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CAPITOLO 32

DIMENTICARE 

A volte vogliamo solo dimenticare.
Dimenticare una cattiva giornata, un cattivo ricordo, una persona cattiva o quanto lo siamo stati noi. Ma altre volte, dimenticare cambia anche ciò che siamo, ciò che abbiamo imparato e ci aggrappiamo a qualcosa, in modo disperato, forzato, solo per riuscire a vedere il reale riflesso di noi stessi.
Dimenticare e ricordare sono entrambe cose buone ed entrambe cattive. 
Rhea aveva fatto tutte e due le cose, per comprendere sé stessa, per salvarsi dal passato o per salvare il futuro. Le aveva portato solo dolore.
Ma se per giorni aveva cercato di ignorare i suoi ricordi, così frastagliati, così mescolati a confusione e amarezza, in quel momento voleva solo ricordare.
 Voleva ricordare degli occhi grandi, pieni di gioia.
Voleva ricordare un sorriso, una risata innocente o come le sue manine si stringevano alle sue gambe, poi alla sua vita, nel tentativo di salirle in braccio.
Voleva ricordare la sensazione di stringere una parte di lei, com'era stato amarla perché tutto ciò che aveva fatto nella sua vita era per la famiglia: per quella bambina.
Per sua figlia, Robin Olivia Pierce.

<<Rhea?>>

Era ancora a terra e c'era il caos intorno a lei, come se il suo potere avesse perso il controllo scaraventando il mondo da qualche parte.
Steve le toccò una mano ed ella alzò lo sguardo su di lui. <<Credo che tu sia stanca, perché non ti riposi un po'?>>

<<Perché mi guardi come se fossi pazza?>>

<<Non penso che tu lo sia>> mormorò cauto.

Lei tolse la mano e barcollò nell'alzarsi, la testa le andava a fuoco. <<Devo andare da Robin>>

<<Lo hai già detto>> aggiunse Bucky. <<E chi sarebbe?>>

Li aveva sentiti chiederlo, ricordò ma non aveva realizzato la domanda.
Li guardò uno per uno, premendosi una mano sul petto, era come se le fosse stato strappato via il cuore. Non solo la sensazione aveva avuto un senso, ma da madre aveva capito.

<<Che significa chi è Robin?>> domandò a bocca aperta <<È mia figlia!>>

Steve sgranò gli occhi, boccheggiando e Bucky restò fermo, catatonico, come se fosse una statua. Si guardarono, cercando di capire come reagire a quella scoperta ma fu Stephen ad avanzare, il suo sguardo di addolcì.

<<Tu non hai una figlia, Rhea>>

Il suo cuore si ruppe in mille pezzi.
Una parte di lei sembrava credergli, come se dovesse farlo per forza ma c'era una parte più forte che non avrebbe mai mollato. Era una madre e quella parte sapeva la verità, non poteva dimenticare. 

<<Ti sbagli. Si chiama Robin Olivia Pierce, è mia figlia ed è figlia di Dean>> disse <<Ha otto anni e mi sta aspettando>>

<<Io ti conosco da anni e non ho mai sentito parlare di questa bambina...>>

<<Tu la conosci!>> urlò. <<La conoscete tutti voi. Stephen, sei venuto a casa mia per Natale e le hai regalato quello stupido gioco dell'Allegro Chirurgo. Sei il suo fottuto padrino, mentre Christine è la madrina!>>

<<Rhea, questo non è mai accaduto>>

<<Sì invece>> si passò una mano sul viso. <<E voi? Vi ho portati a casa mia, avete mangiato insieme a lei, con Natasha. La conoscete>>

Steve deglutì <<Non c'era nessuno a casa tua>>

<<No, è impossibile>>

<<Rhea, forse sei molto stanca e usare questa magia ha influito sulla tua situazione medica...>> tentò lo stregone.

<<Non osare>> ringhiò. 

Ci fu un silenzio pesante, che gravò su di loro, prima che ella li superò per correre su per le scale. Doveva tornare a casa, come avrebbe dovuto fare da tempo e si sarebbe tutto risolto. Robin era esistita, se la ricordava e nessuno poteva dirle il contrario.
Steve e Bucky la seguirono, nel tentativo di fermarla da quello che sembrava un delirio. 

<<Dove vuoi andare?>> le domandò Barnes.

