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𝚇𝙸











Possiamo rinnegare le esperienze, ma il nostro corpo ricorda tutto.
Jeanne McElvaney






𝙲𝙰𝙿𝙸𝚃𝙾𝙻𝙾 𝚇𝙸








I viaggi in auto erano piacevoli con Amber.
A volte erano divertenti e fortificanti, a volte erano silenziosi e tranquilli, a volte...
A volte erano tristi e cupi, perché il mondo non gira intorno a una magica sfera di cristallo. Gira intorno al sole, ovviamente, ma non va mai dimenticato che il sole, per quanto luminoso sia, può bruciarti vivo se ti avvicini troppo, o accecarti se provi a guardarlo troppo a lungo. Nulla è come sembra.

Amber era l'eccezione. Lei appariva sempre radiosa, e cazzo, lo era davvero. D'altra parte, aveva anche dei lati oscuri, come li hanno tutti. Solo che i suoi lati belli eclissavano completamente quelli oscuri.

Jeongguk non è affatto radioso.
Non come Amber, almeno. Non allo stesso modo.

Jeongguk sembra tenebroso. Non solo per il suo modo di vestire, ma per tutto ciò che lo riguarda. Sorride per uno scopo, parla per uno scopo, agisce per uno scopo. Certo, ha un'aura travolgente, ma sotto sotto ha i suoi lati oscuri. Non puoi diventare un grande detective se non li hai. L'oscurità è l'essenza di questo lavoro.

Ciò che non è tenebroso, però, è il profumo di Jeongguk: menta, così forte che sembra esserne ricoperto. Amber aveva un buon profumo; Jeongguk invece ha l'odore di un fottuto deodorante per automobili.
Non dovrebbe paragonarlo ad Amber.
Non dovrebbe, eppure lo fa comunque, perché lei era il suo punto di riferimento lì ad Harrison, il suo pilastro. Jeongguk è solo una seccatura, un cazzo di rumore di sottofondo che dà più fastidio di quanto dovrebbe e che lo interrompe di continuo, mandandogli a puttane il cervello.

Odia l'uomo seduto accanto a lui, vorrebbe che scomparisse, eppure eccolo lì, a pensare a lui, nel grigiore di Chicago. Ignorare qualcuno che brilla così tanto non è una cosa semplice, soprattutto quando quest'ultimo è il partner nuovo di zecca che non desideravi affatto. A dirla tutta, Taehyung non saprebbe proprio dire quale lato di Jeongguk prevalga tra i due. Probabilmente lo scoprirà presto, dal momento che dovrà sopportarlo per un bel po'.

«Ci siamo quasi», dice Taehyung, mentre si avvicinano al West Lawn.

«Conosco la città», risponde Jeongguk, con gli occhi sulla strada.

Taehyung alza gli occhi al cielo e sospira. Sì, questo stronzo per ora non si è ancora perso, ma dire che conosce la città significa sopravvalutare le sue capacità. Non conoscerà mai Chicago come la conosce Taehyung, soprattutto non i quartieri peggiori—cioè quelli considerati tali.

Taehyung lancia un'occhiata a Jeongguk; anche il modo in cui tiene il volante puzza di ricchezza, proprio come la sua postura. Ha sempre una strana eleganza, anche quando sta soltanto guidando. Ha un talento naturale nel dargli sui nervi con quel suo atteggiamento insopportabile. Ma almeno vivono nello stesso mondo?

«Ci siamo», annuncia Jeongguk, mentre parcheggia il SUV. Taehyung non risponde e slaccia la cintura di sicurezza, scendendo velocemente dall'auto. Gigantesche nubi scure incombono sulla zona, e questo spiega perché la strada sia così sgombra, eccetto tre adolescenti che giocano a pallone. Taehyung non era il tipo di bambino che giocava a pallone davanti a casa sua.

«Dopo di te», lo esorta Jeongguk, indicandogli un piccolo vialetto.

«Adesso che non ci sono i riflettori non ti piace più stare in prima linea, eh?» Taehyung ridacchia e gli passa davanti, dirigendosi verso la porta.

