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Speciale Halloween (Atlas +Nicholas e Seth)

Prima di iniziare a leggere, questa OS è stata scritta a quattro mani da me e JediKnight01
Buona lettura🫡💀


Atlas

Un colpo in pieno volto mi fa sussultare. Per istinto afferro la pistola, che tenevo ben nascosta sotto il divano, e la punto contro quell'idiota di Nicholas che mi sta di fronte, ridacchiando.

Osservo il cuscino afflosciato a terra e aggrotto la fronte. «Che cazzo vuoi?»

Se il buongiorno si vede dal mattino, allora quello è un giorno del cazzo.

Nicholas scrolla le spalle. «Ringrazia che ti abbia lanciato qualcosa di morbido».

Mi passo le mani sul volto, trattenendo uno sbadiglio rumoroso. «La ringrazio, sua maestosa eccellenza cagacazzo.»

«Avresti potuto metterci anche un inchino, ma mi accontento» commenta Nicholas, afferrando la mia arma.

Mi tiro in piedi e osservo il disordine nella stanza. Tra poco mi viene da urlare. Lo scanso e apro il frigorifero. Osservo annoiato il latte e resto per qualche istante a pensare cosa prendere. Una camomilla, una delle stupide tisane di Nicholas o una birra. A volte la vita mi mette davanti a scelte così complicate, uccidere è decisamente più semplice. «Vorrei tanto dire che questa camera non è un albergo per chiedere al tuo fidanzatino di sistemare, ma in effetti è una fottuta camera d'albergo.» Per lo meno c'è chi sistema per me al mio ritorno.

Nicholas giocherella con la pistola, sbirciando dentro la canna. Sento che lo sparo è sempre più vicino. Ora lo ammazzo. «Cos'è un fidanzatino?»

Roteo gli occhi. «Un tipo di dolce.» Sarà divertente dargli un'informazione sbagliata che prenderà come verità assoluta. Mi sento potente all'idea di plasmare la mente di Nicholas con una miriade di stronzate.

«Mi piacciono i dolci. Vorrei proprio assa...» La sua voce viene sovrastata da uno sparo.

Sussulto e mi volto a guardarlo in cagnesco. Alzo lo sguardo sul soffitto, dove spicca un bel foro. «Ma per l'amor del cazzo non sai stare fermo?! Dammi qua.» Gli strappo dalle mani la pistola. «Adesso mi toccherà litigare con l'idiota del proprietario perché gli ho sparato nel soffitto.»

Nicholas si butta all'indietro sul divano, sbuffando. «Che esagerato. È solo un piccolo buco».

Seth irrompe di corsa nella stanza, ancora intento a litigare per infilarsi i jeans attillati. Ha i ricci arruffati ed è pallido. «Che cazzo sta succedendo?»

Ormai sto vivendo in un covo di idioti. Almeno Leyla aveva la scusante di essere una bambina, Nicholas e Seth sono solo due deficienti adulti con un rapporto che sinceramente non so decifrare e meno mi interessa, figuriamoci, quando si tengono per mano ho voglia di vomitare. Guardo Seth e inarco un sopracciglio.«Hai la patta aperta... e adesso abbiamo anche un foro da proiettile nel soffitto.» Mi sistemo la pistola dietro la schiena. Storco il naso. «Prendiamo le nostre cose e andiamocene senza dare nell'occhio.» Lancio uno sguardo eloquente a Nicholas. Mi sembra assurdo di essere io quello maturo in questa situazione. Sinceramente già ne ho le palle piene e sparerei di nuovo contro il soffitto.

«Mi sembra ovvio». Seth emette un verso sarcastico, mentre si tira su la zip. «Abbiamo solo sparato in una camera d'albergo. Di sicuro non abbiamo già attirato l'attenzione».

Nicholas concorda con un cenno. «Vedi? Anch'io non capisco il problema».

«Ero ironico, Nik».

Tra poco urlo. «Già mi avete fatto sprecare una pallottola. Non fatemi sprecare le prime bestemmie della giornata. Muovete quei culi.»

Nicholas si alza, storcendo il naso. «Avresti potuto specificare che sono dei bellissimi culi».

Afferro il mio zaino ed esco dalla stanza. Sento Nicholas in sottofondo. Continua a lamentarsi e a non capire cosa ci sia di male in un buco. Mi chiedo se nello stupido laboratorio in cui l'hanno cresciuto si siano mai accertati della presenza di un cervello. Di sicuro sarebbe stato più utile e sensato delle torture subite. Rabbrividisco e mi muovo velocemente fino all'uscita dell'albergo. Indosso un cappello per coprirmi appena e alzo lo sguardo verso il cielo nuvoloso. Spero che venga a piovere, mi sento più rappresentato dal tempo di merda. Mi stringo nel cappotto e assottiglio lo sguardo verso Nicholas e Seth, che mi vengono incontro. «Andiamo a fare colazione in un bar sperabilmente lontano da qui...» So che questo sarà un duro colpo per Seth, che sembra essersi innamorato del buffet dell'albergo.

Seth sospira. «Mi mancheranno quei fantastici pancakes con la cioccolata fusa».

«A me basta che prendiamo i donuts» replica Nicholas, stringendosi nella giacca di pelle. «Con le praline».

«Ovviamente.» Non ce la faccio. Credo che morirò di intossicazione alimentare da donuts con praline del cazzo. «Sai dove te li infilerei quei stracazzo di donuts?»

Le labbra di Nicholas si increspano in un sorrisetto. «Nello stesso posto in cui mi hai infilato...»

«OKAY». Seth gli scocca un'occhiataccia, caricandosi lo zaino in spalla. «Possiamo andare».

Ghigno. «Preferisci il sesso o i donuts con le praline?» Sfilo le chiavi della jeep di Isak dalla tasca e apro il portabagagli per sistemare le valigie e ci lancio lo zaino dentro.

Nicholas ci riflette un secondo, poi fa una smorfia. «Potremmo provare a combinare le due cose».

«Se mangio un altro donuts, muoio.» Sorrido, osservando la macchina. Ho l'auto del mio migliore amico da quasi un mese e credo che Isak mi stia detestando. D'altronde, però, la sto trattando bene. Se ignoriamo la vistosa ammaccatura sulla fiancata, sta benissimo. Ho pensato che insegnare a Nik a guidare potesse essere divertente e in effetti lo è stato.

Non per la jeep, chiaramente. Né per l'albero contro cui si è schiantato.

Apro la portiera e salgo in auto. Indosso degli occhiali da sole e mi volto a guardare i due idioti. «Ci muoviamo, principesse

Nicholas si abbandona sul posto del passeggero, sbattendo lo sportello. «Principessa lo dici alla marmocchia del tuo dottorino».

«Dottorino?» Seth si acciglia, seduto al centro dei sedili posteriori. «Mi sono perso qualcosa?»

