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Tutte le verità sono facili da capire una volta che sono state rivelate. Il difficile è scoprirle.
Galileo Galilei
𝙲𝙰𝙿𝙸𝚃𝙾𝙻𝙾 𝙸𝙸
Come un orologio svizzero, Jeongguk riemerge dal mondo dei sogni prima che suoni la sua sveglia di riserva, anche se è tornato a casa tardi la scorsa notte.
Ama essere in anticipo sui tempi.
Ama svegliarsi quando gli altri si sono appena addormentati.
Quando il cielo è scuro e la città tace.
Ebbene, Chicago non dorme mai per davvero, ma il Loop è molto più tranquillo alle 4:30 del mattino.
A quest'ora, i suoi riflessi incondizionati agiscono al posto suo. A torso nudo nonostante il freddo pungente di ottobre, si dirige in bagno e ne esce dieci minuti dopo, svuotato e rinfrescato. Con un asciugamano sottile intorno alla vita, attraversa il soggiorno, a piedi nudi sul marmo scuro, prima di entrare nella sua cabina-armadio. Le luci calde lasciano intravedere diverse file di vestiti e scaffali. Ci sono abiti a sinistra, scarpe al centro, camicie a destra e diversi tipi di cravatte sul muro. Tutto sembra piuttosto simile, ma ogni pezzo è unico. I principali elementi in comune sono i colori scuri e il prezzo, ma Jeongguk può facilmente permetterselo. Possiede anche dei capi colorati, ma da sempre preferisce il nero. Eleganza e sobrietà, nient'altro.
Tuttavia, il suo outfit del primo mattino è diverso. Chi si allenerebbe in completo elegante? Come al solito a quest'ora del giorno, si dirige in fondo alla stanza e apre la porta che conduce a un altro armadio, più piccolo. Poi, dopo aver lanciato una rapida occhiata intorno a sé, sceglie una felpa col cappuccio e una tuta. Un classico.
Dopodiché, la sua routine continua. Fa una colazione leggera mentre ascolta un podcast, si lava i denti, controlla tutte le stanze, indossa le sue Nike, prende la borsa e chiude la porta tre volte, giusto per stare tranquillo. Solo a quel punto è pronto per partire.
«Di nuovo!» Nessuna alternativa, se lo dice l'allenatore. Col fiato corto dopo tutti i circuiti di sled push seguiti da altrettanti pull-up che ha eseguito, Jeongguk ritorna docilmente alla pesante slitta pesi. Sebbene i suoi muscoli doloranti lo implorino di fermarsi, non gli dà ascolto. Il dolore non lo fermerebbe neppure nel bel mezzo di una rissa o di un inseguimento, quindi perché mai dovrebbe farlo adesso?
Va avanti, grondante di sudore, ma motivato dalla musica ad alto volume che risuona dagli altoparlanti della palestra.
«Bene», dice alla fine l'allenatore, mentre Jeongguk realizza il suo ultimo pull-up. «Cinque minuti di pausa e poi andiamo sul ring.»
Jeongguk annuisce mentre svita il tappo della bottiglia, smanioso di lottare malgrado lo faccia da anni. La boxe è una dipendenza. Non può vivere senza e non riesce neppure a immaginarlo. Questo sport lo aiuta ogni volta che il lavoro gli opprime il cervello— e Dio solo sa che succede sempre. Ma a volte...
«Va bene, indossa i guantoni, ragazzo.»
Annuisce di nuovo, pronto a tirarli fuori dal borsone, ma poi vede una notifica illuminarsi sullo schermo del cellulare.
Ho bisogno di te. Vieni il prima possibile.
Aggrotta le sopracciglia. Così presto? Un altro messaggio, un luogo. Sta per chiedere al suo interlocutore cosa significhi, ma l'allenatore lo precede.
«I guantoni, ora.»
«Scusa, non posso», riesce a dire Jeongguk, con gli occhi ancora fissi sullo schermo.
«Non puoi un cazzo! Sul ring, subito.»
«Sul serio», ripete Jeongguk, raccogliendo le sue cose, «è un'emergenza.»
«Alle cinque e mezza del mattino?»
«Sai come funziona, Joe», sospira. «Mi farò perdonare più tardi.»
L'allenatore alla fine si arrende, e poi dice: «Sta' attento, figliolo.»
A volte il suo lavoro deve venire prima di tutto.
«Va bene», pensa ad alta voce Jeongguk. Gira la chiave di accensione e il motore prende vita con una melodia impressionante. Poi, una seconda melodia prende il sopravvento: la sua playlist synthwave preferita, per guidare di notte o quando Chicago è ancora buia, a malapena illuminata dalle luci colorate.
E infine guida, tamburellando le dita sul volante a causa dell'ansia che si sprigiona dal suo sistema nervoso. Non è abituato a sentirsi così, ma questa situazione non è del tutto normale— e sì, non lo è nemmeno vedere cadaveri tanto spesso, ma quella purtroppo è diventata un'abitudine. È vero, il suo aiuto viene richiesto di frequente, ma mai in questo modo.
Dopo circa quindici minuti, Jeongguk arriva in un quartiere a lui ben noto, non perché ami questa zona, ma per la mole di tempo che vi trascorre. Dannazione. Adesso si mette anche a pensare a queste cose...
Titubante, parcheggia accanto al marciapiede, spegne il motore e scende dal veicolo. La portiera si chiude con uno scatto che riecheggia nell'aria.
«Sei stato veloce», commenta una voce che emerge dall'oscurità, prima che appaia la figura a cui appartiene.
«Ma che diavolo?» sbotta Jeongguk, camminando verso l'uomo. «Non sembri uno che ha bisogno di aiuto, onestamente.» Infastidito dall'inutile ansia che ha provato durante il tragitto, il tono del detective suona piuttosto tagliente.
«Non dovrei dirti tutta la verità, ma ho bisogno di te.»
«Seokjin», inizia Jeongguk. «Voglio delle spiegazioni, adesso.» Non dovrebbe parlare a un suo superiore in questo modo, giusto? Beh, al diavolo. Seokjin non è il sergente della sua squadra.
«Penso che questo caso possa interessarti. Vieni.»
«Questo caso? Quale? Perché chiamare me e non il tuo brillante detective, mh?»
Seokjin fa un breve sospiro, e Jeongguk intuisce immediatamente la risposta. Il sergente si tradisce sempre in quel modo. «No, per favore no», dice il detective, teso. «Dimmi che non l'hai fatto.»
Ma non lo dirà, perché l'ha fatto eccome. Jeongguk lo sa per certo, eppure... Perché? Per un caso? Di solito non succede mai, quindi perché proprio adesso? Un caso speciale? Cazzate.
Una parte di lui è curiosa di saperne di più, ma l'altra crede che sia una trappola bella e buona.
«Allora, qual è il caso?» riprende Jeongguk. «Non c'è nessuno qui.»
«Sono un po' più lontani.»
«E così sono la tua arma segreta, mh?»
«Un segreto forse, ma non un'arma.»
«Seokjin», lo rimprovera Jeongguk. «È il momento sbagliato per dire una cosa come questa.»
«Vieni e basta.»
«Per incontrare l'altro tuo segreto?» Scuote la testa. «Non succederà.»
«Jeongguk», il sergente afferra le spalle del giovane. «È un omicidio, e non uno comune. Quindi vieni, prima che ti prenda a calci in culo.» In altre circostanze, il detective avrebbe opposto un po' più di resistenza, ma un omicidio? E uno strano, a quanto pare? Sfida accettata.
«Andiamo», si arrende Jeongguk.
Si allontanano insieme, camminando attraverso il quartiere vuoto, quando una terza figura si aggiunge a loro.
«Sei qui!»
Taehyung sembra sollevato per un attimo, prima di notare Jeongguk. Allora i suoi lineamenti si induriscono, e chiunque temerebbe per la propria vita se fosse davanti a lui in questo momento.
«Oh, vaffanculo, Seokjin.»
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