𝚅𝙸𝙸𝙸
La speranza è il peggiore tra i mali, poiché prolunga i tormenti degli uomini.
Friedrich Nietzsche
𝙲𝙰𝙿𝙸𝚃𝙾𝙻𝙾 𝚅𝙸𝙸𝙸
«Non dice quasi niente sull'omicidio», dice Jeongguk, mentre esamina il giornale per la terza volta.
«È un bene, no? E sono passate quasi tre settimane, nel frattempo si sono verificati nuovi crimini, nuove morti.»
«Non come questo, Yoongi.» Il detective posa il giornale sul tavolo della cucina. «Stessa cosa online.»
«Pensavo che il punto fosse tenerlo nascosto? Meno sanno i media, meglio è.»
«Hai... ragione», mormora Jeongguk, tamburellando le dita sul vetro. «Ma è comunque strano. Diciamo che il nostro distretto è riuscito a mantenere un basso profilo.»
«Non sei nemmeno coinvolto in questo caso», gli fa notare Yoongi, e subito dopo Jeongguk preme la lingua contro l'interno guancia.
«Non ancora.» Le labbra del detective si distendono un po'. «Ma ho fatto delle ricerche.»
«Certo che le hai fatte. Detesti non avere il controllo della situazione.»
«Non si tratta di controllo», protesta Jeongguk.
«Invece sì», afferma Yoongi, con un lieve sorrisetto sulle labbra.
«Va bene», ammette. «Solo un po'. Il fatto è che io vivo per questo genere di casi.»
«Quelli strani, giusto?» lo prende in giro Yoongi, infilzando un boccone di pasta con la forchetta. «Questo caso andrebbe avanti più in fretta con il tuo contributo.»
«Lo so, vero? Ma quell'idiota non vuole saperne di lavorare con me.»
«Vorrei conoscere questo Taehyung. Nessuno riesce a resisterti di solito.»
«No che non vuoi. È insopportabile. È sempre così scontroso, e senza alcun motivo.»
«Ma almeno è bello, no?»
«Neppure il fatto che sia stupendo basta a giustificare il suo atteggiamento.»
«Vorresti dirmi che il tuo Seokjin non è affatto scontroso?»
«A volte lo è, ma non importa.» Jeongguk divora il suo piatto. «E non è mio, proprio come io non sono suo.»
«Perché non apparterrai mai a nessuno, certo, certo.» Anche il piatto di Yoongi adesso è vuoto. «Vedi? Anche tu sei un lupo solitario.»
«Oh, sta' zitto.» Jeongguk si alza e prende il piatto di Yoongi per poggiarlo sopra il suo. «Non sono affatto come lui.»
«Vuoi risolvere il caso o no?» Ovviamente Jeongguk annuisce alla sua domanda. «Scommetto che lo vuole anche lui.»
Jeongguk ridacchia, mettendo i piatti nella lavastoviglie. «Un tratto in comune di poco conto, dato che siamo entrambi detective.»
«Dovresti lavorare con lui.»
«Allora vai a dirglielo tu.» Jeongguk appoggia un gomito sul tavolo, fissando il suo più caro amico. «In realtà volevo lavorare con quel tipo sin dall'inizio, ma non mi aspettavo che fosse un tale coglione.»
«Sono sicuro che sei in grado di convincerlo.»
«E sentiamo, come dovrei fare?» C'è un breve silenzio, e poi gli occhi di Jeongguk si spalancano all'improvviso. «A meno che...»
«No no no.» Yoongi si sporge in avanti e il suo sguardo si assottiglia. «Conosco quello sguardo.»
«Dovrei andare a letto con lui.»
Yoongi sospira e si passa una mano fra i capelli neri. «No no no, è la peggiore idea di sempre. Non—»
«Vuoi che lo convinca, no?»
«Non con il tuo culo!»
«Pensavo al suo, a dire il vero. Di certo non gli darò il mio.»
«Jeongguk... non farlo. Per favore?» Yoongi sospira di nuovo, aspettando la risposta del suo amico.
«Non preoccuparti, vecchietto.» Jeongguk arruffa i capelli di Yoongi, facendolo brontolare un po'. «Troverò un modo meno piacevole di questo.»
«Sai una cosa? Non devi lavorare per forza con lui. Scommetto che puoi semplicemente convincere qualcun altro ad assegnare due squadre su questo caso, senza dover diventare il partner del tuo amico di merda.»