«Non è il mio dottorino, deficiente.» Metto in moto l'auto e nemmeno il tempo di immettermi in strada, che mi sfreccia accanto il primo ciclista del cazzo della giornata. Vorrei investirlo. «Nessuno si è perso nulla. Niente di importante.» Certo, se escludiamo che ho già controllato il cellulare dieci volte, nel caso Hercule avesse deciso di scrivermi.

Nicholas comincia a cambiare la stazione della radio. «È il tipo che lo ha mollato. Le dinamiche non mi sono ben chiare».

Prendo un grosso respiro. «NON MI HA LASCIATO LUI! L'HO LASCIATO IO!» sbuffo. «Vuoi uno stracazzo di disegnino, forse?!» Se cambia l'ennesima stazione radio, lo ammazzo.

Seth si sporge in avanti, facendo tendere la cintura che ha appena allacciato. «Se vuoi, posso darti qualche consiglio. Sono bravo come consulente di coppia». Un lampo dispettoso gli balena sul viso. «Perché ti ha scaricato?»

Inizio a guidare e sorpasso il coglione ciclista in quella tuta ridicola quanto lui.«Lo ripeto di nuovo. Non mi ha lasciato lui!» Premo il clacson per il puro sfizio di far sussultare il ciclista, almeno sfogo un po' di nervosismo nella speranza che quell'idiota cada. «Qualcuno cerca uno stracazzo di bar per fare colazione?»

«Aspetta che controllo». Seth estrae il telefono dalla tasca e digita sullo schermo. «Dovrebbe esserci un autogrill, non molto distante».

Nicholas si corruccia, confuso. «Cos'è un autogrill?»

Premo il piede sull'acceleratore. «Un posto dove ristorarsi lungo le autostrade. Si mangia e si piscia, di solito.» Busso contro un idiota del cazzo. «Adesso gli sparo nelle ruote-»

«Sarebbe una scena divertente» sghignazza Nicholas, continuando a smanettare con la radio. «Perché ste canzoni sono tutte orribili?»

«Come cazzo fai a dire che fanno schifo se non ci concedi l'onore di ascoltarne almeno dieci fottuti secondi?» Mi sembra di vivere in un manicomio. Se cambia ancora la stazione radio, vado a scontrarmi di proposito contro qualcuno. Cristo, forse è questa la punizione divina che il mondo vuole infliggermi?

«Non senti come starnazzano?»

«L'unica cosa starnazzante che sento sei tu con le tue lagne.» Alzo lo sguardo verso lo specchietto retrovisore e osservo Seth, che esala un sospiro rassegnato, lasciandosi ricadere contro lo schienale.

Si passa una mano sulla faccia. «Siete due bambini».

Individuo l'autogrill e imbocco la corsia preferenziale. Arrivati nel parcheggio, spengo l'auto e scendo. Sinceramente vorrei ringraziare qualunque entità soprannaturale per avermi permesso di sopravvivere al cambio radio continuo di Nicholas. Mi soffermo a fissarlo per qualche istante. I flebili raggi del sole gli illuminano il volto e gli occhi blu sembrano scintillare più del solito. «Sai, sei un'ambulanza di lagne... Ti chiamerò ambulagna da oggi.» Mi avvio verso l'ingresso dell'autogrill, lasciando tintinnare le chiavi dell'auto nella tasca dei pantaloni.

Nicholas scruta i paraggi con curiosità, intanto che mi viene dietro. Si scambia uno sguardo con Seth, tenendolo per mano. «Secondo te è un'offesa?»

Lui fa spallucce. «Tutto quello che dice lo è. Non ci baderei molto».

Spingo in avanti la porta e vengo investito dall'odore di brioche calde e caffè. Mi guardo intorno alla ricerca di un tavolino e ne individuo uno in disparte, vicino a una finestra. Lo indico. «Andate a sistemarvi.»

Seth fa un teatrale saluto militare. «Sissignore».

«Perché è lui a dare ordini?» si lamenta Nicholas, imbronciato.

«Perché sono l'adulto coi soldi e con l'auto.»

Nicholas fa per protestare, ma Seth lo prende per il braccio e lo trascina in direzione del tavolo.

Li ignoro e vado a ordinare, tanto già so cosa diavolo vogliono. Nicholas i dannati donuts con praline e Seth stupidi pancakes pieni di cioccolata. Mi avvicino alla ragazza che sta dietro al bancone. Si sta sistemando i capelli in una coda alta. La guardo annoiato. «Due donuts con praline, dei pancakes al cioccolato e una brioche calda. Poi due birre e un succo d'arancia.»

Mi guarda in modo stralunato coi suoi occhi scuri. «Che cazzo guardi?»

Sussulta e sparisce dietro al bancone per completare l'ordine. Vado a pagare e prendo il vassoio e mi dirigo verso i miei due idioti accompagnatori. Poso il vassoio e afferro la birra, lasciandomi cadere sulla sedia. Sfilo il cellulare dalla tasca, sempre nella solita stupida speranza. Lo poso di nuovo e sbuffo, scolando il primo sorso di birra.

«Grazie, amico» dice Seth, mostrandomi un pollice all'insù.

Alzo la bottiglia di birra in risposta e mi guardo intorno scocciato.

Nicholas si avventa subito sulla scatola dei donuts. Ne prende uno e dà un morso, masticando con gusto. «Persino meglio dei cuori umani».

«Non posso immaginare che delizia...» commento sarcastico. Addento la brioche e osservo di sottecchi Seth. Non so come abbia fatto a sporcarsi il naso di cioccolata, ma non ho assolutamente intenzione di dirglielo. «Bene, idee sul da fare oggi?» In verità mi annoio e, se non mi fanno uccidere qualcuno, potrei impazzire. Sono trascorse ventinove ore dal mio ultimo omicidio, pure troppe a mio modestissimo parere.

Nicholas si incupisce. Divora l'ultimo pezzo di ciambella e tira fuori un diario dalla tasca interna della giacca. Lo apre sul tavolo, picchiettando un dito sulla pagina. «Il mio prossimo bersaglio. Si chiama Leonard Davies. Adesso dovrebbe abitare da qualche parte a Seattle. Qualsiasi cosa sia».

Seth gli sfiora la mano, rivolgendogli un'espressione mesta. Lui sospira e gli appoggia la testa sulla spalla, le palpebre socchiuse.

«Una città.» Mi gratto il mento. Sono due ore di viaggio. Sarà un inferno, ma posso farcela, ho vissuto decisamente di peggio. «Posso hackerargli il telefono, se trovo le informazioni giuste. Così abbiamo la posizione specifica.» Non faccio domande, non le pongo mai se parliamo del passato di Nicholas. Se sono suoi obiettivi, ho ottime ragioni di credere che siano tra le persone che lo hanno devastato e sinceramente mi va bene così. Leonard Davies ha già i requisiti giusti. «Finiamo di mangiare e poi andiamo a Seattle. Una volta lì, prendiamo una camera e tramite pc reintracciamo quest'idiota.»

