Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

7. Verbos - parole magiche

7. Verbos – parole magiche


"Ricordi di pace
legati a questo canto
che il vento disperderà."


Le cene con le sue zie erano diventate una divertente ricorrenza che mai avrebbe voluto abbandonare. Erano ospitate nella villetta della zia Coralyne, la sorella più giovane di sua nonna. Lei aveva ereditato la farmacia di famiglia, una delle più frequentate di Claramontis.

Per quelle cene, zia Coralyne decideva di buttare fuori di casa il marito, lo zio Cody, per dare spazio a riunioni tutte al femminile insieme alle altre sorelle e alle nipoti. La bellezza della sua famiglia, quella stessa che sua mamma aveva avuto il coraggio di lasciare confinata tra le correnti di quel mare, insieme alle sue origini, era che non importava quanto il sangue in comune fosse annacquato da generazioni e generazioni.

La famiglia era composta da cugini di gradi decimali, zii ereditati da lontano. La loro forza si esprimeva nei legami indistruttibili che andavano oltre le cellule che avevano in comune.

Alluene si era sentita accolta da quella famiglia di cui, fino ad un anno prima, aveva solo sentito raccontare di tanto in tanto da sua mamma, i cui ricordi si perdevano nelle memorie di estati lontane, e ora non avrebbe più potuto immaginare una vita senza di loro.

Lasciava la casa della zia Cor, dopo le sue famose cene, sempre come una bomba pronta ad esplodere per le quantità di cibo che era riuscita a farle ingerire. Le zie continuavano a ripeterle che era troppo magra e con quella scusa si adoperavano per rimpinzarla. Come tutte le volte, non era riuscita ad uscire da quella gabbia di matte a mani vuote.

Al principio, era stata tentata di non rientrare in albergo. Avrebbe potuto chiedere asilo politico a una delle sue zie, ma poi, pentita di quell'improvviso slancio di codardia, era rientrata nella sua stanza in silenzio tombale, come se avesse temuto di essere sentita.

La camera era esattamente come l'aveva lasciata, offuscata dall'ombra dei leggeri graffi di luce che delimitavano i confini della porta che comunicava con lo spazio accanto.

Alluene deglutì, tergiversando incerta, con ancora la giacca addosso e il sacchetto di carta con le polpette della zia in mano.
Sebbene la compagnia dei suoi parenti fosse un'ottima scusa per distrarsi, non era riuscita a smettere, se non per pochi secondi di fila, di pensare alla discussione che aveva avuto con lui.

Aveva esagerato, lo sapeva, sentiva le scariche di pentimento marchiarla come se fosse stata in difetto, come a ricordarle che aveva sbagliato. Aveva perso la ragione, scaraventandosi contro un demone ferito, ignorando la sua frattura interna, nascosta dalla violenza che esponeva al mondo pur di camuffare le sue sofferenze. E lei ci era andata proprio contro. Gli aveva strappato i punti su quella ferita aperta e poi aveva preteso di comandare le sue reazioni.

Ma come si poteva addomesticare una creatura violentata dallo stesso inferno che aveva dentro?

Era dannato di una dannazione marcita dall'interno, una chiazza oscura contro la quale avrebbe potuto lottare solo lui.
E lei aveva afferrato i lembi della sua oscurità allargandoli, straziando il fulcro della sua condanna pur di non uscire spezzata da ogni confronto.

Pur di salvarsi.

Ma lei non era così. E nell'esatto istante in cui patteggiò con il suo errore, spalancò la porta che li divideva impetuosa come se si fosse trattato di un assalto. E si bloccò lì, su quel ciglio che segnava la frontiera tra le loro dimensioni, come se la determinazione fosse appena precipitata giù nel baratro che accompagnava anche la sua, di oscurità.

Perché anche dietro alla luce più accecante si nascondeva un lembo di ombra.



Harry

Era abituato ormai a quei mal di testa lancinanti che gli trafiggevano il cranio da parte a parte. Riconosceva le fitte fin dal primo sintomo. Erano fili metallici che segavano il cervello, scariche veloci, sottili e implacabili. Insostenibili a lungo andare. Per questo aveva imparato a smascherarli e stroncarli con una dose massiccia di antidolorifico.

Il dottore gli aveva spiegato che era l'effetto del suo continuo sforzarsi. Spremeva il cervello costantemente pur di riuscire a ritrovare un solo briciolo, una sola immagine di quella fascia di passato che gli era stata rubata.

