Capitolo LV. Sacrificio
Musica consigliata: "The one I love" di Scala & Kolacny Brothers.
https://youtu.be/Gv0gC-asSrs
Le porte di Græb'ar Volak si stagliavano davanti a loro. Erano imponenti, nere come i cancelli che accoglievano le anime dannate all'Inferno e Andrew si sentiva proprio così mentre le guardava spalancarsi con un cavernoso e lugubre cigolio: un'anima impotente e allo stremo consapevole che non sarebbe mai tornata indietro dal luogo nel quale stava per addentrarsi.
«Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate» recitò tra sé e sé, rimembrando l'opera di Dante Alighieri che da ragazzo aveva divorato in un misto di fascino e curiosità. Bei tempi, quelli. Tempi nei quali era convinto che avrebbe avuto una vita sì monotona, sì noiosa, ma sicura e magari anche felice. Una vita trascorsa al fianco di Alex, dei figli che avrebbero potuto adottare o avere tramite un utero in affitto. Avrebbero potuto avere un'esistenza in cui la massima preoccupazione sarebbe stata superare il mese e cercare di non venire dissanguati dalle tasse, avere la possibilità di godere di un'assicurazione sanitaria decente, nel caso fosse mai servita. Invece eccoli lì, alle prese con un'avventura da incubo che avrebbe fatto storcere il naso a Tolkien, tanto era stata tremenda e priva di vittorie, di soddisfazioni. Una semplice marcia verso la morte, ecco cos'era stata.
Malgrado fosse incatenato, riuscì lo stesso ad afferrare una mano ad Alex che si trovava accanto a lui e a stringerla forte. Lo guardò negli occhi, anche se era difficile farlo con le lacrime che minacciavano di straripare. «A-Andrà tutto bene, Lexie» gli sussurrò, pur sapendo che non era vero, che niente sarebbe andato bene. Doveva essere forte per entrambi, però. Lo sapeva.
Nessun altro si sarebbe messo fra loro e la fine. Nessun eroe sarebbe piombato lì per salvarli.
Alex sorrise debolmente. Al contrario di Thorne, piangeva apertamente. «Lo so» mormorò. «So che andrà tutto bene, proprio come sarebbe dovuto andare.»
Quelle parole inquietarono Andrew, ma egli non ebbe il tempo di approfondire la breve conversazione. Le porte erano aperte e uno dei soldati tirò la catena per incitarlo a proseguire. Argor si limitò a far cenno ad Alexander di andare avanti e così il vampiro fece. I due prigionieri trovarono ad accoglierli una grande piazza principale sulla quale troneggiava una fortezza di pietra color petrolio e dall'aria essenziale quanto minacciosa. In altre circostanze Andrew avrebbe definito quel luogo un enorme, terrificante cliché della peggior specie, ma non aveva tanta voglia di darsi al buon vecchio sarcasmo con cui era nato.
Argor e i suoi uomini vedevano un palazzo, ma lui vedeva un mattatoio e si sentiva un capo di bestiame pronto a esser forzato al ceppo del macellaio.
Tremava, dannazione se tremava. Aveva paura e non riusciva più a nasconderlo. Strinse con maggior forza la mano ad Alex, ma era come se essa continuasse a scivolare via e ben presto Andrew ne capì la ragione: li stavano separando nel reale senso della parola. Argor teneva per un braccio Alex, ma Alex non dava segni di voler opporre resistenza. Andrew, tuttavia, non si arrese e cercò di lottare, di sottrarsi ai soldati che continuavano a tirarlo via, sempre più lontano dall'amore della sua vita, dalla ragione per cui aveva scelto la morte, anziché la sopravvivenza.
«Alex!» gridò. «Non andare fino in fondo!» Non gli importava più di niente, neppure di ciò che si erano detti fino a pochi attimi prima. Non voleva che Alex morisse, che accettasse con tanta mansuetudine la fine. Voleva che combattesse, che si opponesse, che tornasse insieme a lui a casa. Magari sarebbero riusciti a trovare un modo per scappare, forse li avrebbero messi entrambi in una cella e allora...
Con un ringhio ferino fece scattare all'indietro il gomito e prese in pieno volto uno dei soldati. «Fanculo!» Riuscì in tal modo a correre via e a raggiungere il compagno. «Alex, per favore... ti prego... non farlo! Se mi ami come dici, allora non farlo! Ti scongiuro!»
Argor lo spinse indietro. «Adesso basta. I patti erano chiari.»
«Vaffanculo pure a te, omertoso che non sei altro! Sei colpevole più di Syrma e Grober messi assieme perché sai che niente di tutto questo è giusto e non fai niente per cambiarlo!» ruggì in risposta Thorne, spintonandolo e afferrando Alex per le spalle. «Io so che tu non vuoi davvero questo, Alex! Lo so! Se è per Grober, allora ti proteggerò io! Lo faremo tutti e non gli permetteremo di prenderti! Devi solo...»
«Andrew, smettila» fece infine l'altro vampiro. Era ovvio che stesse soffrendo, ma era comunque tranquillo, rassegnato. «È tutto finito, ora.» Si sporse e lo abbracciò con delicatezza e premura, con amore. «Argor non è cattivo, Andrew. Sta solo eseguendo gli ordini e comunque... ha accettato di farmi un favore, pur sapendo che così avrebbe rischiato molto» proseguì, sussurrandogli nell'orecchio. «Gli ho chiesto di farti tornare a casa con un portale non appena le acque si sarebbero calmate. Deve solo aspettare che Grober e Syrma facciano ciò che devono e poi, appena potrà, ti farà fuggire dalle prigioni e tornare a casa incolume. Mi ha dato la sua parola e tiene molto a quella.»
Andrew sbarrò gli occhi. «Cosa?» Stava per esplodere in un pianto disperato. «Non puoi davvero fidarti di lui! E comunque avevamo detto che...»
«Lo so, Drew, ma non è ciò che voglio per te. Ti amo, come potrei desiderare la tua morte solo per non rimanere da solo? Non posso chiederti anche questo. Mi hai dato tanto, troppo, ed è ora che sia io a darti qualcosa in cambio e tutto ciò che ormai ti posso offrire è una seconda possibilità.» Alex si scostò e prese il viso del marito fra le mani. Gli sorrise con struggente dolcezza, quella che precedeva un doloroso addio. «Fai tesoro della vita che sto per cederti e dei molti tesori che sto per lasciarti in eredità. Uno è più prezioso degli altri e ti proteggerà da Grober, da chiunque vorrà farti del male. Nulla, se non il bene, potrà toccarti.»
«I-Io... n-non... tu...»
«Ti sto affidando il Sigillo Valknut, Andrew» spiegò pacato Alex. «Non lo capisci? Non sono mai stato io il suo vero portatore. Tu lo sei, lo sarai presto. Sarai colui che è andato e tornato dalla morte, colui che è rinato a nuova vita. È questo il requisito necessario perché Valknut possa davvero essere al sicuro e al massimo delle sue potenzialità e io... io non ero adatto, ero solo un tramite provvisorio. Tu sei lo strumento del bene e io quello del male, Andrew. È sempre stato così, sin dal principio, e solo alla fine l'ho capito. Sei stato tante cose, Andrew Thorne, ma ora voglio che tu diventi l'eroe di cui i nostri amici hanno bisogno. Di cui io stesso ho bisogno.»
Andrew comprese di aver capito solo in minima parte l'intento ultimo di Alex. Mai avrebbe potuto indovinarlo, eppure si sentiva lo stesso stupido e ingenuo per non aver colto gli indizi, i segnali.
«Alex, se lo stai facendo per via di quello che è successo anni fa...»
«Non ricordo ciò di cui parli, ma... credo che sia anche per quello» ammise titubante Woomingan. «È così che devono andare le cose. Ti sto chiedendo di avere fiducia in cosa sto per fare e di salvarci entrambi. Se vuoi salvare me, allora dovrai salvare anche Grober. Non sempre la giusta soluzione è ricorrere alla violenza. Se vedi qualcuno soffrire, lo aiuti, e Grober soffre. È così da millenni.» Vedendo che Andrew stava per replicare e forse anche protestare, Alex gli pose l'indice sulle labbra. «Aiutalo, Andrew.»
Aiutare Grober...
Andrew si convinse che Alex dovesse aver perso completamente la testa per arrivare a dire simili sciocchezze. Lui non voleva aiutare Grober, voleva distruggerlo, farlo a pezzi. Fargliela pagare per l'eternità, ecco cosa voleva.
Lo odiava come non aveva mai odiato nessun altro.
Scostò la mano del compagno dalla propria bocca. «Che mi sbattano pure in una cella. Riuscirò a fuggire e a salvarti prima che tu possa andare fino in fondo con questa pazzia. Dovessi sbranare tutti i soldati di questa città nell'intento» sentenziò a denti stretti. «E dopo che avrò fatto questo, Alex, torneremo insieme a casa e troveremo una cura per te, per quello che ti sta corrodendo dentro. In quanto a Grober, posso giurarti che gli farò rimpiangere ogni sua singola azione. Colpirò finché non lo vedrò ridotto in cenere.»
Alex, allarmato, scosse il capo. «Andrew, per favore...»
«No, Alex! Cazzo! Non ci sto! Ora si fa come dico io e io dico che stai facendo un errore madornale!»
Woomingan fece per ribattere, ma alla fine sospirò e fece un passo indietro. «Avrai un po' di tempo per ragionare e fare la cosa giusta» concluse. «È la rabbia a parlare. Reagisci sempre così quando stai soffrendo e non posso biasimarti.» Si rivolse ad Argor. «Penso di dover prima essere condotto da Syrma, giusto?»
Per un secondo Argor parve avere dei ripensamenti, ma non impiegò che pochi altri secondi prima di ricomporsi e annuire con decisione. «Sì, esatto. Andiamo.»
«Se lo porti da lei non avrà più scampo, non lo capisci?» sbottò Andrew, tentando ancora una volta di frapporsi fra Alex e un destino che pareva inevitabile e ormai segnato. «Possibile che tu non abbia un minimo di pietà?!»
Il capo delle guardie di Græb'ar Volak ne ebbe abbastanza, si avvicinò di gran carriera al vampiro bruno e lo afferrò per i vestiti. «Credo di averne avuta anche troppa, non ti sembra?» sibilò. «Ti ho permesso di rimanere vicino al tuo compagno a patto che la smettessi di dare problemi! Io qui sto lavorando, è chiaro? E se non lavoro, signor grand'uomo, ci rimetto il collo!»
