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Capitolo LI. Gli occhi della Morte


N.d.A

Prima di leggere il capitolo, vi consiglio di fare un salto nel libro apposito dove ospito le one shot dedicate alla serie, e di leggere quelle dedicate a Godric e Dante perché qui, in Tenebre, per ragioni varie ho deciso di tralasciare la loro sottotrama, anche se in futuro saranno personaggi cruciali per lo sviluppo della restante trama. Non è obbligatorio, a grandi linee in questo capitolo spiego i retroscena, ma se siete curiosi di approfondire... insomma, troverete tutte le spiegazioni in "One Last Shot"! Detto ciò, vi auguro una buona lettura!

Musica consigliata: "Something in the way" dei Nirvana (cover dei Vitamin String Quartet).

https://youtu.be/XgZsghcYZrw

«Dunque... è questo che hai deciso di fare?» chiese Sophie, incerta e sì, un po' preoccupata.

Dario annuì, senza osare guardarla direttamente negli occhi. «Non c'è altro modo e... sono stanco di coinvolgere il prossimo. Mi è stato assicurato che in questa maniera le cose andranno comunque bene. Sarò solo io a pagare il prezzo della mia scelta. Non è giusto che trascini anche Dante letteralmente all'Inferno.» Abbozzò un sorriso, anche se non era proprio sincero. «Non mi chiamo Virgilio e questa non è la Divina Commedia, dopotutto.»

Sophie scosse la testa e gli rifilò un'occhiataccia delle sue. «Continuo a non capire. Nel modo che avevate deciso inizialmente avreste mantenuto un minimo di equilibrio. Così, invece, rischierai grosso. Sarà inevitabile quello che finirà per accaderti, lo capisci?»

Eppure sapeva che Rodrigo e Dario avevano parlato. Sapeva che il vampiro era stato messo al corrente della reale portata di quella decisione, eppure il consiglio era infine stato ignorato e addirittura il piano aveva subito una pesante e critica variazione.

Dario sbuffò una risata. «Mi sorprende che proprio tu non ti sia accorta di niente, sai? Sei sempre stata brava a cogliere i dettagli, ma stavolta molte cose ti sono sfuggite.»

La strega era tentata di assestargli una bastonata di quelle come Dio comandava su quella testa vuota. «Spiegati o ti ammazzo con le mie mani dal nervoso» fece minacciosa.

L'immortale, dunque, rispose: «Negli ultimi giorni ho notato una cosa. La prima volta mi son detto di avere le traveggole o di essermi sbagliato, ma poi è accaduto di nuovo. Ho notato un cambiamento in Dante, Sophie. Ieri sera sono andato a parlarci per ricordargli che entro domani mattina effettuerò lo scambio degli occhi, senza ovviamente dirgli che ho leggermente cambiato i termini del nostro accordo, e lui mi ha persino detto di non pretendere più la morte di Cornelius e di aver deciso di lasciar andare Talia perché finalmente potesse aver pace, almeno nella morte, e io... io sono rimasto spiazzato. Nessuno lo ha costretto, Sophie, ha deciso di ripensarci da solo».

La strega roteò gli occhi. «In realtà sono stata io a dirgli di darsi una sana calmata e di farla finita di render la vita maledetta a tutti. Gli ho detto che se davvero amava quella ragazza, allora avrebbe fatto molto meglio a lasciarla dove si trova. Non è mai un bene riportare indietro qualcuno dalla morte. Solo perché è stato fatto con Tyrian e Iago, ciò non significa che vada sempre bene. Talia purtroppo è morta in modo orribile ed era infelice ormai da parecchio tempo. Le anime più fragili non resistono mai a lungo e finiscono per tornare nel mondo al quale ormai sentono di appartenere. Per una volta Dante ha capito di dover dare ascolto a qualcuno oltre che a se stesso, ecco tutto.»

«Mhm...» Dario non era così sicuro che fosse stata quella chiacchierata a far avere ripensamenti al suo Efialte. Dante non era tipo da tornare in riga solo perché qualcuno, persino una come Sophie, gli consigliava di cambiare rotta. «Come spieghi, allora, il fatto che da qualche giorno lui e Godric abbiano magicamente smesso di guardarsi in cagnesco? Tutti quanti sappiamo che ormai sono ai ferri corti, eppure sembrano esser arrivati a una specie di tregua. Io dico che è da cercare lì la fonte dei ripensamenti di Dante.»

«Tu non sei più granché affidabile come una volta» lo apostrofò stizzosa Sophie. «Prima quel guazzabuglio con Max e la rottura fra capo e collo con Gareth, anche se avevate persino iniziato a immaginare un futuro insieme! Poi, non contento di aver già sottoposto le mie povere coronarie a dura prova, ecco che oggi te ne esci fuori dicendo che vuoi render tuoi entrambi gli occhi di Rasya e dare i tuoi a Dante! Sei un vampiro, nel caso lo avessi dimenticato, e non so proprio come farai a...»

Rabbrividì. Non voleva neanche pensare al procedimento che sarebbe stato già doloroso per un essere umano, figurarsi per un vampiro. Gli occhi dei non-morti erano fra le parti del loro corpo più delicate e sensibili, nonché fondamentali per la sopravvivenza. Senza di essi erano perduti, prede facili.

«Non sappiamo neanche cosa potrebbe accaderti.»

«Io invece lo so. Non chiedermi come, ma lo so e sono pronto ad affrontarlo.»

«Qualcosa mi dice che non si tratta di qualcosa di buono.»

«In effetti no.»

«Oh, per piacere! A giudicare dalla fede che vedo lì, tu e quell'altro scemo vi siete decisi a sposarvi, anche se avrei gradito che lo aveste detto almeno a me! Vi ho aiutati e mi ripagate senza neppure avvisarmi!»

Dario increspò le labbra, chiaramente in colpa. «Volevamo che restasse un momento solamente nostro» ammise. «E con i tempi che corrono... beh, non ci sembrava granché appropriato. Ti sei persa un semplice scambio di anelli e sdolcinate promesse davanti al camino, niente di più. Roba che ti avrebbe procurato solo una crisi iperglicemica senza precedenti, credimi.»

«Ah, capisco» commentò acidamente Sophie, senza lasciarsi traviare dalla battuta finale. «Promesse che probabilmente tu non arriverai neppure a mantenere, se ho capito cosa vuoi fare e cosa otterrai in cambio! Un gran bell'avvenire, dico davvero! Compatisco Maximilian.»

«Ancora non sono sicuro quale sorte mi attenderà, non appena avrò effettuato lo scambio. Sarà solo il tempo a stabilire come andrà a finire, ma volevo che almeno tu lo sapessi in anticipo. per correttezza, Sophie, e prima che tu mi accusi di star facendo gli stessi errori che ho già fatto in passato con Max, ti assicuro che mio marito è a conoscenza di tutto questo proprio come lo sei tu. Lo sa e... pur soffrendo, ha accettato la mia volontà. Sa che se fosse per me, manderei tutto al diavolo e lo seguirei chissà dove per goderci qualche anno in santa pace, ma sa anche che non posso permettermi di avere paura. Forse... forse è più coraggioso di me, a conti fatti. Mi ha sposato sapendo che probabilmente, tra non molto, potrebbe perdermi, e stavolta per sempre.»