«Forse. Vedremo.»
E con ciò, il detective si allontana e si dirige in bagno, dove si lava rapidamente i denti. Quando torna nella loro ampia cucina, Yoongi è ancora seduto al tavolo, ma i suoi occhi ora sono fissi sul giornale che Jeongguk stava leggendo poco prima.
«Sai cosa farebbe scatenare i media?» chiede Yoongi, e Jeongguk scuote la testa, ansioso di sentire cos'ha da dire il maggiore. «Un altro omicidio. Con lo stesso modus operandi o qualcosa del genere.»
Il minore non può fare a meno di ridacchiare, perché lui e Yoongi condividono davvero lo stesso neurone.
«Sarebbe un cazzo di casino, ma potrebbe essere stato un caso a sé stante, che non si ripeterà.»
«Lo pensi davvero?» Lo sguardo di Yoongi adesso è così intenso che Jeongguk ci mette alcuni secondi per rispondere.
«No, non lo penso davvero, e lo sai anche tu. Spero solo che ci stiamo sbagliando.» Si dirige in un angolo della stanza e agguanta le scarpe oxford che aveva lasciato lì poco prima, indossandole.
«Dove vai?»
«A ficcanasare per conto mio, ovviamente.»
«Alle nove di sera?» Yoongi inarca un sopracciglio.
«La notte è giovane.» Jeongguk rivolge un leggero sorriso a Yoongi e poi gli volta le spalle. «Non dimenticare di impostare la sveglia, se non dormi qui stanotte.»
E l'attimo dopo è già andato via.
Kenwood ha conosciuto molti residenti importanti, come Barack e Michelle Obama, Muhammad Ali, Edward Levi e via dicendo, ma anche parecchi psicopatici. I più famigerati sono probabilmente Nathan Leopold e Richard Loeb, alias Leopold e Loeb, gli assassini di Bobby Franks, un ragazzo innocente di quattordici anni. A quel tempo era definito il "crimine del secolo", perché quei due pensavano di aver commesso il crimine perfetto. Per Jeongguk non esiste un crimine del genere, anche se il colpevole è prodigioso, come lo erano Leopold e Loeb. C'è sempre un piccolo errore nascosto dietro l'angolo, sotto un sassolino che a prima vista non hai notato. Ha come la sensazione che l'omicidio di Janice Doney appartenga a quel tipo di casi: difficili da risolvere, eppure non irrisolvibili. Forse l'assassino pensa davvero di aver commesso il crimine perfetto, ma Jeongguk ha intenzione di dimostrargli che si sbaglia, a qualunque costo.
Era un newyorkese, questo è vero, ma ha trovato una nuova casa a Chicago—e Jeongguk protegge sempre la sua casa.
A parte questo, Kenwood è un quartiere elegante, pieno di palazzi del diciannovesimo secolo e attraenti spazi verdi. Il sole è tramontato, ma il cielo è ancora luminoso e le strade sono animate da numerosi lampioni e ristoranti affollati. Jeongguk non è qui per questo, però.
Conoscendo l'indirizzo, guida senza esitazione fino a destinazione e, una volta arrivato nelle vicinanze della casa, parcheggia la sua Range Rover lungo il marciapiede. Spegne il motore e resta in macchina per un po', con la schiena appoggiata al sedile in pelle. Pare che la persona che sta cercando sia in casa, a giudicare dalla luce che filtra dalle finestre. Bene.
Più per abitudine che per necessità, Jeongguk apre il vasetto accanto a lui e prende una mentina, assaporandone l'aroma ma sulla lingua. Si accerta di avere con sé i documenti e il distintivo e poi esce dal veicolo, chiudendo la portiera e facendo scattare la sicura tre volte. Tre volte è meglio di una. O due. Tre è il numero perfetto.
La zona è più movimentata di quanto si aspettava, il che porta Jeongguk ad avere un paio di ripensamenti. Se c'è sempre tutta questa vivacità, come ha fatto l'assassino a rapire Janice? A quanto pare conosceva la sua password, quindi forse è un parente stretto? Janice si sentiva a suo agio quando l'assassino si è avvicinato a lei? O l'ha rapita di sorpresa, aggredendola alle spalle? Sfortunatamente, il referto non risponde a queste domande— ma è grato a Seokjin per avergli permesso di leggerlo.
