𝚅𝙸𝙸
Il mondo è imprevedibile. Le cose avvengono all'improvviso, inaspettate. Vogliamo credere di avere il controllo della nostra esistenza. Per certi versi è vero, per altri no. Siamo governati dalla forza delle probabilità e delle coincidenze.
Paul Auster
𝙲𝙰𝙿𝙸𝚃𝙾𝙻𝙾 𝚅𝙸𝙸
Che. Figlio. Di. Puttana.
Sono le undici del mattino e Taehyung ha già mal di testa. Jeon è una cazzo di emicrania ambulante. L'ha visto per un minuto al massimo, ma è bastato per infastidirlo. Nessuno lo infastidisce come Jeongguk.
Immagina far parte di una stazione da anni e, un giorno, uno stronzo osa chiederti se ti sei perso. Nella tua fottuta stazione. La tua. Con un sorriso insopportabile stampato in faccia— un sorriso che Taehyung sta morendo dalla voglia di cancellare dalla faccia della terra.
Ma non adesso. Ha detto che Jeon non gli avrebbe rovinato la giornata, e diceva sul serio. Oggi è un giorno speciale, non può rovinarglielo. Non ci riuscirà.
Una volta fuori, Taehyung inspira a pieni polmoni, lasciandosi alle spalle tutte le sensazioni negative. Sarà una bella giornata, non può essere altrimenti. Sa che i giorni difficili sono dietro l'angolo, quindi deve godersi questa domenica e dimenticarsi di quel riccone idiota. Dimenticarsi di tutto. Il detective stringe la presa sulla piccola scatola nascosta nella sua mano sinistra, tira fuori le chiavi dalla tasca e apre la portiera del conducente della sua fedele Ford Pinto del 1975. Un autentico capolavoro. Sale in macchina e poggia la scatola sul sedile del passeggero. Come ha fatto a dimenticare la custodia nel cassetto della scrivania?
Taehyung mette in moto la bestia, sorridendo al rombo che produce. Non è il motore di una Porsche, ma gli piace quel suono. Taehyung è un uomo semplice, non gli importa del lusso. Non ha nemmeno abbastanza soldi per preoccuparsene, a dire il vero, e considerato quanto detesti Jeongguk è meglio così. Non riesce a immaginare di diventare un coglione come lui.
Fanculo, sta ancora pensando a lui. Deve toglierselo dalla testa. Tipo adesso. Chiude gli occhi per qualche secondo, cercando di svuotare la mente, e poi esce dal parcheggio.
È una di quelle giornate grigie. Il sole è timido, al contrario delle nuvole, ma non piove, anche se l'aria è umida. C'è una nebbia sottile, che costringe Taehyung a concentrarsi sulla strada più del solito. Sarebbe un vero peccato non arrivare a destinazione.
Dopo un bel po' di tempo nel traffico, Taehyung riesce a entrare nella zona più antica di Chicago, il Near North Side, un'area comunitaria composta da quartieri interessanti, molto spesso storici. La circolazione qui è più intensa, ma a Taehyung non dispiace aspettare un po' per strada, anche se è elettrizzato da morire e continua a tamburellare le dita sul volante. A un certo punto raggiunge il centro storico, la sua arcata caratteristica fa capolino lungo la strada sulla destra. È un quartiere piacevole, un bel posto in cui vivere e lontano da Humboldt Park, dove vive Taehyung. Beh, geograficamente non sono molto lontani, ma sono due mondi completamente diversi. La differenza era ancora più evidente quando il detective viveva a West Garfield Park. È felice che almeno il suo amico sia riuscito ad andarsene da quel posto di merda.
Non fraintendetelo, a Taehyung tutto sommato piacciono le sue zone, ma gli piacciono proprio perché non conosce altro, probabilmente. E gli va bene così, è un uomo dai gusti semplici, davvero.
E comunque, lavora in quella zona di Chicago, quindi vivere lì non è così male. Non è il tipo da nascondersi nel Loop come Jeongguk.