Thorne sorrise di sbieco e con tanta amarezza. «Che gran bel lavoro stai facendo» commentò sarcastico. «Distruggi una famiglia perché a ordinartelo sono una stronza e Satana in persona. I tuoi genitori sarebbero sicuramente fieri vedendo quanto poco hai imparato sul concetto di bene e male.»
Capì di aver detto la cosa sbagliata quando Argor replicò assestandogli un pugno dritto in faccia e, subito dopo, lo spinse senza troppe cerimonie verso tre soldati che erano già pronti ad acciuffarlo. «Nelle segrete» ordinò, il tono di voce aggressivo, per la prima volta velata di almeno un'emozione e non più fredda e impersonale. «Tenetelo d'occhio e fate in modo che non combini altri pasticci, altrimenti avrò la vostra testa.»
Alex fece per raggiungere il compagno e i soldati impegnati nel trattenerlo, ma il capo delle guardie di nuovo gli afferrò un braccio e gli impedì di fare un altro passo. «Ora basta con queste smancerie. Syrma non ama aspettare.» Vedendo che Woomingan di colpo aveva smesso di collaborare, restrinse lo sguardo e gli diede una spinta tra le scapole per convincerlo a camminare. «Gli ho solo dato un pugno, sta bene. Cammina, forza.»
Capendo che avrebbe solo peggiorato la situazione se avesse continuato a fare resistenza, Alex si convinse a seguire il Græber verso l'entrata della fortezza.
Mentre veniva condotto via con la forza, Andrew si voltò e vide l'uomo che amava sparire oltre le porte del castello che, infine, si richiusero con un tonfo che rimbombò per tutta la piazza deserta. In quanto a lui, lo fecero accedere al palazzo per un'entrata secondaria alla quale si accedeva da una porta di ferro rinforzato dotata di uno spioncino. Venne aperta e Andrew, per quanto poco collaborativo e incapace di restare fermo, dovette scendere una stretta, ripida e lunga gradinata immersa in una lugubre, tremola e soffusa luce proveniente dalle torce appese alle pareti. Avvertiva nell'aria disperazione e dolore, paura, panico. c'erano altri prigionieri e alcuni di essi gridavano di voler uscire dalle proprie celle, altri invece si lamentavano. Thorne li vide solo quando superarono le scale e iniziarono a percorrere uno dei corridoi della claustrofobica prigione sotterranea. Era più buio che mai laggiù. Scorgeva solo profili abbozzati e sfuggenti o sagome immerse nella penombra. Alcuni si arrischiarono a guardarlo e nei loro occhi vacui il vampiro vide solamente rassegnazione, voglia di morire, la folle speranza di chi desiderava che il dolore avesse fine.
V'era persino un prigioniero che era stato abbandonato in una gabbia che penzolava dal soffitto e Andrew, con un tuffo al cuore e un connubio tra la compassione e il disgusto, vide che il poveretto era mezzo morto, tanto che una coppia di ratti, riusciti ad arrampicarsi fin lassù grazie forse alle travi, avevano iniziato a mostrare il proprio interesse per lui.
Forse... forse è meglio che Alex non sia venuto quaggiù insieme a me, rifletté il non-morto, cercando di immaginare la reazione del compagno davanti a uno scenario come quello. Almeno lassù non correrà il rischio di venir rosicchiato ancora vivo dai topi.
Non che la prospettiva che Syrma ben presto avrebbe usato Alex come un agnello sacrificale fosse migliore, ma almeno lui si trovava in un luogo più pulito e meno angusto, ed era già qualcosa.
Devo trovare un modo per andarmene da qui. Non so quanto tempo mi resti, ma devo sbrigarmi.
Scappare da lì non sarebbe stato semplice, ma doveva almeno fare un tentativo. Se si amava una persona si faceva di tutto pur di salvarla.
«Bel posticino» commentò cupo e con una punta di rancore. «Dovreste forse aggiungere qualche fiorellino qui e là, giusto per non far spaventare troppo i vostri ospiti.»
I soldati non risposero, lo fecero fermare di fronte a una cella vuota che, proprio come le altre, in apparenza non possedeva una serratura.
Cazzo, no! Usano la magia come meccanismo!
Quello sì che era un problema. Odiava ammetterlo, ma... non si era impegnato più di tanto nel ferrarsi nelle conoscenze magiche approfondite sapendo che tanto ci sarebbe stato sempre Iago, il più capace della compagnia, a tirarli fuori dai casini. Iago, però, non c'era e lui era nei guai fino al collo.
Fanculo. Me la gioco.
Andrew, in un impeto di stupido ottimismo, per l'ennesima volta tentò la fuga e parve riuscirci, almeno finché un soldato, più agile degli altri, non riuscì a raggiungerlo e a placcarlo. Con le buone o con le cattive gli uomini di Argor portarono a compimento gli ordini ricevuti e il vampiro si ritrovò dietro alle sbarre per la seconda volta nella sua vita. Le prese a pugni, urlò di rabbia, ma non servì a niente se non a prosciugarlo ancor di più delle forze e fu allora che la tristezza e la frustrazione, insieme al ricordo della rocambolesca fuga organizzata da Alex, Brian e Skyler, gli fecero salire le lacrime agli occhi.
Vergognandosi della propria incapacità di uscire da quella situazione e di star piangendo come un ragazzino inerme, Andrew si rannicchiò in un angolo della cella stretta e semibuia.
La sua vita sarebbe terminata presto e nell'esatto, identico modo in cui era ricominciata: lui in prigione e imbozzolato in un involucro di dolore e rimorso, e stavolta Alex non avrebbe varcato la soglia della sua cella, pronto a riportarlo a casa, al sicuro. Era stato allora che Andrew si era sentito come un morto tornato dall'Aldilà, di nuovo capace di provare emozioni, di piangere ed essere felice.
Come aveva fatto a finire di nuovo in catene? Come aveva potuto contribuire a rovinare ogni cosa ancora una volta, a non far tesoro della seconda occasione che gli era stata concessa?
Era caduto nella trappola di Grober come uno stupido e quel che era peggio, era che era stato lui a incoraggiare Alex, a dirgli che avrebbero affrontato quel viaggio insieme, che sarebbe andato tutto liscio come l'olio e sarebbero tornati a casa insieme al fratello di Frederick scomparso nel nulla, ma Kyran era morto, lo era da tempo, e niente aveva fatto la differenza.
Pensò per la prima volta alla reazione dei familiari di Kyran. La verità avrebbe ferito a morte Frederick e Iago...
Quell'uomo aveva già perso un fratello, la fidanzata e un figlio, e ora anche un nipote. Forse, pensò Andrew, non erano così diversi. Forse lui non avrebbe dovuto focalizzarsi sulla gelosia e avrebbe dovuto far più tesoro dei consigli che Iago gli aveva dato di tanto in tanto, provare a stringere con lui un rapporto di mutuo rispetto o persino una reale amicizia.
Invece si era focalizzato sempre e solo su Alex, senza poi ottenere nulla di quel che aveva sperato. Per quanto fosse stato vigile, sempre all'erta, Grober era riuscito lo stesso a strapparglielo dalle braccia.
Non imparo mai niente. Faccio sempre gli stessi errori.
Distrattamente si sfiorò il collo e solo in quel momento ricordò di avere attorno a esso il rosario che sua nonna gli aveva detto di tenere sempre con sé. Quello che sempre più spesso, negli ultimi tempi, aveva sentito in qualche maniera vibrare e, negli ultimi giorni, di tanto in tanto persino bruciare sulla sua pelle, come se avesse voluto avvertirlo, ma lui era stato cieco, aveva avuto ben altro per la testa e aveva ignorato i segnali.
Si allarmò non poco quando la croce parve agitarsi con foga, quasi a voler metterlo in guardia da qualcosa e... non aveva torto.
Udì dei passi calmi e cadenzati, poi vide una sagoma farsi sempre più vicina e infine due occhi color cobalto risplendere nella penombra come quelli di un felino. Vide un viso pallido e avvenente incorniciato da capelli corvini e pettinati all'indietro. Lo aveva già visto in una fotografia quasi quattordici anni prima, seppur più giovane, e ancora dopo, solo una volta, quando un giorno si era recato nel posto dove Arwin lo aveva tenuto segregato per anni.
Il volto che aveva tormentato i suoi incubi peggiori ora era fisicamente lì, compiaciuto e vittorioso, tronfio nella sua satanica gloria.
«Guarda un po' chi abbiamo qui» disse allegro. «Andrew Thorne!»
Andrew avrebbe dato qualunque cosa pur di poter trovarsi fuori da quel cubicolo e serrare le mani attorno al collo di Grober. Quello non era André, non era suo zio. Era un malefico, viscido e crudele essere che aveva distrutto la sua famiglia, quella di Alex e di tanti, tanti altri ancora.
Grober, di fronte alla sua gelida mancanza di reazione, allargò le braccia in modo plateale, l'espressione confusa e sbalordita. «Suvvia! Cos'è quella faccia?»
«Vieni più vicino e avrai la mia risposta. La scolpirò nella tua carne con le mie zanne» ringhiò il vampiro, più simile a una belva che a un uomo.
«Ah, capisco. Ce l'hai con me per via di Alex.»
«Sapessi quanto sembri ancora di più un bastardo mentre lo dici.»
Grober sospirò. «Andrew, Andrew... Mi dispiace che tu l'abbia presa così sul personale, ma il punto è questo: rivolevo indietro il mio vero corpo, le mie vere sembianze, e Alex purtroppo si trovava sul mio cammino. E poi, andiamo...! Tu che vieni a farmi la predica? Non sei stato proprio tu, una volta, a consigliare amorevolmente ad Alex di ammazzarsi? Non ti facevo così ipocrita.»
Andrew scattò in piedi e si avvicinò alle sbarre. «Perché cazzo sei qui, eh?! Per gongolare un altro po'? Allora va' a farti fottere!»
«Le tue capacità di saper sostenere una conversazione non sono migliorate.»
«Ah, davvero? Quanto mi dispiace! Ti manderò dei fiori velenosi per scusarmi, non appena sarò uscito da questa cella e ti avrò preso a calci, maledetto figlio di puttana!»