Più che mai Dario era convinto di non meritare una persona come Max. Lo aveva sempre pensato e in quegli ultimi tempi tale pensiero lo tormentava senza requie. 

Solo grazie alla tempra che aveva sempre avuto Sophie riuscì a darsi un contegno, anche se quella situazione la logorava. «Non hai ancora chiarito perché hai deciso di cambiare idea» insisté.

«Perché mi sono reso conto che Dante potrebbe aver ritrovato una valida ragione per andare avanti. Perché ho visto lui e Godric scambiarsi più di un sorriso e ormai riconosco certe espressioni, certi indizi. Non ho intenzione di essere crudele e privarlo della speranza che ho visto tornare nel suo sguardo in questi ultimi giorni, Sophie. Merita di avere un po' di pace più di me. Io ho vissuto per secoli facendo sì e no quello che mi pareva, dando un senso alla mia esistenza. Ho avuto amici, amanti, persino dei figli. Lui invece è rimasto da solo, privo di qualsiasi conforto e di qualcosa che potesse dargli un minimo di speranza. Adesso le cose sono cambiate e non voglio costringerlo a sacrificarsi, quando è chiaro che ha sacrosanti motivi per restare. Se il prezzo da pagare in cambio dell'ordine ristabilito nel Regno Ultraterreno sarà una sola vita, ovvero la mia, allora accetterò questo fato senza batter ciglio, ma senza trascinare un'altra persona nella tomba. Abbiamo spesso parlato del male minore, in passato, e ciò che intendo fare ne è l'esempio lampante. Si tratta solo di questo, Sophie: del male minore per un bene superiore.»

Vide che Sophie stava per interromperlo, ma la precedette: «Se agirò come ho pianificato, libererò Dante dal vincolo con Rasya. Nel momento in cui avrò sostituito i miei occhi con quelli che ho recuperato nell'Oltrespecchio, sposterò solo su di me il bersaglio e Dante sarà libero e finalmente potrà vedere il mondo che lo circonda, guardare le persone a cui tiene e fare tesoro dei loro sorrisi, imprimere nella mente il loro volto. Non sarà più un reietto e potrà andare avanti, rifarsi una vita, ricominciare a vivere dopo aver rinunciato a farlo per secoli. Lasciar andare il passato. Ha sofferto più di quanto abbia mai fatto io, perciò... mi sento quasi in dovere di lasciarlo fuori da questa faccenda. Non sono nessuno per pretendere da lui un sacrificio così grande e doloroso».

«E tua figlia, allora? Il tuo fresco marito? I tuoi amici? Il tuo figlioccio, soprattutto? A loro non pensi?» insisté Sophie, combattiva, la voce incrinata.

«Sappiamo tutti e due che per le persone normali, prima o poi, arriva un momento in cui dirsi addio è obbligatorio. Se fossi stato ancora vivo, prima o poi mia figlia mi avrebbe perso comunque. Magari lo avrebbe fatto solo fra tanti anni, ma sarebbe successo, e vale lo stesso per Max. Per quanto ne sappiamo, in una vita diversa mi sarei potuto ammalare e sarei potuto venir a mancare prima del tempo in ogni caso. È inevitabile che qualcuno dovrà rinunciare a se stesso e alla vita che potrebbe ancora avere, e io accetto di farlo, visto che la posta in gioco è alta. Non posso far altrimenti. Una parte di me vorrebbe voltare le spalle a tutto, ignorare il richiamo che sento crescere dentro di me, ma non posso. Devo... affrontare l'inevitabile, e voglio farlo di mia spontanea volontà e limitare, allo stesso tempo, i danni. Se tutto andrà come previsto, allora almeno uno di noi due sarà salvo. È un pensiero confortante col quale congedarmi per sempre dal mondo dei vivi.»

La donna parve nel frattempo elaborare un pensiero o persino un'autentica idea. «C'è una terza opzione, a mio parere» disse cauta. «Procedere con il piano che hai stabilito, ma poi... beh, far intendere al tuo demoniaco antenato che non hai alcuna intenzione di cedergli il passo. Se ho ben capito come funziona questa cosa dello scambio di corpi e di coscienze, allora parliamo letteralmente di una lotta interiore la cui vittoria o la cui sconfitta dipende solo ed esclusivamente dagli sfidanti.» Fece una pausa. «Se sostituirai i tuoi occhi con quelli di Rasya, allora per un po' rimarrai incosciente, come morto. La tua anima non andrà subito persa, affronterà una sorta di percorso, un procedimento di auto-distruzione. Il modo per scongiurarlo è confrontarti con Rasya, Dario, e a mio parere dovrai farlo tramite la parola. Non so come, di preciso, ma secondo me vale la pena tentare. Sei sangue del suo sangue, sei un suo discendente, non potrà rimanere totalmente sordo alla tua richiesta. Non può seriamente credere che sia giusto chiedere a te e a Dante di sacrificarvi per cedere di nuovo a lui il passo.»

Dario rabbrividì. Benché tempo addietro lui stesso avesse pensato di voler fare proprio quanto proposto da Sophie, stava tuttavia realizzando che era soltanto una pazzia. La Morte non dava ascolto a nessuno, inutile voler ragionarci, e in generale le divinità non tolleravano che delle creature a loro inferiori si prendessero il lusso di sfidare la loro volontà ed erigersi a loro pari. Il tipico complesso del dio, in un certo senso, e Rasya, il quale pareva avere un legame col pantheon greco, sicuramente aveva familiarità con il concetto della tracotanza, la hybris, che sempre era stata punita in tempi antichi. «Se anche per assurdo lui scegliesse di farsi da parte, sai cosa vorrebbe dire, poi?»

«Lo so bene, e come hai fatto un lavoro egregio nei panni di Principe della Notte, così potresti farlo come traghettatore di anime o... qualunque cosa fosse Rasya nei suoi tempi d'oro. Direi che meriti una promozione, no?»

«Molto spiritosa. È una follia, Sophie. Finirebbe male per tutti quanti, credimi.»

«In questo modo salveresti te stesso senza dover sacrificarti per aver salvo anche Dante. Sareste entrambi al sicuro.»

«Ma io non so nemmeno come...», il vampiro scosse la testa. «Solo perché sono il discendente di Rasya, non significa che sappia come fare il suo lavoro! Per l'amor del cielo!»

«Ce l'hai nel sangue, invece, e dovrai farci i conti, un giorno o l'altro.» Sophie indicò la fede all'anulare dell'amico. «Guarda quell'anello e dimmi che non ti piacerebbe continuare a restare al fianco di tuo marito e finalmente ottenere tutto, dopo aver rischiato di perdere ogni cosa. Dimmi se una possibile vita accanto ai tuoi cari non vale il rischio. Ti sto sfidando a farlo.»

