Capitolo IV. Le colpe di un padre
Musica consigliata: "The Witching Hour" di Peter Gundry.
https://youtu.be/KqfqWkf1iow
James e Max erano tesi come corde di violino, Dario invece di nuovo appariva impossibile da leggere, fin troppo calmo; la tranquillità, tuttavia, era soltanto apparente, non era così ingenuo e sprovveduto fino al punto da abbassare la guardia in un momento come quello.
«Suppongo tu sia qui per fare le veci del tuo padrone. Avrei dovuto immaginare che non si sarebbe sporcato le mani di persona. Preferisce agire nell'ombra, magari perché non è ancora perfettamente in forma dopo la batosta che ha ricevuto a Obyria.»
Di nuovo calò il silenzio, poi Lorenzo annuì tra sé: «Molto astuto. Stai cercando di farmi parlare a sproposito e capire se Grober mi tiene sotto una sorta di incantesimo o meno», la sua non fu una domanda, ma una pungente e diretta osservazione.
La vera guerra era appena cominciata e stava avvenendo tramite gli sguardi che si lanciavano a vicenda.
Entrambi erano uomini d'azione, tutti e due avevano secoli alle spalle di preparazione che forse sarebbe culminata proprio in quel momento; da ambedue le parti c'era una gran dose di fegato e astuzia, ma solo uno di loro era pronto anche a uccidere pur di spianarsi la strada.
Dario era aperto al dialogo, in realtà sperava proprio di indugiare nelle parole e rimandare il più possibile uno scontro fisico, ma sapeva che prima o poi sarebbe giunto anche quello. Lorenzo non menava il can per l'aia, non avrebbe accettato di parlare e basta. Gli leggeva negli occhi che voleva ucciderlo e avrebbe fatto di tutto pur di vederlo morto.
A differenza di quello che era accaduto al padre, il tempo aveva sgretolato la sua umanità, la sua capacità di dimenticare e perdonare. V'era un nero abisso oltre quell'involucro di carne, sangue e odio mai sopito.
Dario non batté ciglio. «Se sei così tanto intenzionato ad annientarmi, mi domando perché tu non abbia già attaccato. Non credo che la daga che porti in quel fodero serva solo per decorazione, o di nuovo sono in errore?»
«Mi piace agire con calma e assaporare i vari istanti» replicò Lorenzo, facendo due passi avanti. «Hai gradito lo scherzetto? Mi riferisco, ovviamente, alla tua incapacità di riconoscere membri corrotti all'interno della servitù a Reggia della Luna. Ci vuole un bel coraggio a essere così ingenui e stupidi a un'età veneranda come la tua!»
Neppure quella volta l'altro vampiro si lasciò scalfire. «Dunque sei stato tu. Come, se posso chiedere?»
«Perché mai dovrebbe importarti? Non mi risulta che tu sia mai stato uno chissà quanto interessato alla paternità» lo apostrofò Lorenzo, le parole taglienti e il tono irrisorio. «Dubito tu sia veramente cambiato, anche a distanza di secoli. Ammetti di aver ritenuto sin dal principio una famiglia, un figlio, solo delle zavorre inutili!»
«Avrei molto da dire in proposito, molto con cui smontare l'idea malsana e sbagliata che ti sei fatto di me, ma non credo che a te ormai possa importare qualcosa della mia opinione. Sbaglio, Lorenzo? Non sei qui per ascoltare.»
«In effetti no, non mi interessa. Quali che fossero le tue motivazioni, il passato resta quello che è e adesso siamo qui, a un passo dal tentare di ucciderci a vicenda. L'unico punto chiaro, Dario, è che qualcosa è andato decisamente storto fra di noi e la colpa non puoi di certo affibbiarla a me, che neanche ero ancora nato all'epoca. Hai di fronte una delle tante conseguenze delle tue azioni passate e sono qui solo per fare giustizia. Tutti prima o poi ricevono una punizione!»
Il vampiro più giovane, ma in apparenza quasi coetaneo di Rio, si avvicinò di più.