Grober si chinò in avanti per guardare il vampiro dritto negli occhi. «Al tuo posto farei tesoro di queste ultime ore di quiete per te. Non ne avrai altre a disposizione, contrariamente a quello che pensava Alex. Credeva ti avrei lasciato in vita, libero di tornare con la coda fra le gambe dai tuoi amichetti, ma non sono tipo da lasciare in sospeso i miei affari. So di avergli dato la mia parola, so che avevamo fatto un patto, ma quello sciocchino avrebbe dovuto studiare un piano di riserva perché tu uscissi incolume da questa brutta faccenda. Ha commesso un errore grave a fidarsi di me.»
Andrew rise. «Fidarsi di te? Non è così stupido come credi, fidati.»
«Eppure ora ti trovi in una cella.»
«Non ci rimarrò a lungo. Sono fuggito di prigione una volta, posso farlo di nuovo.»
«Sei il solito presuntuoso, vedo. Ti stai prendendo dei meriti che non hai. Mi risulta che siano stati i tuoi amichetti a darti una mano, altrimenti saresti ancora lì a fare l'ameba e a piangerti addosso.»
Andrew ne ebbe abbastanza: fece scattare una mano attraverso le sbarre con l'intenzione di afferrare il collo a Grober, ma questi intercettò il suo polso che rimase a mezz'aria. Strinse e ottenne un sinistro scricchiolio. Sorrise di sbieco vedendo il giovane non-morto iniziare a vacillare e a provare dolore con chiarezza. «Sei una femminuccia proprio come tuo padre, lo sai?» flautò piano, come se fosse un segreto fra di loro. «Arrogante e piagnucoloso come Markus. Farai persino la sua stessa fine, ma prima penserò alla tua adorata sorellina, a quel ficcanaso di Skyler e a quello smidollato di suo fratello, poi ancora al piccolo Jonathan e al bastardo di Asher non ancora nato, e ancora Brian, Iago, Frederick, quei traditori di Zelda, Alice e Lorenzo. L'agonia peggiore di tutte, però, la riserverò al caro e abnegante Dario che pensava di poter sopraffare uno come me. Lo torturerò nei modi peggiori, lo forzerò a guardare mentre ordinerò l'uccisione di quell'abominio di sua figlia e di fare a pezzi il suo amato Max. E in tutto questo, Andrew, tu avrai l'immenso onore di assistere, comodo comodo, da un angolino. Nessuno di loro si salverà e solo allora avrò pietà di te e finalmente ti concederò la morte.»
Diede un secco strattone laterale e Andrew non poté far a meno di urlare per il dolore: gli aveva spezzato il polso.
«Moltiplica il dolore che ora senti per mille e potresti magari avvicinarti alla sofferenza che ti infliggerò non appena sarò tornato nel mio corpo.»
Andrew, ansimante e dolorante, lo guardò con odio indescrivibile. «Il nome di mio cugino è Cynder, non Asher, e il corpo di cui parli non è tuo, mai lo è stato! È di Alex e non hai alcun diritto di portarglielo via!» fece a denti stretti. «E se pensi che sarà così semplice distruggere persone come Skyler, Brian e Iago, allora sei un povero idiota. Sono tutti incazzati, Grober, dal primo all'ultimo, e mi guarderei bene dal far saltare la mosca al naso a uno come Dario. L'acqua cheta rovina i ponti, lo sapevi?»
«Credimi, sto già tremando come una foglia» ribatté divertito Grober. «Non è mai riuscito a fermarmi e non potrà far niente per tenere a bada la marea che sta per colpire tutto ciò a cui tiene.» Gli lasciò andare il braccio. «È stato un viaggio estenuante dall'Oltrespecchio a qui, visto che ancora prima mi sono dovuto occupare di un bel po' di altre faccende, perciò, se non ti spiace, ora andrò da Syrma e da Alex. Sono ansioso di fare un'ultima chiacchieratina con lui prima di aprirgli un bel sorriso nella gola e guardarlo mentre si dissangua sull'altare a me sacro. Qui sono una vera celebrità, lo sapevi?»
Andrew tremava e non per il dolore, ma per la paura e la disperazione. «Non osare toccarlo, mi senti?» gridò. «Fallo e ti giuro, Grober, che questa me la paghi! Non avrò pace finché non ti avrò ridotto in polvere e scombinato i piani fino alla fine!»
Grober rispose semplicemente ridendosela di gusto mentre con una mano gli rivolgeva un gesto di commiato e si allontanava, sparendo infine oltre l'angolo del corridoio.
La sala del trono era spartana, ricordava molto quelle di epoca medioevale con quelle mure fatte di pura e nuda roccia ornate soltanto di scudi, lance, picche, spade e daghe. V'erano persino alcune armature che, austere e immobili nelle loro pose dal fiero portamento, sembravano fare la guardia a chiunque varcasse la soglia di quella stanza.
Dal soffitto pendeva un enorme candeliere di ferro scuro con tanto di candele accese. Fuori era quasi notte e la nebbia aleggiava ovunque come un esercito di tanti, informi spettri.
Il trono era fatto anch'esso di pietra e non vantava particolari decorazioni, eccezion fatta per i braccioli che culminavano in due teste di drago dalle fauci spalancate.
Alex guardò Argor che era rimasto fino ad allora con lui in attesa che Syrma arrivasse. Erano trascorse delle ore da quando erano entrati per la prima volta nel castello e pareva che la regina avesse dato disposizioni che Alex venisse trattato come un ospite, non un prigioniero, e al vampiro ciò aveva ricordato molto le pratiche di certi popoli indigeni nel mondo degli umani che in tempi antichi erano stati soliti trattar bene in ogni singolo aspetto le vittime sacrificali. Non per render più piacevole per loro il trapasso, ma per fare in modo che fossero di gradimento alle divinità.
Era proprio così che si era sentito in quelle ore: un animale prossimo a venire sacrificato e messo dunque all'ingrasso per apparire più appetitoso al mostro al quale si era consacrato in maniera consapevole.
Syrma di certo voleva presentare a Grober un corpo nuovo di zecca vestito in abiti sontuosi, con i capelli ben tenuti e ogni singola ferita o traccia di affaticamento resa meno evidente.
Avevano cercato di fargli togliere la fede nuziale, ma non aveva voluto saperne di obbedire e alla fine l'aveva avuta vinta, tuttavia... era quasi ora, ormai. Syrma sarebbe arrivata presto e con lei sarebbe sopraggiunto Grober nelle sue attuali sembianze di André Esper, e allora niente avrebbe più avuto importanza. v'era il rischio che Grober si sarebbe tolto senza troppe cerimonie l'anello per gettarlo via.
Con il cuore in gola e un peso sullo stomaco impossibile da descrivere, Alex si sfilò pian piano la fede, si voltò e raggiunse Argor che se ne stava con la schiena appoggiata al muro e le braccia conserte. Il vampiro esitò. «Ho un'ultima richiesta, se possibile.»
Argor fece un lungo sospiro. «Di che si tratta?»
«Vorrei che tu dessi questo a mio marito, a Andrew. Tra non molto non ne avrò più bisogno e non voglio che vada perduto. Almeno avrà un ricordo tangibile di me.»
Il capo delle guardie di Græb'ar Volak squadrò il vampiro, poi si decise a prendere fra due dita l'anello dalla delicata fattura. «Da queste parti non si vedono spesso oggetti del genere» commentò. «È una manifestazione di pura magia ancestrale, quella suprema e conosciuta solo dagli dèi e dalla natura stessa da loro creata. Solamente durante un rito matrimoniale alla moda di questo mondo fanno la loro comparsa simili creazioni.»
Alex inclinò il capo di lato come un bambino curioso e sorrise appena. «Davvero? Dimmi di più.»
«Beh, dicono che questi anelli possano esser creati solamente quando i sentimenti e le promesse atte a rispettare la santità del matrimonio sono sinceri e radicati. Un ingrediente speciale e fondamentale, diciamo.»
Il non-morto annuì debolmente. «Sì, amo con tutto il cuore Andrew. È anche per lui che sto facendo tutto questo. Voglio solo che... un giorno, magari, possa trovare la forza di guardare avanti e di essere di nuovo felice, di cogliere la seconda possibilità che gli è stata donata, anche se non sarò al suo fianco. Se c'è una cosa che ho imparato, a mie stesse spese, è che la vita va avanti e non ci si può tenere ancorati al passato per sempre. Prima o poi bisogna lasciarlo andare e vivere per chi è rimasto, ed è ciò che spero che Andrew faccia.»
Argor non disse niente e ripose l'anello nella tasca della propria casacca. Non indossava più l'armatura, ma l'indumento in questione appariva comunque, in un certo senso, corazzato e resistente. «Glielo darò, sempre che riesca ad andare nelle segrete prima che lo facciano Grober e Syrma. Non so neanche perché mi sto assumendo un simile rischio, ma in fin dei conti non hai chiesto di essere risparmiato né avanzato pretese che giovassero a te in primo luogo. Per una volta posso fare uno strappo alla regola.»
Alex annuì. «Sei una persona migliore di quanto tu voglia dar a vedere, Argor, e... penso che dovresti dar maggiore ascolto a ciò che ti dice la testa. Se una cosa ti sembra sbagliata e ingiusta, allora nessun vincolo o giuramento al mondo ti obbliga a commetterla. Pensa al bene che potresti ancora fare, se scegliessi di lottare per rovesciare una volta per tutte Grober e tutto ciò che rappresenta. Immagina, solo per un secondo, un mondo dove bene e male sono di nuovo in armonia, in perfetto equilibrio.»
Argor parve sul serio riflettere su quelle parole. «Mi sembra un'utopia, in tutta franchezza.»
«Non lo è, non finché ci saranno persone che avranno il coraggio di farsi avanti e fare la differenza.»
«Dannazione, parli come tuo marito. Siete due pazzi. Una volta che Grober avrà avuto ciò che desidera niente sarà in grado di fermarlo. Niente. È da quando sono nato che lotto per sopravvivere e non intendo morire solo perché ho scelto di schierarmi con coloro che sono destinati a perdere, senza offesa.»
«Eppure sembri prendere sul serio la questione dell'onore, Argor. Dimmi, allora, quale onore c'è nell'appoggiare il massacro di migliaia, forse milioni di innocenti. Grober distruggerà tutto quanto. Non ci sarà più niente. È questo ciò che vuole.»
«A Syrma è stato detto ben altro.»
«E lei è solita dirti ogni singola cosa, confidarsi con te apertamente?» chiese Alex senza l'ombra di accusa nella voce.