In quello stato di perenne concentrazione e frustrazione, il suo fisico reagiva rigettandogli addosso tutta la pressione da lui stesso sollecitata.

Il medico luminare che lo seguiva si era raccomandato di evitare tali tensioni e sforzi, continuava a ripetere che era inutile, che doveva aspettare che i suoi ricordi tornassero a galla da soli, imparando a nuotare in quell'oceano ignoto che gli aveva allagato la mente.

Invece lui non riusciva a capacitarsi, aveva setacciato in lungo e in largo il fondale di quell'abisso alla cieca. I suoi ricordi sembravano essere stati inabissati così in profondità e lui aveva iniziato a perdere le speranze.
Eppure non riusciva ad andare avanti con quella prigione cupa che stringeva parte della sua mente.

Ai mal di testa invece si era quasi abituato, se non fosse stato che solitamente si faceva trovare preparato. Invece quella sera, a causa di quel viaggio improvvisato e fuori controllo, era rimasto a corto di antidolorifici e la baraonda era esplosa di colpo nella sua testa senza che potesse stroncarla.

Le martellate incessanti di dolore avevano devastato la sua lucidità, persino il cervello aveva perso gli stimoli quando non era riuscito neanche ad alzarsi dal letto, ricadendo all'indietro a peso morto, sentendo persino l'impatto con il cuscino farsi devastante per la sua precaria condizione. Figuriamoci cercare una farmacia aperta a quell'ora.

- Per tutti i fagiani...! - quell'urlo improvviso gli sfilacciò i legamenti della sofferenza, risvegliando quel suo perenne stato di allerta. Harry separò le palpebre quanto bastasse identificare il contorno di una massa confusa di capelli dorati, luminosi quanto la corolla del sole.

- Vattene – strinse i denti quando il suono della sua stessa voce gli andò a pizzicare i nervi sensibili. Le tempie pulsavano, la testa era una bomba sul punto di esplodere.

- Cos'hai? – domandò lei allarmata, ignorando il suo ordine e avvicinandosi.

Ipocrita.

Quella parola sgocciolò giù dagli ultimi residui non bruciati della sua ragione, se solo pensava a ciò che si erano detti poche ore prima.

- Niente – Harry si limitò a separare appena le labbra, concentrato nel precario tentativo di resistere alle fiamme che gli sbattevano dentro il cranio.

- Si vede che stai male, pezzo di cretino, fai prima a dirmi cos'hai – graffiò l'aria lei con quel tono acuto e impettito, e lui si sforzò di tenere gli occhi serrati, concentrato nel suo inferno personale, lasciando fuori la rotazione confusionaria di ciò che aveva intorno.

- Allora perché lo chiedi – non aveva le forze neanche per tenere aperte le palpebre e l'insistenza di quella stupida ragazzina non faceva che innervosirlo.

- Hai preso qualcosa? –

- Non ho nulla – biascicò rauco, in un risucchio di aria che quasi gli andò di traverso mentre stringeva i muscoli per obbligarsi di non contorcersi, succube delle fitte. La testa schiacciata contro il cuscino, il corpo in preda a spasmi che grondava sudore. Ogni suono o movimento era come una martellata dritta nella nuca e quella ragazzina era l'ultimo dei suoi problemi. Voleva solo essere lasciato in pace, prima o poi quella tortura sarebbe finita. Si illuse che lei fosse andata via, complice l'aura muta che sembrava essergli caduta intorno.

Ma poi, di colpo, tutto si spense, il brusio, i suoni, persino il vorticare caotico d'aria e movimenti si acquietò, consumato dalle spire della sua lenta agonia. Eppure lui si sentiva a suo agio in quel deserto orfano di emozioni umane, anche in preda a quella dilaniante tortura. Infine, l'ambiente ricominciò a girare.

– Ecco, posso darti un antidolorifico – solo in quel momento gli sembrò di tornare di colpo lucido e vigile.

Aprì gli occhi solo per accertarsi che non fosse un miraggio. La ragazza era in piedi davanti a lui che gli sventolava davanti al viso la piccola pastiglia che stringeva tra due dita.