Ad ogni modo, magari riuscirà ad apprendere qualche nuovo indizio.
Jeongguk segue un grazioso sentiero costeggiato da fiori e si dirige verso la porta di casa. Bussa tre volte, non troppo veloce, per evitare di spaventare la donna. Passano alcuni secondi, forse anche un intero minuto, ma alla fine la porta si apre e rivela una donna alta e bruna.
«Buonasera, signora», dice, mostrandole il distintivo. «Sono il detective Jeon, del—»
«Dell'ufficio investigativo?» lo interrompe la donna stringendo le labbra, e pare che stia scrutando Jeongguk da capo a piedi.
«Esatto. Lei è Linda Bane, giusto?» La donna annuisce e nei suoi occhi brillano scintille di diffidenza. «È piuttosto tardi e mi scuso per questo, ma ho bisogno di farle alcune domande su—»
«So cosa vuole chiedermi.» Jeongguk si trattiene dall'alzare gli occhi al cielo. Non riesce proprio a non interromperlo ogni due secondi? «Ho già visto il suo collega. Il Detective Kim, se non ricordo male.»
Non si sbaglia, in effetti, ma lui e Kim non sono neanche lontanamente vicini ad essere colleghi.
«Sì, ma è stato qualche giorno fa e avrei bisogno di alcune precisazioni.» Lo sguardo di Jeongguk si fa più intenso. «Se per lei va bene.»
La donna sembra rifletterci su per un po', prima di farsi da parte per farlo entrare. Jeongguk annuisce in segno di ringraziamento ed entra in casa. Un leggero profumo di agrumi gli solletica il naso non appena entra. È piacevole, anche se non gli piacciono molto gli agrumi. Qualunque cosa sia, non odora affatto di lutto, ma ognuno ha il proprio modo di elaborare una perdita. Eppure, anche i lineamenti di Linda non esprimono dolore: niente borse scure sotto gli occhi, niente guance scavate, niente di niente. Forse è brava a nascondere i propri sentimenti, forse le importa meno di quanto ci si aspetterebbe, forse è solo abbastanza forte da non mostrarlo agli altri. Potrebbe essere qualunque cosa. Gli esseri umani sono complessi.
«Ho detto tutto al suo collega.» Linda chiude la porta e scrolla le spalle, conducendo Jeongguk nel salotto.
«Non ne dubito.» Jeongguk si siede al tavolo immediatamente dopo la donna. «Posso registrare ciò che dirà?» Non chiede sempre il permesso, ma perché non farlo oggi.
«Come preferisce.»
«La ringrazio.» Jeongguk accende il microfono e appoggia il telefono sul tavolo, a faccia in giù. «Prima domanda, giusto per esserne sicuri. Vive da sola, giusto?»
«Sì.» Linda lo guarda con occhi schietti, ma i suoi muscoli sono tesi, il mento alto e la mascella contratta. È cauta. E ha ragione di esserlo.
«Ma aveva un marito prima?»
«Sì, esatto.» Hanno divorziato tre anni fa, non è necessario che lo chieda. Non c'era nemmeno bisogno di chiederle se avesse un marito, ma ogni conversazione deve avere un inizio.
Jeongguk resta in silenzio per un po', i suoi occhi scrutano il viso di Linda. «Una domanda veloce su Janice. Conosceva la password del suo cellulare?» Gli piace agire in questo modo, ponendo domande brevi senza alcun collegamento diretto tra loro.
«Certo.» Non è una donna che si destabilizza facilmente. «Sarei una pessima migliore amica se non la conoscessi.»
«Io non conosco la password del mio migliore amico, ma va bene.» Le labbra di Linda si contraggono leggermente. Bingo. «Mi dica se sbaglio. Conosceva e conosce ancora la famiglia di Janice?»
Lei annuisce, e il detective prosegue: «Soprattutto Josh Doney?»
Linda stringe i denti. «Sono persino uscita con quell'idiota una vita fa.»
E questo lo sapeva anche Jeongguk— grazie Seokjin per tutti i suggerimenti. «Perché non ha avvertito Janice quando lei ha conosciuto Josh?»
Breve riassunto della situazione: Linda ha conosciuto Josh qualche anno prima di conoscere Janice, che in seguito era diventata la sua migliore amica. Lei e Josh si erano frequentati quando avevano poco più di vent'anni, ma non era finita bene. All'improvviso, dopo essersi ubriacato, Josh aveva colpito Linda durante una lite. Una brutta storia.