<<Da mia figlia! A casa mia, è con Christine>>

<<Rhea, perché non ti fermi un attimo e ne parliamo? Prova a pensare, a ragionare...>>

Ella si voltò di scatto, guardando il capitano. <<Non mi credi, vero?>>

<<Non è ciò che ho detto>>

<<Lo pensi. Credi che sia impazzita.>> 

Strange si schiarì la voce, apparve di fianco a loro, in cima alle scale e tentò di calmare gli animi. <<Perché non facciamo così? Ti aprirò un portale, così potrai arrivare più in fretta e vedrai con i tuoi occhi la verità>>

<<Sarete voi a vederla! Fallo>>

Lui annuì e mosse una mano, ruotando le dita finché dei filamenti oro non si intrecciarono creando un intero cerchio. 
Dall'altra parte apparve un prato e un sentiero, Rhea lo avrebbe riconosciuto ovunque e scattò in avanti, entrando senza fermarsi.

<<Aspetta!>> esclamò Steve.

Bucky era già entrato, le corse dietro e il Capitano chiuse gli occhi prima di saltare dentro, seguito da uno stregone poco impressionato. 
Rogers pensava che fosse tutta una follia, ma non poteva fermarsi a pensarci mentre la donna di cui si stava innamorando correva velocissima, gridando il nome di una bambina che non esisteva. 
Rhea oltrepassò la strada, sfociando nell'enorme giardino, quattro cani iniziarono ad abbaiare per arrivarle incontro ma lei era già in veranda.
Christine entrò prima che potesse uscire.

<<Per l'amor di dio, che spavento>> disse la dottoressa<<Che sta succedendo?>>

<<Dov'è lei?>> domandò Pierce.

L'amica inclinò la testa confusa, finché non vide un volto che conosceva e si irrigidì. <<Stephen?>>

<<Ciao, Christine. Ti trovo bene.>>

<<Anch'io ti tr..>>

<<Christine!>> urlò Rhea, afferrandole le spalle. <<Dov'è Robin?>>

Se avesse avuto il tempo, ella si sarebbe messa pregare di non ricevere le parole che stavano per arrivare. Ma niente poté fermare quel momento, come le tremarono le ginocchia, come i suoi occhi divennero lucidi. 

<<Chi è Robin?>>

Chiuse le palpebre, le lacrime scesero segnando il suo viso come se fossero di lava.
Com'era possibile che tutti avessero dimenticato?
Voleva crollare, da tanto tempo ma una madre non può crollare, mai.
Così li riaprì, Christine scattò indietro quando vide le sue pupille splendere di un blu elettrico, più intenso che mai, e in un attimo la porta si scardinò facendo entrare la donna.
Rhea entrò come se fosse una regina, non le serviva correre mentre il potere cercava nello spazio, per sentire e seguire.

<<Robin?!>> urlò. 

La prima cosa che notò furono le foto.
Tutte le foto appese erano diverse, il volto della piccola era sparito e poi fu l'ordine. Quella casa non era mai ordinata perché Robin lasciava in giro qualsiasi cosa, dai giochi ai quaderni, per non parlare dei libri. 
Non c'era niente che ricordasse una bambina, neanche la macchia sul tappeto che sua figlia aveva fatto a tre anni facendo cadere il bicchiere di vino di suo zio Jason.
Andò in cucina, aprì le ante col suo potere ma non c'erano i suoi cereali preferiti, né tutte quelle cose con cui la viziava. 

<<Rhea...>> la chiamò Christine. <<Non dovresti usare il tuo potere così, ne abbiamo parlato>>

<<Glielo fatto usare anch'io>> disse Strange.

<<Cos'hai fatto?!>> tuonò lei.

<<Mia figlia è qui, da qualche parte!>> si voltò e dei cassetti esplosero, finendo sul pavimento. 

<<Una figlia? Tesoro, tu non hai figli.>>

<<E allora che ci faresti qui? A vivere in casa mia?>>

Deglutì. <<Sai che sono qui aiutarti, sono io..>>

<<So esattamente chi sei!>> 

<<Sono qui per aiutarti col tumore, vieni...forse dovresti riposare>>

<<Non permetterglielo>> mormorò mio padre, apparendo davanti a loro. <<Robin ha bisogno di te. Trovala>>

<<Sì, giusto, lei si nasconde sempre in Laboratorio. Glielo hai insegnato tu, papà>>

Gli uomini fecero una smorfia confusa, guardando il punto vuoto che la donna guardava. 
Rhea, con gli occhi luminosi, li superò nuovamente e tornò in sala, dove c'era la porta nascosta per il laboratorio scientifico. 

<<No, no. Non di nuovo>> sospirò Christine.

<<Cosa non di nuovo?>> domandò Bucky.

<<Ha delle allucinazioni, di suo padre. Da mesi, pensavo che ce ne fossimo liberati>>

<<Cosa?!>> sbottò Steve, le cose si mettevano male.

Rhea era già scesa, veloce e disperata mentre spalancava le porte con la mente, cercando con la vista e i poteri una forma di vita. <<Robin?! Dove sei, Pallina di Burro? La mamma è qui, è tornata a casa. Te lo avevo promesso!>>

Ma non c'era nessuno.
Si mise le mani nei capelli, le tremarono e il vetro che separava la stanza dall'hanger, si frantumò. Christine si allontanò in tempo mentre allungava le mani per catturare l'attenzione della sua migliore amica.

<<Alexander è morto, è solo nella tua testa. Non ascoltarlo>>

<<Solo perché sono nella sua testa non significa che non debba ascoltarmi>>

<<Lo so che è morto, Christine. Mia figlia no>>

<<Infatti. Lei non esiste>>

<<Lei è reale!>> gridò. 

<<E come lo sai?>> domandò Bucky, gli faceva male vederla così sofferente.

Li guardò come se fossero pazzi, ma la sua energia continuò a cercare in tutta la sua proprietà.
Sua figlia aveva un'impronta, un calore che era sempre riuscita a sentire, ma non c'era niente e questa la terrorizzava. C'erano altri posti in cui cercarla ma come poteva avere il coraggio di guardare senza trovarla? 

<<Come faccio a saperlo?>> con voce rotta. <<Lo so perché sono una madre e una madre non può dimenticare, smettere di amare il proprio figlio. Non posso dimenticare il giorno in cui è nata, il modo in cui gridavo e piangevo per la paura di non essere all'altezza e poi l'ho vista. Dean non faceva che ridere, era la cosa più che avessi mai visto, la cosa più buona che avessi fatto. Lei non gridò, rise. Come suo padre, come se giù avessi il mondo ai suoi piedi. Non posso dimenticare quando si è messa a camminare la prima volta, la seguivo ovunque per paura che cadesse e l'ha fatto. Ma cadeva e si rialzava, come una Pierce. E potrei dimenticare la sua voce?  Le sue mani intorno al mio collo? I capelli che le ho pettinato ogni sera, per anni? I suoi sogni? O come mi si spezzava il cuore ogni volta che la lasciavo? Sono reali, tutte queste cose, la gioia che mi ha portato e il dolore che ho sentito nel lasciarla andare. Lei è reale, è tutto ciò che resta di me>> 

Nessuno parlò e non servì.
La lasciarono passare, la lasciarono cercare in ogni angolo, dalla biblioteca enorme, alle decine di stanze, ai bagni e non seppero dire se crederle o no, ma capivano che quella sofferenza era completamente reale.
Era una madre, in qualche modo, solo che loro non sapevano come.
Rhea lasciò la stanza della figlia per ultima, perché era lì che si rifugiava a studiare.
Quando aprì la porta, finì per aggrapparsi ad essa, appoggiandosi al legno con forza.
Ma la stanza era diversa. Non era più una cameretta per una bambina, la sua bambina, era solo piena di librerie. Libri e libri.
Ma non c'era il suo letto, la sua scrivania, l'armadio, le stelle appese sul soffitto. 
Si lasciò cadere sulla porta, scoppiando a piangere mentre si toccava il petto.

<<Dov'è la mia bambina?>>

Aveva sofferto incredibilmente, aveva perso tutta la sua famiglia negli anni ma perdere suo padre, Dean o suo cugino, o chiunque altro, sembravano dolori sopportabili rispetto a questo.
Si sentiva così sola, così in colpa che credette che la morte sarebbe stata un dolce sollievo.
Cercò aria nell'aprire gli occhi e incontrò un riflesso, c'era uno specchio e rifletteva la finestra, con ciò che c'era fuori.
Si sporse.
In giardino c'era una donna, che la guardava attraverso lo specchio.
L'aveva già vista, conosceva il suo volto, gli occhi scuri come la notte e la sua mano sulla guancia. L'ultima volta che l'aveva vista era stato quando gli uomini di Ross l'avevano colpita con le loro armi avanzate, si era sentita morire.
Si rese conto che non era presagio e quando la donna sorrise capì che non era neanche un'allucinazione, seppur la vide scomparire dietro gli alberi.
Il dolore divenne rabbia.
Si alzò in piedi, gli occhi brillanti la seguirono mentre correva giù da basso, gli altri erano radunati in salotto, parlavano di lei ovviamente ma quando la videro passare, con le dita colorate di blu capirono. 

<<Rhea?!>> urlò Steve.

Lei però corse fuori, gettò le mani sotto di sé e si diede uno slancio abbastanza forte da farla volare per diversi metri. Sapeva dove andare.
Oltrepassò il bosco, correndo come se lo stesse facendo per decine di miglia.
E quando sbatté le palpebre, girandosi vide qualcosa che non seppe spiegare.
Stava correndo con una donna diversa, lei indossava uno strano abito di cotone viola e l'erba sembrava un campo di grano.
Avevano gli stessi capelli scuri, liberi al vento ed ella rideva, a qualche passo di distanza, sembrava più alta come se fosse...Rhea una bambina.

E stavano cantando.

<< Marcio e vado avanti, sempre più lontano.
Cammino con la morte, mano nella mano.
Primitiva la notte arriva, sul famiglio puoi contare.
Lo spirito è il pericolo, ti potrà guidare
Giù, giù, giù per la strada, giù per la strada delle streghe
Giù, giù, giù per la strada, giù per la strada delle streghe
Giù, giù, giù per la strada, giù per la strada delle streghe
Pianti, sangue e poi, la madre è in mezzo a noi!>>

Rhea corse ancora più veloce, immersa in dei ricordi che aveva combattuto da tempo. 
Ma non poteva tornare indietro, non poteva lasciare Robin.
Questa volta Sinner non poteva dimenticare.

<<Aspetta!>> si sentì gridare.

<<Canta con me, piccola!>> 

E lei lo fece. 
Cantò con la donna, la sua spilla brillò mentre Rhea la raggiungeva, sempre più rapida mentre il cielo si scuriva, in cielo c'era solo la luna crescente. La luna delle streghe. 

<<Tortuosa e spaventosa, passa lungo il boscoDove il cattivo è il buono e tutto il male è giustoHo mille prove e sfide nuove, la paura vinceròQuella porta si aprirà e l'attraverserò!Giù, giù, giù per la strada, giù per la strada delle stregheGiù, giù, giù per la strada, giù per la strada delle stregheGiù, giù, giù per la strada, giù per la strada delle streghe

Seguimi perché la gloria attende te!>>

E quando cantò l'ultima strofa riuscì ad afferrare la donna, caddero insieme, nell'erba morbida e fresca. Le loro mani unite brillarono di viola e blu, e quando Rhea si guardò intorno vide un pentacolo marchiato col fuoco verde.
La donna rise ancora e si voltò, girandosi ed ella poté vedere il suo intero volto. 
La conosceva, l'aveva già vista in una foto e conosceva quella spilla. 

<<Mamma>> 

Ma quando allungò una mano, sbattendo le palpebre, ella scomparve.
Si tirò a sedere, era ancora nel pentacolo ma non era notte e non era più in un campo. Era davanti al salice, le tombe della sua famiglia la guardavano.
E poi ci fu una risata.
Rhea era ancora arrabbiata, alzò una mano e una scia blu colpì nel pieno un'ombra, che finì contro la corteccia dell'albero mostrandosi in pieno.
Ecco la donna dai capelli neri, che la perseguitava nei momenti più orribili.
Non era sua madre  e non era un'allucinazione.

<<Che colpo basso, mio dolce-amaro amore.>> rise ancora ella. 

<<Se sei ancora in piedi non lo era abbastanza>>

Era vestita di nero, abiti stracciati ma che la rendevano anche di una bellezza eterea. Le sue palpebre erano truccate di smeraldo e sul capo portava uno stranissimo diadema. 
Non era una combattente di quelle che aveva mai affrontato, non sembrava neanche di quel mondo.

<<Non vorresti mai farmi del male, lo sappiamo entrambe>> rispose <<E che voce, ah! Non ti sentivo cantare così da secoli!>>

Tossì, barcollando. L'aveva sentita? Aveva visto ciò che aveva visto lei? <<Che cos'era quello?!>>

<<Sei tu, che ti stai risvegliando finalmente>> 

<<Risvegliando.>> ripeté. <<Ma ti senti?>>

<<Non hanno appena dato della pazza anche a te?>>

<<Touché >> annuì. <<Da cosa mi starei risvegliando?>>

La sconosciuta rise ancora follemente, si appoggiò alla lapide di Alexander, lasciando cadere una cascata di capelli neri. Poi sollevò una mano, aveva dei guanti e delle unghie nere. 

<<Dalla morte, amore>> 

ANGOLO AUTRICE.

Pensavo proprio di non riuscire a scrivere questo capitolo in tempo ma ce l'ho fatta in tre ore, menomale! Sono anche piuttosto soddisfatta, avevo un bel po' di ispirazione!
Adoro la serie di Agatha, è un vero capolavoro e non vedevo l'ora di inserire la canzone e un nuovo personaggio.
Ma c'è di più.
Robin è stata completamente dimenticata e secondo me sapete chi può aver fatto questo.
Teorie?
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Un abbraccio! 

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