Harry stese la mano cercando di agguantare quell'allucinazione prima che potesse perdersi davanti agli scherzi della sua mente corrotta. Si accorse di essere ancora lucido quando il palmo della mano si tese scontrandosi contro la forma di un polso sottile. Ma lei schizzò all'indietro con un balzo, ritraendo la mano come se il suo tocco avesse potuto distruggerla. O forse le immagini che proiettava il cervello non erano davvero così nitide – Hai mangiato? – chiese lei guardinga, appoggiando il suono ad un tremolio scosceso. Harry le dedicò solo un movimento appena accennato del capo convinto che una qualunque risposta fosse superflua, perciò evitò di mentire – Allora queste cadono a fagiolo – Harry strinse di nuovo gli occhi nell'impeto di contenere la potenza devastante dell'ennesima stoccata e non ebbe il tempo di riaprirgli che qualcosa gli venne ficcato in bocca in malo modo.

- Ma che cavolo?! – tossì piegando la schiena leggermente in avanti mentre cercava di distinguere il sapore di quella consistenza morbida che ancora stagnava sulla punta delle labbra.

- Manda giù questa e poi ti do gli antidolorifici – ordinò lei perentoria e solo in quel momento Harry si rese conto che fosse seduta sul bordo del letto, non troppo vicino da poter pretendere di stabilire un collegamento intimo, ma quanto bastasse per apparire minacciosa e, in qualche modo, quasi complice. Lui notò solo allora la busta poggiata sul suo grembo e uno strano affare tondo e scuro che lei gli puntava vicino al viso con fare intimidatorio.

Mugugnò irritato da quei modi da selvaggia, poi fece forza sui gomiti per assimilare una posizione più verticale che riuscisse a mantenere.

- Non sono capace di fare la crocerossina. Lo odio – ammise lei sdegnata, agitando la mano con la polpetta davanti al suo naso – Quindi mangia e finiamola alla svelta – Harry sospirò allargando le narici. Era troppo svuotato per permettersi di sindacare e, tra l'altro, era del tutto d'accordo.

Voleva solo che finisse.

Afferrò la polpetta e la mangiò animato dalla ferocia di far sparire quel dolore, più che di fame. L'avrebbe ingoiata senza masticare pur di velocizzare quel processo, se quell'impasto ignoto non gli avesse immediatamente infuso una sensazione incredibile sul palato. Rimase quasi incantato.

Era squisita...

- Cos'è? – domandò passandosi la lingua sulle labbra pur di ritrovare quel sapore incredibile che aveva divorato con troppa velocità.

- Polpetta di melanzane, quelle di mia zia sono famose – replicò lei con un pizzico di soddisfazione a piegarle gli angoli della bocca. Harry contemplò nell'immobilità di un istante la forma tondeggiante e vagamente seducente di quelle labbra piene. Deglutì subito l'improvvisa inadeguatezza di quel pensiero. Forse vaneggiava. Tornò vigile non appena gli occhi volarono verso la mano della selvaggia, sul cui palmo stanziava ancora la pastiglia di antidolorifico – Ora puoi prenderlo – decretò risoluta e lui le schioccò un'occhiata infastidita a quel suo tono perennemente saccente e di comando. Ma non disse nulla.

Non osò obiettare dato che quella precaria concessione ballava sulla sua fragilità psichica. Perciò ingioiò la pastiglia prima che quella ragazza indisponente potesse cambiare idea e, sadica, costringerlo al dolore incessante per tutta la notte.
Harry liberò un lungo sospiro. Forse era l'effetto placebo, ma da quando aveva ingerito la pastiglia, già sentiva la forza delle stilettate alle tempie stancarsi. Si accomodò meglio sul cuscino, gli occhi socchiusi per stringere quel flebile attimo di pace più a lungo possibile.

- Cos'è, Tylenol? –

- No, è per i dolori mestruali, naturale al 100% – spiegò lei mesta, ancora immobile sul letto. Harry spalancò gli occhi di colpo, trafiggendola con uno sguardo collerico. Il mal di testa esplose di nuovo come il ruggito di una bestia infastidita. Accidenti.

- Che cavolo mi hai dato? – ringhiò osservando esterrefatto l'espressione immota su quel viso pulito e semplice, prima che lei aggrottasse la fronte infastidita.

- Sarà meglio di niente, no? – la ragazza si sporse in avanti, accompagnando con il busto lo slancio ferreo del suo tono, acuto e inflessibile. Il suo sguardo ambrato lo puntava con stizza e lui sentiva lo stimolo di controbattere punzecchiargli l'epicentro dormiente che governava i suoi impulsi.

