24. Olvidàdu - dimenticato
24. Olvidàdu - dimenticato
Alluene
«Puoi portarlo tu a casa?» Daisy cercava di tenere in piedi un traballante Odin, tentando di livellare i suoi sbilanciamenti continui e scoordinati.
«C-certo» il cuore era come centrifugato da una montagna russa, tanto che farfugliò incerta la sua risposta prima di allontanarsi dal newyorkese con una spinta decisa che strappò quella cappa di sottile pace «Andiamo.»
Le guance erano infuocate, tutto il corpo le formicolava, come si fosse addormentata davanti ad un fuoco acceso.
Forse era stato proprio così.
Un sogno.
Scosse la testa come per destarsi da un torpore pericoloso.
Che diavolo stava per fare? Era impazzita?
«Non pensi che dovresti...» la sua voce abissale la scosse.
«Cosa?» lui tirò le loro mani unite «Ah, si» appena liberò i loro polsi il ragazzo le diede le spalle e si allontanò con tanta velocità che sembrava stesse correndo «Ehi, aspetta!» lo richiamò in fretta «Potresti anche aiutarmi!»
Ma lui si allontanò senza nemmeno voltarsi, il che apparve come una scena già vista che la fece sbuffare disperata mentre teneva ancora fermo per un braccio l'amico che cercava di scappare strattonandola a destra e sinistra.
E ora?
«Forza Dodo, di qua!» Odin non si ubriacava mai. Se non in occasioni eccezionali o eventi speciali, come quelli.
Non era mai molesto, anzi, possibilmente il suo amico era ancora più divertente e fantasioso, il problema del suo esagerare nelle quantità alcoliche era che superata una certa soglia di sopportazione, lui in primis perdeva completamente il contatto con la realtà.
Tirarlo lungo tutto la strada di casa a peso morto era faticoso, soprattutto da sola. E specialmente quando lui le sfuggiva ogni minuto iniziando a correre qua e là per la strada come un indiavolato mentre lei lo inseguiva disperata, sfinita «Andiamo Dodo, ti prego!» come faceva a correre così da ubriaco!
Lei invece era distrutta, l'intero corpo stremato dalle prove, dai giochi, da... oh per tutti i cavolfiori, lo stava perdendo di vista! «Dodo!»
Improvvisamente l'amico bloccò il suo avanzare.
«Per di qua» l'orco - cinghiale lo agguantò con prontezza, tirandolo per un braccio.
«Tu» Alluene lo indicò basita con gli occhi sgranati come se si fosse trattato di un miraggio «Tu, cosa...»
«Sembrate due pazzi, voglio porre fine a questa tortura. Andiamo» provò a trascinare l'amico, ma quello rimase in piedi, bloccato come se fosse stato vittima di un incantesimo di pietrificazione.
Un alito di sconforto si alzò dai cassetti della memoria trascinando vecchi ricordi.
«Oh no, aspetta.»
«Che diavolo fa» per una volta il suo tono poteva chiaramente tradurre tutto lo stupore che emanava il suo sguardo.
Tutta quella situazione aveva una nota tragicomica. Soprattutto in quel momento.
L'orco – cinghiale fissava Odin con la stessa incredulità con cui avrebbe potuto osservare un alieno. Aveva tutti i segni della stanchezza accumulata sul viso, seppure il suo corpo fosse scolpito e apparentemente indistruttibile; con i vestiti sempre inappuntabili chiazzati come il manto di una mucca da acqua, terra, ingredienti di ogni genere e i capelli stravolti con le ciocche attaccate tra loro che portavano ancora i segni della rudezza di ogni nervoso passaggio delle mani.
Tutto ciò era un quadro estremamente divertente per lei.
«Si è addormentato» Alluene non riuscì a trattenere un risolino.
«In piedi?» lei annuì coprendosi la bocca con il pugno chiuso mentre lui smuoveva per le spalle il ragazzo caduto in una specie di catalessi «Ma non è possibile.»
«Come vedi lo è» il newyorkese enfatizzò i movimenti e Alluene s'intromise con prontezza «Smettila, gli fai male!»
«Ma com'è ...»
«Cade in una specie di sonno profondissimo, da ubriaco è peggio di quando è sobrio, che è già difficile svegliarlo» spiegò in fretta. In quei casi non c'era altra scelta che aspettare che Odin si svegliasse da solo.