Ah, merda, è vero. Niente Jeongguk. Assolutamente no.
Sospira, esasperato dai suoi pensieri inconsci. Perché è così difficile togliersi Jeon dalla testa? Taehyung stringe la mascella più forte di quanto vorrebbe, ma va bene. Va tutto bene. Guida piano, alla ricerca di un posto libero, e si affretta quando ne vede uno, parcheggiando con cautela lungo il marciapiede. Taehyung spegne il motore, afferra la scatolina per mettersela in tasca e poi esce dall'auto. La chiude a chiave ed espira, strofinando le mani sul cappotto di lana.
Poi gira intorno alla Ford e si dirige verso la recinzione nera che circonda il prato davanti alla casa. Tutto è ben tenuto, come sempre, e Taehyung sorride a quella vista. Non gli interessa particolarmente avere una bella casa con un bel giardino, ma non lo trova nemmeno così sgradevole— e ciò che lo attende all'interno è ancora meglio. Il detective apre il portoncino, mai chiuso, e sale le poche scale che lo separano dall'imponente casa. Dopodiché si schiarisce la voce e bussa tre volte alla porta, aspettando che la persona migliore del mondo venga ad aprire.
Non deve aspettare a lungo e, non appena la porta si apre, Taehyung si precipita all'interno, abbracciando qualcuno talmente forte che i piedi di quella persona si sollevano da terra e le sue gambe circondano il bacino di Taehyung, quasi di riflesso.
«Buon compleanno, Chim!» esclama Taehyung, con voce meno profonda del solito. Stringe le braccia intorno a Jimin e cammina lungo il corridoio, senza preoccuparsi della porta aperta alle sue spalle.
«Non l'hai dimenticato.» Le risate di Jimin riempiono l'ingresso, riecheggiando da una parete all'altra.
«Non l'ho mai fatto, idiota.»
La testa di Jimin ciondola all'indietro mentre ride, i capelli biondi ondeggiano, e Taehyung ne approfitta per strofinare il naso contro il suo collo. È una sua vecchia abitudine, quando si tratta di Jimin.
«Giusto.» Jimin si raddrizza un po', le sue mani giocano con alcune ciocche di capelli, cosa che fa sorridere ancora di più Taehyung. «Ma hai dimenticato di chiudere la porta.»
Un tenero brontolio sfugge alle labbra di Taehyung, mentre sfiora ancora una volta il suo collo con il naso. «Non voglio lasciarti andare.» Oggi è in modalità Taehyung appiccicoso.
«Taehyungie, mettimi giù.» Jimin ridacchia e gli bacia la fronte. «Solo per un secondo. Fa un freddo terribile qui.»
Il detective aggrotta le sopracciglia, esaminando il volto di Jimin. «Mhm, un secondo allora.» Lo mette giù con cautela e Jimin si precipita verso la porta, chiudendola a chiave. Poi, torna velocemente da Taehyung e gli salta sulla schiena.
«Hop hop!»
Taehyung annuisce, le labbra ancora incurvate in un sorriso sciocco. Vedete, solo Jimin riesce a renderlo così stupidamente felice. È sempre stato così.
Taehyung trasporta volentieri Jimin per tutta la casa, tenendo le mani sotto le sue cosce. Quando arrivano in salotto, i suoi occhi vagano per tutta la stanza, anche se la conosce a memoria. Sono sempre gli stessi mobili in legno, le stesse lampade dai toni caldi, lo stesso profumo per ambienti che fluttua nell'aria. A Taehyung non dispiace, perché è un odore leggero e non opprimente. È ancora più gradevole quando si mescola con la fragranza di Jimin, un lieve sentore di vaniglia. Manca solo un particolare, e Taehyung se ne compiace più di quanto voglia ammettere.
«Il tuo salotto è più accogliente quando lui non c'è.» Taehyung mette lentamente giù Jimin. «Perché non c'è, giusto?»
Il maggiore, anche se solo di qualche mese, dà una lieve spallata al detective. Un broncio si fa strada sulle labbra di Jimin, quando risponde: «Sei tu quello che non è accogliente qui, scemo.»