Solitamente ci voleva ben altro per fargli perdere il controllo, ma lei sembrava godere di una subdola soddisfazione nel stuzzicarlo, nel dissacrare senza ritegno il cimitero delle sue emozioni.

Come se disseppellendo quelle tombe, avesse potuto trovare più facilmente le rovine del passato che tanto stava cercando.

Ma l'onta della loro discussione era ancora così aggressiva nella sua mente, che lui non riusciva a non domandarsi su quante bocche e lingue fossero state masticate le sue vicissitudini, se persino quei quattro pastori banditi dal mondo fossero a conoscenza di ciò che era successo.

Ma ancora una volta, Harry sotterrò in uno sbuffo irrequieto il suo totale malcontento – Ora cerca di rilassarti – lei parlò ancora pacata, un sottile filo di dolcezza ad annodare il solito famigliare astio. Facile per lei, prima cercava di soffocarlo con una polpetta, e poi pretendeva di guarire il suo malessere con roba per donne e del tutto blanda. Per non parlare di come aveva deriso la sua frustrazione, solo il pensiero gli sferrò una frustata di rabbia – Posso raccontarti qualcosa –

- Sta zitta, la tua voce mi innervosisce – Harry si girò da un lato, dandole le spalle con un grugnito, rinnovando il chiaro invito a lasciarlo in pace.

- Guarda che non muoio dalla voglia di conversare con te, ma Odin dice che quando parlo gli faccio venire sonno – spiegò convinta, lui si voltò appena inarcando un sopracciglio perplesso. Lei sbattè le palpebre frettolosa, puntando poi lo sguardo verso il grembo dove giaceva ancora il sacchetto con le polpette paradisiache - Non che sia lusinghiero... –

- La tua voce farebbe addormentare? Per carità – borbottò sarcastico voltandosi ancora. Più chiaro di quello, sarebbe stato solo buttarla fuori - È come un ronzio acuto e fastidioso –

- Cercavo di aiutarti, imbecille – il materasso si smosse sotto di lui. Harry digrignò i denti quando il frastuono della porta sbattuta con violenza gli rimbombò nella testa.

Doveva farlo di proposito, non c'era altra spiegazione.



Alluene

Stupida. Stupida. Stupida.

Camminava per la stanza avanti e indietro, accecata come un toro appena liberato nell'arena. Sposava i capelli a destra e sinistra, li legava, li scioglieva, si sedeva, si alzava, si muoveva a scoppio come se avesse avuto una carica dietro la schiena e che qualcuno l'avesse girata per attivarla.

Perché ci provava ancora?
Sapeva che Harry Staiden non era facile da trattare, lo sapeva accidenti. Ma più si ripeteva di stare calma e paziente, più quel suo modo di fare arrogante e intollerante le mandava in fumo il cervello.

Si decise a darsi una calmata non appena sentì la pelle diventare calda.

Per tutti i corbezzoli, stava sudando!

Si liberò di tutto l'abbigliamento superfluo, prima di sdraiarsi sopra le coperte ancora con jeans e maglietta. I muscoli formicolarono per la stanchezza. Le palpebre erano pesanti, gli occhi lacrimavano esausti, ma il cervello aveva ancora gli ingranaggi troppo in movimento per pretendere che si spegnesse di colpo.

Addormentarsi in un lampo sarebbe stato troppo bello per essere vero. Ma sapeva che dimenticare quella giornata sarebbe stato inutile. L'orco – cinghiale sarebbe rimasto lì ancora per più di due settimane, scontroso e scorbutico, e lei avrebbe dovuto ancora spremersi il cervello nel tentativo di escogitare trappole per fargli scoprire cosa si stesse perdendo dietro i paraocchi del suo insensato pregiudizio.

Era frustrante. Tremendamente frustrante.

Guardò l'ultima performance dei mondiali del 2015 dei suoi pattinatori preferiti, rubando preziosi minuti al tempo, fin quando il cellulare non era scivolato sul materasso.

Con ancora la luce dell'abatjour accesa, il suo corpo aveva appena iniziato ad addentrarsi nel sonno quando la prepotenza di un colpo contro la porta non la fece scattare seduta. La testa vorticò per un istante, come in preda alle vertigini e il cuore balzò in gola con la stessa velocità di uno schizzo d'acqua, per lo spavento.
Alluene si catapultò verso la porta con un andamento traballante e ancora assonnato. In preda alla confusione più totale, la aprì con un colpo secco.