Dario rabbrividì. «I-Io... d-devo pensarci, n-non...»

Sophie si accigliò. «Hai avuto cinque secoli per pensarci, signor Jones! Il tempo è scaduto e devi fare una scelta!»

«Tecnicamente ho saputo solo di recente che...»

«Non osare arrampicarti sugli specchi proprio con me, sanguisuga testarda!»

Il vampiro incrociò le braccia e posò altrove lo sguardo, ostinato.

Sophie lo squadrò torva. «Vuoi vivere o morire? La sola domanda alla quale devi rispondere è questa. Chieditelo mentre ti caverai gli occhi con un fermacarte.»

Dario le rifilò un'occhiata torva. «È un pugnale, in realtà. Un pugnale molto antico tipicamente da rituale.»

«Fa lo stesso.» La strega sventolò imperiosa una mano per dirgli di volatilizzarsi. «Va', ora, prima che mi salti in testa di fermare questa pazzia e rinchiuderti da qualche parte finché tutto non sarà finito.»

L'immortale non discusse oltre e si congedò. 

«Qualcosa non mi quadra.» Dante scosse il capo. «A rigor di logica sarebbe dovuto venire a chiamarmi da un pezzo per fare lo scambio, eppure ancora niente.»

Godric lo osservò camminare per uno degli eleganti salotti presenti nel Palazzo Imperiale. «È strano, in effetti» osservò teso. «Sei sicuro che non ti abbia mandato a dire nulla?»

«Nulla» confermò l'altro Efialte.

«Nessuno l'ha visto, da stamattina?»

«Neanche Maximilian, e pare che si siano sposati per gli affari loro. Non ne sapeva alcunché neppure Sophie, e di solito a lei Dario dice tutto.»

«Ah» fece Godric, stralunato. «E noi che vogliamo fare le cose per bene, invece!»

Che ci si credesse oppure no, lui e Dante avevano finalmente deciso di lasciarsi il passato alle spalle per sempre, ed erano stati aiutati in questo da Iago. Due giorni prima, infatti, li aveva fatti incontrare con l'inganno, convincendoli con scuse diverse a trovarsi nello stesso posto, alla stessa ora e nello stesso giorno. Non era andata granché bene. Avevano dato il peggio di sé entrambi e lo avevano fatto, per giunta, di fronte a Iago che, non potendone più di sentire i loro sproloqui, era intervenuto e ne aveva dette quattro a tutti e due, e Dante, inaspettatamente, lo aveva ascoltato e si era fatto un grosso esame di coscienza, chiedendo persino scusa a Godric per averlo condannato al disprezzo dei loro simili e all'infelicità, alla solitudine.

Godric, dal canto suo, aveva appena iniziato una relazione quasi del tutto sessuale con Fingal, quando il suo figlio adottivo lo aveva messo di fronte alla persona che lo aveva ferito di più al mondo e che lui, ciononostante, ancora amava. Non potendone più, si era deciso a dire al diretto interessato tutto quello che per secoli si era tenuto dentro, senza risparmiarsi neppure una parola.

Da lì in poi, subito dopo le scuse che Dante, una volta tanto, gli aveva porto, era stata una gran bella montagna russa di emozioni e rivelazioni. Dante aveva ammesso di aver in poche parole mentito dicendogli di vederlo come una figura filiale. La verità era che Godric aveva smesso di esser tale molto tempo addietro, quando era diventato un adulto e il loro rapporto si era decisamente fatto più complicato e, a volte, conflittuale.

Poi... poi avevano trascorso una notte piuttosto bollente, e il risveglio non era stato da meno. In quell'intermezzo Dante se n'era uscito facendo una cosa che, per sua stessa ammissione, avrebbe dovuto fare secoli prima: aveva chiesto a Godric di sposarlo.

Infine eccoli lì, due giorni dopo, liberi finalmente dalle catene che si erano auto-imposti, decisi a ricominciare da zero e a farlo insieme, fianco a fianco.

Quel pomeriggio Godric era lì con Dante per dargli supporto morale, visto e considerato che, a ragion di logica, avrebbe dovuto fronteggiare il fatidico scambio degli occhi. Il punto era che in quasi sette ore Dario non si era ancora fatto vivo, cosa che stava facendo progressivamente arrabbiare Dante. Era chiaro che pensasse di esser stato ingannato, pur senza un valido motivo.

L'Efialte di Richard Esper, tuttavia, iniziava a covare un autentico sospetto. Decise di palesarlo a Dante: «Siamo sicuri che in realtà non abbia già fatto tutto, e per conto proprio?»

Dante si fermò e lo guardò stizzito. «Stupidaggini. Sarebbe un suicidio, credimi. Non è capace di sostenere la portata di...», si bloccò quando tutti e due udirono bussare alle porte della sala.

Godric si alzò. «Okay, senti... tu resta qui e prova a darti una calmata. Vado ad aprire io.» Alzò gli occhi al cielo e, armatosi di tanta pazienza, andò a ricevere chiunque avesse bussato. Non lo sorprese più di tanto vedere che si trattava proprio di Dario, anche se...
Era lui, eppure aveva la sensazione che nella sua natura ci fosse stato un radicale cambiamento. Lo percepiva con chiarezza. Ormai era talmente in là con i secoli da capire subito quale creatura avesse di fronte, ma per la prima volta il suo istinto fece cilecca, e la cosa lo disorientò e preoccupò. «Uhm... francamente pensavamo che ti fossi dimenticato o...», magari era meglio non dire cos'avevano sospettato. Si spostò per farlo passare e nell'attimo in cui il vampiro, o quello che solo in parte passava per tale, lo superò, avvertì un gelido brivido corrergli lungo la colonna.

Dante raggiunse la controparte e reagì come Godric: ammutolì e capì che i conti non tornavano, finché non realizzò che l'altro Efialte ci aveva visto giusto. «Non dirmi che...»

Dario ignorò la sua frase e abbassò lo sguardo su ciò che stringeva fra le mani che parevano più bianche che mai, come se l'incarnato avesse un po' perso, per qualche strana ragione, parte della sua originale tonalità lievemente avorio. Erano quasi del tutto prive di colore.
Godric si avvicinò, non avendo notato prima l'oggetto, e capì che si trattava di un piccolo scrigno nero finemente lavorato e con intarsi d'argento.

«Mi scuso per il ritardo di ben sette ore, ma... beh, diciamo che avevo da fare, molto da fare, altrove. Spero che questi possano rimediare, almeno un pochino.» Consegnò lo scrigno a un inebetito Dante, il quale era spiazzato da quella sua strana, gelida calma. Non sembrava più lui, non fino in fondo. 

«Oro, incenso o mirra?» ironizzò Godric per celare il nervosismo.

«Temo siano passati di moda millenni fa» replicò Dario con un mezzo sorriso che non pareva del tutto sincero, bensì piuttosto forzato. «Ad ogni modo, spero che il mondo che stai per riscoprire tramite la vista riguadagnata non finisca per deludere le tue aspettative, Dante.»

L'Efialte era tuttavia troppo impegnato a capire perché l'aura di Dario fosse mutata nell'aspetto. Non era più una sagoma che irradiava un tipo di colore ben preciso. Di essa, infatti, restavano appena i contorni; al centro di quel vuoto c'era solamente una sorta di fiammella color porpora e un vortice che girava in senso orario, convergeva verso la lingua di fuoco come se fosse impegnata a risucchiare chissà che cosa da tutto ciò che la circondava. Fu solo allora che un aggettivo ben preciso emerse dal fiume degli inquieti pensieri di Dante: divoratrice. 

«Non puoi essere stato così avventato» disse incredulo con un filo di voce. «Dimmi che non lo hai fatto sul serio.»

«Invece l'ho fatto, e al tuo posto mostrerei gratitudine. Ti ho permesso di avere una seconda occasione, la possibilità di iniziare a vivere di nuovo dopo esser rimasto in un limbo di dolore per secoli, e non fingerti ignorante. È sufficiente la stessa presenza di Godric qui, in questo preciso istante, per capire che finalmente ti sei lasciato il passato alle spalle e sei pronto a rivedere la luce del sole dopo tenebre infinite. Sono stato avventato, è vero. Ti ho tenuto all'oscuro, vero anche questo, ma fidati quando ti dico che non è stato piacevole e non lo è neppure adesso. Avrei evitato allegramente questa soluzione radicale, ma c'era la possibilità di salvarsi per entrambi, perciò l'ho colta al volo e l'ho conquistata.»

Dante era attonito. Non lo stupiva che Dario avesse fatto due più due, certo, ma era il resto a lasciarlo esterrefatto. «Perché volevi che vivessi?»

«Perché non sono tipo da sacrificare il prossimo per i miei piani e non ti volevo sulla coscienza, francamente. Chiamalo egoismo o filantropia, poco importa. Non mi chiamo Loki e non getto tra le fauci del lupo un mio compagno d'armi solo per aver salva la pelle. È disgustoso e scorretto, per nulla nel mio stile.»

«Forse tu non riesci a vedere le conseguenze dell'aver sostituito tutti e due i tuoi occhi con quelli di Rasya, ma io le vedo eccome!»

«Rasya, inteso come tale, è ufficialmente passato a miglior vita. Rilassati, Dante.»

«Cosa?»

«Dopo aver preso i suoi occhi... beh, ho perso i sensi o sono stato vicino a morire, non lo so. Il punto è che mi sono ritrovato, poi, a confrontarmi con Rasya in persona. Abbiamo discusso a lungo e siamo arrivati a un punto d'incontro: io avrei potuto mantenere la mia identità intatta, la mia coscienza, tutto, ma in cambio una piccola parte di lui sarebbe rimasta per concedere alla sua essenza, ai suoi poteri e ciò che reggono in piedi, di sopravvivere. Mi ha detto che agendo come ho fatto, ho infranto il tuo fatidico legame con lui, liberandoti da un legame rischioso che avrebbe portato alla morte di tutti e due, se avessimo continuato a condividerlo. Io non volevo morire, tu nemmeno, e abbiamo ottenuto ciò che volevamo.»

«E non c'è nient'altro?» 

«Nulla che possa riguardarti, a questo punto. I soliti cavilli sui doveri e così via.»

«Francamente ti trovo più stronzo di prima.»

Dario sospirò e non si disturbò a celare di essere un po' scocciato. «Ti dirò cosa ho ripetuto a tanti per secoli: potete percepirmi come più vi pare e piace. Per alcuni sembro un eroe o persino un santo, per altri sono il diavolo, ma il punto è che in realtà sono sempre stato uno stronzo, e sai cosa? Non mi vergogno più ad ammettere che mi piace esserlo e che sono stufo di soddisfare le aspettative altrui.» Controllò l'orologio al polso. «Beh, ora devo andare. Gli ultimi sviluppi a Sverthian meritano di essere esaminati, così che potremo prepararci a dare il nostro più caldo e velenoso benvenuto a Grober.»

Dario fece cenno a Godric di accostarsi, poi gli spiegò a voce bassa il procedimento da seguire per la sostituzione dei bulbi oculari. Il guaritore deglutì a vuoto e si chiese se avrebbe avuto lo stomaco di fare una cosa simile, per giunta a Dante. Si limitò ad annuire quando il vampiro gli chiese se avesse capito tutto quanto. «So che non è facile, ma è davvero meglio che tu gli dia una mano con gli occhi nuovi di zecca. Raccomando un po' di delicatezza, Godric. Erano i soli che avessi a disposizione.» Il non-morto non attese una risposta e si congedò. Solo allora, quando nella stanza parve salire la temperatura, gli altri due si resero conto che fino a poco fa essa era calata di molto, fin quasi a sfiorare i livelli di una cella frigorifera.

«Puttana la Grande Madre» imprecò scosso Godric. «Onestamente non so cosa pensare di tutto ciò.»

Dante deglutì. «Avrà pure mantenuto intatta la propria identità, ma ho tanto l'impressione che balleremo al suono di una musica ben diversa, d'ora in avanti.»

«Spero solo che non sia quell'orrida musica che piace alla gente moderna» ironizzò l'altro. «Mi dava i brividi. Non riuscivo quasi a respirare. C'era... c'era qualcosa nei suoi occhi, Dante. Non so neanche come descrivere quello che vedevo. Era come guardare dentro due buchi neri. Sai, no... quelli che divorano pianeti e stelle.»

«È ciò che accade al cospetto della Morte e di chiunque possieda capacità analoghe ad Azrael. Non a caso viene chiamato ‟annichilimento". Ti senti ridotto a un niente, spogliato di volontà e di coraggio.»

Godric si mordicchiò il labbro inferiore. «Rasya era noto anche con il soprannome di Signore dei Tormenti, in pratica era appena al di sotto del Padre delle Tenebre, ovvero Grober. Da quel che narrano le antiche leggende, avevano una sola cosa in comune: la capacità di infliggere tanto dolore quanto quello che al tempo stesso erano in grado di provare. Divinità della sofferenza che a loro volta soffrivano, perché solo in tal modo potevano comprendere fino in fondo il dolore, in modo da conoscerlo e usarlo sul prossimo. Una sorta di contrappasso col quale il loro enorme potere guadagnava equilibrio. Quindi mi chiedo...»

«Probabilmente sì, ma visto e considerato che ora è una creatura ben diversa da un semplice vampiro, direi che è capace di celarlo a meraviglia e di tollerare questa... nuova condizione» concluse Dante, dopo aver capito l'allusione. «E probabilmente, specie in un mondo come questo o quello umano, dove la morte è una cosa sempre più ricorrente, invocata e abusata, sente cose che nessun altro può avvertire.»

Godric esitò, poi lo raggiunse e prese il cofanetto. «Mi dispiace dirlo, però... se è così che stanno le cose e se questo era il prezzo che anche tu avresti dovuto pagare, allora sono felice che abbia agito come ha fatto. Ti ha risparmiato un bello schifo, Dante, ammettiamolo.»

«Non gioirne troppo, però. Che lui lo ammetta o meno, in parte è come se avessimo perso uno dei nostri, e di solito sta poco bene essere allegri in simili circostanze.»

L'altro fece un debole cenno di assenso. «Beh, gli sono grato, questo è quanto. Ora, dunque... vediamo un po' come fare per non render vano il suo sacrificio. Dario mi ha spiegato il procedimento, quindi non combinerò un pasticcio. Non muoio dalla voglia di maneggiare due occhi freschi di estirpazione, intendiamoci bene, ma almeno potremo finalmente guardarci sul serio in faccia e tu potrai bearti della mia scintillante bellezza. Presto capirai di essere l'Efialte più fortunato del mondo.»

Dante sospirò e alzò lo sguardo al cielo. «Sei talmente umile, a volte, da risultare commovente. Dico davvero.»

«Zitto e vai a sederti. Lascia il resto al dottore, che sarei io.»

Cinque minuti più tardi, Godric fece un bel respiro prima di convincersi finalmente ad aprire lo scrigno, sollevandone piano piano il coperchio. Da sotto di esso il suo olfatto ben sviluppato recepì all'istante un debole, ma presente, sentore di sangue. Metallico, rugginoso e persistente.
Oh, Dio...
Deglutì a vuoto e si ricordò in tempo di infilare i guanti che poco fa si era procurato, infine allungò le dita e prese il primo bulbo oculare. Gli venne quasi la pelle d'oca non appena nella propria stretta ne avvertì la consistenza. Sbatté lentamente le palpebre. «Non prendermi per i fondelli, ma confesso che sto per rimettere anche le viscere» disse rauco a Dante, il quale sbuffò. «Non dirmi che è la prima volta che maneggi un organo o simili!»

«Beh, no, ma... oh, insomma! È diverso.»

C'era da ammettere che fossero in ottimo stato. Dario aveva lavorato parecchio di fino, nonostante dovesse esser stato atroce fare da solo una cosa simile. Quel vampiro aveva una volontà d'acciaio, poco ma sicuro, altrimenti chiunque altro avrebbe arretrato davanti alla prospettiva di fare una cosa del genere. 

«O-Okay, allora... uhm...», ingoiò l'aria. «P-Pronto, sì?»

«Fallo e basta, e prega la Grande Madre o chi ti pare perché funzioni» lo rimbeccò l'altro, piuttosto scettico e poco speranzoso. «Non dirmi che dovrò farmi cavare gli occhi anch'io.»

Godric tacque.

«Non se ne parla. Mi rifiuto.»

«Oh, andiamo, Dante! Sei sopravvissuto già una volta e ora sei un adulto! Fatti coraggio e cerca di stare fermo!»

«N-No, aspetta un attimo! Godric, n-non...»

Il più giovane sollevò un ginocchio e con esso bloccò il torace a Dante, sospingendolo di nuovo sul divano. «Resta qui. Vado a prendere l'estratto di Fiori del Buio. In quel modo non sentirai quasi niente.»

«Quel ‟quasi" mi preoccupa un casino.»

Godric non replicò e passò in rassegna con aria inquieta il pugnale che aveva trovato all'interno dello scrigno, oltre agli occhi. Probabilmente era lo stesso che aveva usato Dario ed era stato ripulito con cura. Lo ripose e disse a Dante di aspettarlo lì, tornando poi una decina di minuti più tardi. «Non è stato facile trovarli. Credo che Petya abbia sparso la voce appositamente, di modo che non mi saltassero in testa altre strane idee.»

Dante si accigliò e quando il guaritore si avvicinò per porgergli il bicchiere con dentro l'estratto mescolato ad alcune gocce d'acqua, gli prese delicatamente il polso per trattenerlo. «Quali strane idee?» chiese serio. «C'è qualcosa che dovrei forse sapere?»

«N-Non è importante, adesso.»

«Invece lo è. Vuota il sacco, Godric.»

Il guaritore esitò. «I-Io... non molto tempo fa... sono stato sul punto di...», sospirò. «Grober mi aveva maledetto, stavo morendo e allora... non volevo soffrire oltre, non volevo vedere altri che amavo morire o abbandonarmi. Volevo abbreviare l'agonia, diciamo così, ma Petya era lì e mi ha fermato. Poi... poi Dario ha avuto quell'idea di provare a usare il proprio sangue e ti ha contattato per sapere come fare nel dettaglio. Il resto credo tu lo sappia già.»

Dante era scosso. «E quand'è successo, più o meno?»

«Dopo che te ne eri andato e... non avevi neppure mostrato il minimo interesse di fronte alla verità, ovvero che non fu colpa mia se perdemmo la ribellione, ma di tuo zio e Cornelius. Quando Petya me l'ha detto... ho perso la testa. La gente si sbaglia: non è l'odio a uccidere, ma l'indifferenza, e la tua per poco non mi ha dato il colpo di grazia.»

Vide l'altro mandar giù in una volta sola l'estratto nel bicchiere, poi fare un respiro profondo. «Non provare a fare mai più niente del genere» sentenziò Dante con voce roca. «Ascoltami bene, Godric: nessuno, neppure io, vale più di quanto valga la tua stessa vita.»

«E tu allora non tornare a odiarmi e non voltarmi mai più le spalle. Mi ucciderebbe, Dante, non sto esagerando.» Godric, malgrado ormai fosse sicuro che fra loro le cose sarebbero andate meglio sempre un po' di più, ancora temeva, in un piccolo angolo del cuore, che tutto si sarebbe rivelato prima o poi un miraggio, un crudele inganno ordito con la semplice volontà di torturarlo. Si fidava di Dante, eppure... eppure aveva ancora paura di vederlo svanire, come erano soliti fare i sogni non appena arrivava l'alba a dissipare le oniriche tenebre della notte.

L'altro Efialte gli pose una mano sul retro del capo, le dita che affondavano nei fluenti e lunghi capelli corvini del più giovane. «Te l'ho detto: d'ora in avanti il primo e unico pensiero sarà renderti felice, così tanto che tutto quello che è accaduto in passato, un giorno, ti sembrerà solo un brutto sogno.» Esitò. «E ora... ora facciamo questa cosa, prima che mi venga voglia di correre in giro per la stanza e urlare in preda all'isteria.»

Godric represse un brivido e annuì, sapendo che Dante riusciva comunque a percepire la sua insicurezza. «Non ci vorrà molto.» Il guaritore, con le guance bagnate di silenziose lacrime, brandì l'antico pugnale da rituale che pareva esser appartenuto a Rasya in persona e ne accostò l'acuminata e lucente estremità al viso di colui che era stato suo maestro, suo amico, poi nemico, e ancora dopo un improbabile alleato, finché non c'era stata una svolta insperata.

Presto potrai vedere anche tu il mondo così come lo vedo io.

Attese finché la mano non smise di tremare e pose quella libera sul lato del viso di Dante, in modo da farlo stare fermo. I Fiori del Buio avrebbero solo attenuato il dolore e quel procedimento era estremamente delicato e rischioso.

Si costrinse a non distogliere lo sguardo e a rendersi sordo ai gemiti di dolore dell'uomo che amava, e poi ancora alle grida a stento trattenute, e cieco al modo in cui, disperato, Dante cercava di dimenarsi e sfuggire alla sua stretta, di spingerlo via.

Si rese sordo e cieco a tutto quanto, ripetendosi che alla fine del buio tunnel avrebbero trovato una luce abbagliante e calda ad attenderli.

Quando Dario fece il proprio ingresso nella sala dove si era deciso di attuare quella riunione della Resistenza, in particolare, vide i presenti ammutolire, anche se fino ad allora, da fuori, si era sentito un gran fermento Si guardò attorno con una gran dose d'aplomb e poi avanzò fino a raggiungere il posto accanto a quello di Esther, la quale, a quel punto, era diventata una sorta di reggente e co-regnante, visto e considerato che era sopravvissuto al morso di Ghoul e per tale ragione l'abdicazione era stata resa nulla.

«Accidenti, che silenzio» commentò l'immortale in tono monocorde, quasi disinteressato. «Il gatto vi ha mangiato la lingua, di colpo? Di solito siete chiassosi, ma qui non si sente volare neppure una mosca.»

Alcuni non furono in grado di celare fino in fondo i brividi che all'improvviso avevano iniziato a scorrere nei loro corpi da quando lui era entrato in quella sala.

Esther gli disse, sottovoce: «Papà, sei strano. Sei... sei sicuro di stare bene?»

«Magnificamente, non preoccuparti.»

Fu Galadar a parlare, infine. Sembrava stizzito. «Hai un gran bel coraggio a presentarti a questo tavolo, dopo l'ultimo scandalo che ti ha coinvolto. Se agli altri sta bene, a me non così tanto. È un oltraggio, a esser onesti. Tutto l'impero sa del tuo torbido e indecente passato.»

Dario non perse la calma e lo squadrò. «Parole audaci per un folletto dei boschi come te, sai? Uno che da quando è arrivato in questo palazzo, tra l'altro, non fa che screditare alcuni membri della Resistenza. Certuni, Galadar, potrebbero persino iniziare a credere che tu stia dalla parte di Grober e stia facendo il lavoro sporco per lui. Il solo motivo per cui onestamente dubito di tale congettura, re degli Elfi, è il conoscerti da secoli e sapere perfettamente che non avresti il fegato di prendere accordi con Satana. Hai persino fallito nel cercare di portare dalla nostra parte gli Elfi Oscuri e nessuno ti sarà grato per un simile fallimento quando le schiere sempre più fitte di Grober busseranno alla nostra porta. Parlo a nome di questo intero consiglio, dunque, quando ti esorto a cucirti la bocca a filo triplo e a smetterla di rompere l'anima. Lo scandalo di cui parli risale a prima ancora che venissi trasformato e sinceramente non devo chieder scusa a nessuno per cosa feci all'epoca. La maggior parte di noi ha scheletri nell'armadio ben peggiori dell'aver dovuto giacere ogni tanto con degli sconosciuti violenti per denaro. Chi è senza peccato scagli la prima pietra, e il resto della mischia, invece, se la dia in testa e pensi per sé. Non sono qui per farmi insultare o giudicare, nel caso ti fosse sfuggito.»

Galadar ammutolì con stizza, preso alla sprovvista da una risposta talmente franca e indifferente da sfociare nella brutalità. Impallidì ancora di più, però, quando, dopo alcuni istanti di silenzio, alcuni se la risero per la batosta aveva ricevuto.

«Non me l'aspettavo, ma... ben detto» commentò Esther, divertita.

Per quanto il discorso di Dario avesse suscitato scalpore, era innegabile che egli avesse realmente parlato per almeno la metà di tutti loro, visto che Galadar era fra i regnanti più impopolari per quanto riguardava il favore del popolo di Obyria. Non piaceva a nessuno, pur avendo regnato per molti secoli sugli Elfi, specialmente per via della sua indole polemica e altezzosa. 

L'immortale schiarì con calma la voce. «Se non c'è altro, gradirei portare la nostra conversazione su lidi ben più tristi e oscuri.» Sospirò. «Come sicuramente saprete già, vista la velocità con cui le novità passano di bocca in bocca, il tempo che avevamo a disposizione per prepararci al ritorno di Grober sta per scadere. Stando all'ultimo resoconto di Andrew pervenuto a Iago, Alexander ha scelto di consegnarsi di sua spontanea volontà a Syrma, la signora delle Terre dell'Ombra e... beh, ciò significa che tra non molto il nostro nemico sarà pronto a un'offensiva in piena regola e in grande stile. A quel punto, signori, saremo tutti quanti in grave pericolo, ma mi aspetto che ognuno di noi faccia la propria parte. Tutti quanti, nessuno escluso, e vi dico una cosa: chiunque avesse intenzione di disertare, di tradirci in qualsivoglia maniera e passare dalla parte di Grober, farebbe bene a guardarsi le spalle, perché io per primo non tollererò un simile atteggiamento e mi assicurerò di punire ogni singolo trasgressore in modo esemplare, senza alcuna pietà.»

Alcuni rabbrividirono a quelle parole, ma nessuno osò fiatare.

«E per coloro che ancora nutrono dubbi sulla riuscita della resistenza che intendiamo opporre, il mio spassionato consiglio è di farsi da parte all'istante, visto che in futuro non ci sarà più la possibilità di fare passi indietro o di avere ripensamenti. Sarà come salire a bordo di una nave destinata a un lungo e pericoloso viaggio: una volta saliti, non è più possibile scendere prima dell'attracco finale.»

I suoi occhi scuri si spostarono su Freya, la nuova Regina delle Fate, la quale si era alzata per poter parlare. «Prosegui pure.»

Lei annuì. «Mi chiedevo... è quasi del tutto appurato che uno di quelli destinati a fronteggiare Grober in guerra sia Andrew Collins, conosciuto anche come Andrew Thorne, perciò... siamo sicuri che lui ci aiuterà a combattere contro quel mostro?»

Dario si incupì. «Ho già ripetuto a molti come la penso a riguardo: spetterà a lui e a lui soltanto decidere cosa fare e vi invito a non fare pressioni per convincerlo a prender parte alla guerra, se la sua volontà dovesse rivelarsi ben differente. E comunque trovo scorretto voler per forza caricare sulle spalle di un solo uomo la sorte di Obyria. Ci sono molti altri validi guerrieri tra le nostre fila e io per primo mi assicurerò di dare tutto me stesso per assicurarmi che Grober smetta di essere una spina nel fianco. Se rimarremo uniti, non avrà scampo e si pentirà di aver risvegliato la nostra collera. Statene certi.»

Fu Kayden Barrera, il Principe Lupo, a prender parola: «Stiamo o non stiamo parlando di Satana in persona? Insomma... è il re dell'inferno! Noi siamo delle formiche a confronto!»

Dario lo squadrò, poi: «Una formica non può niente contro un uomo, e così pure altre cinque, dieci, cento, ma ognuno di noi qui vale per mille formiche a testa. La nostra forza sta nell'unione, non nel numero, e comunque, da che ne so, Alex e James hanno studiato nei minimi dettagli un piano che potrebbe darci un enorme vantaggio su Grober. Vi chiedo, perciò, di aver fede in entrambi e di stringere i denti fino alla fine. So che rischiamo di morire tutti quanti e di vedere i nostri cari venir spazzati via dalla faccia della Terra, ma abbiamo la responsabilità e il dovere di provare a respingere l'offensiva di Grober e rimetterlo in riga una volta per tutte. In questo momento siamo dei capi di Stato e nelle nostre mani giace non solo il destino di Obyria, ma anche quello degli umani».

Galadar fece un verso sprezzante. «Gli umani!» commentò gelido. «Ho imparato molto tempo addietro a diffidare di tutti loro e a ritenerli nientemeno che delle bestie dissennate e primitive. Una bella lezione non farebbe affatto male a tutti quanti loro. Capirebbero, finalmente, che non sono i padroni incontrastati del mondo.»

«Perdonami se non posso non prendere sul personale un'offesa del genere» lo apostrofò glaciale Dario, restringendo lo sguardo. Nei suoi occhi, per un solo momento, dardeggiò una scintilla color rosso vivo. «Sarò pure un vampiro, ma prima d'esser tale sono stato per trent'anni della mia vita un uomo, un essere umano, e trovo disgustosa e ingiusta la definizione che hai appena affibbiato alla mia specie.»

«È la tua specie ad aver costretto gli Elfi e molte altre creature a nascondersi e a vivere da reietti!» perse le staffe Galadar. «Sono stati loro a distruggere i luoghi dove un tempo vivevamo e a costringerci a ritirarci tutti quanti qui, in un mondo a parte che fosse lontano dalle loro grinfie distruttive!»

Il non-morto sorrise di sbieco, ma era una semplice facciata. «Non fosse stato per gli Uomini, Galadar, tutti quanti sareste ancora convinti che la terra è piatta. È stato uno della mia specie, nonché un mio connazionale, a stabilire per primo che la verità era ben altra. È vero, gli esseri umani non hanno dato sempre il meglio di se stessi e a volte di strafalcioni colossali ne hanno fatti, alcuni più imperdonabili degli altri, ma sono una specie ricca di risorse, sono capaci di risollevarsi ogni singola volta e di migliorare, senza mai fermarsi. La tua visione è specista e retrograda, Galadar, e fossi in te mi farei un gran bel bagno d'umiltà, una volta tanto. Anche da dove mi trovo io si avverte l'intollerabile olezzo di superbia che ti aleggia attorno.»

In mezzo ai tanti volti presenti alla riunione c'era anche quello contratto dall'inquietudine di Cynder, proprio accanto a quello altrettanto teso di Samantha, la quale schiarì la voce e si alzò a propria volta. «Non mi sembra il luogo né il momento di disquisire su roba del genere» disse schietta. «Ma su una cosa concordo: dovresti proprio imparare a tener la bocca sigillata, Galadar. Non fai che rimbrottare e criticare il prossimo da quando sei arrivato e ci tengo a ricordarti cos'è successo a un altro che ha adottato un comportamento molto simile al tuo. Se non vuoi fare la fine di Cornelius, ti consiglio di scegliere con più attenzione e con più saggezza le tue prossime parole. In caso contrario, Vostra Altezza, seduto e zitto.»

Cynder celò come meglio poté un sorrisetto vittorioso e guardò con gli occhi che scintillavano la cognata, nonché amante, rivolgersi direttamente a Dario: «So che a breve dovresti confrontarti con gli esponenti delle altre razze di vampiri. A quando la partenza?»

«A breve. Molto a breve, anzi» replicò il Principe della Notte. «E devo ammettere di essere un po' in ansia. Nessuno di loro mi preoccupa come Dracula. Sarà dura convincerlo ad appoggiarci, ma il fallimento comporterebbe il vederlo schierarsi con Grober e fidatevi quando vi dico che non volete assolutamente che una cosa simile avvenga. Sarebbe un disastro.»

«Posso immaginare» commentò cupa l'Imperatrice. «E i vampiri sotto il tuo governo, invece? I ribelli sono ancora là fuori, no?»

«Non appena sarò tornato dal vertice con i vampiri stranieri, risolverò la faccenda all'istante. So già come fare, non serve preoccuparsi.»

«E come intendi fare, di preciso?»

«Mi appellerò alla potestà su tutti quanti loro. Non potranno rifiutarsi di obbedire ai miei comandi, una volta che il richiamo sarà stato propagato.»

«Ma alcuni sono stati già assoggettati da Grober.»

«Questo è vero, ma spero che la maggior parte dei vampiri decida di ascoltare la ragione e il sottoscritto.»

Samantha fece un cenno d'assenso. Il discorso di Dario era stato assai criptico, ma lei confidava nella sua lungimiranza e ormai lo conosceva abbastanza da esser certa che lui sapeva cosa faceva. Si rivolse, perciò, a Petya, il quale era affiancato da Loki, suo padre. «Gli Efialti, invece? Ci affiancheranno nella guerra?»

Petya si alzò e schiarì la voce. «La maggior parte di loro ha già deciso di prender parte allo scontro. Alcuni, però, parlano di voler restar fuori dalla faccenda» ribatté schietto, venendo subito seguito da un brusio in cui sgomento e stizza si contendevano il posto. Il re dell'Oltrespecchio sospirò. «Vi prego, non siate troppo duri nel giudicare la mia gente. Abbiamo subito innumerevoli perdite prima ancora dell'attacco a Specula. Non dimentichiamo cos'è successo durante il regno del terrore della B.I.R capitanata dall'Ordine del Fuoco. Molti, troppi Efialti sono stati torturati e uccisi in sterili laboratori per puro sadismo. Intere famiglie sono andate distrutte e il numero degli orfani è salito alle stelle in seguito a quell'autentico genocidio.»

Galadar alzò gli occhi al cielo. «Prima o poi questa scusa diverrà stantia, Petya. Senza contare che la colpa del massacro è da imputare a uno dei tuoi, se la memoria mi assiste. Non è forse stato il tuo braccio destro, Misha, ad aiutare i Pagani alleati di Grober a trucidare i suoi stessi simili in cambio del potere? E ora eccoci qui, a pagare ancora una volta il prezzo della tua debolezza e dei disastri di un individuo che ultimamente viene visto come un eroe, anziché il criminale che era realmente.»

«Chiedo scusa?» sibilò Petya, ignorando Loki che sembrava voler scoraggiarlo dal discutere con l'Elfo. «Osi parlare tu che non hai fatto che nasconderti qui a Obyria fino a poco tempo addietro e solo dopo innumerevoli richiami ti sei deciso a rinnovare la tua fedeltà alla corona imperiale? Il mio popolo si è messo in prima linea e ha pagato un caro prezzo per questo!»

«Già, e ora siete talmente ai ferri corti da aver dovuto rivolgervi a un nemico dichiarato della corona dell'Oltrespecchio! A un genocida che da solo fu capace di spazzare via la popolazione di una città intera, da che ho sentito, e ora, come se nulla fosse mai accaduto, ha persino ricevuto l'amnistia, pur avendo compiuto atroci crimini! Avete dimenticato che fra queste mura si trova il Signore degli Oscuri?»

Dario serrò i pugni sul tavolo. Solo i suoi occhi rivelavano la furia che ardeva dentro di lui. «Molti fra di noi si sono resi responsabili di barbarie oltre ogni immaginazione. Quasi nessuno è esente da colpe passate, Galadar.»

«Oh, certo! Dimenticavo che anche tu un tempo ti desti alla pazza gioia trucidando persone innocenti per puro sadismo.»

«Disse quello che ritiene gli umani degli animali privi di coscienza!»

Petya, avvertendo nell'aria qualcosa di strano e di pericoloso, si sbrigò ad aggirare il lungo tavolo e a raggiungere l'amico. In un modo o nell'altro lo convinse a seguirlo fuori un attimo in corridoio e non appena furono giunti lì, lo squadrò teso. «Sei strano, Dario. Non sei... non sei te stesso» disse cauto. «Che ti prende?»

Qualcosa continuava a suggerirgli che non era il solito, che era cambiato.

Il vampiro esitò, poi accostò una mano al viso e fece due gesti che richiamavano quelli compiuti da una persona intenta a togliersi delle lenti a contatto. In realtà era proprio così, ne aveva indossato un paio fino ad allora e il motivo fu presto chiaro all'Efialte, il quale spalancò la bocca ed esclamò, in francese: «Sacrebleu!». Si fece brevemente il segno della croce in modo istintivo, senza ragionare.

Dario inarcò un sopracciglio. «Sul serio?» commentò infastidito.

«Ti sei specchiato, stamani? Hai gli occhi rossi! Sembri un lemure demoniaco!»
Il non-morto, senza poter farne a meno, soffocò una risata. «In tutta la mia lunga esistenza non penso di aver mai udito un paragone del genere.»

«Piantala di fare lo stupido e spiegami che hai combinato! Ti sei lasciato andare di nuovo, di' un po'? Sto parlando di nuovo con il Macellaio di New York?»

«No, idiota. Stai parlando con il povero disgraziato che è riuscito a convincere Rasya a farsi da parte e a lasciargli in mano questo mondo abbandonato da Dio. E adesso mi aspetto delle sentite condoglianze, se non ti disturba.»

«COME COME?» sbottò Petya. Dario subito gli tappò la bocca. «Shh, pazzo incosciente! Vuoi che lo venga a risapere tutto il palazzo?»

L'Efialte lo spinse via e poi lo afferrò per i vestiti, scuotendolo. «Hai perso il lume della ragione? Tu e Dante non eravate d'accordo di prender ciascuno un occhio di Rasya?»

«Ho deciso diversamente, va bene? Era l'unico modo per far sopravvivere entrambi.»

«Qui sei tu il pazzo incosciente, allora!»

«Beh, ormai è tardi e ciò che è fatto è fatto.»

«Non sei una creatura divina! Quei poteri finiranno per ucciderti! Non potrai sostenerne la portata per sempre!»

«Così sia. Mogli e buoi dei paesi tuoi, dicono.» Dario, notando l'espressione snervata e furibonda dell'amico, sbuffò. «Ti dirò tutto quello che vuoi sapere, ma non adesso. La riunione non è terminata e non voglio destare sospetti.» Già in quel modo era dura tollerare quella nuova condizione, non aveva bisogno dei rimproveri di Petya o di qualche altra battutina di dubbio gusto da parte di Galadar. «Stasera ti racconterò come sono andate le cose. Domattina dovrò partire per la Romania e non conto di far ritorno in tempi brevi. Ci vorrà un po' per convincere gli altri vampiri ad allearsi con me, anziché con Grober, e ho paura che alcuni fra di loro abbiano già scelto da che parte stare.»

Yakovich sospirò e si passò due dita sugli occhi. «Va bene, va bene» replicò stancamente. «Pensi che Dracula rientri nel club dei simpaticoni voltagabbana?»

«Non lo so. È più un timore che una certezza e... insomma, non vedeva già di buon occhio Richard quando era lui a capo dell'adunanza, figuriamoci se possa andargli a genio io che ero il suo braccio destro.»

«A me preoccupa anche Carmilla. Ha tutte le ragioni del mondo per schierarsi contro di te.»

«Secondo me non si presenterà neppure, se la conosco bene, ma se dovesse invece farlo... non so dirti come andrà a finire. La politica, quando è gestita da soli vampiri, tende a surriscaldarsi facilmente e a lei è sempre piaciuto portare scompiglio ovunque.»

Petya deglutì. «Max verrà con te?»

«Non ne sono ancora sicuro. Preferirei che restasse qui, sarebbe al sicuro insieme a tutti voi, ma stando a ciò che dice...»

Il re sorrise di sbieco. «Tipico di Max. Ti seguirebbe anche all'inferno. Sei il suo Achille, temo.»

«Non so bene se ringraziarti per un simile paragone o mandarti a quel paese per un augurio del genere.»

«E smettila! Lo sai che cosa intendo.»

Dario sorrise tristemente. «È una persona leale, è questo a spezzarmi il cuore. Non voglio che si faccia del male per colpa mia.»

Petya alzò gli occhi al cielo e accennò alla fede dell'amico. «Siete sposati, adesso. Siete una squadra. Qualunque cosa dovrà accadere, la affronterete insieme.»

«Certo, finché morte non ci separerà.»

«Beh, ora sei tu la morte.»

«A tempo determinato.»

«Solo la morte può decidere quando o se morire. Io penso che spetti a te stabilire se sopravvivere a tutto questo o gettare per sempre la spada e arrenderti.» Petya esitò. «Sicuro di aver fatto tutto nel modo giusto? Hai le sclere arrossate.»

«Sono le lenti a contatto. Credici o meno, ma in parte resto ancora un vampiro e la mia razza non tollera niente di estraneo sulla superficie degli occhi. Si irritano subito, sensibili come sono.»

«Allora non portarle.»

«Per il momento devo farlo. Potrei anche usare la magia, in qualche maniera, ma mantenere attivo l'incantesimo sarebbe un enorme dispendio di forze. Devo conservarle per Dracula e il resto della marmaglia. Non posso mostrarmi debole ai loro occhi.» Dario fece una lieve smorfia con le labbra e poi indossò di nuovo le lenti a contatto, le quali, a guardarle bene, non richiamavano del tutto il colore delle sue iridi antecedente allo scambio. Sbatté le palpebre e fece un respiro profondo. «Torniamo dentro, prima che finiscano per pensare che ce la siamo svignata.»

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