivo l'Efialte.
Il vampiro si umettò le labbra. «Io... Io ricordo di aver scorto due occhi brillanti fissarmi nel buio, sembravano... non lo so, fiamme ardenti, o tizzoni.»
«Anche io li ho visti, e mi è parso di distinguere un paio di corna. Sembrava... una specie di cervo, ma mai ho visto un animale di tale specie con dimensioni del genere. Era enorme.»
Thorne represse un brivido. «Dici che ha intenzioni poco amichevoli?»
«O è timido, oppure no, non ha buoni propositi.»
Drew sospirò. «Perché ci ha presi di mira?»
«Non ha preso di mira noi, a mio parere. È Alex ad averlo attirato. Sento che è così.»
«Ma ne siamo sicuri?»
«Io so solo questo, Andrew: qui a Sverthian non è mai un bene essere pedinati dalle creature dei boschi. Sono molto più sveglie e intelligenti di quelle presenti nel mondo umano, alcune astute e altre malvagie.»
«Sì, però... di solito i cervi non sono esseri benevoli? Sempre che di un cervo si tratti, intendo.»
La voce della giovane locandiera, la quale aveva appena posato un boccale di ferro di fronte a Iago, si intromise e disse qualcosa, ma Andrew ovviamente non capì.
Iago accostò due dita e le pose sopra il dorso della sua mano. Fu come se dentro il cranio del vampiro le parole avessero preso a rimescolarsi in un turbine incomprensibile, finché...
«Prego, continua pure. Stavi dicendo?» incalzò Iago, rivolgendosi alla fanciulla.
Lei si fece coraggio e fece uno strano gesto che parve molto una sorta di scongiuro, come lo era per i cristiani farsi il segno della croce. «Noi non pronunciamo il nome di quella bestia, non qui, e soprattutto non in presenza dei nostri bambini.»
«Perché?» incalzò Iago. «Dobbiamo sapere il suo nome. La prego, faccia uno sforzo.»
La ragazza deglutì, poi: «Græb'senja. Secondo le leggende, è il primo essere che venne assoggettato all'Oscurità, quando quest'ultima sorse dalle viscere del suolo e iniziò a divorare ogni cosa. Il Maledetto lo sottomise alla sua volontà. Græb'senja vaga ancora per queste terre, divorando i malcapitati nei boschi. Qui a Vadnasyl la mia gente ha scelto di tenerlo buono offrendogli un tributo ogni sette anni, pur di fare in modo che non divori i viaggiatori e il bestiame».
«Quale tributo?» chiese Andrew, sapendo in cuor proprio di non aver parlato la lingua umana. Era come se Iago, mantenendo il contatto con lui, lo avesse reso in grado di capire e parlare fluentemente il linguaggio di Sverthian.
La ragazza non pareva molto propensa a parlare. «Qualcosa di orribile. Ogni sette anni, sette figli di sette famiglie, fra neonati e bambini, vengono scortati nei boschi e abbandonati lì. Nessuno è mai tornato, Lui li ha presi tutti. Li ha divorati. È così da tempi remoti e pare che non siamo i soli ad aver adottato questo sistema.»
Andrew sentì salirgli in gola l'acido sapore che accompagnava la nausea. Non riusciva a crederci... Non ce la faceva a pensare che quelle persone, ogni sette anni, avessero scelto di sacrificare i loro figli per sfamare quel mostro.
«Lo trova ripugnante, glielo leggo negli occhi» osservò la locandiera, rivolgendosi a lui. «Se fosse nativo di queste zone, però, presto o tardi le assicuro che avrebbe accettato quest'obolo come abbiamo fatto tutti quanti noi.»
Drew si astenne dal voler commentare ad alta voce. Per quel che gli riguardava, se avesse avuto un figlio non lo avrebbe mai offerto in sacrificio, mai e poi mai. Avrebbe preferito la morte.
«Di che cosa si tratta?» chiese Iago. «Sapete che genere di creatura è?»
«Il nome dice tutto, no?»
«Io e il mio amico siamo stranieri, signorina.»
La ragazza non replicò e si limitò a indicare qualcosa appeso alla parete, un arazzo lavorato abilmente e con fili sottili: rappresentava un bosco immerso in un crepuscolo sanguigno e fra gli alberi spogli svettava un grosso animale che ricordava un cervo, ma il cranio sembrava essere stato spolpato, privato completamente dei tessuti: non v'era un naso, né occhi, bensì solo cavità nere; la parte priva di pelle e muscoli poi sfumava in maniera uniforme, ma vi erano altre parti del corpo scarnificate, con le ossa in bella vista, ornate qui e là di lembi di pelle lasciati a penzolare. Nelle orbite nere rilucevano due fiammelle di occhi fra l'arancione e l'oro. Le corna terminavano in punte acuminate, simili a rami contorti di un albero morto. Sembrava un cervo che era stato riportato indietro dalla morte quando ormai il processo di decomposizione era a buon punto. Le mascelle, appena aperte, mostravano due file – una superiore e l'altra inferiore – di denti acuminati e imbrattati di sangue.
Pur trattandosi di una mera raffigurazione, persino la copia di quel mostro ricamata su di un semplice e innocuo arazzo irradiava un che di sinistro e malvagio.
Andrew e Iago non avevano mai visto niente di più orripilante e spiacevole, se non il Ghoul che Alex aveva ucciso poco prima della loro partenza per Sverthian.