Il tempo sembrò rallentare nell'esatto istante in cui lui apparve sulla soglia e il battito aumentò di colpo per il panico, propagandosi nel silenzio che la circondava.

Harry teneva le braccia contratte e poggiate contro gli stipiti, la testa piegata in avanti, i lunghi capelli che gli facevano da sipario sul viso. La schiena era ricurva e indolenzita come quella di un angelo caduto al quale avevano appena strappato le ali. Dalla camicia sbottonata, i cui lembi penzolavano in avanti, poteva tracciare le linee del torace, distinguere i muscoli chiudersi e aprirsi sotto lo sforzo dei suoi pesanti respiri.

Alluene rimase immobile a fissarlo, la bocca socchiusa come a volersi sforzare di dire qualcosa.

Harry alzò la testa lento come se la brusca frenata del tempo avesse inglobato anche lui e improvvisamente si sporse in avanti, perdendo l'appiglio che lo teneva in piedi. Lei sgranò gli occhi osservando inerme quel corpo alto e definito farsi sempre più vicino. I neuroni che aveva in testa viaggiarono impazziti sbattendo da una parte all'altra del cervello per lo smarrimento. Rimase immobile per un pugno di interminabili secondi fin quando non riprese coscienza di ciò che stava per accadere: le sarebbe finito addosso.

Senza perdere altro tempo in riflessioni, agguantò la porta con una mano e gliela sbattè contro in modo che bloccasse la sua caduta e che si interponesse tra loro.

- Ma che diamine fai? – la sua protesta fuoriuscì come un gemito, per lo scontro frontale contro il legno. Lei vi si nascose dietro come se fosse stato uno scudo, percependo addosso il peso del ragazzo dall'altra parte.

- Cosa fai tu! – lo accusò accigliata mentre lui continuava a lamentarsi, aggrappandosi alla porta con affanno come se non fosse in grado di stare in piedi da solo.

- Dammene un'altra – lei sbattè le palpebre confusa dalla sua presenza, turbata dal suo dolore e disorientata da quell'imprevista vicinanza.

- Vuoi una polpetta? –

- Dammi una dannata pastiglia! – sbraitò in risposta lui in un ruggito spinoso – Quello schifo di roba non mi ha fatto niente – un brivido di allarme volò lungo la schiena quando si accorse del modo in cui lui trascinava le parole, come se provasse fastidio solo a muovere la lingua.

- Ma non ne ho più – confessò lei sinceramente scossa. Il suo cuore trasalì all'ennesimo grugnito esausto.

Per tutti i baccalà fritti, con lei quelle pastiglie funzionavano!

- Valla a prendere, dannazione – Alluene ignorò il suo ordine quando, affacciandosi oltre il bordo della porta, il laccio della sua coscienza la fece soffermare sulla smorfia di dolore che lui indossava sul viso. Il petto si contrasse mentre con gli occhi studiava quegli zigomi affusolati che si sporgevano in avanti per accompagnare il continuo stridere dei denti che collidevano man mano che le fitte dovevano farsi insostenibili.

- Se non ti rilassi non passerà mai – convenne rassegnata, quando accettò di non poter ignorare il suo malessere. Come aprì di più la porta, però, lui si spostò in avanti riprendendo la caduta dove lei l'aveva stroncata.

- Dimmi qualcosa che non so – Harry si accasciò sulla porta da un lato, poggiando la spalla e la testa sul legno liscio, ma mantenendo ancora la presa salda della mano sul bordo. Alluene decise di ignorare quel continuo contorcersi dello stomaco che sembrava ballare la salsa a testa sotto. Doveva fare qualcosa, e alla svelta, o quella notte non sarebbe mai finita.

Inghiottendo le sue paure in fondo alla cassa toracica, prese un respiro, bloccò l'ossigeno come se si fosse dovuta inabissare nelle profondità del mare e, con una spinta tremante ma caparbia dei piedi, si sostituì alla porta, infilando un braccio dietro la vita del ragazzo e portandosi il suo dietro al collo.

Camminò veloce, trascinandoselo dietro, avvertendo le sue proteste sbatterle contro una barriera invisibile che la teneva prigioniera del fastidio di toccarlo. Quasi inciampò sui suoi piedi e, prima di rischiare di far finire entrambi per terra, si sfilò il suo braccio dalla testa e con una spinta poco gentile lo fece atterrare come un sacco di patate sul letto.