«Lei è la regina.»
«Persino i re e le regine hanno l'obbligo di essere onesti con i loro sudditi.»
«Qui le cose vanno diversamente e io non sono nessuno per intromettermi negli affari di stato delle Terre dell'Ombra.» Argor scosse la testa. «Ho accettato di far fuggire Andrew dalle prigioni e di lasciargli quest'anello, ma non posso fare nient'altro, men che meno tradire la mia gente. Non è a Syrma che sono fedele, ma al popolo.»
Per un attimo Alex poté giurare di aver già udito, una volta, forse secoli fa, da qualche parte, un discorso molto simile a quello, ma proprio non riusciva a ricordare con precisione quando o dove, o ancora chi fosse stato a pronunciarlo.
«È strano...» disse dopo un po', fra il serio e il faceto, massaggiandosi la fronte con fare imbarazzato. Non gli piaceva quando aveva quei vuoti di memoria, non ricordare niente. «È che... mi ricordi qualcuno e sono sicuro che questo qualcuno, una volta, abbia detto quasi la stessa cosa che ora hai detto tu.»
Argor deglutì e colse subito il significato di quella frase non appena ripensò a quanto affermato da Andrew. Non riuscì proprio a frenare un piccolo moto di compassione nei riguardi di quell'uomo privo di ricordi. «Me l'hanno già detto, ma... da quel che ho capito, la persona in questione era decisamente migliore del sottoscritto.»
Un attimo dopo udì dei passi in avvicinamento e si staccò dalla parete per rimettersi sull'attenti prima che Syrma entrasse e, infatti, un paio di minuti dopo eccola lì, seguita da Grober.
Per quanto fosse una donna molto bella, appariva anche terribile nella sua glaciale alterigia. I suoi occhi erano freddi, privi del minimo calore, proprio come lo erano quelli del suo illustre ospite.
Argor non riuscì a reprimere un moto di ribrezzo quando la divinità, per un breve istante, lo guardò. No, non ribrezzo, ma pura e semplice repulsione.
Ad ogni buon conto, Grober subito dopo si concentrò su Alex che, prima del loro arrivo, era tornato al centro della sala per non dar modo a nessuno dei due di credere che stesse parlando o persino cospirando con Argor. Non voleva mettere quell'uomo nei pasticci.
Il dio delle Tenebre si avvicinò, le mani dietro alla schiena, una postura fiera e regale, autoritaria. I suoi occhi color cobalto presero a esaminare ogni singolo centimetro della figura del vampiro e Syrma, che si trovava accanto a lui, ebbe modo di capire in fretta che non era molto soddisfatto. «Qualcosa non va?» chiese educata.
Grober le lanciò una breve occhiata e sospirò con fare annoiato. «Pensavo sarebbe arrivato qui in condizioni migliori, ma... non credo potessi sperare in un risultato diverso.» Si rivolse ad Argor. «Vieni qui» gli ordinò. Il capo delle guardie si trattenne dallo sbuffare e obbedì. «Quando si è consegnato era già in questo stato?» chiese la divinità.
Il Græber esitò. «All'incirca. Non è cambiato granché e purtroppo si è mostrato per tutto il viaggio inappetente. Ha quasi sempre ceduto le proprie razioni di sangue al suo compagno di viaggio.»
«C'era da immaginarselo» commentò tra sé Grober alzando gli occhi al cielo. «È tutto. Ora vattene e lasciaci da soli. Il tuo compito è finito.»
Argor strinse le labbra, poi fece un cenno rispettoso con il capo e si congedò.
Il Padre delle Tenebre tornò a esaminare Alex come se in realtà non fosse che un semplice abito, una sorta di costume che presto avrebbe dovuto indossare in vista di una festa. «Fa uno strano effetto rivedere queste fattezze dopo millenni. È proprio com'ero io prima che Lucifero e il resto della sua banda di traditori mi assassinassero.»
Syrma si fece coraggio e domandò: «Mio signore, magari potrò sembrare audace, ma... cosa intendete fare con il re dell'inferno? Se posso permettermi, non sarebbe meglio ucciderlo per primo e subito, appena avreste ripreso possesso delle vostre reali sembianze?»
«Lucifero non mi preoccupa particolarmente» ribatté noncurante Grober. «Non ha più potere all'Inferno e si indebolisce ogni giorno che passa.»
«Ma...»
«Non c'è niente da temere, Syrma. Lucifero è l'ultimo dei miei problemi. L'unica cosa che davvero desideri da parte sua è che si faccia da parte e mi conceda di riavere con me mia figlia senza dar vita all'ennesima faida. Odio che Lilith debba assistere a un'altra lite.» Grober schiarì la voce e si accigliò. «Suvvia, Alex, non tremare così. Sei stato coraggioso fino ad ora e trovo sarebbe indegno che proprio adesso tu inizi ad avere paura. Non ti accorgerai quasi di niente, credimi. Un secondo e tutto finirà.»
Alex annuì, ma non riusciva a smettere di piangere, anche se in rigoroso silenzio, senza fare il minimo rumore. «M-Manterrai la tua parola, vero?» chiese con un filo di voce. «Andrew non subirà ripercussioni, giusto?»
«Certo che sì. Un patto è un patto» mentì con maestria il dio delle Tenebre. «Sempre che non decida di infastidirmi e... beh, a quel punto potrei dover venire meno al nostro patto. Devo pur difendermi, Alex. Sii ragionevole.»
«M-Ma t-tu avevi detto che...»
«E tu avevi detto che non mi stavi nascondendo niente, Alex, eppure poco fa sono stato da Andrew e abbiamo fatto una chiacchieratina. Sai cosa ho percepito, mentre parlavamo? Che lui sapeva qualcosa che io invece non so e ho tanto l'impressione, Alexander, che ci sia di mezzo il tuo zampino. È possibile?»
«N-Non so di che parli.»
«Non mentire a me!» tuonò Grober. Non dovette neppure muovere un dito per ricorrere a uno degli Anatemi, quello della tortura. Alex, nel giro di un secondo, fu in ginocchio, piegato su se stesso e attraversato da scariche di dolore puro e atroce. Era come se tutto dentro di lui, ogni singola cellula del suo corpo, fosse sottoposta alla sofferenza a caratteri maiuscoli. Si rannicchiò nella vana speranza che ciò attutisse gli effetti della sevizia, ma non servì a niente. «Parla, forza!» gli intimò la crudele divinità, ma lui, fra i singhiozzi, i lamenti e le grida lancinanti, scosse la testa e rispose che non stava nascondendo niente, di esser sempre stato sincero. Il segreto che custodiva era di vitale importanza, valeva tutto il dolore del mondo, era ciò che avrebbe salvato Andrew da quel mostro. Non poteva cederlo, darlo via con noncuranza e solo per non soffrire oltre.
Non poteva piegarsi, non stavolta.
Grober, a sua volta, era deciso a scoprire il tranello e allora, come se avesse avuto tra le mani un congegno che gestiva l'intensità e la frequenza delle scariche dell'elettroshock, intensificò la portata del tormento provato dal vampiro. «Voglio. La. Verità» scandì minaccioso. «Parla, forza!»
«Sai già tutto» singhiozzò Alex, ormai allo stremo delle energie. La testa gli girava e sembrava al tempo stesso sul punto di esplodergli, tanto era il dolore.
Syrma, vedendo che Grober stava per colpire ancora una volta e che il prigioniero, di quel passo, sarebbe morto ancor prima di fare la sua parte nel piano, intervenne: «Sta dicendo la verità. È sincero o a quest'ora avrebbe già confessato. Nessuno è in grado di tollerare tanta sofferenza in una sola volta. Ho visto uomini più robusti e forti di lui cedere al primo tentativo. Deve restare vivo, mio signore. Ricordate?»
Il Padre delle Tenebre, benché ancora sospettoso, scelse di affidarsi all'istinto di Syrma, sua leale alleata. «D'accordo, ma se dovesse saltar fuori qualcosa, Syrma, ti considererò altrettanto responsabile della svista. Mi sono spiegato?»
Lei annuì senza batter ciglio. «Sì, mio signore.»
«Bene. Prepara l'occorrente e porta questa creatura all'altare. Assicurati che vi sia incatenato, giusto per non avere brutte sorprese.»
La regina dei Græber guardò Grober uscire dalla sala, si chinò su Alex e gli ordinò di alzarsi, ma non ottenne alcun risultato e lui rimase lì, a terra, scosso da spasmi involontari e da lievi convulsioni. «In piedi, ho detto. Non ho tempo da perdere, io.» I secondi scorrevano e mancava poco allo scadere del tempo. Quello era il giorno fatidico, l'orrenda ricorrenza della notte in cui Tredhar uccise suo fratello e lo consegnò alla Fonte, senza sapere che egli sarebbe rinato e tornato per vendicarsi. Entro mezzanotte il rituale sarebbe dovuto compiersi altrimenti tutto sarebbe andato in malora.
«Alzati, sozzura» gli intimò ancora una volta Syrma, la quale odiava le creature che provenivano dal mondo umano, specialmente quei sudici ibridi simili a quello che si trovava ai suoi piedi. Loro sarebbero stati i primi a subire la Grande Epurazione.
Alex, con enorme sforzo, tentò di alzarsi, ma ricadde giù. La regina, spazientita, gli strattonò un braccio e, a furia di tirare, finalmente riuscì a rimetterlo in piedi. «E pensare che a uno come te è stato offerto il privilegio di essere l'ultimo corpo di Grober» commentò sdegnata. «Andiamo, prima che tutto si guasti per colpa tua.» Senza lasciargli andare il braccio lo trascinò fuori dalla sala, ma appena mise piede nel corridoio ebbe per un istante la sensazione di aver intravisto qualcosa svoltare l'angolo. Si era trattato di una frazione di secondi.
Roteò gli occhi. «Ho ben altri affari a cui pensare. Se ne occuperà Argor» disse fra sé spiccia, proseguendo e portandosi dietro Alex.
Ciò che Syrma, però, non sapeva, era che Argor si trovava proprio oltre l'angolo che lei aveva passato in rassegna. Il capitano delle guardie di Græb'ar Volak aveva la schiena forzata contro la parete di roccia, una lama puntata alla gola e una mano pallida e fredda come la morte che gli impediva di parlare o di emettere qualsiasi altro suono. I suoi occhi ambrati, confusi e furenti, ricambiavano lo sguardo di due iridi color cremisi e dalle pupille sottili come quelle dei felini.