«Come fa a non ...» Harry continuava a fissare lei e Odin come si potevano guardare due extraterrestri, passando da lui a lei, lei a lui con stizza, fin quando l'amico, rimasto immobile fino a quel momento, non iniziò ad ondeggiare pericolosamente.
«Attento!» Alluene si lanciò in avanti cercando di afferrare il ragazzo riccio prima dell'inevitabile schianto, evitandolo per un pelo.
Harry fece lo stesso per puro slancio istintivo, un secondo prima che Odin gli cadesse addosso a peso morto, buttando a terra anche lui.
«Accidenti!»
Alluene a quel punto non riuscì più ad esimersi e iniziò a ridere a crepapelle.
Trovava esilaranti le cadute, soprattutto quelle dei potenti.
Harry
«Ti sei fatto male?» quella che doveva essere una domanda preoccupata cozzava con le balorde risate che si stava facendo senza pudore.
«Sto bene» replicò sbrigativo, spostando con delicatezza il peso del ragazzo di dosso. Harry si chinò sulle ginocchia per assicurarsi che l'altro fosse tutto intero.
In realtà, così sdraiato a terra, completamente immobile, sembrava morto.
«Chiedevo a lui.»
«Perché, può rispondere?» la sbeffeggiò, alzando gli occhi solo per guardarla ancora in piedi, ridere tanto da tenersi la pancia con le braccia «Comunque bene, gli ho praticamente attutito la caduta.»
«Meno male!»
«Smettila» era dannatamente fastidioso quel risolino piatto che poi impennava in picchi acuti e striduli.
«Chi c'è» l'amico della selvaggia si destò di colpo facendo trasalire entrambi quando con uno scatto veloce si rimise in piedi con le sue gambe. Puntò un dito contro il muro di una delle case di fronte urlando: «Gli avengers!» prima di mettersi la giacca sulla testa e iniziare a correre in avanti lasciando entrambi attoniti.
«Aspetta!!» ma superato lo stupore iniziale Harry si lanciò al recupero del ragazzo, raggiungendolo fino a trascinarlo per un braccio davanti al portone della sua casa.
La selvaggia arrivò subito dopo trafelata, ma non per la corsa come quella in cui si era dovuto cimentare lui al recupero di un ubriaco, ma per le risate che non facevano che piegarla in due ed emettere versi strambi che sembravano quelli di un animale in agonia «Cosa ci trovi di divertente?» si decise a domandare mentre lei faticava persino ad aprire la porta, tremante per la risarella.
«Cosa non ci trovi tu» la fatica con cui rispose esercitò in lui un senso di stizza acuta.
«Ho corso dietro ad un pazzo che credeva di aver visto gli alieni» evidentemente il tono piatto con cui lo disse dovette sembrare esilarante per lei, tanto che scoppiò ancora a ridere, appoggiandosi con la spalla contro il portone, prima di aprirlo, per sorreggersi.
«È stato uno spasso, ti assicuro.»
***
Per concludere il patetico quadro di quella giornata, Harry dovette caricarsi in spalla il ragazzo, caduto di nuovo in quel profondo stato di catalessi, per portarlo fino alla camera da letto.
Lo gettò sul materasso con poco garbo, scatenando occhiate infervorate della ragazza alla quale rispose svogliato solo con una scrollata di spalle.
Incredibile che pretendesse persino della cura.
Invece lei iniziò a liberare l'amico, ancora addormentato e che non dava alcun cenno di volersi svegliare, dalla giacca con una premura quasi materna che si scontrava con il suo continuo nascondere risolini sommessi.
Harry la osservò per un istante di troppo che gli costò la libertà di una domanda curiosa.
«Ridi sempre di ogni cosa?» le puntò il viso, sapendo esattamente dove trovare i suoi occhi quando si sarebbe voltata a guardarlo.
Perché lei lo fissava con una determinazione bruciante ogni volta che le rivolgeva una domanda, come se potesse rispondere prima con i suoi occhi, con la trasparenza dei suoi lineamenti, che con le parole.
«Dovresti provare ogni tanto, fa bene!»
«Anche essere seri ogni tanto» qualcosa nel chiarore degli occhi della ragazza si addensò solleticando la sua attenzione.
«Cosa credi, che siccome sorrido o sembro sempre allegra, lo sia per davvero in ogni momento?»
Harry provò un serio stupore non solo per quello che aveva detto ma anche per come lo aveva detto. Suonava accusatoria, come se avesse voluto dirgli che era capace di soffermarsi solo sulle apparenze, lui, che invece aveva imparato a scrutare nelle parti più profonde e funeste degli animi delle persone.