«Non so di cosa stai parlando.» Taehyung stiracchia il braccio sinistro, un po' indolenzito. «Allora, Namjoon è qui o no?»
Jimin sospira. «Non c'è. È al lavoro, tornerà stanotte, credo.» Improvvisamente, l'espressione sul suo volto gli suggerisce che si è reso conto di qualcosa. «A proposito di lavoro...»
«No no no», Taehyung cerca di evitare l'argomento. «Niente lavoro oggi, a meno che tu non voglia parlare di quello di Namjoon.»
«No, del tuo.» Jimin si avvicina pericolosamente a lui. «Ti sei dimenticato di dirmi qualcosa, non è vero?»
«Non credo», mente Taehyung, anche se sa che non se la caverà con così poco.
«Oh, quindi non hai trovato un cadavere due giorni fa?»
«Questo è praticamente il mio lavoro. E anche il tuo.»
«Taehyungie.» Jimin appoggia i polsi sulle spalle del detective. «È il mio compleanno, non farmi innervosire.» Poi sorride, inclinando la testa da un lato, e sembra più angelico di quanto in realtà non sia in questo momento.
«E va bene», Taehyung si ritrae, sapendo che non vincerà quella scaramuccia. «Come l'hai scoperto?»
«Chicago è chiacchierona, lo sai.»
«Ma tu non lo sei, giusto? Non l'hai detto al tuo adorabile coinquilino?»
«Joon non lo sa e non glielo dirò.» Sta ancora sorridendo. «Ma sai che è un bravo giornalista.»
«Più che altro so quanto è cocciuto», borbotta Taehyung. «Comincerà a tormentarmi non appena verrà a saperlo. Più tardi è meglio è.»
Jimin alza gli occhi al cielo, le braccia ancora poggiate sulle spalle Taehyung. «Non ti ha mai tormentato.»
«Dai Chim, è un giornalista.» Taehyung inarca le sopracciglia. «Quegli stronzi conoscono bene l'arte di tormentare la gente, soprattutto i poliziotti.»
«Questa è una calunnia.» Jimin prende una ciocca dei capelli di Taehyung e se la arrotola intorno all'indice. «È vero? Quello che ho sentito.»
«Dimmi prima di cosa si tratta.»
«Hai trovato il corpo di una donna a West Garfield, con le mani mozzate.» Jimin sta ancora giocando con i capelli di Taehyung, ma allo stesso tempo lo guarda negli occhi. «C'era una strana... firma?»
Taehyung annuisce. «Remember, scritto con il sangue e in maiuscolo. Con un punto interrogativo.» Di solito non condivide informazioni sul suo lavoro, ma non gli importa quando si tratta di Jimin. L'ufficiale di polizia verrà a sapere tutto da qualcun altro in ogni caso. Come ha detto Jimin, Chicago è una maledetta chiacchierona, soprattutto quando si tratta di cose sordide. Ci sono numerosi distretti e diverse stazioni, quindi dire che si conoscono tutti sarebbe un'esagerazione, ma i collegamenti tra persone esistono eccome. E il legame tra Taehyung e Jimin lo dimostra.
«Remember... Ricordare che cosa?» Le sopracciglia di Jimin si incontrano nel mezzo della sua fronte in una piccola ruga.
«Sono abbastanza sicuro che sia collegato a me. Ricordi il mio primo omicidio da detective?»
«Fammi pensare...» Jimin socchiude gli occhi. «Non è quello commesso dall'uomo che è morto poche settimane fa? Quello che chiamavi il fidanzato pazzo.»
«Allora ti ricordi.»
«Era troppo folle per essere dimenticato e i media non hanno aiutato.»
«Non aiutano mai. Grazie a Dio, Namjoon non c'era al tempo.»
«Idiota.» Jimin soffia leggermente sul viso di Taehyung. «Stesso modus operandi?»