«Sei stato tu a ucciderla e questo lo sai benissimo. Hai guardato altrove nel momento in cui lei aveva più bisogno di appoggio e aiuto. Le hai voltato le spalle senza il minimo rimorso! Lei per te non era niente, se non una spina nel fianco! Ti sfido a negarlo!»
«Tieni a freno la lingua! Parli senza sapere tutta la storia» intervenne Max, adirato nel sentire colpevolizzare a quel modo Dario, ma quest'ultimo gli fece cenno di tacere.
«No, Max. Lorenzo ha ragione e mi spiace dire che quello che sta affermando corrisponde alla semplice verità. Purtroppo all'epoca tenevo di più alla mia reputazione, che alla coscienza. All'eta che avevo allora molti si comportano da stupidi e da incoscienti.»
James strinse una spalla a Max per ammonirlo e fargli intendere che non avevano il diritto di metter becco in quella faccenda. Quei due dovevano sbrogliarsela da soli.
Lorenzo squadrò sprezzante il padre che mai aveva accettato come tale e sin da subito aveva imparato a detestare.
«A sedici anni riuscisti a tornare dalla guerra sano e salvo, a lottare e a vincere contro nemici più esperti e meno avventati di te, eppure poi scappasti come un coniglio di fronte a qualcosa che tu avevi provocato! Ti sei sottratto alle tue responsabilità come avrebbe fatto un bambino viziato!»
Dario sorrise malinconico. «Arwin ti ha proprio detto tutto, vero?»
«Per tua moglie hai pianto, ma per mia madre? Hai versato almeno una lacrima per lei, dimmi?» continuò Lorenzo, implacabile e — nonostante tutto — avido di risposte che mai gli erano state concesse, alla ricerca di un solo e flebile motivo che potesse portare la situazione su una rotta diversa da quella prefissata.
Uccidendo Dario avrebbe anche soffocato per sempre la versione della storia che mai nessuno gli aveva potuto riferire. Era chiaro che gli importava di sapere cosa fosse andato storto, cosa avesse spinto il padre a lavarsi le mani della paternità imprevista, oltre all'evidente inesperienza e paura delle conseguenze che sarebbero seguite all'accettare quella paternità sempre rimasta illegittima.
Non subito l'interpellato rispose. «Arwin ti ha anche detto di come mi pentii di aver dato ascolto a mio padre e mi convinsi a prenderti con me? Ti ha detto, l'uomo che per secoli hai chiamato padre, di quando mi venne riferito che eri nato morto e tua madre aveva incontrato la medesima sorte? Te lo leggo negli occhi: tu pensi che Arwin sia sempre stato sincero con te, ma sono tante le cose che non hai mai saputo, soprattutto sul mio conto. Non nego di aver commesso azioni spregevoli in passato, azioni di cui ancora oggi mi vergogno, ma se solo avessi saputo la verità, sarei subito corso a cercarti.»
«Diresti di tutto pur di salvarti!» sbottò Lorenzo, lo sguardo feroce.
L'altro sospirò, poi la sua espressione divenne quella di uno che aveva appena preso una decisione di vitale importanza e, senza dire niente, si liberò del fodero con annessa la spada e la fondina della pistola. Le gettò a terra, proprio di fronte a quello che restava e sempre sarebbe rimasto suo figlio, quello che per secoli aveva creduto di aver perso ancor prima di conoscerlo e ora era davanti ai suoi occhi e bramava il suo sangue.
Sollevò le mani in segno di resa. Persino James non riuscì a celare un'espressione esterrefatta e preoccupata.
«Che stai facendo?» chiese brusco Lorenzo, più sospettoso che mai.
«Mi dispiace, ma non sono disposto a battermi, non con te» rispose schietto Dario, nei suoi occhi una tristezza dieci volte superiore a quella abituale. «Se vuoi uccidermi, non ti fermerò, ma mi rifiuto di andare nella tomba con persino il sangue di mio figlio a macchiarmi la coscienza. Hai ragione a odiarmi, a voler vendicarti, e non pretendo che tu mi perdoni, perché non c'è niente da perdonare. Non avevo scusanti all'epoca, non ne ho tutt'ora. Fa' quello che devi fare, ma sappi che il vampiro che tanto ammiravi non era altro che un delinquente, un mostro che ha continuato fino all'ultimo a comportarsi come tale, incoraggiato da colui che adesso servi.»