«Wow. Con te è molto più semplice». Seth beve un sorso di succo. «Noi di solito andiamo a caso, finché non riusciamo a beccarli».

«È il mio lavoro. L'unica cosa in cui sono bravo.» Mi schiocco il collo e sbuffo. Mando giù l'ultimo goccio di birra. A parte suonare il pianoforte e qualsiasi altro strumento musicale e parlare altre lingue, ovvio. Credo di conoscere anche tantissime parolacce in francese, russo e spagnolo, ma non credo facciano curriculum.

Guardo Nicholas, ancora rabbuiato e perso chissà dove. «Di solito mi faccio pagare bene», sogghigno, «quanto mi offri?»

Alle mie parole si riscuote dalle sue riflessioni e sfodera un mezzo sorriso. «Il pagamento in natura non è bastato?»

«Stiamo parlando di una settimana fa e ti ho insegnato anche la tortura con gli aghi. Non si svelano mica i trucchi del mestiere.» Mi stiracchio.

Seth si irrigidisce, scrutandomi con un'espressione torva. «Ti posso pagare io. E no, non in natura» puntualizza, prima che Nicholas potesse aprire bocca.

«Anche perché non sei proprio il mio tipo, ladruncolo.» Gli ammicco. Infatti il mio tipo è un medico legale stupido idiota dagli occhi chiari.

Nicholas circonda Seth con un braccio, stringendolo a sé. «Non prendertela, amico. Preferisce i dottorini».

Mi danno la nausea. Ora gli spacco quel bel faccino. Stringo i pugni e mi tiro in piedi. Nicholas mi fa l'occhiolino, divertito dalla mia reazione.

Seth gli rifila una gomitata. «Neanche tu lo sei. Troppo vecchio». Rovista nel suo zaino e mi porge un orologio costoso. Un Rolex, di sicuro rubato. «Ecco. Può bastare per i tuoi umili servigi?»

«Punto primo non sono vecchio.» Osservo l'orologio. Cosa devo farci? Scuoto il capo, in tensione. «Tienitelo. Vendilo e usa i soldi per la prossima camera d'albergo.» O per comprarti qualcosa che ti piace.

Faccio cenno di seguirmi e torno all'auto. Mi sistemo e aspetto che Seth decida di fare da navigatore, pregando che Nicholas non ricominci con la storia della radio. Metto in moto ed esco dal parcheggio, imboccando di nuovo l'autostrada.

«Facciamo un gioco per passare il tempo?» chiede Seth con entusiasmo. «Avete presente quello in cui ci si deve dare un pugno, quando si vede una macchina gialla? C'è spesso nei film».

Roteo gli occhi. Nicholas ci guarda confuso. «Ogni volta che uno di noi vede una macchina gialla, lo dice e chi lo fa per primo dà un pugno a chi gli sta accanto.» Chiarisco di nuovo. «Facciamo qualsiasi cosa purché Nik non torturi lo stereo dell'auto di Isak.»

Nicholas scuote il capo, abbassando il finestrino. Un refolo d'aria fredda gli scompiglia i capelli biondi. «Voi umani vi picchiate per divertimento, ma il pazzo sono io».

«Io vado a degli incontri clandestini di pugilato per divertirmi...» Ciondolo il capo e lo osservo con la coda dell'occhio.

Nicholas si agita sul sedile e si accarezza le cicatrici sulla gola. «Ne so qualcosa» bofonchia.

Ha lo sguardo perso sul panorama che ci scorre accanto. Contempla il mondo con una strana innocenza, quasi incoerente rispetto alla sua natura. Sussulto, quando sento un colpetto leggero alle spalle e guardo Seth dallo specchietto.

Sorride compiaciuto. «Macchina gialla.»

«Leyla, sei anni, picchia più forte.» Ghigno.

Nicholas scoppia a ridere. «Ti assicuro che anche le formiche colpiscono più forte di lui».

«Scusate, mica tutti siamo stati addestrati come sicari assassini o abbiamo una forza sovrumana» ribatte Seth, incrociando le braccia con fare indignato.

Sfilo dalla tasca dei pantaloni un pacchetto di sigarette e me ne accendo una, sfruttando l'accendi sigari. Finalmente mi sembra di tornare a respirare. Do un pugno sulla spalla di Nik, accanto. «Macchina gialla.»

Lui inarca un sopracciglio. «Forse ho capito come funziona». Getta un'altra occhiata fuori dal finestrino. Questo suo entusiasmo per i viaggi in macchina, mi ricordano la stessa felicità del mio cane Thelma, quando è in auto con me. Dopo appena un minuto, mi sferra un pugno così violento che il dolore mi si ripercuote in tutto il braccio. Soffoco un verso strozzato, cercando di non perdere il controllo del volante. «Quel cartellone era giallo» annuncia orgoglioso.

Lo guardo di traverso e grugnisco. «Idiota del cazzo, le macchine gialle, non i cartelli!» Mi massaggio il punto dolente e sbuffo. Mi uscirà un livido di sicuro. Che rottura di coglioni.

Nicholas sbatte le palpebre, perplesso. «Che regole stupide. Perché solo le auto?»

«Non lo so, chiediamolo a chi ha inventato questo gioco...» Mi tocco di nuovo il punto del pugno. «Cristo, ma non sai dosare la forza?»

«Non gli riesce bene ancora. Non lo fa apposta» si affretta a spiegare Seth protettivo.

«Grazie dell'informazione, mamma.» Lo guardo attraverso lo specchietto e sospiro. Cristo se fa male.

«E poi non è colpa mia se sei un vecchietto fragilino».

Ghigno. «Però il vecchietto non ti è dispiaciuto.» Butto il mozzicone di sigaretta e sbuffo.

«Un punto per te, tesoro» risponde Nicholas, sollevando le mani in segno di resa.

Seth sbuffa. «Possiamo smetterla con le allusioni sessuali alla vostra notte di fuoco? Grazie».

«Non essere geloso, Seth. Se prendi il numeretto e ti metti in fila, forse ti accontento.»

«Non è il tuo tipo, a quanto mi risulta». Nicholas preme il pulsante per spegnere la radio e rilascia un lungo respiro. «Finalmente, non sopportavo più quella gallina strozzata».

«Le tue lagne mi ricordano le galline strozzate, in verità.» Roteo gli occhi. «E poi a me piace Britney Spears-» mi mordo la lingua nell'istante in cui quelle parole mi escono di bocca. Guardo Seth dallo specchietto retrovisore.

«Ora ho capito perché il tuo fidanzato ti ha lasciato» commenta quest'ultimo, sorridendo. «Oltre che in amore, dovrei darti consigli anche per migliorare i tuoi gusti musicali».