«Mani mozzate vicino ai polsi, corpo femminile seminudo e ioide spezzato, come nell'altro omicidio, ma ci sono un paio di incongruenze. Questo omicidio è stato premeditato, di sicuro. L'assassino non ha agito sul posto. Credo che abbia inscenato tutto. La firma è la chiave. Ho come la sensazione che, senza di essa, l'omicidio sarebbe stato inutile, capisci? Era importante tanto quanto uccidere. Sono abbastanza sicuro di questo.»
Jimin accarezza la nuca di Taehyung, stringendola delicatamente. «Sono abbastanza preoccupato, Koda.»
Taehyung non può fare a meno di sorridere quando lo sente pronunciare uno dei suoi vecchi soprannomi. Per la maggior parte delle persone, Taehyung è un lupo, un lupo solitario, soprattutto al lavoro, ma per Jimin è sempre stato un orsetto. La loro amicizia era già consolidata nel 2003, quando uscì il cartone animato. Taehyung è sempre stato il fratello minore di Jimin, anche se è solo un pelo più piccolo di lui. Sono come due orsi che si proteggono a vicenda, tutto qua. Sono sempre stati loro due contro il mondo intero e lo saranno sempre, qualunque cosa accada.
«Chicago non conosce coincidenze», dice Taehyung, perdendosi negli occhi di Jimin. «Significa che l'assassino sapeva cosa stava facendo. Devo solo scoprire perché.»
«So che ci riuscirai.» La mano di Jimin percorre il collo di Taehyung e raggiunge le sue guance, accarezzandone una con il pollice. «Non c'è detective migliore di te a Chicago.»
Taehyung gli rivolge un caldo sorriso. Si sente a casa con Jimin. È sempre stato la sua colonna portante. Da sempre. «Non parliamo di lavoro oggi. Non quando il mio migliore amico compie ventisette anni.»
«Va bene.» Jimin arruffa i capelli di Taehyung, facendolo brontolare un po'. Ma non è neppure vero brontolio, solo un'imitazione. «Spero che tu abbia preparato qualcosa di speciale.»
«Ah, funziona così adesso?» Taehyung inarca un sopracciglio, divertito. «Vuoi le sorprese?»
«Sto scherzando.» Jimin scuote la testa e la sua adorabile risata riempie la stanza.
«Solito rituale?»
«Solito rituale, Chim.»
È un vecchio rituale. Taehyung non riesce nemmeno a ricordare quando sia iniziato veramente. Ciò che sa, tuttavia, è il motivo per cui è iniziato. Lui e Jimin vivevano entrambi a West Garfield Park al tempo e avevano quindici o sedici anni. Diciamo quindici, Jimin ne compì sedici quella notte. La vita era dura allora. Davvero dura. Volevano solo uscire dalla loro prigione, si sentivano intrappolati in quel quartiere. Le loro famiglie erano in difficoltà, e lo erano anche loro— ma almeno il padre di Taehyung era ancora vivo. Un po' gli mancano quei tempi duri, e non perché fossero difficili, ma perché suo padre li rendeva sopportabili. Taehyung l'ha capito troppo tardi, ovviamente... è sempre così. Non poteva sapere che una delle figure più importanti della sua vita sarebbe scomparsa di lì a poco. Ad ogni modo, Jimin e Taehyung volevano evadere per un po' dalla loro realtà. Poco dopo la mezzanotte, attraversarono Chicago, passeggiando nelle zone più ricche della città, meno esposte ai crimini— o perlomeno non così terribili. Era notte meravigliosa, sfoggiava un cielo pieno di stelle; era una di quelle notti serene, di quelle che ti fanno sentire invincibile, in pace con te stesso. È solo un'impressione, una breve illusione, ma è comunque piacevole.