«Gli ho concesso il beneficio del dubbio e ci siamo comportati come se non ci conoscessimo.»
«Ma l'ha detto a Janice a un certo punto, giusto?»
«Sì», sospira. «All'inizio le cose andavano bene tra loro due... ma è sempre così, no?» Jeongguk annuisce, e lei parla con più scioltezza. «Un giorno c'è stata una discussione che si è spinta troppo oltre, così gliel'ho detto. Mi ha ascoltata, sì, ma è di Janice che stiamo parlando. Alla fine, ha fatto di testa sua.»
«La cosa si è ripetuta? Intendo quel tipo di discussione.»
«Penso di sì, ma non ne parlava molto.»
«E poi è nato James, giusto?»
Un piccolo sorriso le storce le labbra. «Sì, un bambino meraviglioso. Gli ho fatto da madrina.» Il sorriso si affievolisce. «Non sapevo che... voglio dire, del comportamento di Janice. Me l'ha detto il suo collega.»
Certo che l'ha fatto. Collega, sì, come no. Un cretino, piuttosto. «Evidentemente era brava a nasconderlo.» Se lo amava così tanto, forse Linda aveva fatto fuori Janice per proteggere il bambino, no? Tutto è possibile.
Un altro silenzio. Jeongguk sta per giocare la sua carta vincente. «Josh non è stato l'unico a litigare con Janice, o sbaglio?»
«Cosa—»
«Ho parlato con Mark.» Il marito. «A detta sua, lei ha avuto molte discussioni con Janice.»
«Esistono amiche che non litigano?» sibila. «Quindi è per questo che è venuto qui, pensa che io l'abbia uccisa.»
«Ho detto questo?» Le labbra di Jeongguk mostrano un sorrisetto compiaciuto. «Non mi permetterei mai, signora. Sto solo facendo delle domande, e questo sembra essere un argomento delicato.»
«Mi sta dicendo che litigavo con la mia migliore amica morta, come dovrei reagire?» Jeongguk non ha affatto paura, ma lei gli sta ancora lanciando sguardi assassini. Taehyung aveva paura di quello sguardo? No, probabilmente no. Un lupo non si spaventa per così poco, giusto?
«Voglio solo una risposta», controbatte, restando calmo. «Qualche discussione si è spinta troppo oltre?»
«Troppo oltre il necessario, forse.» La sua mascella si irrigidisce ancora di più. «Ma troppo oltre non significa ucciderla.»
«Mi sembra ovvio.» Un altro sorrisetto. «Si rilassi, non ho portato le manette.» Non le piace sentire queste parole, ma Jeongguk doveva dirle.
«Di solito la situazione degenerava in fretta, sì.»
La donna sta per aggiungere qualcosa, ma lui la precede. «Ma questo non significa che l'abbia uccisa. Ho capito, signora Bane.»
Eppure... Se sapeva di James, aveva un movente – il che non è sicuro, ma poco importa –, aveva la fiducia di Janice e, soprattutto, la sua password. Avrebbe potuto inviare un messaggio a se stessa per coprire le tracce e avrebbe potuto chiamare Josh per lo stesso motivo. Raramente le cose sono come sembrano, Jeongguk lo sa molto bene.
Questa donna è sicuramente nella sua lista dei sospettati, punto e basta.
«Grazie, Harvey», dice Jeongguk, accettando la tazza di caffè che gli porge il suo partner. Harvey Winger è il suo partner da quasi sette mesi, ormai. È il tipico poliziotto buono: sulla trentina, bel viso, corpulento ma atletico, abbastanza simpatico e servizievole. Uno dei ragazzi più simpatici qui ad Harrison. Vuole fare il suo lavoro e non si preoccupa dei riconoscimenti, mettendo sempre Jeongguk sotto i riflettori quando i flash sono dietro l'angolo. All'inizio è stato un po' strano, ma Jeongguk non ci ha messo molto per acclimatarsi. Dopotutto, rimane un newyorkese con due genitori brillanti, entrambi famosi nei rispettivi campi. Stare al centro dell'attenzione è qualcosa che ha nel sangue—o, beh, da qualche altra parte.