«Sono solo educato, stronzo.»

«Molto gentile da parte tua, davvero.» Taehyung tiene per sé tutti gli insulti che vorrebbe dirgli e bussa alla porta.

Dopo un minuto, nessuna risposta. Taehyung lancia un'occhiata a Jeongguk e bussa tre volte alla porta.

«Questa è una cosa mia», dice Jeongguk.

«Cosa?» Taehyung aggrotta la fronte e si volta appena verso di lui.

«Bussare tre volte alla porta.»

Il maggiore fa una risatina di scherno e scrolla le spalle. Ma che diavolo? «Lo fanno tutti, Jeon. Benvenuto nel mondo reale.»

Jeongguk non risponde e inizia a camminare davanti alla casa, scrutando le finestre.

«Qualcosa non va», osserva dopo un po', la voce quasi coperta dal vento che si alza, anche se è a pochi metri da Taehyung.

«Cosa c'è là dentro?» grida Taehyung dall'angolo opposto della facciata.

«Non riesco a vedere!»

«Nemmeno io.»

Vento di merda, perché ha deciso di alzarsi proprio adesso?
E quelle fottutissime tende. Taehyung non riesce a vedere un cazzo dentro casa a causa loro.
Casa che, tra l'altro, è davvero messa male. Taehyung non vive di certo in un palazzo reale, ma questo è tutto un altro livello di sfacelo. Non per la scarsa qualità del laterizio o che altro, niente affatto, ma per l'aura che emana questo posto. I mattoni dell'edificio sono senza dubbio anneriti, ma l'aria che li circonda è ancora più nera.
Sì, l'aria non ha colore, Taehyung non è stupido, ma sembra tutto così... tetro? Come inghiottito da una cupa bolla di tristezza, una nube di sofferenza. Anche se solo all'apparenza, la casa di Janice era calda e accogliente; questa non lo è.

«Magari viveva da solo», ipotizza Jeongguk, una volta accanto al maggiore.

«Non penso», dice Taehyung, gli occhi che ispezionano tutto ciò che ha davanti.

«Facciamo il giro della casa.»

Taehyung annuisce e si separano di nuovo. Jeongguk si dirige verso destra.
Cammina sulla striscia d'erba che costeggia la casa, focalizzandosi su ciò che potrebbe esserci al suo interno. Ancora una volta, la finestra è coperta da una tenda decrepita, così Taehyung inizia a cercare tracce altrove. Il prato è abbastanza alto, non viene falciato con regolarità; la recinzione alla sua sinistra ha dei buchi, non viene riparata da tempo.
A un certo punto, si ritrova sul retro della casa, che si estende in un piccolo giardino composto solo da erbacce ed erba alta.

«Sembra disabitata», gli fa notare Jeongguk quando si incontrano di nuovo.

C'è un attimo di silenzio e poi, improvvisamente, Taehyung rileva un movimento con la coda dell'occhio.

«Ma non lo è.» Il detective si avvicina alla finestra. «C'è qualcuno là dentro.» Anche Jeongguk si avvicina, cosa che, in tutta onestà, infastidisce Taehyung... ma adesso sono partner, no? Cazzo che gioia.

«Sappiamo che sei lì dentro! Apri la porta, polizia.»

Sentire la voce di Jeongguk ogni giorno non sarà affatto facile. «Aspettiamo laggiù.»

E con queste parole, il più giovane si dirige verso la facciata della casa, seguito a ruota da Taehyung. Una volta arrivato, Jeongguk bussa altre tre volte alla porta, ripetendo l'ordine di aprirla e mostrando il distintivo attraverso lo spioncino. Aspettano circa un minuto prima che avvenga il miracolo: la porta viene finalmente dischiusa, anche se trattenuta da una catenella.

La casa sembra deserta, ma ha una catena alla porta? Strano.

«Salve, sono il detective Jeon», esordisce, anche se la porta non è del tutto aperta. «Dell'Ufficio Investigativo, e questo è il mio partner, il detective Kim.»

Perché non dice Jeon-Kearney? Non che a Taehyung importi, ma è alquanto strano.

Poco dopo, la porta si apre, rivelando un ragazzo. Proprio così, soltanto un ragazzo, con il sospetto nello sguardo.

«Ciao, giovanotto.» Anche Taehyung mostra il suo distintivo. «È la casa di Francis Goodman?»

«Che ha fatto mio padre stavolta?»

«Tuo padre?» ripete Jeongguk.

«Sì, purtroppo.»

Purtroppo?

Oh, no.

«Possiamo entrare, per favore?» chiede Taehyung con la voce più gentile che riesce a fare.

«Certo.»

L'adolescente si fa da parte e li lascia entrare, prima di chiudere la porta. Taehyung ha paura di ciò che potrebbe sentire.

L'interno della casa è tanto cupo quanto l'esterno. Le stanze sono piene di mobili in legno, ma questo non le abbellisce affatto. Come si potrebbe mai abbellire un posto del genere? I mobili sono realizzati con materiali grezzi e, come se non bastasse, sono ricoperti di sporcizia e di botte. Il parquet scricchiola mentre camminano, diretti a quello che dovrebbe essere il soggiorno, anche se nessuno potrebbe mai soggiornarvi in maniera dignitosa. Il divano in pelle presenta diversi buchi e segni di usura, proprio come le due poltrone ai lati. Davanti c'è anche una vecchia televisione, ma non è accesa.

Grazie a Dio, il ragazzo li invita a sedersi sulla poltrona e poi gli chiede se vogliono da bere.

«Sto bene così, grazie», risponde Taehyung, e vale lo stesso per Jeongguk.

«Bene, il frigo è quasi vuoto comunque.»

«Per favore, siediti anche tu», dice Taehyung, e il ragazzo lo fa. «Come ti chiami?»

Il ragazzo li guarda in un modo che Taehyung non riesce a descrivere. Non è ostile, ma nemmeno amichevole. A che cosa sta pensando?

«Jaime, signore.»

Jaime, eh? Ha dei lineamenti ispanici, forse da parte di sua madre?

«Jaime, vivi da solo qui?»

«Intende se mia madre vive ancora qui o no?»

Taehyung annuisce, quel ragazzo è intelligente.

«Nah, è morta.»

Merda.

Jeongguk non dice un cazzo, ma Taehyung nota che sta ascoltando attentamente il ragazzo. Più a lungo tiene la bocca chiusa, meglio è.

«Le solite cose, è morta in un incidente d'auto tre anni fa, ma io sono sopravvissuto.»

Già, solita storia, non è vero?
La madre muore mentre accompagna il figlio da qualche parte, il figlio si salva e poi il padre lo ritiene responsabile di tutto. È davvero questo che è accaduto?

Taehyung, purtroppo, ci metterebbe la mano sul fuoco.

«Mi dispiace», ammette Taehyung, respingendo il bisogno di agguantare subito il suo taccuino.

Vuole chiedergli come lo tratta suo padre, ma prima deve dirgli che è morto.

Comunicare a Josh la morte di Janice non era stato facile ma, insomma, è comunque più facile quando si tratta di persone adulte. Be', non tutte e dipende sempre dal contesto, ma la sensibilità di Taehyung è diversa con i bambini e gli adolescenti, con i figli e le figlie. Taehyung non ha mai perso un marito o una moglie, ma ha perso suo padre. Riesce ancora a sentire il dolore al petto che aveva provato quando glielo avevano comunicato, anche se era confuso e stordito. Il suo corpo aveva reagito di riflesso, malgrado la sua mente fosse del tutto sconnessa.

«Senti, Jaime...»

«È morto?» C'è qualcosa che somiglia a una scintilla nei suoi occhi, speranza forse. La situazione era davvero così grave? «Ditemi che è–»

«Sì», lo interrompe Jeongguk, il corpo appoggiato allo schienale della sedia. «Sì, è morto.»

Un silenzio, un piccolo vuoto, ma non il tipo di vuoto che conosce Taehyung. Be', almeno non quello che ha sperimentato su se stesso. Quel ragazzo odia suo padre, lo odia più di ogni altra cosa, è ovvio dal modo in cui sta seduto adesso, più rilassato di Taehyung e del suo partner di merda messi insieme. Jaime ha sognato a lungo quel preciso momento. Per qualche ragione, risveglia una strana sensazione in Taehyung. Non è sorpreso: l'odio matura in fretta in quasi tutti gli esseri umani. Non può giudicare qualcuno per aver odiato qualcun altro, sarebbe ipocrita e fottutamente stupido.
Ma, vedete, Taehyung farebbe di tutto per riportare in vita suo padre, quindi vedere un tale sollievo sul volto di Jaime lo ferisce un po'. Prova compassione per Jaime, anche se sembra un ragazzo abbastanza forte. Gli adolescenti sanno essere forti, non è una novità, eppure...

Il ragazzo si schiarisce la gola, sul suo volto c'è un'espressione neutrale. «Ditemi come.»

È proprio un ragazzo forte, non è vero? O perlomeno è bravo a fingere. Quel ragazzino non è un sospettato sulla lista di Taehyung. Aveva un movente, così come Josh, ma forse è solo una pedina del vero assassino? Probabilmente, anche se era più credibile nel caso di Josh.

«È stato ucciso la notte scorsa, abbiamo trovato il suo corpo a Humboldt Park.» Dopo aver pronunciato queste parole, Jeongguk lancia uno sguardo a Taehyung, come se cercasse la sua approvazione per proseguire, ma il maggiore sa che non è questo il motivo. Quel coglione non ha bisogno di alcun tipo di approvazione. «È stato torturato e poi portato lì.»

«Torturato? Ben gli sta.»

Era davvero grave, allora.

Guardandolo meglio, Jaime sembra stanco, il tipo di stanchezza che ti porti dietro ogni giorno, perché ormai è un'abitudine. Si attacca a te come un parassita, perché ciò che ti fa sentire stanco non se ne andrà, non ti lascerà mai solo.
Ma adesso lo è, solo.

«Hai famiglia a Chicago?» chiede Taehyung dopo un paio di secondi.

«Nah, non qui, ma mia sorella maggiore vive a New York.»

New York, eh? Pura coincidenza, oppure no? Jeongguk si sta chiedendo la stessa cosa, a giudicare dal cipiglio dubbioso sul suo volto.

«La chiameremo presto, va bene?»

Jaime annuisce, concordando con Taehyung.

«A proposito, quanti anni hai?»

«Quindici.» Lo sguardo del ragazzo si posa su Jeongguk, che ha appena preso parola.

«Quindi avete detto che è stato torturato?»

«Sì, ma non sappiamo ancora chi è stato», risponde cauto il detective. «Potremmo farti qualche domanda, giovanotto?»

Jaime incrocia le braccia al petto e fa spallucce. «È per questo che siete qui, alla fine, perciò fate pure.»

Non sembra davvero turbato dalla notizia. Anzi, sembra più provare una certa gioia? Non ha ancora realizzato l'accaduto? Cerca di mascherarlo? Taehyung non ne è ancora sicuro.
Alla fine, tira fuori il taccuino dal cappotto, che non si è tolto perché sta congelando a morte. Jeongguk gli lancia uno sguardo strano, ma Taehyung si limita a sollevare un sopracciglio, mentre preme la sua matita nera sul foglio.

«Quando hai visto tuo padre l'ultima volta?»

«Ieri. Verso mezzanotte, direi.» Jaime sospira e tira su la manica del suo maglione, rivelando alcuni lividi. Ovviamente Taehyung aveva ragione, cazzo. «Mi ha fatto questo e se n'è andato per ubriacarsi ancora di più. Come al solito.»

Jeongguk manda giù a fatica la risposta che ha ottenuto. Non è stupido, se lo aspettava anche lui. Almeno non è un insensibile—ma è pur sempre un bastardo.

Giustizia è stata fatta, ma non nel modo giusto.

«Non l'hai mai detto a nessuno?»

«Che mi picchiava ogni volta che ne aveva voglia? Nah, sarebbe stato inutile. Adesso va tutto bene, no?»

Taehyung abbassa la testa per un attimo. Non dovrebbe riflettere sul proprio passato mentre si occupa di questo caso. Il rapporto con suo padre era l'opposto di quello di Jaime e Francis. Non sa come ci si sente ad essere picchiato dal padre, perché il suo nutriva per lui un amore puro, anche se nascosto dietro un piccolo guscio.
Tuttavia, sa come ci si sente a incassare un pugno dopo l'altro. Ricorda la fatica di restare in piedi e continuare a respirare, l'indolenzimento dei giorni a seguire. Conosce tutte queste cose, ma sono più facili da accettare quando la persona che ti picchia non è la stessa che dovrebbe proteggerti a tutti i costi.

«Sì, sei al sicuro con noi», risponde alla fine Jeongguk, rendendosi conto che Taehyung, per il momento, non sembra intenzionato a farlo.

«Non ho bisogno di voi», protesta Jaime, incrociando di nuovo le braccia al petto.

«Certo che no, ma è meglio avere qualcuno su cui contare, non credi?»

Il ragazzo mette su un piccolo broncio, pensieroso, ma alla fine annuisce. «Sì.»

Taehyung scrive abuso su minore sul foglio e lo cerchia diverse volte. L'alcol è una tale piaga.

«Hai detto che tuo padre beveva?» chiede Jeongguk, prendendo le redini dell'interrogatorio.

«Come una cazzo di spugna, detective.»

Padre alcolizzato, scritto e cerchiato.

«Sai dov'è andato quella sera?»

«Va sempre in quel negozio all'angolo aperto 24/7.» Una pausa. «Cioè, andava. È qui vicino, non potete sbagliarvi.»

Ci andranno più tardi.

Taehyung pensa che sia una domanda stupida, ma deve fargliela. «Tuo padre aveva dei nemici?»

«A nessuno piace il vicino violento e alcolizzato.»

«Vero», ammette Taehyung. «Ma magari c'era una persona in particolare?»

«Be', c'è un tipo strano. È venuto qui tre volte, bussava come un pazzo alla porta e cose così. Penso che Francis gli dovesse dei soldi, molti soldi.»

Francis, non papà.

«Sai dirci il nome? Una descrizione?»

«Cercate un certo Byron. Alto, muscoloso, capelli lunghi, con una giacca di pelle. L'ho visto solo una volta di spalle, ma ho sentito la sua voce due volte, era grossa. Non sembrava molto accomodante.»

Taehyung, ancora una volta, annota tutto. «Credo di aver presente il tipo.»

Giubbotto di pelle... forse è un motociclista? Si adatterebbe bene alla descrizione... basandosi solo sui soliti cliché, ovviamente.

«Dove lavorava Francis?» dice Jeongguk, non usando a sua volta la parola "papà". Probabilmente è stata una buona mossa, Taehyung deve ammetterlo.

«Era un meccanico, anche il garage non è lontano.»

Jeon annuisce e lancia un'occhiata a Taehyung. È fastidioso, anche quando non vuole espressamente esserlo.

«Penso che possa bastare per il momento», dichiara Taehyung dopo un attimo di silenzio. «Non possiamo lasciarti solo, quindi chiederò a un paio di colleghi di venire qui, mentre noi proseguiamo con l'indagine. Chiameranno tua sorella. Va bene per te, Jaime?»

Il ragazzo concorda e fornisce loro i recapiti di sua sorella, una donna di ventiquattro anni che si è trasferita a New York pochi mesi prima dell'incidente d'auto della madre.

«Torno subito», dice Taehyung, alzandosi in piedi e lasciando la casa qualche secondo dopo.

Una volta fuori, prende il telefono, che adesso è carico, e compone il numero di Leroy.

«Hey, teppista. Abbiamo trovato il figlio di Francis a casa sua.»

«Merda, come sta?» dice Leroy dall'altro capo del telefono, la sua voce sovrasta i rumori di sottofondo.

«Bene, credo. Il tizio era alcolizzato e picchiava Jaime. Insomma, ci siamo capiti.»

«Un altro ragazzino maltrattato? Cazzo.» Fa una piccola pausa. «Jaime, eh? Ha origini ispaniche?»

Potrebbe essere rilevante per il caso.

«Sì, probabilmente da parte di sua madre, a giudicare dai lineamenti di Francis. È morta in un incidente d'auto tre anni fa.»

Leroy impreca a bassa voce. «Quindi è solo, adesso? Ho ragione?»

«Hai ragione, ecco perché porterai il tuo culo qui e lo terrai d'occhio finché non troveremo una soluzione.»

«Scommetto che ne hai già trovata una, intelligentone.»

Taehyung alza gli occhi al cielo, anche se nessuno può vederlo. «Sua sorella maggiore vive a New York. Avvisala prima di partire, o chiedi a Seokjin di farlo. Ti mando il numero.»

«Ricevuto, capo.»

Capo. È divertente come uno stupido soprannome possa far sentire meglio Taehyung—non per la parola in sé, ma per chi l'ha pronunciata. Sa essere un cretino quando vuole, ma Leroy rende il loro lavoro più facile semplicemente essendo se stesso.

«E porta qualcuno con te. Ci vediamo, 'Roy.»

Taehyung riattacca, scrive il numero della sorella a Leroy e poi dà un'occhiata all'orologio. È pomeriggio inoltrato, ma hanno ancora un sacco di tempo, dato che ora fanno parte di una task force. Il detective fa un respiro profondo e torna dentro.

«Lo so, sei un pugile.» Taehyung sente la voce di Jaime dalla porta, ma non capisce perché abbia detto quella frase. Cos'hanno fatto in quei cinque minuti? Si dirige verso il soggiorno e vede Jeongguk annuire.

«Sei intelligente», ammette Jeongguk, alzando le mani per un attimo.

«Ma tu...», Jaime si rivolge a Taehyung. «Tu non sei un pugile.»

Taehyung ridacchia, sorpreso di essere incluso nella conversazione. «Non faccio boxe, ma so combattere.»

Ora è Jeongguk a ridacchiare, il che non lo sorprende. Ha davvero dei modi da cafone per essere un ricco figlio di puttana. Quella gente è il peggio del peggio.

«Non corre buon sangue tra voi due, eh?»

I detective si lasciano andare a una risata amara, mentre guardano Jaime. È anche più intelligente di quanto pensassero.

«È così ovvio?» chiede Taehyung.

«Sì, ed è un peccato. Sareste una grande squadra insieme.»

Lo sguardo di Taehyung è ancora fisso su Jaime, ma riesce a percepire quello di Jeongguk su di lui. Cosa diavolo vuole?

«Sembrate in gamba, più di molti altri poliziotti.»

«Anche i nostri colleghi sono in gamba, vedrai», lo rassicura Taehyung. Leroy a volte sa essere un vero idiota, ma lo è raramente quando si tratta di lavoro e probabilmente porterà con sé Georgie, il che è un bel salto di qualità. Lei sembra intelligente e anche gentile—non può dire lo stesso di Jeon. Be', sa essere gentile a volte, ma non con Taehyung, e vale lo stesso per quest'ultimo.

Un silenzio cala tra loro, ma viene subito interrotto da Jaime. «Ora volete dirmi come è stato torturato?»

E perché no? Quel ragazzo merita di sapere come è morto suo padre. O meglio, padre e carnefice. Taehyung non l'avrebbe mai detto a un adolescente qualunque, ma non può più nascondere la verità a Jaime. È meglio apprenderlo dalla bocca di un detective che dai media—se qualcosa dovesse trapelare.

«Ustionato ripetutamente con un attizzatoio.»

Jaime si acciglia e, in quel preciso istante, Taehyung capisce che c'è qualcosa che non va. Di nuovo.

«Non è paragonabile, ma...» Il ragazzo solleva l'altra manica del maglione per rivelare un mucchio di bruciature di sigaretta proprio all'altezza del gomito. «Era solito farlo a me.»

Cazzo, l'assassino lo sapeva? È per questo che ha usato un attizzatoio?
E soprattutto, come può un padre far questo alla carne dalla sua carne? Nessun bambino dovrebbe essere trattato in questo modo.

Taehyung vorrebbe dirgli che avrebbe dovuto avvertire qualcuno, almeno sua sorella o un amico, ma sarebbe comunque inutile. I ragazzi come lui sono solitari e autonomi, forti e orgogliosi. Come fa a saperlo? Be', lui era uno di questi idioti. I suoi genitori non lo avevano mai maltrattato, ma la strada sì. Il mondo l'ha fatto, porca puttana, strada o meno. Dio, all'epoca ha preso delle belle batoste. Non voleva finire nei guai, ma alla fine ci finiva sempre, nella merda. Perciò capisce bene il comportamento di Jaime.

«Non cambierà nulla, ma mi dispiace per quello che hai dovuto sopportare», dice Jeongguk, ancora seduto sulla sedia.

«Ciò che non ti uccide ti rende più forte, no?»

Qualche volta sì.
Ma altre volte può farti a pezzi e lasciarti lì, morente, eccetto per il cuore che continua a battere. Sei lì senza esserci davvero. All'inizio credi che ti abbia reso più forte, ma in seguito realizzi che ha cancellato per sempre una parte di te. Non funzioni come dovresti. Ecco perché il genere umano è così fottutamente complesso.

«Se l'ha detto Nietzsche, probabilmente è vero.»

Ovviamente, Jeon-Kearney vuole giocare a Mr. So-tutto-io.
Oggi sente Kelly Clarkson ovunque, ma persino quel pensiero sciocco non riesce a risollevare l'umore di Taehyung.

Dopo diversi minuti di chiacchiere tra Jeon e Jaime, si sentono tre colpi alla porta. Taehyung ridacchia sottovoce: tutti bussano tre volte alla porta, Jeon non è mica speciale. Pochi passi dopo, Taehyung la apre per accogliere Leroy e, come pensava, Georgie.

«Laura prenderà il primo volo per Chicago», lo informa Leroy, facendo il suo ingresso. Quindi la sorella di Jaime sarà lì tra tre o quattro ore.

Taehyung annuisce, un po' sollevato. «È un bravo ragazzo, vedrai. Andrò a controllare un paio di posti insieme a Jeongguk, mentre voi restate qui con lui.»

«Per noi va bene», afferma Georgie, chiudendo la porta alle sue spalle.

Si dirigono verso il soggiorno, dove Jaime li saluta con disinvoltura.
Jeongguk si alza e saluta Jaime, ringraziandolo. Taehyung fa lo stesso e, contro la sua fottuta volontà, si dirige verso l'uscita insieme a Jeon.

Una volta fuori, Jeongguk inspira profondamente e poi espira, sgranchendo le spalle.

«Ragazzino speciale, non è vero?»

«Il negozio all'angolo è laggiù, andiamo», dice Taehyung, ignorando completamente l'osservazione di Jeon.

Il minore sogghigna. «Sei un vecchietto scontroso.»

«Sei tu quello che parla a vanvera come un vecchio rincretinito, coglione.»

«Che classe che hai, wow.»

Taehyung si gira e fissa il suo sguardo su di lui. «Non sono il tuo cazzo di amichetto, Jeon. O stai zitto o ti faccio saltare tutti i denti. Sono stato chiaro?»

Ovviamente Jeongguk scoppia a ridere. Avrebbe dovuto aspettarselo. Lui ride, dannazione. E per l'amor di Dio, di questo passo Taehyung non riuscirà a sopportarlo ancora per molto.

«Mettimi alla prova, Kim», lo provoca Jeongguk, facendosi avanti. I loro sguardi si incontrano e si scontrano come se fosse appena scoppiata una Guerra Fredda.

Rimangono così per lunghi secondi, immobili nel mezzo del marciapiede. C'è solo provocazione nello sguardo di Jeon, e niente infastidisce Taehyung più di questo. Sente già il sangue andargli alla testa e la mascella serrarsi.

Cazzo, non può prenderlo a calci in culo.
Il capo è stato chiaro: non si farà problemi a declassare Taehyung, se necessario. Non può spaccargli la faccia ma, porca puttana, quanto gli piacerebbe farlo.

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