Vorrei inchiodare la macchina sull'autostrada, ma tengo ancora alla mia vita. «NON MI HA LASCIATO LUI! L'HO LASCIATO IO, porca puttana. Sembra più difficile della differenza tra psicopatico e sociopatico.»

Nicholas alza un indice. «Domanda. Se davvero lo hai lasciato tu, perché aspetti i suoi messaggi come un cucciolo abbandonato?»

Mi si strozza la voce in gola. Lo guardo storto. «Non aspetto i suoi messaggi. Sto chiedendo a Isak come sta il mio cane e cerco di essere aggiornato sulla sua vita.» Che bugia di merda, poteva venirmene in mente una migliore. Cosa devo dire? Perché sono un incoerente che per una volta non ha fatto l'egoista e adesso si prenderebbe a sprangate da solo?

Seth mi dà un buffetto incoraggiante sul gomito. «Non c'è nulla di male ad ammettere che hai ancora una cotta per il tuo ex. Noi non giudichiamo».

Sbatto la testa contro il clacson. Ho la sensazione che sarà un viaggio piuttosto lungo. La paternale sui sentimenti me la risparmio davvero volentieri. Accendo la radio e la sparo a tutto volume.

Stranamente Nicholas non torna all'attacco con le sue lagne. Appoggia il mento sul palmo e rimane in silenzio, lo sguardo assente fisso sul cielo terso. Ho la sensazione di sentirne quasi i pensieri, come se fossero simili ai miei su Perez. A volte, quando chiudo gli occhi, mi sembra di averlo di nuovo davanti.

Se uccidere Davies lo aiuterà a stare un minimo meglio, allora mi occuperò personalmente che soffra almeno la metà di quanto ha sofferto Nicholas.

Quando giungiamo a Seattle, mi infilo nel parcheggio del primo albergo appartenente a una catena di Holiday-Inn. Scendo dall'auto e mi sgranchisco le gambe e sbuffo. Apro la portiera di dietro e do una piccola scossa a Seth, che si era addormentato. «Siamo arrivati.»

Sbadiglia, stropicciandosi gli occhi velati dal sonno con le nocche. «Uffa, stavo sognando di essere sul Millennium Falcon».

Nicholas esce dall'auto con un balzo. «Questa è Seattle dunque? Carina, anche se a me le città sembrano tutte uguali».

«A parte Las Vegas. Quella è unica» sospira Seth sognante.

A volte mi chiedo dove si spengano quei due. «Non potevi rimanerci sul Millennium Falcon?»

Prendo il mio zaino e mi avvio verso la reception. Una donna dai lunghi capelli scuri, che le ricadono sulle spalle, mi guarda e mi accoglie con un sorriso allegro. «Buongiorno, come posso aiutarla?»

La osservo per un istante. «Una tripla spaziosa.» Mi guarda per troppo tempo e mi sento a disagio. Sposto il peso da un piede all'altro, mentre aspetto che cerchi la camera giusta. Mi volto a guardare Nicholas e Seth, intenti a sghignazzare. «Che c'è?!»

«Niente». Seth sventola una mano con un gesto noncurante. «Stavamo solo facendo notare che quella tipa ci provava con te».

Adesso vomito. Sono consapevole che questa idiozia non finisce qua. Credo che Nicholas e Seth abbiano seguito un corso lampo di rotture di coglioni e che sto trattenendo le pallottole nella pistola da troppo tempo. «Terzo piano, camera 208.» Mi sorride. Mi chiedo che cazzo abbiano da sorridere le persone quando è chiaramente una giornata di merda.

Quando mi porge il mazzo di chiavi, lo afferro e mi incammino spedito verso l'ascensore. Nicholas e Seth entrano a loro volta nella cabina, mano nella mano come sempre.

«Mi raccomando tenetevi per mano, altrimenti vi perdete.» Roteo gli occhi. Ho la nausea.

Nicholas ridacchia e cinge i fianchi di Seth da dietro, posando il mento sulla sua spalla. Si rivolge a me con un ghigno. «Che c'è, tesoro? Ti facciamo sentire la mancanza del tuo dottorino? Puoi sempre consolarti con la tipa al bancone».

Sì così vomito definitivamente. «Mi state facendo venire il diabete.» Esco dall'ascensore una volta arrivati. «E non mi manca e grazie a Dio non ero così vomitevole.» Cerco la nostra camera lungo il corridoio, sbattendo rumorosamente i piedi a terra.

Seth fa per darmi una pacca sulla schiena, ma mi ritraggo di colpo. Il sudore mi imperla la fronte, se penso alle ustioni.

Lui se ne accorge e fa un passo indietro. Ammicca. «Il romanticismo fa sempre bene nelle relazioni, tienilo a mente».

«Disse il ragazzo che ha una scopa amicizia con lo psicopatico che crede che il fidanzato sia un tipo di dolce.» Ghigno. Individuo la nostra porta e apro la camera.

Nicholas si tuffa subito sul divano, allungando le gambe davanti a sé. Intreccia le dita dietro la nuca e mi fissa indispettito. «Ho passato quattordici anni della mia vita in laboratorio. Sapere cos'è un fidanzato non è la mia priorità».

Getto lo zaino sul letto e sfilo il portatile. Prendo la chiavetta usb a forma di rossetto di Ida, gentilmente rubata e presa in prestito e la collego al pc. «Massimo un'ora e dovrei avere tutto.»

Seth si butta sul divano accanto a Nicholas, che gli si rannicchia contro il petto mentre continua a scorrere i canali della televisione.

«Abbiamo finito con le stazioni radio e iniziamo con il televisore. Grandioso.» Mi volto di scatto a guardarlo male.

«Sto cercando i cartoni» brontola Nicholas. Abbassa il telecomando. «Ecco. Non so quale sia, però...»

«Il Re Leone» chiarisce Seth, accarezzandogli distrattamente i capelli.

«Non conosci il Re Leone? Lascia.» Mi sento oltraggiato, come se mi avessero offeso la famiglia.

Nicholas si stringe nelle spalle. «Non conosco tante cose». C'è una vena di amarezza nella voce.

«È storia del cinema.» Lo guardo tranquillo. Prendo a battere di tanto in tanto il piede a terra.

Inizio a cercare le informazioni su Leonard Davies.

«Un bel giorno ti accorgi che esisti, che sei parte del mondo anche tu. Non per tua volontà e ti chiedi chissà. Siamo qui per volere di chi.» mormoro a bassa voce e clicco sul nome di quell'idiota. Almeno la connessione è veloce. Leonard Davies uno studio medico a cui è associato il numero telefonico. Mi basta questo per hackerargli il telefono e iniziare a pedinarlo per scoprire ogni movimento. Mi passo una mano sul volto e sbuffo.

«Quanto odio queste inutili canzoncine» farfuglia Nicholas annoiato, facendo schioccare le labbra.