Quindi è un buon partner. Jeongguk avrebbe potuto avere di peggio, molto peggio. Grazie a Dio o a chiunque altro muova i fili dell'universo, Taehyung non c'è stasera, perché oggi soltanto Jeongguk e la sua squadra fanno il turno di notte.
Sono già le due del mattino— il tempo passa in fretta quando il bellissimo stronzo non c'è, anche se a volte è un po' noioso senza di lui. Jeongguk non ha pane per i suoi denti quando non può godere della vista di Taehyung, o di quella di Seokjin. Non importa, la concentrazione resta la sua priorità, anche se scrivere rapporti non è poi così divertente. Per fortuna, trascorre la maggior parte del tempo sul campo e non dietro a un computer.
A proposito...
«Sei pronto per partire, Harv'?» chiede all'uomo, dopo aver finito il suo caffè.
«Pronto quando vuoi.» Harvey interrompe qualunque cosa stia facendo, poggiando alcune carte sulla sua scrivania. «Ho io le chiavi.»
Jeongguk annuisce e si alza in piedi. Afferra la sua giacca nera, se la infila e scrolla un po' le spalle. Controlla la cintura per sicurezza, rassicurandosi quando sente la sua arma sotto le dita. Dio benedica la sua Beretta 92FS.
Comunicano al loro sergente che stanno andando a fare un giro e poi si dirigono verso l'uscita. Fuori li aspetta la loro carrozza: un SUV Ford blu e bianco, con la scritta in maiuscolo della polizia. Jeongguk preferisce il suo SUV nero, ma anche questo non è male.
«Guidi tu?» chiede Harvey e, non appena Jeongguk alza la mano per confermare, il maggiore gli lancia le chiavi, che afferra a mezz'aria. Poi, apre l'auto, si siede dietro l'imponente volante e allaccia la cintura di sicurezza. Aspetta che Harvey faccia lo stesso e dà vita al motore. I fari fendono la notte buia.
«Le tre zone stasera, giusto?» chiede Jeongguk, giusto per sciogliere la lingua, perché conosce già la risposta. Humboldt Park, West Garfield Park e East Garfield Park.
«Esatto», conferma Harvey, accendendo la radio ricetrasmittente. «È passato un po' di tempo dalla nostra ultima pattuglia.»
«Puoi dirlo forte.»
In quanto detective, non pattugliano più così spesso, a meno che non sia necessario. Un agente era malato stasera e gli altri erano occupati, perciò i due investigatori si sono proposti di dare una mano. In tutta onestà, Jeongguk voleva solo prendere una boccata d'aria fresca, quindi ha colto al volo l'occasione.
In un pacifico silenzio, interrotto di tanto in tanto da qualche chiacchiera, Jeongguk guida verso East Garfield Park. La strada è sgombra di auto, eccetto il loro SUV; i marciapiedi sono privi di gente, tranne un paio di persone sospette, che scappano via non appena vedono la Ford— Jeongguk non li biasima per questo. Probabilmente alcuni di loro devono essere spacciatori di droga, ma ai due detective non importa di loro. Non sono la loro principale preoccupazione.
«Controlliamo il parco per ultimo», dice Harvey, e Jeongguk è d'accordo. Garfield Park si trova dentro East Garfield Park, ma guardando bene, è un po' nel mezzo delle tre zone, come il baricentro di un triangolo. Dopo aver girato per l'East Garfield per ben dieci minuti – escluso il parco, per il momento –, Jeongguk si dirige a Humboldt Park, la tana del grande e cattivo lupo solitario, alias il bellissimo stronzo, alias il detective Kim— quel maledetto imbecille. Starà dormendo in questo momento? Probabilmente. O forse sta guardando la TV come un insonne— no, probabilmente non ha nemmeno una TV.
Le strade sono più vivaci qui. Tante le luci accese e qualche bar ancora aperto, covo dei residenti, ma non solo. Le melodie portoricane penetrano attraverso i finestrini dell'auto, raggiungendo le orecchie dei detective e portando Jeongguk a tamburellare con le dita sul volante. Ci sono anche delle bandiere portoricane che sventolano dai balconi, e le persone al bar sembrano divertirsi, ballano davanti all'ingresso o semplicemente guardano gli altri ballare, con un caldo sorriso sulle labbra.
Come ci si sente a fare casino in un bar? A Jeongguk sembra di non andarci da un'eternità, anche se non è passato nemmeno così tanto tempo dall'ultima volta.