Entrambi erano in ascolto e solo quando non udirono più i passi di Syrma e Alex l'aggressore disse, la voce bassa e minacciosa: «Non te lo chiederò una terza volta, perciò ti consiglio di rispondere e basta: dov'è Andrew?» Allontanò un po' alla volta la mano dalla bocca del Græber che incalzò, rabbioso: «E a te cosa importa, se non sono indiscreto? Chi accidenti saresti, poi?»
«Sono quello che ti squarterà fra due secondi se non ti deciderai a dirmi tutto quanto.»
Argor ragionò in fretta. «Nelle segrete» replicò vago. La pressione della lama si fece più insistente sulla sua gola. «Se mi lasci andare, ti porterò da lui. Sarei dovuto andare laggiù comunque.»
«Mi credi un idiota?»
«So solo che il tempo corre e di dover mantenere una promessa. Ho dato la mia parola a quell'uomo, Alex, che avrei liberato il suo compagno e avrei fatto in modo di ricondurlo nel suo mondo tramite un portale.»
«E perché mai avrebbe dovuto chiedere a uno come te di fare una cosa simile?»
«Chiedilo a lui! Ah, no, dimenticavo che sta per essere sacrificato!»
Dario fissò il capo delle guardie e fu tentato, molto tentato, di aprirlo in due come un pesce, ma sapeva che avrebbe solo peggiorato le circostanze. Si allontanò e si decise a ritrarre il pugnale. «Se provi a fare scherzi...»
«Lasciami indovinare: mi ammazzi, giusto?»
«Sei meno stupido di quel che sembri. Forza, allora, fammi strada.»
Argor, non avendo molte alternative, capì che avrebbe fatto meglio ad accontentare quel tipo. Sembrava uno con cui c'era ben poco da scherzare e lui di certo non voleva crepare. «Non mi pagano abbastanza per venir strapazzato così da tutti» borbottò rabbioso.
«Così impari a stare al servizio di quella pazza di nome Syrma.»
«Ah, sì? Beato te che sei un grand'uomo pieno di coraggio, allora.»
«Se tieni alla tua lingua ti consiglio di stare zitto.»
Intanto procedevano in fretta e circospetti per i corridoi, di tanto in tanto per rampe di scale, sempre più giù, finché non imboccarono un altro ingresso che conduceva alle segrete.
«Per caso sei tu il famoso Iago?» buttò lì Argor.
«Ti sembra che somigli a un Rowinster?»
«In effetti no. Sembri di più un gran bastardo.»
Dario alzò gli occhi al cielo. «Certo, come vuoi tu. Allora, da che parte si va, adesso?»
«Qui» replicò Argor, imboccando il corridoio che conduceva alla cella di Andrew. «Ero sincero, prima. Ho davvero promesso che avrei portato in salvo quel vampiro.»
«Oh, dunque pensi di esserti così lavato la coscienza? Che bravo.»
«Sto solo facendo il mio lavoro, chiaro? Non è colpa mia se...»
Dario fece fermare il Græber e lo guardò dritto in faccia. «Ascoltami bene, idiota: parli con uno che è stato per secoli sotto le direttive di un individuo che ha compiuto azioni terribili e crudeli. Il mio unico rimpianto è di non averlo fermato quando avrei potuto farlo. Capisci cosa voglio dire?»
«Che storia triste. Qual è il succo della questione?»
«Il succo è che sei ancora in tempo per abbandonare la nave di Syrma prima che coli a picco e ti trascini con sé sul fondo. Non ti sto dicendo di passare dalla parte nostra, ma di toglierti dai piedi e rimanere neutrale, se hai un minimo di coscienza e vuoi restare vivo. Se sceglierai di continuare a servire Syrma, invece, ti assicuro che sarò io stesso a tagliarti la gola. È ciò che merita chiunque preferisca servire il male solo perché ha troppa paura di agire nel bene. Non c'è peggior crimine dell'assistere a un'ingiustizia senza muovere un dito.»
Argor strinse le labbra. «Ho le mani legate.»
«Povero piccolo. Mi si spezza il cuore.» Dario accennò con la punta del pugnale al corridoio. «Prosegui.»
Chiedendosi perché ultimamente stessero accadendo tutte a lui, Argor condusse il proprio aguzzino fino alla cella del vampiro delle cui sorti pareva importare a un bel po' di gente. «Eccolo là» disse accennando alle sbarre.
Dario squadrò il soldato. «Resta dove sei e non provare a dare l'allarme o a fare altre sciocchezze.» Un solo passo falso e non si sarebbe fatto problemi a ucciderlo sul posto.
Andrew, nel frattempo, incuriosito dalla conversazione e da quel tono di voce familiare, si era alzato dal pavimento e fissava con tanto d'occhi il Principe della Notte, convinto di avere le traveggole o che fosse una sorta di trucco a opera di Grober.
Non poteva essere davvero Dario... o sì?
Giuro che se è davvero lui, non dirò mai più che Dio e i miracoli non esistono.
Eppure, appena lo vide avvicinarsi e la tremola luce di una torcia lì accanto illuminò un po' di più il viso del vampiro in questione, la prima differenza che ebbe modo di notare furono gli occhi. Non li ricordava a quella maniera, rossi e... strani. Persino i capelli parevano più scuri e quel pallore...
Cavolo, lo aveva notato solamente in Alex quel colorito cinereo e mortifero.
Sembrava Dario e non lo sembrava. Non lo ricordava così.
Poteva davvero fidarsi? E se si fosse trattato di uno Specter o qualcosa del genere? Ma questo avrebbe voluto dire che allora Dario era morto.
Fatto stava che qualcosa in quell'uomo lo faceva rabbrividire in modo istintivo.
Benché all'inizio avrebbe voluto esclamare di gioia, adesso si sentiva incapace di proferir parola, almeno finché non scorse qualcosa di realmente familiare nell'espressione dell'altro non-morto che piegò le labbra incolori in un lieve sorriso del tutto in sintonia con i ricordi di Thorne.
«Ciao, Andrew. Perdona il ritardo.»
«M-Ma come...»
Com'era possibile che Dario fosse riuscito a superare le difese della fortezza e ad arrivare fin nelle segrete?
«Oh, è una lunga e noiosa storia, credimi, e dubito tu abbia ora bisogno di un sonnifero» ribatté Dario sventolando una mano. Pareva concentrato nell'esaminare le sbarre che, poco dopo, con un solo e autentico schiocco di dita indusse a spalancarsi senza neppure un cigolio.
Andrew era sconvolto. Quel vampiro non aveva mai dato prova di possedere poteri di alcun tipo come Arwin o lui o Alex! Che stava succedendo?
«F-Frena un attimo...» Ricordò cosa gli aveva detto Iago su come riuscire a capire se qualcuno fosse uno Specter o un mutaforma: chiedergli qualcosa che solamente la persona originale avrebbe potuto sapere. «Cosa mi chiese il vero Dario quella notte all'ospedale abbandonato? Quale fu la prima domanda che mi pose?»
Dario parve trattenere a stento un lieve accesso di insofferenza. «Oh, andiamo! Non abbiamo tempo!»
«Allora rispondi, forza.»
«D'accordo, d'accordo. Ti chiesi se stessi bene. Ora ti fidi?»
«Cavolo, allora sei davvero tu!» esclamò Andrew. Nel bene e nel male era felice di rivedere un volto noto dopo che Iago e Frederick si erano separati da lui e Alex. In qualche maniera lo rassicurava. «Come hai fatto a trovarmi? E gli altri a Obyria stanno bene? Dimmi che Grober non ha attaccato di nuovo la città!» Non riusciva a smettere di fare domande e di parlare a ruota libera, era come se qualcuno gli avesse iniettato una sostanza eccitante che non faceva che rinvigorirlo man mano che i minuti passavano.
«Shh! Non per niente, ma non sono una presenza gradita da queste parti!» lo zittì il suo salvatore, spezzando senza troppe cerimonie le catene che lo trattenevano e spuntavano dalla parete. «Per ora stanno tutti bene. Più o meno, ecco.»
«Che vuol dire? N-Non sarà successo qualcosa a Sam o a Skyler o...»
Dario gli tenne il braccio fermo per guarire la frattura e in un attimo il polso tornò come nuovo. «Andrew, ti prometto che ti racconterò tutto quello che vorrai sapere, ma adesso dobbiamo filarcela da qui il più in fretta possibile.»
Argor, nervoso al pensiero di cosa sarebbe accaduto da lì in avanti, li raggiunse. «Potreste rimandare, per cortesia, i convenevoli a più tardi? Non appena avranno finito con Alex, Grober e Syrma torneranno qui per prelevare Andrew e allora saranno grossi guai per tutti quanti!»
Andrew guardò il capo delle guardie. «Quanto tempo resta? È già cominciato il rituale?»
«Dovrebbe iniziare a momenti. Syrma stava portando fuori dalla sala del trono il tuo compagno quando questo sbruffone mi ha assalito e minacciato con un coltello alla gola.»
Andrew guardò Dario. «Di' un po', è vero?» chiese serio.
Il vampiro più anziano fece un lungo sospiro, come se gli pesasse ammettere quell'accusa. «Sì, l'ho fatto, ma avevo le mie ragioni e un bel po' di fretta.»
«Ti stimo ancora più di prima, allora.»
Argor li fissò con aria incredula. «Sapete una cosa? Quasi quasi lancio l'allarme e poi vedremo chi sarà a ridere.»
«Fallo e ti squartiamo in due» lo avvertì Thorne minaccioso.
«E allora sbrigatevi, prima che cambi idea e decida di rischiare.»
Andrew si rivolse di nuovo all'altro vampiro. «Forse... forse c'è ancora una speranza per Alex» buttò lì, sperando che il Principe della Notte non decidesse proprio in quel momento di remargli contro. Non che il loro rapporto fosse mai stato chissà quanto radicato, raramente si erano visti e parlati, ma Dario lo aveva aiutato più volte, sin dall'inizio, e magari lo avrebbe fatto di nuovo. Ci sperava con tutto il cuore perché... solo il cielo sapeva quanto avesse bisogno di qualcuno che non lo guardasse con commiserazione, come se fosse un pazzo incapace di accettare la realtà e di arrendersi.
«Andrew, non credo che...»