Ora lo ammazzo. «Non capisci un cazzo.» Sbuffo. «Fratricidi, salita al potere e caduta. Il mondo non meritava questo cartone.» Guardo lo schermo del pc e osservo sulla Mappa i movimenti di Davies.

Seth scocca un'occhiata, le sopracciglia inarcate. «Posso capire Nik, dato che è nato e cresciuto in provetta, ma tu che scusa hai per essere ossessionato dai cartoni a quarant'anni suonati?» chiede in tono scherzoso.

«Innanzitutto sono trentacinque.» Lo guardo male. «E sintetizzando, mia madre è morta quando ero piccolo. Mio padre mi ha cresciuto insieme a un prete pazzo e ho trascorso anni interi tra Chiese ed esorcismi. Sono stato trasferito poi in orfanotrofio e mi sono arruolato a diciott'anni. Non ho mai visto i cartoni fino a qualche anno fa.» Scrollo le spalle. «E non mi piacciono le caramelle.»

Nicholas fa una smorfia. «Siamo il trio dell'infanzia di merda, allora. Buono a sapersi».

«Conosco tutte le preghiere a memoria. Per ora informazioni che non mi sono mai tornate utili.»

Seth ammutolisce. Un lampo di tristezza gli balena nello sguardo. «Scusa. Mi dispiace. Non avrei dovuto. Era una battuta» sussurra, chinando il capo.

«Sorvolerò sui quarant'anni. Per ora.» Mi tiro in piedi. Schiocco le mani. «Buona notizia: so dove si troverà questo idiota stasera. Cattiva notizia: galà in maschera per Halloween.» Picchetto le dita sulla scrivania. «Posso procurarci inviti falsi.»

Nicholas scatta in piedi e batte le mani. «Andiamo a prendere quel bastardo. Ho fame».

«Non dobbiamo attirare l'attenzione. Ti ricordo che l'Olympus ti sta ancora dando la caccia» soggiunge Seth, alzandosi. «Potremmo procurarci dei travestimenti».

«Ci servono necessariamente perché è d'obbligo essere in maschera...» Mi massaggio il collo, «una volta individuato lo convinco a seguirmi con una scusa e lo portiamo via dalla festa.»

Nicholas viene scosso da un fremito. Le iridi gli brillano. «E io lo sbrano» aggiunge soddisfatto.

«Sì. Sono vegetariano della carne umana, ti ricordo.» Roteo gli occhi. «Io lo torturo un po'... un po' tanto.» Prendo dei vestiti puliti. «Io ho con me una vecchia divisa militare... voi come avete intenzione di risolvere?»

Un ampio sorriso si apre sul volto di Seth. «Lasciate fare a me».

Nicholas

«È un'idea stupida».

Siamo arrivati davanti alla villa in cui si tiene il galà, qualunque cosa significhi. Poiché è obbligatorio mascherarsi, Seth mi ha procurato un ridicolo travestimento da vampiro. L'unica nota positiva è che non ho bisogno di denti finti, avendo già dei canini retrattili. Ma il mantello scuro mi fa apparire davvero patetico.

«Hai idee migliori?» Atlas mi ringhia contro. Si sistema la divisa mimetica e si guarda attorno. Osserva Seth e inarca un sopracciglio. «Ricordami da cosa sei vestito e la tua utilità nel piano, visto la sensibilità al sangue.»

«Stai scherzando? Sono Elvis Presley. Il re del rock and roll» Seth allarga le braccia e fa una piroetta per mettere in mostra il suo completo bianco. «E la mia utilità è dover compensare il tuo muso lungo con la mia simpatia».

Atlas si massaggia le tempie. «Prendete questi. Sono i biglietti coi vostri nomi falsi e documenti falsi.» Sbatte il tutto contro i nostri petti. «Ora muoviamoci, Dracula e re del rock.» Si avvia verso l'ingresso.

Mi incammino a mia volta, controllando la mia nuova carta d'identità falsa. È ironico, considerato che in teoria non ne ho neanche una vera. Mi acciglio. «Ma che razza di nome è Ottavius? Sembra una malattia».

«Septimus e Ottavius mi sembrano magnifici insieme.» Atlas ghigna. Mi dà un buffetto sulla guancia. «Non innervosirti, Ottavius. Non tutti abbiamo nomi bellissimi.»

Emetto un ringhio soffocato, ma Seth mi fa cenno di lasciar perdere. «Almeno tu non hai dovuto sopportare questo nome orrendo per diciannove anni» commenta sarcastico.

Atlas si avvicina alla fila, non troppo lunga, e nasconde le mani nella tasche dei pantaloni. «La prossima volta ti presto il mio vero nome, ti piace Jeremiah? Significa scelto dal Signore.»

Roteo gli occhi. Mi devo mordere la lingua per non lasciarmi sfuggire che l'unico nome che mi piace è quello che mi ha dato Seth. Mi prenderebbe in giro fino alla morte.

Sbircio Atlas di sottecchi. È molto più grande di me, eppure mi sono sentito del tutto a mio agio in sua compagnia fin dal primo momento. È strano. Anche se ho imparato ad apprezzare il contatto fisico con i miei coetanei, gli uomini adulti mi spaventano ancora un po' di solito. Invece, con lui ho persino fatto sesso ed è stata un'esperienza sorprendentemente piacevole.

Atlas mi punzecchia il fianco e indica il tipo davanti a noi. «Ora inciampa nel vestito della ragazza.» Sghignazza, facendo un cenno col capo al piede dell'uomo sullo strascico.

Scoppio a ridere. «Sarà una discutibile tattica di rimorchio».

Dopo qualche minuto arriva finalmente il nostro turno. Mostriamo i biglietti con gli inviti alle guardie all'ingresso. O almeno credo che siano guardie. Seth si aggiusta la parrucca ed entra per primo. Riesce a essere carino anche conciato in quella maniera assurda.

Appena varcata la soglia, un senso di sollievo mi pervade. La sala è piena di gente vestita in modi strani, intenta a bere o a ballare al ritmo di una musica lenta e - a mio parere - fin troppo drammatica. Adoro la confusione, i rumori, le voci che si mescolano e allontanano il silenzio. Non che ne abbia avuto molto finora. È un altro vantaggio di esserci aggregati a questo sicario sociopatico. È così facile e divertente farlo innervosire che non sta mai zitto.

«Dalle mie informazioni-» Atlas si sistema di nuovo la divisa, «Davies dovrebbe essere vestito da dottore, che simpatico. Dato che ce ne sono diversi conciati così, mi sa che sarà una caccia al topo.» Si muove nervoso sul posto. Si passa smanioso le mani tra i capelli e arretra un attimo.

Mi guardo intorno e mi rendo conto che ha ragione. L'ansia mi serra la gola. Troppi camici. Troppi ricordi.

Seth mi dà una stretta alla mano. «Sono solo travestimenti, okay?» mormora rassicurante.