Solo allora buttò fuori il rimasuglio d'aria per riempirsi le narici di una nuova ventata di ossigeno.

- Vuoi fare piano, accidenti! – brontolò lui lamentandosi e lei trascurò volutamente l'ennesima protesta. I muscoli tremavano per lo sforzo, la pelle formicolava dove l'aveva toccato e lei si sfregò velocemente i palmi delle mani per cercare di far sparire quella sensazione.

Si accomodò poi in un piccolo spazio di letto, decisa a non rendere del tutto inutile quello sforzo. Spense la luce dell'abatjour e la stanza cadde nell'oscurità, permaneva solo la luce distante che premeva oltre la porta, quella che lei aveva lasciato accesa nella sua camera.

- Nel nord dell'isola c'erano spiagge composte di finissima sabbia rosa – raccontò curvando il timbro in un sussurro lento.

- Dovrei fingere che me ne freghi? – Alluene alzò gli occhi al cielo stufa che avesse sempre da ridire su tutto.

- No, devi solo stare zitto – lo riprese acida.

- Non voglio sentire le storie insulse su questo posto –

- Senti! – sbottò lei di colpo, alzando la voce con uno squittio isterico – Sei venuto a disturbarmi in piena notte e ora non posso semplicemente tornare a dormire. Quindi vedi di facilitare la questione a entrambi: io provo a conciliarti il sonno e tu proverai a rilassarti e dormire, sono stata chiara? –

- Se pensi che... -

- Ogni volta che proverai a protestare o interrompermi, io ricomincerò da capo – decretò salda, una nota di sottile minaccia scivolò nella voce – Vuoi questo? Non penso, perciò sta zitto – concluse infine con un sonoro sbuffo. Probabilmente aveva esagerato, ma era stanca di stare dietro al suo continuo brontolare.
Soprattutto perché quella vicinanza cominciava a turbarla.

Avere a che fare con lui era come cercare di catturare una nuvola, seppur giungesse vicino, non sarebbe mai riuscita ad afferrarla.
Perciò non doveva avvicinarsi, mai, doveva limitarsi ad osservarla da lontano quella voragine di cielo da dove lui era precipitato. Alzò le sopracciglia al paragone assurdo che le era venuto in mente, proprio lei che non osava mai alzare la testa per spiare il cielo.

Attese qualche istante. Le sue aspettative di ulteriori proteste caddero nel silenzio circostante, disperdendosi nel buio ovattato che fluttuava nella stanza. Alluene gonfiò il petto prendendo un lungo respiro – Si trattava di piccole cale, nascoste all'uomo da scogli di forme bizzarre, difficili da raggiungere. Si racconta che il mare, erodendo le rocce di granito, avesse mischiato i frammenti con la sabbia, colorandola di una leggera tonalità di rosa. Gli anziani che tramandano queste storie dicono che il contrasto del turchese dell'acqua con il colore della riva era un sogno da osservare – fu quando un battito più forte si fracassò contro le costole che lei si rese conto della dolcezza malinconica del ricordo che l'aveva di colpo pervasa.

Le sembrò di sentire la voce di sua nonna che le illustrava le immagini dei tempi che aveva vissuto, come se avesse voluto cullare anche lei in quelle memorie di attimi perduti.

Alluene avvertì i ricordi accarezzarle la mente e per un istante rimase spaesata. Spesso si ripeteva nel pensiero ciò che le diceva sua nonna pur di non dimenticare mai il suono della sua voce, pur di non perdere quei momenti in cassetti disordinati della memoria. Ma ogni volta che ricordava, finiva per restarle incollato addosso un senso spaesato di amara dolcezza.

Era rassicurante sapere che quei momenti erano esistiti, ma era anche devastate la consapevolezza di non poterli più vivere.

Per un momento si soffermò su di lui, il profilo altezzoso puntato verso l'alto, nonostante i muscoli fossero tirati dal dolore, le palpebre cadute a sipario che strizzava ad ogni fitta, le ciglia lunghe che sfioravano gli zigomi. Seguì il rumore sommesso del suo respiro che guidava il petto verso l'alto, poi in basso, con un movimento apparentemente quieto, ma serrato.

Ancora non dormiva. Non doveva essere piacevole per lui vivere senza potersi voltare indietro e vedere ciò che era rimasto e ciò che invece aveva perso.