«È lui a essere nei casini e a rischiare di più! Non me ne vado senza aver almeno provato a salvarlo! Tu non faresti la stessa cosa se al posto di Alex ci fosse una persona a cui tieni con tutto il cuore? Se... se Max fosse sul punto di morire in modo atroce, tu non correresti a salvarlo?» incalzò Thorne, ricordando cos'aveva detto Grober riguardo a Wildbrook.
«Tu come fai a sapere...»
«Me lo ha detto Grober. Allora?»
Il Principe della Notte imprecò sottovoce contro Grober, poi annuì. «Morirei per Max.»
«E allora dammi una mano, no? Con me lo hai fatto quando si trattava di farmi fuggire di galera, anche se era un rischio enorme. Adesso ti chiedo di aiutarmi a salvare Alex. Non merita di finire così. L-Lui... lui non lo merita, va bene? Lo so che non si tratta di una cosa da niente, ma dovremmo almeno tentare, non pensi?»
Dario capì al volo che Andrew non avrebbe cambiato idea per nulla al mondo e non c'era tempo per mettersi a discutere.
Metatron mi ha ripetuto fino alla nausea di non interferire con l'andamento del futuro, ma...
Aveva davanti a sé due possibilità: ignorare il volere di Andrew e riportarlo a casa, con le buone o con le cattive, oppure aiutarlo, pur sapendo che quasi sicuramente non avrebbe cambiato le cose. Se anche così non fosse stato e fossero riusciti a salvare Alex, Grober si sarebbe infuriato e avrebbe scatenato la propria ira su tutti gli altri.
Era un rischio enorme.
Argor parve quasi avvertire ciò che stava per dire. «Non ci posso credere! Non solo sei rimasto ad ascoltarlo fino ad ora, ma vuoi persino dargli retta?! Se avete istinti suicidi ci sono modi più rapidi e indolori per crepare!» L'occhiata che Dario gli scoccò lo fece zittire all'istante. Il vampiro, dunque, tornò a squadrare Thorne. «Hai ragione, Andrew. Va bene, proviamoci.» Al diavolo il destino, non sarebbe venuto meno ancora una volta ai propri principi morali. «Forza, andiamo.»
Non era stato semplice risalire dalle segrete e fare tutto il possibile per incrociare il minor numero di guardie. L'aiuto di Argor, costretto a supportarli, era stato essenziale: conosceva ogni dettaglio, ogni orario in cui i suoi soldati si davano il cambio per sorvegliare i corridoi e tanto altro ancora.
Certo, avevano dovuto tagliare comunque qualche gola, di tanto in tanto, e Andrew era rimasto a bocca aperta quando Dario, schioccando semplicemente le dita, aveva rotto il collo a una guardia all'ultimo secondo. Non era abituato a vederlo in vesti diverse da quelle del compassionevole e pacato Principe della Notte che aveva conosciuto in precedenza, ma in fin dei conti era pur sempre un vampiro e tutti loro, volenti o meno, possedevano un lato sanguinario. Persino Alex aveva dato prova di averne uno, come ad esempio quando era stato sul punto di uccidere David Wickelby o quando aveva pugnalato ripetutamente Logan Durby.
Dopo aver neutralizzato le difese della fortezza erano riusciti a uscire da essa e a dirigersi al millenario tempio sacro a Grober che si trovava ancora più in alto rispetto alla città, celato dalle rocce scoscese della montagna come il nido di un'aquila. Era lì che si trovava l'altare sul quale sarebbe avvenuto il sacrificio dei sacrifici. Andrew e gli altri ignoravano lo svolgimento del rituale e Thorne sperava con tutto se stesso di riuscire a sventarlo in tempo.
Si erano nascosti dietro a uno degli enormi e appuntiti massi che attorniavano il tempio vero e proprio in un modo che ricordava il sito di Stonehenge. A differenza di altri luoghi sacri che aveva avuto modo di vedere negli ultimi mesi, Andrew non poteva far a meno di considerare l'aspetto e la costruzione di quel posto arcaici, anzi primitivi.
«Non riesco a sentire cosa stanno dicendo» mormorò.
Dario fino ad allora era rimasto in silenzio, ma alle parole dell'altro non-morto si riscosse. «Grober sta spiegando nei minimi dettagli lo svolgimento del rituale a Syrma» disse. «Stanotte è in corso un'eclissi, proprio come la notte in cui venne assassinato da Tredar e, tempo dopo, secondo la storia canonica, sconfitto da lui e cacciato da Palazzo d'Alba, la casa di tutti gli dèi di Sverthian. Non so perché la questione delle eclissi continui a rispuntare fuori, ma a questo punto dev'essere fondamentale. Magari anche in quelle due occasioni se ne verificò una, non saprei.»
«Non vi fu un'eclissi solare anche quando l'Oltrespecchio venne riaperto?»
«Non proprio. Petya in seguito ci spiegò che il varco dimensionale fra l'Oltrespecchio e il mondo umano era già stato riaperto secoli prima da lui. L'eclissi che ci fu il giorno in cui James rinvenne il cadavere di quella donna, Talia, fu una mera coincidenza. Non penso che Misha scelse di assassinare Talia proprio perché il sole si sarebbe oscurato. Quell'eclissi forse significava qualcosa di diverso e che tuttora non riusciamo ad afferrare, credo.»
«Misha? Il fratello di Iago?»
«Proprio lui.» Dario tornò a concentrarsi sulla conversazione fra Grober e Syrma. Alex, invece, era già stato deposto sull'altare, i polsi e le caviglie tenuti fermi da spesse strisce di cuoio che di certo avevano tenuto immobilizzate molte altre vittime sacrificali, in passato. «Kyran è morto qui» aggiunse. «Riesco a percepirlo. È morto proprio su quell'altare ed è stato doloroso, ha sofferto molto.»
Andrew rabbrividì. «Rick non ne sarà contento.»
«Ora non possiamo pensare a questo. Se vogliamo salvare Alex, ci rimane appena un quarto d'ora alla mezzanotte.»
«Allora andiamo e salviamolo, e al diavolo le conseguenze! Hai detto di aver già affrontato Grober, no?»
«Adesso è molto più forte di prima. Andrew, non capisci? Per mesi ha risucchiato la forza vitale di Alex. Erano in una specie di simbiosi. È come se avesse voluto svuotarlo di tutto ciò che rendeva la sua personalità riconoscibile: ricordi, sentimenti, speranza, tutto quanto.» Dario aguzzò lo sguardo. «Non è in buone condizioni.» I suoi occhi impregnati del potere di Rasya riuscivano a vedere molte cose, come ad esempio l'ormai imminente morte di Alexander. Vedeva la vita scivolare via da lui un po' alla volta, era come se una scia di fumo iridescente scorresse da Alex a Grober senza mai fermarsi. Il processo era lento, ma anche efficace. «Persino ora Grober si sta nutrendo del suo spirito vitale. È orribile.»
«Come fai a dirlo?»
«Dubito mi crederesti se iniziassi a dirti tutto quello che ultimamente mi capita di vedere.»
Argor sbuffò. «Ci serve un diversivo, è inutile girarci attorno.»
«Ho forse mai detto che facevi parte della squadra di salvataggio?»
«Mi avete coinvolto, Signor Occhi Rossi, quindi tanto vale fare le cose come si deve.»
Dario parve ragionare molto in fretta. «Al diavolo, vado io.» Al momento era l'unico che fosse davvero sacrificabile. Certo, avrebbe potuto mandare Argor, ma di lui non si fidava abbastanza e avrebbe anche potuto tradirli pur di ottenere clemenza e, per quanto concerneva Andrew, era escluso che facesse da esca.
«Aspetta, cosa? Vuoi improvvisare?» Andrew era attonito.
«Se hai idee migliori sarò ben lieto di ascoltarti.»
In effetti non c'era altro modo, ma...
«Sono stato io a volere che tentassimo di salvare Alex. Se qualcosa andasse storto non sopporterei di avere sia la sua vita che la tua sulla coscienza.»
«Meglio che capiti qualcosa a me che a te» tagliò corto Dario. «E ora ascoltami bene: non appena avrò raggiunto quei due voi tenete gli occhi aperti e aspettate il momento adatto per sgattaiolare via. Sfruttate il luogo in cui ci troviamo, le altre rocce, tutto quello che vi viene in mente, specialmente il buio. Grober non è un vampiro e non ci vede così bene come noi, in assenza quasi totale di illuminazione, e dovrete sfruttare la cosa a vostro vantaggio. Mi segui?»
«Sì, credo di sì.»
«Bene. Io proverò a tenerli occupati, ma ricordate che hanno fretta e che prima o poi si stuferanno di me e torneranno a pensare al rituale, e a quel punto dovrete aver già liberato Alex ed essere scappati a gambe levate.» Dario guardò Argor. «Tu intanto preparati sin da ora a evocare un portale che conduca a Obyria. Obyria, capito? Non la Terra.»
«Non sono sordo!» protestò il Græber. «E sarà un gioco da ragazzi.»
«Buon per te.» Il Principe della Notte si rivolse di nuovo a Thorne. «Fate in fretta e agite in silenzio, con discrezione e senza abbassare la guardia. Qui rischiamo tutti la pelle peggio degli Americani in Vietnam e avremo solo questa occasione, perciò non sprechiamola.» Fece per andare, ma all'ultimo si fermò. «E un'altra cosa: va da sé che dovrò trattenere Grober e Syrma dopo che sarete scappati, perciò non aspettatemi e andatevene.»
«Ma tu come...»
«Non sto scherzando, Andrew. Fate come ho detto. Io so cavarmela, non c'è niente di cui preoccuparsi. Se riuscirete a portare via Alex, oltretutto, la prima cosa che dovrete fare in seguito sarà cercare Jake e pregarlo in ginocchio di darvi un po' del suo sangue.»
«Non credo che del sangue sarà sufficiente a rinvigorirlo» commentò Argor.
«Non mi riferivo a quello, sciocco.» Non fidandosi ancora una volta del Græber, Dario si accostò a Andrew e gli sussurrò all'orecchio: «In passato il sangue di Jake è stato già capace di curare ferite gravi di varie tipologie. Fate un tentativo e se non funziona, allora chiedete a Godric. È bravo in questa roba.» Si scostò e si tirò su per uscire allo scoperto. Un attimo dopo si bloccò non appena vide che si era aggiunto qualcun altro alla festa, qualcuno che aveva visto solo di sfuggita e solamente una volta. Aveva lunghi capelli di un biondo molto chiaro e si scorgeva solo una minima parte del suo profilo diafano.
Perfetto, ci mancava solo quella pazza scatenata di Persefone.
Sospirò e alzò gli occhi al cielo. «Yippee ki-yay, fanculo!» cantilenò con poco entusiasmo per darsi la carica.
Con ansia Andrew e Argor, rimanendo nascosti dietro alla roccia, lo osservarono scendere il brullo declivio di quella specie di cratere. Forse, in epoche molto remote, lì v'era stato un vulcano che poi aveva finito per spegnersi.
Grober, Persefone e Syrma non si accorsero subito di lui, ma poi ecco che il Padre delle Tenebre vide la propria nemesi. In un primo momento lo fissò inebetito, di sicuro non si era aspettato la comparsa di Dario, ma poi sorrise di sbieco. «Bene, bene, bene. Non ci si vede da quando abbiamo giocato insieme a nascondino nell'Oltrespecchio e vedo che hai saputo fare buon uso del premio che hai ottenuto quella volta.» Aveva naturalmente riconosciuto in lui l'antica scintilla di Rasya che era tornata ad ardere nel discendente di questi.
Dario si strinse nelle spalle. «Ho ceduto alla tentazione, sì. Mi spiace dirti, però, che le cose non sono andate come speravi.»
«Ah, no?»
«No. Vedi, Grober, a questo punto sarebbe bene che rimuovessi Dante dalla tua lista nera. Non serve più che tu gli dia la caccia, visto che ho scelto di appropriarmi di entrambi gli occhi di Rasya Dante non è più una minaccia per te, almeno non da quel punto di vista. Prenditela con me, se lo desideri, ma lascia quell'uomo in pace. Sarebbe proprio ora che ti decidessi a dargli tregua.»
Grober sogghignò. «Mi duole contraddirti, caro, e mi dispiace ancor di più comunicarti che hai agito esattamente come speravo che facessi. Sapevo che non avresti mai permesso a Dante di portare un simile fardello e agendo così mi hai reso tutto più facile. Non devo far altro che eliminare te. In quanto al tuo Efialte e al suo amante ficcanaso, beh... per allora sarai già bello che morto, perciò non vedo perché mai dovresti preoccuparti della sorte di Dante.»
Dario roteò gli occhi. «Smettila di sparare scemenze, Grober. Puoi darla a bere a tutti, ma non a me. Io so cosa accadde veramente al tuo servitore, a Rasya, e non fosti tu a eliminarlo.» Vide che Syrma e Persefone parevano aver appena ricevuto uno schiaffo in pieno viso. «Proprio così, signore: il vostro adorato compare è un bugiardo sin nel midollo. Non furono né lui né uno dei figli di Rasya ad assassinare l'Ombra Divoratrice di Anime. Si uccise con le sue stesse mani perché preferiva morire anziché tornare a indossare il guinzaglio. Lo fece perché aveva un piano di riserva ed è sempre stato cento passi avanti al suo sprovveduto e sbruffone carceriere. Un suicidio d'onore, chiamiamolo così, e Grober poi non ha fatto altro che prendersi un merito che non gli apparteneva, ha approfittato delle circostanze per rendere la propria figura più temibile. La verità che a tutti è fino ad ora sfuggita è che nessuno ha il potere di uccidere i due Signori della Morte. Non esiste arma capace di scalfirli, sono letteralmente immortali, imperituri e invulnerabili. Come scrisse Poe una volta, alla fine la sola cosa a prevalere su ogni altra sarà la morte.»
Sapeva di avere l'attenzione di entrambi, specialmente di Grober che era furioso per esser stato sbugiardato. Sperava solo che Andrew e Argor avessero già colto al volo quell'unica possibilità di salvare Alex.
«Interessante» commentò Grober senza sbilanciarsi, ma era ovvio che non sapesse nulla in merito all'invulnerabilità totale di Azrael e Rasya. «Nessuno può ucciderli, a meno che non siano loro a voler morire. Giusto?»
«Finalmente ci sei arrivato. Ti ci sono voluti solamente qualche migliaio di anni e nel tuo caso è un vero record.»
«Al tuo posto non farei lo spiritoso.»
«E perché mai? Non puoi farmi niente, Grober.»
«Ho asservito Rasya e farò lo stesso con te. Sarà un processo veloce, perciò avrò tutto il tempo di portare a termine il rituale.» Il Padre delle Tenebre recitò quella che sembrava una formula antica in una lingua che pochi ormai rimembravano. Un attimo dopo fra le sue mani comparve una luminosa catena di luce ambrata che poi si allungò, ancora e ancora, serpeggiando come un rettile, finché la sua estremità che culminava in un'appuntita e piccola lama romboidale non fu di fronte a Dario. Grober, dunque, le ordinò in quella lingua arcana di attaccare e di affondare nel petto del nemico, ma qualcosa andò storto. La lama non riuscì a penetrare neppure di un millimetro nel corpo del vampiro che, tra l'altro, non aveva battuto ciglio né dato prova di avere paura. Pareva, anzi, ridersela sotto i baffi. Arcuò le sopracciglia. «Tutto qui? Piuttosto deludente. Prova ancora, magari stavolta avrai più fortuna.»
Syrma e Persefone erano scioccate. «Mio signore...» cominciò la seconda.
«Zitta!» sbottò Grober, furioso. Ritentò il sortilegio, ma di nuovo fallì e osservò l'odiato rivale sbottonarsi la camicia nera ed esporre il petto: proprio sul cuore v'era una cicatrice piuttosto evidente e dai contorni ben definiti, come se quello strano sigillo fosse stato scavato nella carne con un coltello. «Rasya ha imparato la lezione e quando ci siamo incontrati, mentre aspettavo che gli occhi attecchissero completamente al mio organismo, il mio antenato è stato così gentile da rivelarmi un metodo infallibile per impedirti di giocarmi lo scherzetto che facesti a lui. Non puoi controllarmi, Grober, e non puoi uccidermi.»
«Tu, maledetto figlio di...»
«Woah, piano con le parolacce! Rimaniamo in rapporti civili, su!»
Persefone, già innervosita dall'andamento della situazione, non resse oltre sotto il peso della collera e dell'indignazione. Sibilando come una gatta furibonda avanzò di qualche passo ed estrasse dal fodero che recava sul fianco una spada dalla lama nera e scintillante. «Adesso ti insegno io a portare rispetto al tuo padrone, miserabile cane!»
Fu allora che Dario notò un'altra cosa interessante, lo fece proprio quando Grober, per la prima volta un po' allarmato, bloccò Persefone e la tirò indietro, parandosele infine davanti. «Avrai altre occasioni per impartirgli una lezione, ma per oggi ti consiglio di lasciar perdere. Non sappiamo fin dove Rasya l'abbia indottrinato nel gestire i poteri.»
Grober che rinunciava a un'occasione così ghiotta per la palese paura che lui, Dario, facesse la festa a Persefone?
A quanto pare fra di loro c'è qualcosa che va ben oltre il rapporto di lavoro, constatò sarcastico. Non era poi una novità. Lucifero gli aveva detto che già più volte, in passato, molti avessero speculato sul rapporto fra Grober e Persefone. Alcuni sostenevano che fossero stati o persino fossero ancora amanti, altri che lui avesse solamente preso sotto la propria ala protettrice la sposa di Ade, ma era chiaro che Grober tenesse a lei, comunque stessero le cose.
Lucifero non sarà troppo contento di sapere che il suo consorte lo abbia riempito di corna per un bel po' di tempo.
In fin dei conti, per quanto si odiassero, Grober e Lucifero risultavano ancora sposati ed entrambi signori dell'Inferno.
Povera Lilith, avrebbe dovuto assistere ancora una volta a una lite biblica fra i genitori.
Mi chiedo di cosa stiano parlando in maniera così fitta.
Grober e Persefone, infatti, erano immersi in una conversazione e qualcosa nell'espressione di lui non piaceva affatto a Dario. Era come se la dèa gli avesse riferito notizie straordinarie e ghiotte.
Sbrigati, Andrew. Ho la sensazione che qui si stia per mettere molto male.
In effetti Andrew e Argor, con un po' di fortuna e tanta, tanta agilità, erano già riusciti a fare il giro del tempio, nascondendosi progressivamente dietro a ogni singola roccia e proseguendo solo quando si erano assicurati che né Syrma né Grober o Persefone stessero guardando nella loro direzione, proprio come Dario aveva suggerito di procedere. Ora eccoli lì, a pochi passi dall'altare sul quale giaceva Alex. Sembrava più stanco che mai, debole. Stava morendo e il colpo di grazia sarebbe stato il passaggio della lama di Grober sulla sua gola e lo spargimento del suo sangue sulla tavola di pietra ricoperta di incisioni. Accanto alla sua testa v'era un calice d'oro e vuoto, ma sul fondo era come se si fossero sedimentati i rimasugli di una strana melma nera. Come l'ebbe riconosciuta per ciò che era davvero, Andrew si sentì quasi mancare: a quanto pareva faceva parte del rituale anche far bere alla vittima l'acqua della Fonte. Ecco perché Alex si era indebolito. Quella robaccia non doveva avergli giovato per niente.
Argor gli diede una gomitata e indicò le fibbie che bloccavano Alex. Thorne annuì e insieme all'improbabile aiutante si diede da fare per liberare il marito il più in fretta possibile.
Qualcuno dovrebbe proprio far santo Dario, un giorno o l'altro. E pensare che una volta lo detestavo perché pensavo volesse provarci con Lexie.
Finalmente Alex fu libero e Andrew, ignorando i suoi deboli tentativi di opporsi, di convincerlo a lasciarlo lì e andarsene, lo aiutò a mettersi seduto sull'altare e gli carezzò gentilmente il viso, poi gli baciò la fronte. «Tranquillo, ora è davvero tutto finito» gli sussurrò. «Torniamo a casa, amore mio.» Riusciva ad avvertire l'innaturale gelo della sua pelle e sapeva che non avrebbe resistito ancora a lungo. Il problema era che non sapeva se portarlo via da lì sarebbe stato sufficiente a interrompere lo scambio di energia vitale fra Alex e Grober, ma... quello era un problema al quale avrebbe pensato una volta che fossero stati entrambi al sicuro e a quel punto avrebbe provato a fare come aveva suggerito Dario: cercare Jake e sì, consultarsi anche con Godric. Tutto pur di vedere l'uomo che amava riacquistare le forze e la salute.