«Vorrei andarci anch'io», afferma Harvey, guardando nella stessa direzione di Jeongguk.
«Ci andremo presto, allora.»
«Puoi dirlo forte, amico.» I due uomini fanno pugno contro pugno e poi si concentrano di nuovo su ciò che stavano facendo. Stasera la vita fila liscio a Humboldt Park, il che è un po' strano, ma Jeongguk non si lamenta. Si sente un po' rigido e fisicamente stanco al momento e l'idea di inseguire un eventuale criminale non lo alletta come farebbe di solito.
Passano alcuni minuti. Tutto tranquillo.
«Riguardo a questo terribile omicidio...» inizia Harvey, guardando fuori dal finestrino. «Credi che l'assassino colpirà ancora?»
La lingua di Jeongguk fa capolino tra le labbra dischiuse. Il detective ci riflette su. Il suo punto di vista non è cambiato dall'ultima discussione avuta con Yoongi.
«Sì. Spero che non lo faccia, ma credo di sì. Sono già passate tre settimane, però, quindi magari è sparito dalla circolazione.»
Essendo un appassionato di questo genere di casi, Jeongguk sa che pensarla in questo modo è da ingenui, ma perché non fare un tentativo? Gli piacerebbe sbagliarsi per una volta.
Ma, allo stesso tempo, la sua logorante curiosità non vede l'ora di indagare su altri casi come questo.
«Beh, suppongo che lo scopriremo.»
Jeongguk suppone la stessa cosa. È una serata davvero tranquilla. Sorprendentemente. Chicago è una donna dalle tante sfaccettature, ma anche tanti stati d'animo. E stasera è rilassata— malgrado Jeongguk e la parola relax non figurino mai nella stessa frase.
«È strano.»
«Cosa?» risponde Jeongguk senza guardare Harvey, concentrato sulla strada. Sa cosa sta per dire.
«Questa calma. So che non pattugliamo da molto tempo, ma questi quartieri non possono essere cambiati così tanto da allora.»
«La ronda non è ancora finita.» Jeongguk inarca un sopracciglio. «Hai davvero tutta questa voglia di inseguire qualcuno?»
«Non proprio, ma ho una brutta sensazione.»
Ah, le sensazioni. Cose ingannevoli, sul serio.
Jeongguk annuisce pensieroso, dirigendosi verso West Garfield Park. Anche al buio riesce a distinguere la sporcizia che ricopre gran parte dei marciapiedi, ma anche tutti i terreni deserti, con l'erba alta e le case diroccate. Ancora una volta, probabilmente ci sono un paio spacciatori in giro, ma niente di interessante o veramente pericoloso. È una ronda noiosa. Forse i numeri di quest'anno saranno migliori di quelli degli anni scorsi— lui non c'era a quel tempo, ma i rapporti annuali esistono per un motivo.
Le mani di Jeongguk si irrigidiscono sul volante quando rallenta in prossimità di un punto in particolare.
Tre settimane fa, lì è stato trovato il corpo di Janice Doney.
Jeongguk ferma la macchina, guardando quel muro pietoso. La scritta REMEMBER? è quasi sbiadita, ma ancora leggibile. Dannazione, deve risolvere questo omicidio. Non accetterà una sconfitta.
Per il momento, non c'è nessuno nei dintorni. Nessuno sospetterebbe che tre settimane fa lì c'era un cadavere.
È stato davvero un omicidio atipico. Provocatorio. Forse il tipo più pericoloso.
Ad ogni modo, fissare la scena del crimine deserta non gli darà le risposte che cerca, perciò Jeongguk accelera. Nessuno ha bisogno del loro aiuto da queste parti, quindi arrivano rapidamente alla loro ultima destinazione.
Garfield Park incombe davanti a loro. Jeongguk ha fermato l'auto e spento il motore. I detective scendono in silenzio, interrotto solo dal rumore delle portiere dell'auto che sbattono.
Camminano verso una delle entrate, quando a un tratto Jeongguk si ferma sui suoi passi.
Qua si mette male.
Le sensazioni a volte ingannano, vero? Beh, cazzo, Jeongguk sente che c'è qualcosa non va. Bandiera rossa, più rossa di una dannata pozza di sangue.
Il suo battito accelera e gli prudono le dita; anche il suo corpo lo avverte.