Deglutì un getto di desolazione che le aveva annodato la gola, permettendo ai suoi occhi di seguire i sentieri di luce piatta che si incamminavano sugli spigoli del volto del ragazzo, studiando il suo emergere dal buio. L'ammirazione segreta, che nascondeva dietro alle macerie di un passato scomodo, si infiltrò oltre la stanchezza, mentre seppelliva uno sguardo di apprezzamento sul solco delle sue labbra dischiuse, sporgenti, come per un invito ad essere sfiorate.

Alluene si sporse appena in avanti solo per concedere ai suoi occhi disobbedienti il lusso di una contemplazione più attenta. Quelle linee e tessuti ricamati alla perfezione erano turbati dal fascino del proibito. Nonostante il tempo impiegato a costruire una muraglia intorno alla sua emotività, in quel momento Alluene si sentì vestita della stessa innocenza e immaturità di una bambina alle prese con l'ebrezza del primo errore.

Eccolo lì, quel diavolo tentatore dalla bellezza inumana, quell'angelo caduto che insieme alle ali aveva perso anche la mente, bruciata dalle fiamme dell'inferno in cui era precipitato.

A quella distanza ridotta, con ancora lo sguardo assorbito nella contemplazione di quella letale, demoniaca bellezza, lei recuperò il fiato, riprendendo a suonare le parole come se fossero stati i versi di una formula magica.
Un incantesimo che le avrebbe impedito di avvicinarsi ancora e che avrebbe liberato entrambi dall'obbligo di quella prossimità - I vecchi abitanti sedevano per ore sulle rive ad ascoltare il rumore della risacca trascinare la sabbia. Si dice che, nell'epoca delle foto in bianco e nero, loro volessero incastrarsi i colori di quelle immagini nella mente, per poi poterle descrivere senza perdere i dettagli negli anni – fece una pausa, complice della quiete di una notte senza vento. Nessun ululato, nessun cigolio. Persino il respiro del ragazzo sembrò essersi acquietato – Dicono che qualche anziano ancora sia vivo, e sembra che ricordi benissimo dove si trovavano e quanto fossero belle – concluse con un lieve sorriso nascosto dalla luce alle sue spalle che le richiudeva il viso nell'ombra. Si alzò con tutta la delicatezza che potesse pretendere da se stessa e sgattaiolò nella sua camera, lasciando la porta aperta – Peccato che ora quei posti non esistano più – mormorò a se stessa con un rammarico che le scavava dentro, osso su osso, prima di varcare la soglia con un sospiro spossato.

***



- Cosa cerchi? – si avvicinò a lei regalandole la carezza dell'intero palmo che viaggiava lungo la pelle tra la nuca e il collo, fino a sporgersi verso la guancia. Lei accompagnò il suo gesto come un gatto in cerca di attenzioni.

- Qualcosa che non abbia una storia macabra – aveva risposto lei leggermente irritata.

- Ti vedo esaltata per questo viaggio – ridacchiò lui lasciando che gli occhi vagabondassero sulla quantità incredibile di varianti nelle espressioni del suo viso. Era sorprendente quanto bene le riuscisse trasferire le sensazioni che aveva dentro, negli occhi e nel volto. E per lui era affascinate guardarla, studiare la piccola ruga in mezzo alla fronte, le smorfie delle labbra, le increspature degli occhi. La sua totale trasparenza era stata invitante sin dalla prima volta che l'aveva incontrata.

- Lo sono, per questo voglio che sia perfetto – decretò risoluta, appuntando qualcosa su un foglio di carta. Poi i suoi occhi gli scivolarono addosso – E dovresti esserlo anche tu, sono mesi che te ne parlo – sussurrò melensa e lui le pizzicò il naso con dolcezza godendosi la sua buffa espressione.

- Sono preparato a tutto -






Spazio Ila🐿

Eccoci qui, vi confesso che questo fin'ora è uno dei capitoli in cui mi sono sentita più coninvolta e nonostante vi sembri ancora tutto un pò confuso, spero riesca a farvi emozionare e, più avanti, capirete molte cose.

So anche che non aggiorno una volta a settimana come ho sempre fatto, però non so se vi siete accorte che i capitoli sono più lunghi ❤️eheh *per farsi perdonare*.

Vi ringrazio dal profondo del cuore per essere qui e continuare ad aspettare gli aggiornamenti, siete preziose. ❤️ Grazie!

Vostra Ila

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro