Capitolo 45
Djævel
Stiamo arrivando.
Era sicuro di aver capito bene?
Non poteva essere un subdolo scherzo, Doom non l'avrebbe preso in giro, ma Ægon che motivi aveva per unirsi definitivamente a loro? Avrebbe dovuto odiarlo, disprezzarlo per tutto ciò che era, piuttosto.
L'unica cosa che sapeva era che avrebbe avuto l'occasione per scappare e uccidere chi doveva. Lanciò l'ennesima occhiata a Lilian, attraverso il vetro della sua cella. Si incamminò avanti e indietro, tenendo le mani intrecciate dietro la schiena. Come un animale in gabbia, in attesa di sbranare i suoi macellai, solcava percorsi invisibili, scaricando in qualche modo l'adrenalina.
Doveva allontanare anche tutti gli incubi, tutte le visioni che non sembravano volerlo lasciare stare. Il volto insanguinato di suo padre era un ritratto dal quale non riusciva più a liberarsi.
Mancavano solo poche ore alla sua morte. L'ennesima. Si chiese quante vite ancora avesse a disposizione. La morte lo circondava fin dalla nascita. L'aveva sfidata così tante volte da averne perso il conto. Non lo avrebbe ancora accolto tra le sue braccia.
Prima o poi si sarebbero reincontrati.
«Sei sicuro che non vogliano trarti nell'ennesima trappola?» Suo padre, col cranio spaccato e col sangue incrostato attorno all'occhio destro, lo guardava in un angolino.
Djævel trovava divertente la sua dannazione alla follia. Tutti i test a cui era stato sottoposto e la chiusura forzata in una gabbia lo stavano facendo impazzire.
Aaliyah, seduta sul bordo del letto, non smetteva di fissarlo con apprensione. Si mordicchiava il labbro. Gonfiava il petto, facendo per parlare, ma si ammutoliva poco dopo. Poi, parve prendere coraggio. «Che ti prende?»
Djævel si voltò a guardarla. Non voleva rischiare che li sentissero e capissero che di lì a poche ore il caos avrebbe preso il sopravvento della città. Doveva restare calmo. «Sto bene, solo stanco.» fece un vago gesto con la mano.
«Domani morirai.» Aaliyah singhiozzò.
Djævel si piazzò di fronte a lei. Posò una mano sulla sua spalla. Fece una piccola pressione col pollice. Strisciò poi contro la sua pelle. Una stretta prolungata, seguita da altre due brevi.
Verranno a prenderci domani.
Aaliyah sussultò e alzò lo sguardo su di lui, confusa. «Dovrai essere pronta a quello che succederà.» Avrebbero tutti compreso che si riferisse alla sua morte, ma non era quello che intendeva. E Aaliyah lo sapeva.
Lei fece un leggero sorriso e si asciugò le lacrime. Annuì con un cenno deciso del capo. Poi si distese sul letto. Djævel si accomodò accanto a lei e la ragazza posò il capo sul suo petto, stringendolo in un abbraccio. «Non voglio perderti...» mormorò a bassa voce, un sussurro appena udibile.
Djævel le accarezzò i capelli, arricciandone una ciocca attorno al dito. Le sfiorò la nuca con un bacio leggero. «Andrà tutto bene.»
Avrebbe fatto qualsiasi cosa per vederla stare bene. Non era riuscito a salvare le sue sorelle, le aveva condannate alla morte. Ma il destino aveva deciso di dargli una seconda possibilità e con Aaliyah non avrebbe mai sbagliato. Non se lo sarebbe perdonato. Non un'altra volta.
***
Le guardie spalancarono le porte della cella, facendolo sussultare. Ægon avanzò tra loro, tenendo lo sguardo puntato su di lui. Tossicchiò per attirare la sua attenzione.
Djævel si tirò in piedi e mostrò i polsi ai soldati, tenendo su un ghigno. «Che c'è, avete paura?»
Ægon roteò gli occhi e fece un cenno ai suoi uomini. Sulla divisa scintillavano i gradi di Generale. Djævel fece un sorrisetto sardonico, per provocarlo e mantenere quella piccola farsa. E forse anche per divertirsi a infastidirlo un po'. «E cosa ne hai fatto di Jacob? Finalmente sei Generale. Un sogno che si avvera, immagino.» Fece un applauso.
Aaliyah sospirò esausta, poi fece uno sbuffo sommesso. Provò ad alzarsi, ma Ægon le si parò davanti. «Tu non puoi venire con noi.»
«C O S A? Scordatelo!»
Djævel si voltò a guardarla. «Va bene così.» Le lanciò un'occhiata implorante. Se era tutto vero, il piano prevedeva che Aaliyah dovesse restare lì per scappare. O avrebbe sterminato chiunque per portarla indietro. Faceva affidamento, però, sugli occhi languidi che nel corso del tempo si era scambiata con Ægon. Probabilmente il ragazzo era lì più per Aaliyah che per lui. E non poteva biasimarlo. Lo aveva ricoperto di bugie per mesi.
«Andiamo.» Ægon gli legò le mani dietro la schiena. Poi si lasciò passare la sua maschera da uno degli uomini.
Djævel ridacchiò. «Ho capito. Volete smascherarmi davanti a tutto il pubblico. Mi piace come spettacolo, mi si addice. Fantastico. I miei complimenti agli organizzatori.»
Il ragazzo lo guardò confuso per un istante. Poi deglutì, dopo aver scosso il capo, e gli calò la maschera sul volto. Le guardie lo spintonarono in avanti. Camminavano tra i corridoi della Mostra e Djævel gonfiò il petto orgoglioso. Non avrebbe ceduto. Incrociò Lilian e l'Imperatore. Entrambi si unirono alla parata di uomini dietro di loro.
«È un addio, allora.» Lilian gli disse, mentre si piazzava davanti a lui. I suoi occhi erano lucidi e Djævel si chiese se fossero lacrime vere o di circostanza. Ricordava ancora quella bambina con gli occhi rossi che andava sempre a trovarlo vicino al circo. Restavano ore intere seduti nella ghiaia a giocare con i trucchi dei pagliacci.
Andava spesso a casa sua, quando non poteva stare con le sue sorelle. Si distraeva bevendo del tè con lei, in attesa che il peggio passasse. Lilian conosceva bene tutta la sua sofferenza, eppure non le era bastato.
Era così povera, quando aveva deciso di sposarla. Sapeva che avrebbero rischiato la bancarotta, ma non avrebbe abbandonato la sua migliore amica. Poi c'era stato l'Incidente. E lei aveva visto lo spiraglio per condurre la vita che aveva sempre sognato e che forse lui non le avrebbe mai regalato.
Spesso si chiedeva cosa sarebbe successo se il siero l'avesse uccisa, anziché renderla sterile. Probabilmente la Mostra non sarebbe mai esistita. O forse Sol era già condannata al peggio e non aveva bisogno di loro?
Se solo il siero si fosse portato via Lilian e non le sue sorelle...
Djævel tornò a fissare la donna di fronte a lui e sospirò piano. «È un addio, allora.»
Lilian fece un cenno d'assenso col capo. Gli accarezzò il braccio e lo fissò. «Avremmo potuto fare grandissime cose insieme.»
Djævel inclinò il capo. «Ne hai fatte già abbastanza di penose senza di me, ti assicuro.» Si liberò della sua presa e seguì le guardie, guardando un punto fisso davanti a sé.
Quando raggiunsero la piazza principale di Sol, una sensazione di intorpidimento gli invase i muscoli. Quasi non riusciva più a camminare. Un palco era montato al centro della piazza principale. Alle loro spalle si ergeva l'Akademie della città di Sol.
E c'era così tanta gente, che Djævel si stupì che fossero ancora vive tutte quelle persone. Si accalcavano uomini e donne uno addosso all'altra, come formiche impazzite. Le loro teste si ammassavano e si scontravano, mentre provavano ad avere una visuale migliore sul palco.
Li sentiva parlare sommessamente tra loro. Tutti quegli sguardi bruciavano sulla sua pelle. Djævel prese a guardarsi intorno, tra le mura della città. E lo vide.
Doom se ne stava acquattato.
Era lì per lui.
Prese un grosso respiro, mentre un paio di mani lo spingevano sulle spalle, costringendolo a inginocchiarsi a terra.
Li accontentò. Tanto presto avrebbe avuto le mani sporche del loro sangue. Ægon lo guardò con la coda dell'occhio e fece un passo in avanti.
Djævel continuò a fissare il pubblicò davanti a sé, mentre gli montavano un cappio al collo. La botola avrebbe ceduto presto. Aveva sentito, però, Ægon legargli male i polsi. Aspettava solo il momento migliore per liberarsi.
Lì, tra la folla ai suoi piedi, non poté far a meno di notare Jacob. I suoi occhi erano iniettati di sangue e odio. Ægon prese un grosso respiro, prima di iniziare a parlare. «Popolo di Sol. Siamo qui riuniti oggi per punire chi ci ha distrutti per mesi. Per punire chi ha ucciso i nostri figli, i nostri familiari. Questo affronto non potrà restare impunito.»
Djævel pensò di essere decisamente più bravo di lui coi discorsi. Forse avrebbe dovuto insegnargli qualcosa. Alzò per un momento lo sguardo verso quel puntino minuscolo. Sapeva che era lui. Doom non avrebbe permesso a nessuno di intralciare i loro piani.
Sospirò piano, stringendo forte i pugni. L'Imperatore batté le mani. Si avvicinò a lui, posando la mano sulla sua spalla. Djævel sentì la botola sotto le sue ginocchia cigolare. Non un bel segno.
Andiamo, Fatina. Muoviamoci.
«Vi mostreremo il vero volto del mostro. Il demone che ha tradito la sua famiglia, la sua patria per la quale aveva giurato amore eterno!» L'Imperatore avvicinò la mano alla sua maschera, quando uno sparò risuonò all'improvviso. Le urla riempirono la piazza.
Ora.
Djævel fece pressione alle catene con uno strattone. Il nodo si sciolse e lui si tirò in piedi, poco prima che la botola scattasse. Assestò un calcio a uno dei soldati.
Sentiva le grida delle persone, che provavano a scappare in ogni angolo della città. Il fumo riempì la piazza. Qualcuno doveva aver sparato delle bombe fumogene.
Ægon scattò in avanti, fingendo un affondo. Djævel lo afferrò per la spalla, spingendolo a terra, non prima di avergli sussurrato all'orecchio: «Va' da lei.»
Il ragazzo si tirò immediatamente in piedi. Djævel smise di prestargli attenzione. Si abbassò sulle ginocchia, ancora sul palco. Sfilò la lancia elettrica a uno dei soldati e parò l'affondo di una delle guardie.
Intravide Ares sulle mura. C'erano soldati ovunque. Forse era stata una follia cercare di salvarlo in quel giorno, ma come avrebbero fatto comunque a infilarsi nella Mostra? E poi, Doom non si sarebbe lasciato sfuggire l'occasione di ammazzare l'Imperatore.
Lo vide saltare da un tetto, disperdendosi tra la folla.
Djævel scivolò giù dal palco, scansando una serie di attacchi dei soldati.
Doom doveva dargli tante di quelle spiegazioni, al ritorno. E avrebbe mai rivisto Eros? Il suo cuore perse più volte un battito, solo a quel pensiero. Lo detestava? Forse un po', non come avrebbe voluto davvero.
Scosse il capo. Adesso aveva solo una missione: recuperare Aaliyah. Corse per le strade di Sol, spintonando i cittadini, che si calpestavano come una mandria impazzita. La polvere si alzava da terra, creando una cortina di fumo, che si miscelava a quella degli spari e delle bombe precedenti. L'aria era quasi irrespirabile. Thanatos fece scattare il meccanismo della maschera, «Funziona ancora, grazie a Dio.» Bofonchiò.
«Ehi!» Fu colpito da un sasso sulla schiena, dopo aver svoltato in un angolo.
Jacob.
Djævel sbuffò scocciato, voltandosi verso di lui. «Che c'è? Hai deciso di raggiungere il tuo paparino in fretta?»
Jacob serrò la mandibola. «Questo staremo a vederlo.» Fece scattare la frusta, che ronzò nell'aria. Le scariche elettriche sibilarono, quasi come serpenti velenosi, contro di lui.
Djævel fece un sorrisetto. Poi scrollò le spalle. «Sarà bello vederti morire come il tuo papino. Preferisci essere impalato anche tu?»
Jacob poteva anche essere progettato come il soldato perfetto, ma era un essere umano come tanti. E la sua arroganza lo rendeva un incapace idiota. Come aveva previsto, scattò in avanti, preso dalla rabbia. Si scagliò contro di lui, tentando di placcarlo. Djævel scartò di lato, assestandogli un calcio al fianco. Ficcò la lancia nel terreno ghiaioso e fece leva su di essa. Quando Jacob, dopo essersi toccato il punto dolente, corse di nuovo verso di lui, Djævel si mantenne all'asta e la usò come appoggio per scagliargli un altro calcio in pancia. Lo afferrò per la divisa. Un pugno in pieno volto e lo spinse dall'altro lato della strada.
Lo sentì grugnire e un sorrisetto gli increspò le labbra.
Jacob ruzzolò a terra. «Fanculo.» Grattò con le mani sul terreno e si tirò in piedi. Si asciugò un rivolo di sangue all'angolo della bocca. «È tutto quello che sai fare, Comandante?»
Djævel recuperò la lancia da terra e gli puntò la lama contro. «Thanatos. Per te sono solo Thanatos.»
Jacob fece scattare la frusta. Con un movimento secco la avvolse attorno alla sua lancia e gliela portò via. Poi ghignò cattivo. «Voglio proprio vedere cosa sai fare ora.»
Djævel scrollò le spalle. «Fatti sotto, pivello. Ho fretta. Vediamo di morire presto.»
La corda elettrica provò a prendergli i piedi. Djævel saltò. Corse verso il muro. Balzò contro la parete e si affiancò a Jacob. Lo colpì con un pugno sull'occhio. Con l'esterno del gomito parò un gancio. Una scarica lo fece sibilare dal dolore, quando sentì la gamba bruciare. «Adesso me la paghi.» Ringhiò con voce roca. Gli afferrò il braccio e lo storse dietro la schiena.
Jacob ululò dal dolore, mentre gli storceva il polso, facendogli perdere la presa sulla frusta. La spinse a terra, dall'altro lato del viale. I muscoli iniziavano a fargli male. Il respiro era affaticato. Strizzò gli occhi per restare concentrato.
Jacob si dibatté. Riuscì a voltarsi, sfruttando la propria forza. La bestia sembrava essersi svegliata. Gli diede un pugno in volto.
Djævel si lasciò sfuggire un gemito. Bruciava. Cazzo, se bruciava. Faceva così male che gli si appannò appena la vista. Boccheggiò per un istante, il tempo di lasciar reagire Jacob, che provò a colpirlo con un calcio.
Djævel si scansò, arretrando. Stava andando a chiudersi contro la parete. Individuò nell'angolo la propria lancia. Forse aveva un'idea.
«Ho visto mio padre essere impalato davanti ai miei occhi. Come hai fatto a continuare a guardarmi in volto, sapendo cos'avevi fatto?» Il ragazzo gli urlò contro. Lo afferrò per la casacca. «Voglio vederti in faccia mentre muori.» Soffiò a un centimetro dalla sua maschera.
Sarebbe stato un bugiardo, se non avesse ammesso di essere stanco. Djævel non mangiava da giorni. E sentiva ancora così spesso le mani di Lilian addosso. Doveva vomitare.
Si lasciò colpire allo stomaco. Doveva fargli credere di aver ribaltato la situazione. Era l'unico modo. Doveva approfittare del suo punto debole.
«Hai visto mia madre disperarsi. Ha pianto contro il tuo petto! e tu eri lì, a consolarla come un gran bastardo.»
Djævel sputò un rivolo di sangue, una volta a terra. «Il gran bastardo era tuo padre. Le faceva del male tutti i giorni e tu non hai mai mosso un dito.» Bofonchiò, tenendosi la pancia dolorante.
Jacob gli urlò contro. All'ennesimo attacco, Djævel scivolò di lato e afferrò la lancia. Premette il pulsante laterale e l'elettricità ne avvolse la punta. Lo colpì di striscio sul volto. Gli avrebbe lasciato una cicatrice.
Così follemente simile alla sua.
Si paralizzò mentre lo vedeva dimenarsi a terra dal dolore lancinante, urlando. Djævel gli afferrò il capo e lo fece scontrare contro il muro. Lo lasciò senza sensi a terra, ma le sue mani tremavano.
Scagliò la lancia lontano. Come se improvvisamente scottato. Deglutì nervoso. Il sudore gli imperlava la fronte, appiccicava i capelli. Strusciò le mani sui pantaloni.
Era esattamente come lui. Come suo padre. Un oceano di tristezza lo fece affogare. Le maree lo trascinavano giù. Ironico come, alla fine, nel profondo dei propri abissi, si fosse dimostrato allo stesso modo dell'uomo che disprezzava di più al mondo.
Il respiro gli si mozzava in gola. Cos'erano quelli? Singhiozzi? Djævel scosse il capo, crollando sulle ginocchia. Non riusciva a uccidere Jacob. Non per chi fosse, non per rispetto. Ma per il terrore del mostro che era diventato.
Fissò la piccola scottatura sul proprio polso. «Mi dispiace, Cælin.» Ricordava quando per errore lo aveva bruciato, provando a fare il mangiafuoco, nella speranza di avere un posto nel circo e non nel bordello di famiglia. Il labbro gli tremò nervoso.
Sentì dei passi alle proprie spalle. Si voltò di scatto e vide la figura di Lilian. Lei alzò la sua lancia, pronta a colpirlo. Ma si piegò in due poco dopo. Una punta le trapassava lo stomaco e il sangue le macchiò i vestiti bianchi del laboratorio. Crollò sulle sue ginocchia.
Djævel strisciò verso di lei, aiutandola a cadere. Poi lo vide. Eros torreggiava verso di lei. Gli occhi sgranati dal terrore. Tremava. Ed era pallido «I-io-»
Djævel schizzò in piedi. Posò entrambe le mani contro le sue guance. «È tutto okay. L'hai fatto per salvare me.»
Eros non rispondeva. Lo sguardo era fisso sul corpo insanguinato di Lilian.
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