«C'è qualcosa che non va», dice lentamente Jeongguk, lanciando un'occhiata ad Harvey. Il suo compagno non controbatte, perché lo percepisce anche lui.
Si fanno un cenno con il capo e ricominciano a camminare, cauti, illuminati per metà dai vecchi lampioni. Un solo brutto presentimento è un conto, ma addirittura due? Cristo santo.
Stanno per entrare nel parco, quando un grido li fa fermare ancora una volta, e poi correre più veloce che mai.
Adesso è il momento di sbrigarsi.
L'erba sembra scomparire sotto i loro piedi, mentre si precipitano verso la fonte di quel rumore. Jeongguk rallenta quando vede due sagome incappucciate in lontananza. Mette una mano sulla sua Beretta, pronto a tirarla fuori da un momento all'altro.
«Polizia! Non muovetevi!» avverte Jeongguk, non appena le due ombre si voltano nella loro direzione. Sente un "Merda!", prima di vedere le due sagome dividersi e fuggire a gambe levate.
«Tu vai a destra, adesso!» ordina a Harvey, che obbedisce all'istante.
E l'attimo dopo Jeongguk inizia a correre, le braccia veloci quanto le sue gambe. A ogni movimento sente il vento sferzare un po' più forte contro il viso, facendogli quasi inumidire gli occhi.
«Ho detto NON MUOVERTI!» grida Jeongguk contro l'uomo, che adesso ha perso il berretto. Oh, se lo prende... e lo prenderà.
Le sue gambe non erano pronte a tutto questo, sembrano fatte di piombo, cazzo. Ma Jeongguk non rallenta. Quello stupido idiota non gli sfuggirà. Quindi gli corre dietro senza sosta, dandogli la caccia come un segugio impazzito. Non sa nemmeno per quale cazzo di motivo l'uomo abbia iniziato a correre, ma può farsene un'idea. I poliziotti non hanno una buona reputazione da queste parti, com'è giusto che sia. Avrebbe paura anche lui, nei panni di quel ragazzo. Jeongguk non vuole sparare, perciò accelera il più possibile. La distanza tra loro inizia a farsi più breve e i movimenti di Jeongguk più veloci.
«Fermati!» grida di nuovo, ma naturalmente l'uomo non gli dà ascolto.
Molto bene.
Jeongguk si lascia andare a un forte ringhio, mentre corre ancora più forte, sentendo le gambe e le braccia bruciare come non mai. Il sospettato di Dio solo sa quale crimine si avvicina pericolosamente a una delle uscite. Il detective non ha altra scelta che spendere tutte le energie che gli restano per avventarsi sull'uomo e braccarlo con violenza. Entrambi rotolano a terra per qualche metro, trascinandosi su una collinetta e un prato umido misto a fango. Quando i loro corpi smettono di ruzzolare, Jeongguk inchioda l'uomo a terra.
«Quando ti dico di fermarti, tu ti fermi, cazzo!» sibila Jeongguk, il suo petto si alza e si abbassa a un ritmo folle. Sente il cuore dell'altro battere sotto il palmo della sua mano.
«Non siamo stati noi!» Gli occhi dell'uomo tremolano come fiammiferi accesi. «Amico, non siamo stati noi a fare quel casino!»
«Non sono tuo amico», lo corregge Jeongguk, mentre affonda il ginocchio sinistro nello stomaco dell'uomo e lo perquisisce. Niente armi.
«Scu-scusa», balbetta, senza fiato. Jeongguk allenta un po' la presa. Anche lui è dispiaciuto, ma è troppo su di giri per dirlo ad alta voce.
«Perché cazzo correvi?»
«Non hai visto quel macello?» I suoi occhi sono ancora tremolanti, ma adesso sono anche spalancati. «Una cazzo di follia. Porca troia.»
«Follia?» Jeongguk si acciglia. «Parla chiaro!»
«C'è un uomo morto! Merda, merda, merda!»
«Cosa?» Gli occhi di Jeongguk si spalancano a loro volta. Che diavolo sta succedendo?
Ma il silenzio non dura a lungo.
«Va bene, calmati.» Harvey come se la starà cavando? «Cosa ci facevi qui? Spacciavi?»
Il fuggitivo annuisce vigorosamente. «Solo questo, sì. Ti faccio vedere se vuoi.»
«Sì, sì. Verrai con me, ok? Non ho visto il corpo di cui parli, ma se stai dicendo la verità chiamerò rinforzi.» Jeongguk guarda fisso l'uomo, che lo sta ascoltando attentamente, proprio come vuole che faccia. «Non me ne frega un cazzo dell'erba, coca o altro. Non è compito mio, ma mi servi come testimone. Ti sta bene?»
L'uomo annuisce di nuovo, le sue palpebre adesso non tremolano più così tanto. «Chiaro.»
«Come ti chiami?»
«Ollie, signore.»
Sembra più giovane adesso che i suoi lineamenti si sono rilassati. «Va bene, Ollie. Prova a fare qualcosa di stupido e ti sparo. Chiaro?» Jeongguk sorride, e Ollie annuisce. Sì, a giudicare da come lo guarda, più che chiaro, dev'essere cristallino—anche se Jeongguk non gli avrebbe sparato davvero.
Il detective si alza in piedi e aiuta Ollie a fare lo stesso.
Lo spacciatore sembra davvero collaborativo. Non cerca di seminare Jeongguk, al contrario, lo segue passo passo, perciò decide di lasciarlo in pace.
«Che mi dici del tuo amico?»
«Non è mio amico, è solo un cliente abituale.»
«Capisco», dice Jeongguk, mentre si dirigono verso il posto in cui erano prima. Harvey avrà acciuffato il cliente?
«Ci incontriamo spesso lì», spiega Ollie, sentendosi a proprio agio adesso. «Nessuno viene qui di notte.»
«Nessuno tranne gli spacciatori e i cadaveri, a quanto pare.»
Ollie si schiarisce la voce, ma non osa aggiungere altro.
Due figure maschili emergono da una fila di alberi quando Jeongguk e Ollie giungono sul posto.
«Io ho il cliente e tu hai il rivenditore, giusto?» chiede Harvey. È in condizioni disgustose, fango sulle mani e sui vestiti, proprio come Jeongguk.
«Giusto.» Almeno quei due gli hanno raccontato la stessa versione dei fatti. «Allora, dov'è il corpo?» Jeongguk si è girato verso Ollie, che indica una zona nascosta dagli alberi.
Dannazione.
«Tieni d'occhio quei due, Harv'.» Il suo compagno annuisce e Jeongguk si avvicina alla zona con cautela, come se stesse per aprire il vaso di Pandora. C'è odore di morte. E anche una terribile puzza di bruciato. Jeongguk storce il naso mentre si avvicina, e poi...
Poi lo vede.
Oh, cazzo.
«Harvey!» alza immediatamente la voce. «Chiama i rinforzi. C'è un uomo morto.»
Dopo aver ricevuto conferma, il detective fa un cauto passo avanti e si sporge un po'. Non è affatto un bel vedere, e capisce subito perché puzzi maledettamente di bruciato.
Proprio davanti ai suoi occhi c'è quello che un tempo era un uomo, nudo a parte le mutande.
Un fioco raggio di luce proviene da un lampione, ma è comunque troppo buio per vederci bene, perciò Jeongguk tira fuori la sua piccola torcia— la porta sempre con sé quando esce di notte. Non è così impaziente di vedere i dettagli, ma qualcuno deve pur farlo. Così punta la torcia sul cadavere.
Dannazione, di nuovo.
Prima di tutto, la gola dell'uomo è stata tagliata con una lama o qualcosa del genere. La ferita è pulita— ma diavolo, è l'unica cosa pulita. Il resto del corpo è stato martoriato, probabilmente con un attizzatoio, suppone Jeongguk. Metà della testa presenta solo ciocche di capelli carbonizzate e segni di bruciature. Ci sono segni simili praticamente ovunque: guance, spalle, pancia, mani e persino sui piedi, ma non è quasi niente in confronto all'orrore che si staglia sul petto dell'uomo.
C'è scritto REMEMBER? con pezzi di carne bruciata.
Jeongguk sente le viscere contrarsi e ribaltarsi, mentre una bile acida gli risale in gola. Sa che non vomiterà, ma ci va così maledettamente vicino che alla fine è come se lo avesse fatto. La vista di quel massacro è un conto, ma ciò che significa ne è un altro. I ricordi di Jeongguk adesso sono più nitidi e...
No, no, no. Impossibile.
Eppure.
Voleva essere coinvolto nel caso, no?
Beh, cazzo, ci è riuscito. Perché adesso ricorda anche lui.
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