Non ce la faceva, non poteva alzare le mani su di lui o addirittura ucciderlo, specie dopo aver visto coi suoi stessi occhi l'entità del danno che aveva contribuito a causare, il male che aveva procurato a Lorenzo. Percepiva che nel profondo era una persona in primo luogo ferita e priva di radici solide; avvertiva il suo antico dolore, la sua rabbia, la sua delusione.
Sono stato io a fallire, non tu. È solo mio il fallimento, non hai alcuna colpa. Forse, in un certo senso, merito fino in fondo la punizione che vuoi impormi.
Lorenzo per un attimo sembrò interdetto; Dario notò un leggero tremore nella mano che reggeva il pugnale azraelita, lo stesso che aveva ucciso per sempre Arwin.
«Non intendi neanche combattere? Vuoi fare la parte del vigliacco fino in fondo?» sibilò Lorenzo. «Non hai neanche il coraggio di guardarmi in faccia, adesso?»
«Hai ragione, non ce l'ho» ammise l'altro, la voce che minacciava di spezzarsi. «Ti sto solo facilitando il compito.»
Sentiva, oltre a tutto il resto, che il ragazzo non aveva una reale scelta, né il tempo di pensare e indugiare. Quella non era solo una personale ricerca di vendetta e giustizia, ma un compito assegnato e in attesa di essere svolto.
James cercò di temporeggiare: «Lorenzo, ascolta, non devi farlo per forza. Io... Io credo che abbiate ancora molto di cui discutere, tu e tuo padre. Non si porge mai l'orecchio al suono di una sola campana!».
«Lui...» ringhiò Lorenzo, gli occhi velati di un alone rossastro. «Lui non è mio padre! Non lo è mai stato per sua stessa scelta! Non ha mai voluto saperne niente di me! La colpa è sua se siamo arrivati a questo punto! Se l'è cercata!»
Max si fece avanti: «È questo quello che pensi? O è quello che hanno voluto farti credere e sei stato costretto ad accettare?».
«Ti prego, pensa bene a quello che stai facendo» proseguì James. «In questo momento non conta quello che hai fatto tu, o ciò che ha fatto Dario. Conta solo quello che sta accadendo adesso e potrebbe cambiare per sempre il corso della vostra esistenza!»
La volontà di Lorenzo, fino a tempo addietro rimasta incrollabile, cominciava a vacillare.
Lorenzo piangeva, mentre non accennava ad allontanare la lama che era a solo un centimetro di distanza dal bersaglio.
«Se non lo faccio» esalò, «lui ucciderà me e distruggerà tutto quello che amo. Devo farlo, capite? Ormai non importa più chi ha ragione e chi ha torto!».
Dario si sentì quasi mancare di fronte a quella creatura chiaramente sofferente e disorientata.
Forse uno spiraglio di luce c'era, ma la posta in gioco doveva essere davvero molto alta se Lorenzo era fino a tal punto terrorizzato. Magari c'era davvero una volontà vendicativa ad animarlo, nel profondo, ma insieme ad essa v'era il dovere, un compito a cui non poteva sottrarsi e qualcosa di maggior valore da difendere a qualsiasi costo dalla punizione che avrebbe inflitto Grober in caso di fallimento.
«Che sia una cosa rapida» fece Dario, avendo purtroppo capito l'antifona.
La gelida brezza continuava a soffiare e a sollevare la cenere e la polvere, un pulviscolo soffocante e dal sentore di fumo e tragedia danzava attorno a tutti loro.
«Lorenzo, non farlo» insisté James.
«Non ha scelta e non ha senso rigirare il coltello nella ferita» lo zittì l'ex-Principe.
Lorenzo scosse la testa. «Mi rifiuto di giustiziare uno che nemmeno vuole abbassarsi a lottare alla pari con me! Non voglio che tu mi faciliti niente! Sono in grado di batterti!»