Taehyung e Jimin si erano sentiti vivi quella notte. Erano insieme, fuori dal loro buco di merda, a respirare aria nuova. Odorava più di cibo appetitoso che di sangue e li faceva sentire bene. Non erano ingenui, sapevano che anche le zone più luminose hanno il loro lato oscuro, ma non poteva comunque fare più schifo della loro vita di tutti i giorni. Lì si sentivano al sicuro. Dopo aver vagabondato per un po', si avvicinarono il più possibile al faro del porto. Era come un puntino luminoso nell'oscurità, anche se c'erano luci quasi ovunque, perché Chicago, si sa, non dorme mai. Non potevano astenersi dall'andarci, li attirava. Così si fermarono davanti al faro e rimasero vicino all'acqua per un po', guardandola infrangersi contro il muro di cemento sotto i loro piedi. Parlavano sommessamente, quasi sussurravano. Chiacchierare di tutto e di niente era una delle loro abitudini. Lo è ancora oggi.
Da quella posizione riuscivano a vedere il Navy Pier, ma a quell'ora era chiuso, perciò rimasero lì dov'erano, ripromettendosi di visitare il molo di giorno, se ne avessero avuto l'occasione.
Da allora è diventato il loro rituale. Non importava cosa facessero durante il giorno del compleanno di Jimin, sarebbero sempre ritornati al Navy Pier o al faro di Harbor. Sempre. Così, per l'ennesimo anno, questo è il loro piano per stasera.
Dopo aver pranzato in uno dei loro ristoranti preferiti, i due hanno passato la giornata in giro, godendosi la reciproca presenza.
Ora il sole è tramontato e ha lasciato il posto alla luna. Non è ancora tarda sera, ma l'inverno sta arrivando, per cui fa buio prima. A Taehyung è sempre piaciuta l'oscurità, è più facile nascondersi quando ti circonda: ti avvolge, ti inghiotte. L'oscurità è confortante.
«Grazie, signora. Buona serata», dice Jimin alla proprietaria del chiosco degli hot dog, mentre agguanta il suo Red Hot. Taehyung ha già comprato il suo: non puoi venire a Chicago senza mangiarne almeno uno.
«Al molo?» chiede Taehyung quando riprendono a camminare.
«Al molo.»
Ci mettono solo cinque minuti per raggiungere il luogo fatidico, ancora aperto. Ci sono luci al neon ovunque e la melodia delle giostre riempie l'aria, proprio come l'odore invitante di caramelle di ogni tipo. A Taehyung non piacciono i luoghi rumorosi che mettono agitazione, ma il molo gli piace. Questo posto è pieno di bei ricordi, e Taehyung custodisce i ricordi. Tutto si può cancellare, tranne un ricordo. È come una capsula di sentimenti congelati in un attimo e, paradossalmente, del tutto fuori dal tempo. Il tempo può influenzare un ricordo, persino modificarlo, ma non cancellarlo. Non sarebbe umano. Tutti devono tenere traccia del passato, anche se a volte è difficile. E Taehyung lo sa bene, cazzo.
«Andiamo fino in fondo?» chiede Jimin, e Taehyung annuisce. Ci vanno sempre.
Taehyung guarda verso l'alto mentre cammina, ammirando la Centennial Wheel. Non la vede così spesso, abituato ad altri tipi di attrazione. Non ha bisogno di salire su una giostra del genere, il brivido fa già parte della sua vita di tutti i giorni, ma è comunque bellissima.
Ci sono molti turisti, come sempre, il che significa un sacco di rumori. Le persone vanno in giro con cibo o borse della spesa in mano, rendendo difficile per Taehyung vedere in lontananza.
I due ragazzi deviano leggermente dal tratto principale, seguendo il bordo del molo protetto dalle sbarre. Camminano tranquilli, ognuno addentando il proprio hot dog tra una conversazione e l'altra.
Quando raggiungono la fine del molo, il cibo è scomparso. Taehyung si siede sullo schienale di una panchina, imitato subito da Jimin, con il lago Michigan che si estende a perdita d'occhio davanti a loro.
«Ho dimenticato di dirti una cosa, Chim.»
Jimin si volta appena, pronto ad ascoltare qualunque cosa il detective abbia da dire.
«Si tratta di Seokjin.»
«Si tratta sempre di Seokjin», non può fare a meno di commentare Jimin, alzando gli occhi al cielo.
«Sì, beh, non solo lui», sospira Taehyung. Oggi non avrebbe dovuto pensare a quei due coglioni, ma deve informarlo, altrimenti Jimin avrà da ridire. «Ha chiamato quel bastardo di Jeon non appena siamo arrivati.»
«Sulla scena del crimine?»
«Sì. Non è nemmeno nella nostra squadra.»
«Lo so.» Jimin schiocca le dita. «Forse stanno scopando.»
Taehyung aggrotta la fronte e gli dà una gomitata. «Idiota. Di sicuro Jeon non è top.» Beh, che sia vero o no non ha molta importanza, l'ha detto tanto per dire. Chiamatelo pure stupido orgoglio.
«Ne sei sicuro?» lo punzecchia Jimin, le sue labbra si piegano in un sorrisetto malizioso.
«Perché, te lo sei scopato?» chiede Taehyung con il suo solito tono tagliente e sarcastico, facendo ridere Jimin.
«Oh, non essere stupido, è tutto tuo.»
«Non è lui che mi voglio scopare.»
«Non mentivo quando ho detto che si tratta sempre di Seokjin.»
«E se parlassi di te?» Taehyung si sporge un po' in avanti, con un sopracciglio alzato e le mani poggiate sulle ginocchia.
«Allora fai pure», scherza Jimin, fissando Taehyung con occhi scintillanti.
«Perché non ci ho pensato prima?»
Jimin fa spallucce, con i palmi delle mani rivolti verso il cielo, e Taehyung si concede di ridere dopo aver cercato di non farlo per un po'. Ci ha già pensato centinaia di volte, e Jimin lo sa. Non è ancora successo niente tra loro, ma chi vivrà vedrà, giusto? Sarebbe... divertente. Interessante.
Taehyung scuote la testa, continuando a ridere, prima di mettere un braccio intorno alle spalle di Jimin e far poggiare la testa del maggiore su di lui. Con la mano sinistra libera, Taehyung tira fuori una scatolina dalla tasca del cappotto.
«Di nuovo buon compleanno, Chim», dice Taehyung, porgendo il portagioielli a Jimin. Quest'ultimo si raddrizza lentamente, facendo un ampio sorriso. I suoi occhi sono a malapena aperti, rimpiccioliti dagli zigomi.
«Piccola volpe astuta!» Jimin ridacchia, afferrando delicatamente la scatola.
«Non sono più il lupo cattivo? O un orso?»
«Stasera sei la mia piccola volpe», afferma Jimin. Accarezza la scatola con il pollice, facendo diventare Taehyung più impaziente del solito.
«Lo aprirai prima o poi?» Taehyung stringe leggermente la spalla di Jimin.
«Va bene.» Il biondo finalmente apre la scatola e, che ci crediate o no, il suo sorriso diventa ancora più grande quando scopre cosa c'è dentro. Non è niente di che, ma sembra piacergli più del previsto, e questo è tutto ciò che conta. «È bellissima.» Jimin è entusiasta quando prende in mano la sottile collanina, le maglie d'argento che indugiano sulle sue dita. «Molto elegante.»
«Proprio come te.»
Jimin ride di nuovo e raddrizza un po' la schiena per allacciarsi il gioiello al collo. Gli sta molto bene, Taehyung ha sicuramente fatto una buona scelta.
«Grazie, Taehyungie.»
E per tutta risposta, il detective si sporge per baciargli la fronte.
«Finalmente, eccoti qui!»
«Buongiorno anche a te, Leroy», dice Taehyung, accomodandosi sulla sedia dietro la scrivania. Ci appoggia sopra la sua tazza di tè e lascia la sua valigetta di pelle sul pavimento.
L'agente di polizia raggiunge in due falcate la scrivania di Taehyung e poi si appoggia su di essa, praticamente sedendocisi sopra. «Buone notizie.»
«Hai deciso di lasciare l'undicesimo distretto?» chiede Taehyung, sorseggiando il suo tè. Gli brucia la gola e lo stomaco, ma gli piace così. Un tè tiepido non è un granché.
«Scommetto che mostrarti gentile per due minuti ti ucciderebbe, non è vero?»
«Scommetti bene, ragazzino.» Taehyung non è davvero arrabbiato, niente del genere. Semmai, sta cercando di nascondere il sorriso che fa capolino sulle sue labbra.
«Quindi immagino che tu non voglia leggere il referto dell'autopsia?» suppone innocentemente Leroy, fingendo di andar via.
«Il referto dell'autopsia?» Taehyung ripone la sua tazza sulla scrivania, circondandola con entrambe le mani. «Una sola settimana dopo l'omicidio? Che miracolo.» Un altro sorso. «Fammi vedere.»
Le labbra di Leroy si distendono in un sorriso vittorioso. «Prego, detective Kim.»
Taehyung alza gli occhi al cielo e prende il referto, mentre l'altra mano stringe ancora la tazza. Lo apre sotto l'occhio vigile di Leroy. Non vede niente di nuovo sulla prima pagina: Janice Doney, 45 anni, bianca, un metro e sessantotto. Taehyung volta pagina, leggendo attentamente. La causa della morte è lo ioide fratturato, come previsto, e i colpi sono stati assestati ante mortem. È scritto in modo più complicato, ma in poche parole l'assassino ha ucciso Janice altrove e ha portato il suo corpo a West Garfield Park per mettere in scena il tutto. Il rigor mortis è completo e la donna è stata uccisa intorno all'una di notte. Janice non era malata o che altro, non era ubriaca o drogata. Per quanto riguarda le mani, anche queste sono state tranciate prima della morte, probabilmente con un'ascia. Infine, nessun segno di violenza sessuale.
«Ci sono anche le informazioni del laboratorio.»
Taehyung annuisce e continua a leggere. In breve, la firma sul muro era davvero stata scritta con il sangue di Janice, certamente conservato altrove, forse in un barattolo o qualcosa del genere? Dio, che scempio. Sono state trovate alcune fibre di un pennello, ma nessuna prova schiacciante. Ancora una volta non è stato trovato alcun liquido, se non il sangue della vittima. Niente impronte di mani o piedi, ovviamente.
«Mh, non è di grande aiuto», afferma Taehyung, restituendogli il referto.
«Non in termini di prove, ma rivela un paio di cose.»
«Impari in fretta.» Taehyung si massaggia il mento. «Penso che abbiamo a che fare con un sadico organizzato. Cristo, sono i peggiori.»
«O uno psicopatico fortunato», propone Leroy.
«Uno psicopatico che ha fatto le sue ricerche, allora.» Taehyung sospira. «È strano da morire, Leroy.»
«Sì, l'avevo intuito.»
Taehyung non può fare a meno di alzare gli occhi al cielo ancora una volta. «Lo terrò per un po'. Grazie, teppistello.»
Ricevuto il messaggio, Leroy annuisce e torna alla sua scrivania, non lontano da quella di Taehyung.
Il detective tira fuori dalla valigetta il suo taccuino e la matita nera, mettendoli davanti a sé. Lo apre, sfoglia alcune pagine e poi scrive la data: venerdì 18 ottobre. Scarabocchia le informazioni principali che ha appena appreso, sorseggiando di tanto in tanto il suo tè. Sarebbe un peccato sprecare quel sacro nettare.
Beh, almeno Jeon non c'è stamattina.
22 ottobre 2018.
Era lunedì, un fottuto giorno di pioggia. Non fraintendetelo, a Taehyung piace il rumore della pioggia che s'infrange sul vetro di una finestra, ma quel giorno non si trovava in un edificio. Non erano al chiuso, anche se avrebbero dovuto esserlo. Fanculo, avrebbero dovuto esserlo.
Ma non lo erano, e questo aveva rovinato la giornata di Taehyung. Aveva rovinato il suo fottuto lunedì e il suo maledetto anno. Aveva rovinato una parte della sua vita e la vita intera di qualcun altro.