Annuisco, asciugandomi il sudore dei palmi sui pantaloni.

«Qualcuno mi spiega perché ad Halloween si travestono da preti e suore?» Atlas deglutisce e abbassa lo sguardo sull'orologio. Ferma al volo un cameriere e prende un bicchiere di champagne che tracanna. «Bene, andiamo.»

Anch'io afferro un calice da un vassoio e ci immettiamo nella folla. I miei occhi vagano a caccia del viso famigliare del dottor Davies, mentre Seth mi trotterella accanto guardandosi attorno. Ho la sensazione che stia cercando qualcosa di valore da rubare.

Mi blocco, un tremito che mi scende lungo la schiena. Accenno all'uomo robusto alla base della scalinata. Nonostante siano trascorsi solo pochi anni, è più vecchio di quanto mi ricordassi. «Quello».

Atlas mi guarda di sbieco e annuisce. Si porta i capelli all'indietro e ripete a bassa voce il copione che si è preparato. «Salve, sono Drew Parker e vorremmo parlare con lei per i fondi donazione alla sua azienda. Possiamo parlarne fuori? Qui c'è troppa confusione.» Si sistema la giacca della divisa e si allontana verso la scalinata.

Mi scolo il resto del drink e lancio un'occhiata a Seth, che è impegnato a chiacchierare con una donna travestita da non so cosa. Di certo vuole fregarle la collana di perle. Decido di lasciarlo al suo furto e mi dirigo nel giardino, nel posto in cui so che Atlas porterà il bastardo.

In lontananza lo vedo che ci raggiunge. Tiene la mano poggiata con forza sulla spalla di Davies, facendo pressione. «Ecco qui il mio collaboratore.» Mi indica.

Faccio un sorriso cattivo. «Ci rivediamo, pezzo di merda».

L'uomo ha a malapena il tempo di riconoscermi che Atlas sfila la pistola e lo colpisce con un gesto secco col calcio in testa, facendogli perdere i sensi. Gli dà poi un calcetto al fianco. «Bene. Portiamolo in auto.»

Lo sollevo da terra e lo carico nel bagagliaio, premurandomi di fargli sbattere la nuca per puro piacere personale. Quindi lo richiudo e mi sfrego le mani. La vendetta è inebriante, mi fa ribollire il sangue nelle vene, e il mio istinto da predatore non mi aiuta a mantenere la calma.

Atlas sale in auto e mi aspetta. «Preleviamo ora Seth?»

«Vado a recuperarlo».

«Vengo con te.» Atlas chiude lo sportello e mi segue a passo svelto.

Ritorno nella sala e riesco subito a trovare Seth. Sta litigando con un uomo allampanato, forse il marito della donna bionda con cui stava parlando poco fa. Tendo le orecchie per origliare la loro conversazione, isolandola da tutti gli altri suoni.

«Hai provato a derubarla, ti ho visto» lo accusa, puntandogli un dito al petto. «Adesso avviso la sicurezza».

«Che rottura di coglioni.» Atlas rotea gli occhi al cielo e si avvicina a loro.

Seth indietreggia fino a venire a sbattere al mio petto. Scuote la testa. «Non è vero. Non ho fatto nulla».

Ma l'uomo si sta già voltando. Atlas bofonchia. «Púdrete.» (Vaffanculo) Lo afferra per il colletto della camicia e gli assesta un pugno sul naso. Il sangue gli sporca le nocche. «Credo sia rotto, amico.»

Seth sussulta. Lo supero e mi unisco ad Atlas, indifferente agli sguardi sconvolti degli altri invitati. Le guardie della sicurezza si fanno strada verso di noi. Una delle due mi agguanta per la spalla e reagisco d'impulso. Gli piego il polso fino a spezzarlo e lo spintono sul pavimento, facendolo ruzzolare per qualche metro. Mi trattengo a malapena dal balzarle addosso per sventrarla. Troppa gente.

L'altra guardia tenta di bloccare Atlas, che gli assesta una gomitata al fianco. Sfila la sua pistola e gliela punta contro. Afferra uno degli ospiti, che strilla, e gli poggia la canna contro la tempia. «Ora noi ce ne andiamo e giuro che non gli faccio saltare il cervello.»

Serro i pugni, gli artigli conficcati nella carne. I crampi allo stomaco mi stanno implorando di fare un massacro, di nutrirmi di tutte le anime che sento palpitare di vita attorno a me. Ma non posso.

Deglutisco e cominciamo ad arretrare. La folla si apre al nostro passaggio, quasi temessero che la nostra follia possa contagiarli. L'odore della loro paura mi provoca un'ondata di eccitazione.

Quando ormai siamo fuori, Atlas spinge in avanti l'ostaggio e saliamo in auto. Osserva la pistola e storce il naso, mentre mette in moto. «Mi hanno cacciato dai casinò di Las Vegas. Mi hanno cacciato da più pub a Edimburgo, la polizia cerca il mio alter ego e mi faccio cacciare da Seattle. Che curriculum ampio.»

Seth boccheggia, afflosciato sul sedile al mio fianco. Si toglie la parrucca e si passa una mano nei riccioli scuri. «Menomale che non dovevamo attirare l'attenzione, eh».

«Disse quello che si stava facendo arrestare. Poi avremmo dovuto organizzare la tua evasione del cazzo.» Atlas inizia a guidare verso campagne abbandonate.

Sbuffo. «Hai piantato un casino per una collana e non l'hai neanche presa».

«No, ma ho preso questo» si vanta Seth, esibendo un portafoglio. «Detesto i bulletti».

«Odio le feste e questa divisa del cazzo.» Atlas si sistema per l'ennesima volta i pantaloni. Arriviamo davanti a un campo abbandonato. Solo la Luna testimone di questa notte, una falce argentea su uno sfondo d'inchiostro. Atlas accosta in disparte e scendiamo. Seth è nervoso, ciondola a disagio sui talloni con le mani affondate nelle tasche.

Mi sgancio il mantello del costume e apro il bagagliaio, fissando il corpo svenuto di Davies al suo interno. Un liquido cremisi gli cola dalla ferita alla tempia.

Atlas mi osserva da dietro e sbuffa. «Isak non prenderà bene la scopata, la fiancata ammaccata e il sangue sulla tappezzeria...» Prende delle catene e delle fascette di plastica. Avvolge i polsi di Davies dietro la schiena e lo trascina fino a una delle tante querce, al centro del nulla. Lo lega, poi, con il busto contro il tronco, usando le catene. Si accende una sigaretta ed espira il fumo, socchiudendo gli occhi.

«Roulette russa?» Lancia un'ultima occhiata a Seth. «Copriti gli occhi.»

Seth sbianca, perdendo quel poco colorito che gli era rimasto in volto. «Ho bisogno anch'io di una sigaretta». E sfila il pacchetto dalla tasca.

Atlas si abbassa sulle ginocchia all'altezza di Davies e gli dà un paio di buffetti sulle guance per risvegliarlo. L'uomo trasalisce e ci rivolge uno sguardo intontito. Nell'istante in cui lo posa su di me, vedo la consapevolezza insinuarsi nei suoi scuri occhietti infossati. Acuisco l'udito per godere dei battiti frenetici del suo cuore, fiutando il terrore che di sta impadronendo di lui.

«Ti ricordi di me?» chiedo, pur sapendo già la risposta.

Annuisce con apparente calma. «Soggetto Zero».

«Ti spiego le regole. Ora tu rispondi a un paio di domande. Se la risposta piace al mio amico, andiamo avanti. Se non gli piace, sparo.» Atlas schiocca il collo e carica la pistola. «Tutto chiaro, no?»

Davies espira bruscamente. Malgrado stia tremando come una foglia, la sua espressione è impassibile. «Ho capito».

Atlas si sposta di lato e mi fa cenno di proseguire, nel mentre che smanetta con l'arma.

Mi faccio avanti e mi piego sulle ginocchia. Inclino il capo di lato. «I miei fratelli. Voglio sapere che fine hanno fatto».

Il dottor Davies si raddrizza, assumendo lo stesso atteggiamento pacato che sfoggiava durante i test. «Nessuno lo sa, Zero. Sono stati prelevati la notte in cui tua madre e Lucius sono morti e tu sei fuggito». Fa un sorriso comprensivo. «L'Olympus ti sta ancora cercando, Zero. La scia di cadaveri martoriati che stai lasciando li porterà dritti da te. Posso aiutarti...»

Atlas rotea gli occhi, guardandomi di sottecchi. Spara al ginocchio. Sorride divertito, quando sente l'urlo di dolore. «Il tuo cadavere non lo troverà nessuno, Leonard. Ci penso io a quello, non preoccuparti.»

Un verso rabbioso mi scaturisce dalla gola e afferro il dottor Davies per il camice, tirandolo verso di me con tale veemenza da rompere le catene. Atlas si lagna in sottofondo.

«Quale di loro?»

Lui sputa un grumo di sangue, ansimante. «C-che cosa?»

«A quale dei miei fratelli facevi le Terapie?» sibilai, conficcando gli artigli nella sua coscia. Il suo gemito d'agonia mi suscita un moto di sadico piacere.

«Zero, tutto ciò che vi abbiamo fatto era necessario. Non era questo che sareste dovuti diventare...»

«Risposta sbagliata.» Atlas rotea gli occhi e spara al suo piede. Piega il capo e sogghigna divertito. «Quanto mi sto divertendo.»

Lo afferro per i capelli bianchi, costringendomi a guardarmi in volto. «Quale?»

«Soggetto Cinque» balbetta infine, la voce ormai rauca spezzata dai singhiozzi. «Le mie sedute erano con il Soggetto Cinque».

Ripenso al mio fratellino, biondo come me, sempre con la battuta pronta e un sorriso di scherno sulle labbra. Il mio fratellino che scherzava prima degli esperimenti, ma perdeva tutta la sua allegria quando veniva convocato per le Terapie, una volta a settimana.

«Posso sparare comunque?» Atlas sembra un bambino in trepidazione.

«No, adesso è il mio turno».

Senza esitazione affondo i denti nella giugulare del dottor Davies, ignorando il fiotto di sangue che mi schizza in faccia. Mentre lo tengo fermo con una mano, gli squarcio il petto con l'altra. Appena le mie dita si chiudono attorno al suo cuore, lo tiro fuori con un unico movimento secco.

Mi tiro in piedi e ne strappo un morso, dando un calcetto alla carcassa sul terreno. La sua anima mi riempie, investendomi come un orgasmo, e rovescio la testa all'indietro per crogiolarmi nella sensazione di potere che mi travolge.

Atlas si allontana verso la jeep. Sfila una tanica di benzina e storce il naso. «Mentre fai spuntino, mi occupo di quello che ne rimane.» Mi si avvicina di nuovo e guarda Davies. «Siamo messi male, eh?» Inizia a cospargerlo di benzina. «Comunque direi che il tuo costume da Halloween era abbastanza banale.»

Accende un fiammifero e riporta l'attenzione su di me. «Sono curioso. Aspiri anime come fossi una specie di aspirapolvere?» Gli dà poi fuoco e ficca le mani nelle tasche dei pantaloni stretti, prendendo a guardare le fiamme.

Scrollo le spalle. «Almeno io non parlo con i cadaveri» borbotto in tono scontroso.

«Sono più simpatici da morti che da vivi...» Inarca un sopracciglio e mi studia. «Hai lo sguardo da scopata.» Ridacchia divertito e ripone la pistola dietro la schiena.

«L'effetto è simile».

«Avrei bisogno di una scopata, in effetti.»

Mugugno qualcosa di indistinto, continuando a osservare il corpo di Davies divorato dalle fiamme. Storco il naso.

Sapevo già che non poteva conoscere la posizione attuale dei miei fratelli. Prima di lasciare Notturn Hall, io e Seth avevamo scoperto che erano stati portati via da un certo Thomas Stone. Eppure, a ogni membro del Progetto che catturo, pongo sempre quella domanda e concedo stupidamente alla speranza di gonfiarsi dentro di me per un attimo. Solo per poi esplodere come un palloncino bucato, nel ricevere la medesima risposta.

Non li troverò mai.

Sono destinato a rimanere da solo.

«Ehm, ragazzi?» Seth procede verso di noi, coprendosi gli occhi con una mano. «La parte raccapricciante è finita, vero?»

«Ormai è una carbonella. Presto sarà cenere. Prendo le ossa e le sotterro. Siamo lontani dalla festa, non verranno a cercarlo qui.» Atlas va in auto a prendere una pala e inizia a scavare, affondando la vanga nel terreno. Alza lo sguardo su di me e sospira piano. «Li troveremo. Te lo prometto.»

Ingoio l'ultimo boccone del cuore e abbozzo un sorriso, leccandomi le dita dal sangue. «Tenero da parte tua» lo stuzzico. Nel profondo gli sono grato, ma non posso permettermi di essere vulnerabile con nessuno. Forse solo con Seth.

«Tenero lo dici a un cagnolino abbandonato in mezzo alla strada.» Butta i resti nella fossa e mi guarda male. «Voglio una pizza. E una birra.»

Seth mi affianca. Nonostante sia evidente che sta trattenendo i conati di vomito, si sforza di farmi un sorriso dolce. A volte dimentico che è facilmente impressionabile. «Che ne dici? Potresti darti una ripulita e andiamo a bere qualcosa per tirarti su».

Agito la mano. «È Halloween e sono un vampiro coperto di sangue. Vado bene così».

«Molto in tema. Quindi andiamo a mangiare?» Atlas posa di nuovo la pala nel bagagliaio e si stiracchia.

Gli faccio un cenno d'assenso e crollo sul sedile del passeggero, la testa premuta contro il finestrino. Non ho la forza nemmeno di lamentarmi della pessima musica. Seth si infila dietro e partiamo.

Atlas guida veloce verso la città. Lancia occhiate alla ricerca del primo posto dove fermarsi. «Penso che quello vada bene.» Indica un pub e accosta.

È un luogo abbastanza squallido e malandato, ma non mi importa. Entriamo e Atlas va a ordinare al bancone, mentre io e Seth troviamo un tavolo appartato nell'angolo. Ci sediamo, la sua mano posata sul mio ginocchio in una stretta lieve ma rassicurante.

Atlas ci raggiunge con i boccali. Guarda Seth in tralice. «È stato umiliante dover prenderti la birra meno alcolica del menù.» Si lascia cadere sulla sedia e mi passa da bere.

Seth gonfia il petto, indignato. «Non è affatto vero che non reggo l'alcol».

«Vogliamo provare?» Atlas ghigna e manda giù un sorso.

Ridacchio e ingollo metà del contenuto del mio boccale. Purtroppo il mio metabolismo si sta abituando in fretta, quindi penso di poter aspirare al massimo a essere brillo. «A meno che tu non voglia vederlo ballare sul bancone cantando a squarciagola, non ti conviene. È più stonato di una campana».

«Sarebbe molto divertente in verità. Ma tengo ancora ai miei timpani...» Atlas chiama un cameriere e ne ordina un'altra, insieme a una porzione di patatine. «Ho fame. E se provate a rubarmele dal piatto vi trancio le mani con la forchetta.»

Sogghigno, vuotando ciò che rimane della mia birra. Quando il cameriere ritorna, la prima cosa che faccio è pescare una delle patatine dal piatto di Atlas con uno scatto e me la metto in bocca.

«Potrei uccidere per molto meno.» Atlas affonda la forchetta al lato della mia mano, sfiorandola.

Non mi muovo. Ho seguito la scena al rallentatore, grazie ai miei riflessi sovrumani, e sapevo che non mi avrebbe colpito. Gli strizzo l'occhio. «Dopo mi faccio perdonare, magari».

«E come credi di farlo?» Atlas addenta un'altra patatina e poi riprende a bere.

Mi avvicino, portando il viso a pochi centimetri dal suo. Le mie labbra si incurvano verso l'alto. «Tu cosa vorresti?»

Seth fa una pernacchia. «Potreste non flirtare in mia presenza?» bofonchia irritato.

Atlas deglutisce e sposta lo sguardo. «Quindi non posso replicare? Odio non avere l'ultima parola.» Rotea gli occhi al cielo. Inclina leggermente il capo. «Potresti sorprendermi, comunque.»

Arcuo un sopracciglio. Una parte di me vorrebbe coglierlo alla sprovvista con un bacio, ma forse è meglio evitare. Mi limito a scompigliargli i capelli e bevo un sorso di birra. «Suppongo di doverti ringraziare per l'aiuto, comunque. È stato divertente. Dovremmo rifarlo».

«Quando vuoi. Tanto resto qui in America ancora per un po'.» Atlas si sistema i capelli infastidito e finisce la seconda birra. «E poi possiamo provare a trovare i tuoi fratelli e concludere la caccia. Anche perché so sbarazzarmi meglio di te dei corpi...»

«Temo che non sia così semplice». Mi asciugo la schiuma attorno alla bocca con il tovagliolo. «Per ora sto cercando gli scienziati che lavoravano al nostro Progetto, ma ho intenzione di distruggere l'Olympus fino alle fondamenta. Nella remota possibilità che io non venga ammazzato, continuerò a cercare la mia famiglia nel frattempo».

Seth corruga la fronte. «Ottimista».

Lo ignoro, concentrandomi su Atlas. Mi aveva raccontato del suo passato, tanto valeva che gli confidassi il mio. «Non mi hai chiesto che cosa sono le Terapie».

«Ne vuoi parlare?» Atlas si stiracchia e socchiude gli occhi. «Non faccio domande perché non mi piace che gli altri si impiccino delle mie stronzate. Se mi va di parlarne, sono io a farlo. Di conseguenza mi aspetto che gli altri facciano lo stesso. Quindi se vuoi parlarne, va bene. Altrimenti va bene lo stesso.»

Sorrido. Non glielo avrei mai confessato, ma è una delle ragioni per cui mi piace. Non è invadente e rispetta i miei spazi. Come quando lo stavamo facendo in macchina e aveva avuto l'accortezza di non toccarmi le cicatrici.

Ritorno serio e rilascio un sospiro prolungato. «Oltre ai test giornalieri, i miei fratelli venivano sottoposti una volta a settimana a quelle che chiamavano Terapie. Io no, facevo delle sedute private esclusivamente con Lucius, quasi ogni sera. Non sapevo cosa facessero loro all'epoca, ne sono venuto a conoscenza più tardi». Bevo un'altra sorsata di birra. «Lucius mi insegnava a giocare a scacchi. Una versione speciale. Ti risparmio i dettagli, ma le partite si concludevano sempre con lui che faceva scacco matto e me a quattro zampe sul suo letto». Scrollo le spalle. «Le Terapie dei miei fratelli non erano molto diverse, suppongo».

Lo sguardo di Atlas si incupisce e stringe il boccale vuoto di birra. «Possiamo ucciderli tutti e farli soffrire anche un bel po'...»

Seth annuisce, intrecciando le dita alle mie sul tavolo. Contrae la mascella. «Se lo meritano, quei pedofili schifosi del cazzo».

«Sai, Seth? Credo che il tuo animale guida sia il chihuahua. Sei aggressivo ma piccolo. Quindi davanti al pericolo hai bisogno dei cani grandi per salvarti.» Atlas ridacchia e beve.

«Il tuo è un orso, invece. Sembri un grandissimo stronzo, ma in fondo non sei male» replica Seth, con lo sguardo già annebbiato dall'alcol.

«L'ex moglie di Hercule aveva un nome da chihuahua.»

«Sarebbe?» chiedo curioso.

«Shayla. Chi non chiamerebbe così un chihuahua? Io di sicuro.» Atlas si passa una mano sul volto.

Mi lascio andare a una fragorosa risata e sbatto il boccale contro il suo. «Devo darti ragione, anche se non ho la minima idea di cosa sia un chihuahua».

«Un incrocio di cane tra Satana e Belzebù.»

«Glielo avrei spiegato in altri termini». Seth fa un sonoro sbadiglio. «Torniamo in albergo? Sono sul punto di collassare a terra».

Atlas annuisce e ci fa cenno di seguirlo. 


🫀🫀🫀

Angolino

Beh dai è stato tantissimo divertente, ve lo giuro 😭
Spero vi sia piaciuta la sorpresa🫡
Alla prossima 🫶🏼



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