«Cervo Nero» disse infine l'Efialte. «Significa Cervo Nero.»
La locandiera distolse lo sguardo dalla bestia raffigurata. «Da queste parti alcune specie di cervi e volpi sono un orribile presagio, di morte, sventura o malattia. Nessuno, però, è messaggero di calamità come Græb'senja. Dicono che quando Grober il Maledetto ancora vagava per queste terre e il suo potere oscuro era agli albori, quel mostro fosse il suo compagno fedele, la sua cavalcatura. Si racconta che errasse per il mondo in groppa a Græb'senja, portando morte e distruzione ovunque. Dopo la sua caduta, si sono sviluppate altre dicerie e una di esse narra che chiunque venga preso di mira dal mostro, sia destinato a una sorte orribile e segnato per sempre. Græb'senja prima o poi trascinerà via la sua anima nelle Tenebre, negli Inferi, come omaggio al suo oscuro padrone. Non c'è niente che si possa fare per combatterlo. Fa questo in attesa che il suo Signore recuperi le forze che gli permetteranno, alla fine dei tempi, di risollevarsi e ingaggiare l'ultima lotta contro i suoi fratelli. Quel giorno avrà inizio Rasverthen, il Maledetto risorgerà dalle viscere del suolo, tornerà a cavalcare Græb'senja e allora il buio, la desolazione e la morte divoreranno ogni cosa, non ci sarà più speranza, nessuno potrà fermare l'avanzata di Grober e del suo esercito di morti e anime dannate, di ogni genere di creatura che sceglierà di votarsi alle Tenebre. Quel giorno i paladini che gli dei proteggono e guidano cadranno tutti nella lotta e nessuno sopravvivrà, né mortale né immortale.»
Andrew cercò di celare il tremore alle mani, ma non era semplice. Quel racconto lo aveva angosciato.
La giovane donna sospirò. «Io credo in questi racconti. La gente preferisce non parlarne, ma qui e in alcune città vicine stanno aumentando le malattie mortali, il bestiame sta morendo, le coltivazioni rinsecchiscono e il suolo sta inaridendo, e tutto sembra provenire dall'acqua.»
«L'acqua?» incalzò Iago, tentando di restare calmo. «Cosa vuol dire?»
«I pozzi ultimamente donano acqua sporca e scura, è sempre più difficile trovarne di buona. È come se tutto stesse morendo, poco a poco.» La donna scosse la testa e tirò su col naso. «Scusatemi.» Si congedò e si allontanò.
Iago fece vagare brevemente lo sguardo e su un'altra parete vide un piccolo ritratto che raffigurava la giovane locandiera in compagnia di un uomo che doveva essere il marito. Lei fra le braccia reggeva un neonato.
La ragazza lo notò. «Sono morti, tutti e due. Tre anni fa nostro figlio venne scelto dalla città per sfamare Græb'senja, ma all'ultimo mio marito non ce la fece e prima che potessi fermarlo o convincerlo a portare con sé qualche suo amico, prese le armi e andò nei boschi. Non fece ritorno e quando il governatore di Vadnasyl si è recato nel luogo dove avviene il sacrificio, ha trovato le ossa di mio figlio e di mio marito completamente spolpate, insieme a quelle del resto delle offerte» raccontò, asciugandosi velocemente le guance ora pallide. «Perché volete sapere tutte queste cose di Græb'senja?»
Andrew serrò le dita sul bordo del tavolo. «Semplice curiosità» replicò stringato. «Nient'altro.» Guardò Iago. «Andiamo a controllare Alex. Ho una brutta sensazione. Vieni!»
Nello stesso istante in cui lo disse, fuori dalla locanda si udì un lontano e raggelante verso cavernoso, di una bestia che né lui né l'Efialte avevano mai incrociato.
La ragazza, che stava ripulendo alcuni bicchieri, ne lasciò cadere uno maldestramente e sbiancò ancora di più. «È qui» esalò. «Græb'senja! È lui!»
«Tu vai di sopra, io esco e cerco di capire cosa sta succedendo» disse frettoloso Andrew, scattando in piedi e dirigendosi di corsa alla porta del locale. Appena la aprì, fece giusto in tempo a scorgere qualcosa allontanarsi a gran velocità, così distante ormai da essere appena un punto all'orizzonte che abbandonava la città.
Poco dopo Iago lo raggiunse. Sembrava a un passo dallo svenire. «N-Non c'è! È sparito! La finestra era aperta! Non so come abbia fatto a calarsi giù, ma...» Quando realizzarono entrambi cos'era accaduto, ormai era tardi per correre ai ripari.
A quanto pareva, forse Græb'senja aveva attirato in qualche modo fuori Alex e lui, semplicemente, l'aveva seguito.
«E ora cosa facciamo?» chiese Andrew, accecato dalla speranza che fosse solo tutto un orribile incubo.
Iago, però, scosse il capo. Per la prima volta era lui stesso privo di idee o iniziative, ma dovevano fare qualcosa, non potevano semplicemente lasciar andare Alex.
«Guarda lassù» mormorò abbattuto l'Efialte, accennando al cielo: una distesa nera e infinita mescolata a inquietanti e cupi sprazzi color rosso sangue. Un lampo rischiarò la notte, attraversando la volta celeste oscurata, seguito dal rombo di tuoni lontani.
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