«Amavi la pioggia. La amo ancora anch'io, ma detesto i lunedì.» Taehyung si sdraia sull'erba, una gamba piegata. Il cielo è nero come l'inferno, non ci sono stelle. «A chi cazzo piace il lunedì, comunque?» Taehyung sbuffa attraverso il naso. «Scommetto che piace a Jeon. Non ti sarebbe piaciuto. È esattamente il tipo di persona che odiavi. Seokjin pensa di poterti sostituire, ma è impossibile.» Taehyung fa schioccare la lingua. «Ho un solo partner, e sei tu Amber. Viva o morta, sei tu. Solo che... avrei preferito viva.»
Segue un lungo silenzio. Non c'è nessuno in giro, perché sono circa le due del mattino. È lo stesso cimitero di sempre; le stesse due tombe, ma Taehyung non le visita mai nello stesso giorno. Sarebbe troppo doloroso. Non riuscirebbe a sopportarlo.
«È passato un anno, cazzo, ci credi?» Taehyung si porta una mano dietro la testa. «Oh, Amber, è stato un anno di sofferenza.» Il detective chiude gli occhi per un attimo. È stanco da morire. «Beh, ci sono stati dei giorni buoni, ma nessuno bello come quelli passati con te. Mai. E tu eri sempre lì, da qualche parte nei miei pensieri, ma alla fine non c'eri mai veramente. Ci sono stati giorni migliori di altri, soprattutto quando andava tutto bene con Seokjin.» Dalle sue labbra sfugge un verso amaro, a malapena una risata. «Ma a un certo punto tra noi è finita. Mi conosci, non lascerei mai che una relazione mi facesse a pezzi, ma è comunque difficile. Perché non sono a pezzi, giusto? Sono soltanto un po' ferito, tutto qui. Comunque...» Taehyung stringe la mascella. Perché sta parlando di queste cose? Potrebbe raccontarle a Jimin ogni volta che vuole, ma lui se ne sta qui, a parlare con una cazzo di tomba. Sarebbe comunque lì, soprattutto un anno dopo l'accaduto, ma è comunque un po' strano. Forse è semplicemente strano di natura.
C'è un altro silenzio. Più lungo questa volta, più pesante. Presto diventa opprimente, tanto che Taehyung inizia a respirare a fatica. Non è un tipo particolarmente ansioso, ma l'aria intorno a lui sembra farsi sempre più densa, stringendogli la gola e i polmoni.
Dove cazzo è finito l'ossigeno?
Il detective chiude gli occhi, cercando di schiarirsi prima i pensieri e poi i polmoni. Inspira ed espira più lentamente che può, dentro e fuori. Dentro e fuori.
Dopo pochi minuti che sembrano ore, Taehyung riesce a ritrovare la calma. Che diavolo gli succede?
Fa un profondo sospiro, distende la gamba piegata e poi piega l'altra.
«So che la vita è così», continua, «ma perché continuo a perdere le persone che amo di più? Dovrei smetterla di amare? Dovrei semplicemente odiare chiunque o essergli indifferente? Forse sta proprio qui la risposta.» Taehyung si rilassa un po', rievocando ricordi felici. «In questo momento mi uccideresti se potessi, non è vero? Eri tu quella ottimista, dopotutto.»
Taehyung lascia passare ancora qualche minuto, prima di alzarsi in piedi. «Ti porterò dei crisantemi la prossima volta.»
Un sorriso amaro gli storce le labbra, mentre le sue dita indugiano sulla lapide.
«Non so dove sei adesso, ma spero che tu stia bene. O forse avevi ragione tu, non c'è niente dopo la morte e stai solo marcendo tre metri sottoterra. Ad ogni modo...» Accarezza di nuovo la tomba, guardando con aria afflitta l'epigrafe. Amber Ellis. L'unica e sola, cazzo.
«Mi manchi e ti voglio bene. Per sempre.» Un ultimo silenzio, un ultimo sguardo. «Ci vediamo presto, Amb'.»
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