Davvero vuoi solo uccidermi e obbedire agli ordini, oppure è anche un confronto con me che stai cercando?
Dario, non poco reticente, scelse di accontentarlo. Non poteva restare lì tutto il giorno, d'altronde.
Raccolse da terra la spada. «Almeno concedi ai miei compagni di proseguire. Avrai un alibi di ferro, dato che ti tratterrai per sistemare me.»
«Vogliamo solo parlare con Grober e trovare un accordo per liberare gli ostaggi in maniera civile» gli diede man forte James, che come al solito scelse di giocare d'astuzia.
Lorenzo lo fulminò con un'occhiata. «Davvero mi credi così scemo? Non sei uno che verrebbe mai qui solo per parlare. So tutto di te, James Peterson.»
James, per tutta risposta, piegò le labbra in un sorriso in un certo senso dolce e di concessione. «Lo credono in tanti, ma permettimi di correggerti e di dire che non tutte le voci sono vere.»
«Che le cose stiano così o meno» intervenne Dario, «tu e Max sareste solo di intralcio. Lorenzo, lasciali andare. È una questione soltanto fra me e te, questa».
Lorenzo roteò gli occhi. «Va bene, andate pure. Tanto non uscirete vivi da lì, Grober non ve lo permetterà.»
«Staremo a vedere» replicò James, prima di costringere Max a seguirlo. Il vampiro rivolse un'occhiata implorante a Rio, uno sguardo che lo implorava di non lasciarsi battere, poi si convinse ad andare con James.
Dario fece un respiro profondo, poi sguainò la spada lentamente e strinse saldamente l'elsa, dopo essersi rimesso su. Non ne faceva uso da diversi anni e quella spada, purtroppo, mai aveva sbagliato un colpo o deluso le aspettative.
Lorenzo si accigliò e si chiese perché, all'improvviso, gli occhi di suo padre fossero passati dall'essere castano scuro a quell'oro brillante.
«Ma che diavolo...»
«Banalmente la ribattezzai Sangre» spiegò l'altro vampiro, sfiorando la lama sulla quale rifulgevano dei simboli che sembravano esser stati impressi a fuoco nel metallo. «Più avversari cadevano sotto i suoi fendenti e più diventava potente e difficile da battere. Mi venne donata dal primo Principe della Notte e, in un certo senso, è come se si nutrisse del sangue dei nemici. La magia ancestrale ha legato per l'eternità me a questa spada, condividiamo un'unione spirituale.»
Sangre era, sotto certi punti di vista, l'equivalente di un catalizzatore. Attraverso di essa le sue abilità aumentavano di precisione e destrezza.
Dall'espressione del ragazzo comprese che Arwin, stranamente, non lo aveva messo in guardia da quel particolare assai importante.
«Visto? Dopotutto avevo ragione io: sono tante le cose che non conosci di me.»
Lorenzo si riprese e fece coraggio: «So che sei un abile spadaccino e non hai mai perso contro nessuno, ma oggi sarò io a scavalcarti!». La daga azraelita cambiò e si tramutò in spada vera e propria. Acciaio nero e scintillante che fremeva dalla voglia di reclamare un'anima.
«È ciò che tutti i figli fanno» rispose semplicemente Dario. «Mostrami come intendi superarmi, dunque.»
Il fendente che avanzò Lorenzo fece incontrare ed incrociare per la prima volta le loro lame, le quali stridettero l'una contro l'altra; quella di Dario rilasciò delle scintille dorate e incandescenti.
«Quindi è questo il tuo segreto» lo provocò il figlio. «Giochi sporco!»
«Sbagliato di nuovo» rispose il padre. «Fidati, Lorenzo: sto solo seguendo le tue regole, altrimenti non mi sarei tirato indietro di fronte a una sfida che comprendeva l'utilizzo dei muscoli!»
Lo spinse indietro, liberando le spade, poi il più giovane subito tornò all'attacco.
I suoi colpi miravano a uccidere, mentre Dario invece continuava imperterrito a pararli e a stare sulla difensiva.
«Se vuoi una dritta, stai agendo troppo per impulso e spinto dalla rabbia.»
«Ah, quindi ora ti permetti anche di darmi lezioni?» ringhiò Lorenzo, mollandogli una secca gomitata allo sterno. Il fendente che seguì venne prontamente e di nuovo intercettato dall'ex-Principe.
«Ti sto solo dando un consiglio per il futuro.»
Cosa davvero stava facendo spazientire Lorenzo, era l'evidenza con cui Dario continuava a risparmiarsi e a non voler mettersi sul serio in gioco. Gli dava quasi da pensare che lo vedesse come un bambinetto inesperto e inferiore a lui, e la cosa lo faceva uscire di testa.
«Smettila di fare come se avessi davanti un ragazzino con una spada di legno in mano!»
«Magari lo faccio perché è esattamente ciò che vedo. Non credi?»
Forse non era saggio provocare l'ira di Lorenzo a quel modo, ma onestamente stava solo cercando di far uscire allo scoperto tutta la rabbia repressa, quel rancore che andava in un modo o nell'altro sfogato e buttato fuori.
Il rancore avvelenava la mente, lo sapeva fin troppo bene. La sola cosa di cui aveva realmente bisogno quel ragazzo, era trovare la pace.
«Ora sì che corrispondi alla descrizione di Arwin» replicò Lorenzo, come a voler provocarlo a sua volta. «Sotto quello strato di apparente umiltà ci sono solo vanità e orgoglio!»
«Cos'altro ti ha detto, tanto per sapere?» Dario scelse finalmente di accontentarlo e di attaccare a sua volta. Le sue movenze erano agili, veloci e sinuose, non cessava di mantenere quella sorta di grazia innata neppure mentre si batteva.
A un certo punto fu vicino al disarmare l'avversario, il quale però non perse la presa sulla propria arma e schivò uno dei fendenti. «Che per tutta la tua vita umana ti sei comportato da ragazzino spocchioso e viziato, e quello che è accaduto con mia madre ne è la prova concreta!»
Dario evitò un calcio mirato al fargli perdere l'equilibrio.
«Ha detto anche che da vampiro sei divenuto crudele e sanguinario!»
«Su questo non mentiva», l'ex-Principe parò un altro colpo. «Ho avuto anche io le mio giornate nere, lo ammetto.»
«Come quando hai massacrato la tua famiglia al completo?» chiese velenoso Lorenzo. «Avevo quindici anni quando venni a sapere quel che avevi fatto alle persone che spergiuravi di amare! Sai cosa pensai? Che era stata una fortuna non averti conosciuto, o saresti arrivato a uccidere anche me!»
Dario riuscì in tempo a schivare una stoccata. «Ti ha anche raccontato perché accadde, dimmi? Ti ha detto che mi lasciò andare appositamente? Che lo fece perché sapeva che per un vampiro appena rinato è facile perdere il controllo? So cosa ho fatto, lo so benissimo, ma non sono stato io a chiedere di diventare il mostro con il quale convivo da secoli!»
Spintonò indietro il vampiro più giovane, così forte da farlo ricadere ad almeno tre metri di distanza e fargli perdere la presa sulla spada azraelita.
Come un fulmine la raccolse e si ritrovò così con ben due armi in mano.
«Ci sono cose peggiori del crescere senza genitori, Lorenzo» proseguì con una dura inflessione nella voce affaticata. «Avere un padre che ti disprezza sin da quando hai emesso i primi vagiti rientra nella categoria sopracitata. Quando tornai da loro, lui non volle farmi entrare e fu la mia matrigna a convincerlo a darmi tregua. Non era nei miei piani litigare con lui, perdere la pazienza e anche l'autocontrollo! Ero tornato da loro perché volevo di nuovo riabbracciarli, non di certo per ucciderli come purtroppo ho fatto!»
Le lame sibilarono a contatto con l'aria e si incrociarono, intrappolando il collo di Lorenzo in una morsa possibilmente letale.
«Se ci pensi bene, niente è accaduto per caso e per fortuna il mio non aver saputo che eri in realtà vivo ti ha salvato dalla carneficina. Credimi o meno, ma ringrazio che sia andata così, se il risultato è esser riuscito finalmente a conoscerti.»
Ritrasse le armi e scagliò lontano quella azraelita, poi rinfoderò la propria.
Per quanto gli riguardava, la lotta era terminata e Lorenzo aveva avuto la peggio.
«Sfidami di nuovo quando la tua mente non sarà offuscata e sarai stato capace di guardare oltre la nebbia di menzogne e omissioni con le quali sei stato tirato su.»
Lorenzo gli scoccò uno sguardo fiammeggiante e ostile, la sconfitta gli bruciava fin troppo.
«Se pensi di ottenere la mia comprensione, ti sbagli di grosso!» sibilò.
«Non voglio ottenere un bel niente, invece. Sei libero di pensare quello che vuoi, ma guardati bene dal calunniare un uomo che hai conosciuto solo tramite terze persone. Impara a ragionare con la tua di testa, Lorenzo. Il primo modo per sconfiggere un avversario, è conoscerlo veramente.»
L'altro vampiro, inspiegabilmente, sogghignò: «Lo vedo che muori dalla voglia di farmi quella domanda».
Voleva sapere qualcosa, qualsiasi cosa, sul suo prezioso erede che credeva di aver perso per sempre.
«Di lui ti importa, invece, vero? Per lui hai pianto, sei rimasto in lutto per anni.»
«Ho pianto anche per te e forse sofferto il triplo» replicò senza mezzi termini Dario. «Eri una creatura innocente che ero convinto di aver ucciso facendo soffrire Elena, ovvero tua madre.»
«Si chiamava così?» La domanda giunse da parte di Lorenzo in maniera fin troppo spontanea e impulsiva.
Dario, nonostante tutto, sorrise debolmente. «Era una ragazza splendida, e non parlo solo dell'aspetto esteriore. Avrebbe meritato di meglio, rispetto alla sorte che la vita alla fine le riservò. Per rispondere alla tua accusa di poco fa: ero innamorato di lei, forse di un amore giovanile e leggero, ma i sentimenti c'erano. La sola cosa a spaventarmi era il dovermi sposare, purtroppo. Per tanto tempo ho continuato a tenere solo ed unicamente alla mia libertà, senza curarmi di quello che gli altri provavano di fronte al mio rifiuto. Di cuori purtroppo ne ho spezzati tanti e credimi, Lorenzo, non ne vado fiero. Hai ragione: per gran parte della mia esistenza sono stato un egoista e un irresponsabile, non badavo ad altro se non alla mia sopravvivenza e sicurezza.»
Si inginocchiò di fronte a Lorenzo, un gesto atto a fargli intendere che lo considerava suo pari e non desiderava guardarlo dall'alto in basso.
«Non importa se non risolverà niente, ti chiedo lo stesso perdono per tutto quanto, a te e anche a tua madre, se per qualche miracolo ora ci starà guardando da lassù. Non devi perdonarmi, quello che ho fatto è imperdonabile, sappi solo che mi dispiace non esserci stato per te e aver creduto alle menzogne che mio padre mi propinò. Se avessi lottato maggiormente, forse ora saprei già da un bel pezzo cosa si prova ad avere un figlio che mi ama e rispetta, nonostante i miei difetti e le mie mancanze.»
Voleva essere sincero con lui, comunque sarebbero andate a finire le cose.
«Ti conosco appena, tu mi odi e hai cercato di uccidermi più volte, ma resti sangue del mio sangue, resti mio figlio e in un modo contorto e masochista sono orgoglioso di te, hai gestito molto bene l'ondata di ribellione che hai scelto di guidare, senza mai farti scoprire. Oggi hai perso lo scontro, ma in astuzia sono stato io a perdere e riconosco i tuoi meriti.»
Non riusciva a odiarlo, a disprezzarlo o a guardarlo con disgusto. In parte perché si era ripromesso di non esser mai e poi mai l'uomo che era stato il suo, di padre. Un uomo che sempre lo aveva squadrato con delusione, salvo eccezioni così poche che una mano sarebbe stata sufficiente a enumerarle. Suo padre, anche prima di morire, aveva ribadito la delusione che sempre aveva provato nel guardarlo, specie dal giorno in cui erano saltate allo scoperto le sue preferenze anche per gli uomini e non solo le donne.
Aveva scelto di esiliarlo, anziché denunciarlo e farlo giustiziare per il crimine di sodomia, quello che un tempo veniva visto come uno dei più grandi vizi e peccati del genere umano, ma sentirlo parlare e dirgli che avrebbe preferito la sua morte a quella del suo primogenito, del caro e compianto Filippo, aveva fatto ancora più male di un soggiorno in prigione.
Sapeva cosa voleva dire essere odiati dal proprio padre, considerati una nullità, un motivo di vergogna e biasimo.
Si arrischiò a stringere una spalla a Lorenzo, che lo fissava tra l'interdetto e l'incredulo.
«Se mai vorrai farmi altre domande e chiarire altri dubbi, io non mi tirerò indietro.»
Si rimise in piedi e lo aiutò a fare lo stesso. «Hai combattuto molto bene, comunque. Ottimi riflessi!»
Si allontanò e recuperò il fodero della spada, rimettendo poi quest'ultima a posto sul fianco, assieme alla pistola.
Si sentiva stanco e la cosa non lo sorprendeva. Sapeva che essersi recato lì fosse stato un vero azzardo, gli era stato detto e ridetto di non sforzarsi troppo, ma non c'era tempo per badare a certe sottigliezze.
Tornò a guardare Lorenzo, il quale pareva scombussolato.
«Per stavolta dovrai lasciarmi andare, ma sappi che attendo un altro confronto. So che non hai scelta e so che lo stai facendo per qualcosa o qualcuno a cui tieni davvero molto, ti si legge negli occhi che è così. Spero solo che ne valga la pena.»
Lo superò e fece per avviarsi, ma si fermò quando il ragazzo, di colpo, disse: «Era una femmina».
Dario si accigliò e voltò. «Come, scusa?»
Lorenzo serrò le palpebre: «Poco dopo aver preso il neonato, scoprii che in realtà era una bambina».
Dopo la lotta, la conversazione che avevano avuto, riconosceva di rispettare vagamente quell'uomo e di dover almeno confidargli quella verità. Se l'era guadagnata e comunque ci sarebbero state altre occasioni per finire il lavoro. Con l'aiuto di Alice sarebbe stato capace di mitigare la reazione di Grober di fronte a quel fallimento.
Si voltò a sua volta.
«Magari non ci credi, ma Arwin ha cresciuto quella bambina come se fosse sua e non le ha mai fatto del male, lo giuro su quel che ti pare. Sta tutt'ora bene. È sana, è forte, ha un sorriso che riscalda il cuore e non disdegna né il cibo né il sangue. Ora che Arwin è morto, l'ho presa io in custodia.»
Vide l'altro vampiro passarsi il dorso di una mano sul viso. «Forse so di non avere il diritto di chiedere, ma... vorrei tu mi promettessi una cosa.»
Lorenzo trattenne un sospiro. «Ovvero?»
«Se è davvero la morte il mio destino... comunque vada a finire tutto questo... tu dovrai proteggerla e fare in modo che sopravviva, come hai fatto fino ad ora. Crescila e amala.»
Se anche per assurdo avesse avuto la possibilità almeno di conoscerla, era sicuro che avrebbe rifiutato di farlo. L'esito di quella guerra era incerto e comunque agli occhi di quella bambina lui sarebbe stato un semplice sconosciuto. Troppo piccola per capire tante cose, per comprendere chi fossero i suoi veri genitori.
Sto solo pagando per i miei errori passati. Forse merito questa punizione. Magari è destino per me non essere mai chiamato padre.
Una cosa era sicura: Grober avrebbe fatto meglio a prepararsi, perché stava per arrivare qualcuno che non aveva alcuna paura di lui; qualcuno che non avrebbe tremato al suo cospetto e gli avrebbe restituito tutto con gli interessi.
Avevano un conto in sospeso da molto tempo e Dario, quel giorno, era lì per saldarlo.
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