Vide Alex scuotere il capo in maniera febbrile, terrorizzato. «N-No, non capisci» gemette. «D-Deve andare così, Andrew. Ti prego, vattene finché sei in tempo. N-Non puoi salvarmi. State commettendo un errore.»
«E cosa sto facendo, ora, secondo te? Ti sto salvando, Alex, e il mondo non è ancora finito.»
Argor alzò gli occhi al cielo. «Per favore!» fece piano e a denti stretti. «Non c'è tempo per queste smancerie e il tuo amico non riuscirà a tener buono Grober e quelle due pazze ancora a lungo!»
«Lui è il mio padrino» precisò Andrew senza alcuna esitazione, una luce fiera nello sguardo. «E da quel che ho visto è capace di fare la festa a Grober.»
«E cosa accadrà quando te ne andrai portandoti dietro anche la cosa più preziosa per quel mostro? Grober sarà furioso e se la prenderà per prima cosa con quel simpaticone del tuo compare, credimi.»
Andrew deglutì. «Sapeva che sarebbe sorto questo problema. Lo ha detto anche lui che avremmo dovuto lasciarlo indietro.» Non gli piaceva il tono di voce di Argor, quella velata accusa nei suoi riguardi. Era stato Dario a volere che se ne andassero con o senza di lui.
Argor lo squadrò. «E poi osi criticare gli altri? Quello lì ti salva e tu lo ripaghi abbandonandolo?»
«Non abbiamo molte alternative e sto solo facendo come mi ha detto di fare.»
«Io invece penso che tu sia solo un egoista. Ti importa solo del tuo Alex e sei disposto a sacrificare una persona che ti ha aiutato pur di ottenere quel che desideri. Forse non sei diverso da Grober, dopotutto.»
Erano talmente presi a discutere che solamente quando udirono una gran confusione la smisero di litigare; all'unisono sollevarono il capo e videro, in lontananza, una scena orribile: Persefone e Syrma erano entrambe armate e avevano tutta l'intenzione di attaccare Dario e darsi man forte a vicenda, ma non era tutto. C'era di peggio, molto di peggio. Thorne avvertì nell'aria versi terrificanti e sempre più vicini, finché non vide arrivare le cose che li emettevano. Risalivano da ogni parte e a gran velocità scendevano dal pendio, veloci e scattanti, alcune sulle gambe e altre a quattro zampe. Riconobbe i loro volti mostruosi, i loro arti rinsecchiti, le dita ritorte e dotate di artigli affilati e quelle orride bocche da incubo ricolme di zanne aguzze: Ghoul, almeno un centinaio, ed erano lì per fare il lavoro sporco nel caso Persefone e Syrma non fossero state sufficienti a sconfiggere l'avversario.
«No... no, no, no!» sussurrò Andrew, terrorizzato. Dario era bravo come guerriero, ma non così eccezionale. Come avrebbe fatto a cavarsela con quegli affari che lo avrebbero assalito da ogni angolazione?
Argor lo riportò alla realtà e gli diede uno scossone alla spalla. «Andiamocene adesso o sarà la fine!»
Il vampiro guardò prima Alex, tremante come una foglia e forse incapace di camminare e correre, a malapena in grado di stare seduto sull'altare e non ricadere giù come una bambola di pezza, e poi la persona senza la quale non sarebbe mai riuscito ad arrivare fino a quel punto. Vide Persefone e Syrma iniziare a battersi con Dario, malgrado fosse disarmato, e i Ghoul attendere con l'acquolina in bocca il momento in cui il loro signore avrebbe dato loro l'ordine di aggredire la preda che tanto agognavano di divorare.
Era davvero orribile a vedersi.
Non posso andarmene così. Non è giusto. Non riuscirei a guardare gli altri negli occhi se lui dovesse...
Ringraziando che Argor gli avesse concesso di riavere indietro i suoi pochi effetti personali, diresse una mano dietro alla schiena e rapido estrasse la spada Sangre dal fodero. Gli tremavano le mani e le sue narici erano impregnate dell'olezzo putrido e stantio dei Ghoul che persino da quella distanza non passava inosservato.
Quello era un suicido, ma meglio morire a quel modo, cercando di agire nel giusto fino all'ultimo secondo, piuttosto che in ginocchio e come un vigliacco. Non sarebbe scappato, non quando uno di loro era in serio pericolo. Per una volta toccava a lui correre in aiuto di qualcuno e lo avrebbe fatto.
«Argor, evoca il portale. Io vado ad aiutare Dario.»
«Cosa?! Ma sei pazzo?!»
«Fa' come ti dico! Alex sta male e ha bisogno di cure e... cazzo, sbrigati! Grober si sta allontanando e sta venendo qui! Fallo, Argor!»
In pieno panico il Græber si dette da fare per esaudire la richiesta del vampiro. «Siete tutti pazzi. Pazzi!» fece tra sé, incredulo di fronte allo sconvolgimento che la sua vita aveva subito nel giro di poco tempo. Controllò di avere tutto l'occorrente e poi iniziò a recitare la formula mentre apriva il sacchetto contenente la polvere di cristallo iridescente. Si guardò indietro e il suo cuore prese a galoppare più forte che mai: Grober li aveva visti e si stava apprestando a raggiungerli. Era anche molto, molto arrabbiato. «Moriremo tutti. Tutti quanti.» Recitò le ultime parole della formula, gettò nell'aria la polvere splendente che prese a vorticare e a formare una spirale di luce sempre più abbagliante e impossibile da non notare, poi ecco che la spirale si allargò, diventando uno squarcio fumoso e nebuloso fra Sverthian e la meta prefissata, ovvero Obyria. «Bene, ci siamo.» Corse da Alex. «Adesso ti porto via da qui.»
«Non credo proprio!»
Il Græber ebbe giusto il tempo di vedere che alle loro spalle Grober aveva già affrontato Andrew e lo aveva costretto faccia a terra prima di scorgere qualcosa scintillare nell'aria, sibilare, sempre più vicino, e infine conficcarsi con violenza nel suo torace. Argor barcollò e incrociò gli occhi del Padre delle Tenebre che risplendevano come tizzoni ambrati di puro odio. «Mi assicurerò personalmente che tu non abbia pace neppure dopo la morte, traditore.»
Sotto lo sguardo ricolmo d'orrore di Alex, Argor cadde al suolo e non si mosse più.
Grober, allora, si alzò e trascinò su con sé anche Andrew, lo fece ruotare su se stesso in maniera poco garbata, lo trattenne e gli puntò alla gola lo stesso pugnale che aveva ucciso pochi attimi prima Argor e che poi si era estratto da solo dal cadavere, volando in mano al proprietario. «Basta con i giochetti, Alex. Fa' quello che devi o sarà lui a pagare per la tua mancanza di spina dorsale. Per colpa tua uno di loro è già morto, vuoi davvero condannare a morte chi è ancora vivo?»
Alex tremava. Scosse la testa, in preda al terrore. «N-No... no, ti prego... n-non ucciderlo.»
«Allora fallo. Rispetta i tuoi obblighi.» Grober premette di più la lama sulla gola di Andrew che, invece, scuoteva il capo e pregava con gli occhi il marito di non obbedire. «Alex, corri al portale, ti scongiuro» lo implorò. Aveva male ovunque, Grober lo aveva conciato per le feste, ma non gli importava. Voleva solo che Alex sopravvivesse e si sforzò di non mostrare alcuna reazione quando il Padre delle Tenebre, come per spronare Wooomingan, iniziò a tagliare la sua pelle e a far scorrere il sangue di Thorne.
Alexander deglutì e poi, malfermo, si guardò in giro e individuò il pugnale che giaceva ai piedi dell'altare. Doveva esser caduto quando Andrew lo aveva liberato. Era ricurvo e la sua lama era incrostata di antiche incisioni; l'elsa ricavata dall'osso di qualcosa o qualcuno non era neppure lontanamente bianca come la mano che ora la stringeva.
Il Portatore di Valknut si lasciò cadere seduto sull'altare, nella stessa posizione di poco prima, poi fece una cosa che Grober, almeno, non comprese: baciò la lama, sussurrò qualcosa fra le lacrime e poi sostenne con le mani la daga, come se fosse un'offerta al cielo stesso.
Che il mio amore possa proteggerti e accompagnarti nel tuo viaggio anche quando non potrai più vedermi né sentirmi. Che tu possa rinascere, Andrew, e trovare una persona migliore da amare e da proteggere, qualcuno che non ti abbia fatto tutto il male che dicono io abbia fatto a te.
Non aveva rimpianti, non aveva ricordi, se non quelli risalenti a poco prima di varcare le porte di Græb'ar Volak, ma ricordava ancora Andrew, sapeva di amarlo, che ciò che stava per fare sarebbe stato solo e soltanto per il suo bene, per la sua protezione.
Il punto, d'altronde, era quello: se Andrew non lo avesse chiamato per nome fino ad allora, non avrebbe neppure rimembrato di chiamarsi ‟Alex"; se Andrew non fosse stato lì a dargli la forza di andare fino in fondo, a ricordargli che era importante che Grober ottenesse ciò che tanto bramava, non avrebbe saputo dire con certezza cosa ci facesse in quel posto così strano e surreale.
La verità è che senza di te non sono niente, non sono nessuno. Ecco perché non ha senso che io varchi il portale. Cosa farei senza di te, amore mio? A chi potrei mai aggrapparmi per ricordare chi e cosa sono?
Era diventato un fardello per la persona che amava. Dentro di sé sapeva che era quella la cruda realtà ed era tempo che Andrew lasciasse affondare quel peso immane, che se ne liberasse per sempre e... visto che non aveva la forza di tagliare da solo la fune che li teneva uniti, sarebbe stato lui a farlo al suo posto.
Non ti permetterò di annegare insieme a me.
Sollevò lo sguardo e lo incatenò a quello di Andrew, il suo amato e coraggioso Andrew. Gli sorrise e nei suoi occhi dai quali sgorgavano lacrime limpide non v'era altro che amore puro e incondizionato, struggente, rassegnato agli eventi. «Grazie per avermi amato.» Furono le sue ultime parole, poi, in un ultimo accesso di coraggio e determinazione, si portò il pugnale al collo e fece scorrere la lama mentre Andrew, fuori di sé per il dolore, urlava e piangeva.
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