«Sembri quel che mostri» confessò allora senza remore, come se fosse sfuggito in modo naturale «Fai sembrare una cosa semplice essere felice» era strano per lui articolare simili parole in una frase, tant'è che la sua stessa voce si fece più sottile e meno riconoscibile alla solita durezza marmorea che la caratterizzava.
Come se, in fondo, quel commento fosse potuto suonare come una sorta di complimento.
Ma quando vide lo sguardo di lei rabbuiarsi di colpo, un sentore di allerta lo percosse fin dentro allo stomaco.
«Si vede che non mi conosci per niente» fu lei ad assorbire ogni particella di severità, riducendo gli occhi a due fessure per colpirlo con uno sguardo intransigente, offeso come se si fosse sentita presa in giro «Non guardarmi così» quell'ammonimento lo fulminò come una saetta in un cielo senza nuvole e una sensazione di vuoto lo avvolse.
Chissà come la stava guardando.
Alluene
Un sospiro inteso le vibrò nel torace, tanto che chiuse le palpebre come per ritrovare la forza di respirare, prima di aprirle e parlare ancora.
Era difficile tenere salda la voce davanti a quegli occhi che cercavano continuamente di svestirla delle sue maschere.
Illudersi di essere forte era inutile quando il mondo aspettava solo di veder crollare quella muraglia.
Tanto valeva offrirgliela, quella vittoria.
«Io sono un insieme di cocci rotti» confessò con un barlume tetro nella gola che le fece tremare la voce.
Abbassò lo sguardo come un gesto automatico, come se la forza che aveva ostentato fino a quel momento, il desiderio di non piegarsi mai davanti ai suoi occhi indagatori fosse ceduto improvvisamente, si fosse prosciugato «Per quanto mi sforzi di fingermi intatta, basta solo una misera pressione su quelle crepe per farmi andare in pezzi.»
Lo ammise infine, per ritrovare la spinta di mostrarsi davanti ai suoi occhi, perché sapeva che nessuno poteva vederlo, o intuire che oltre a quel mantello di apparenza leggera ed esuberante, c'era un baratro così buio da rendere impossibile trovarne una fine.
O l'inizio.
Quel dolore era solo suo, seppellito così infondo da restare radicato, sempre incostantemente presente.
Non poteva più combatterlo, poteva solo cercare di resistere, di imparare ad esistere anche con il presentimento che, prima o poi, avrebbe potuto assorbirla.
Harry
Un sentore amaro si accese come tanti piccoli fuochi nel sangue mentre l'ascoltava in silenzio, attento forse come non era mai stato.
Ogni parola, ogni scelta di vocabolo gli si marchiò dentro con una prepotenza che non avrebbe potuto prevedere.
Esistevano persone che palesavano il proprio malessere in atteggiamenti e modi di fare, altre che invece lo nascondevano agli occhi del mondo solo per tentare di oscurarlo anche ai propri.
Per renderlo meno vero, meno reale, meno prepotente.
Rimase impantanato in un mutismo di piombo a fissare la ragazza davanti a lui come se l'avesse incontrata per la prima volta.
Come se avesse visto solo in quel preciso momento le crepe di cui parlava in quella corazza apparentemente inscalfibile.
Fu lei a rompere quella sottile cappa di pensieri e sensazioni che fluttuavano in aria come oggetti in uno spazio senza gravità.
Scosse solo la testa per poi tornare ad occuparsi dell'amico con delicatezza.
«Brutto ubriacone che non sei altro» Harry rimase perplesso dal tono affettuoso con cui lei pronunciò quell'evidente offesa.
«Ti fidi a lasciarlo così» lasciò sfuggire una curiosa vena di preoccupazione per le sorti di quel poveretto, mentre si accomodò sul bordo del letto iniziando a sentire sui muscoli il peso delle attività di quella notte.
«Ma certo, è a casa, nel suo letto, gli tolgo giusto le scarpe e ho finito» aveva già liberato un piede, poi quando toccò all'altro, e la vide immobilizzarsi a fissare il punto preciso del calzino dell'amico bucato, da cui spuntava la punta di un dito.
L'espressione stupita che le si propagò sul viso fu come una molla, l'ultimo colpo di una pistola scarica che forse per la stanchezza, per l'inverosimilità della situazione, per tante cose che non voleva neppure provare a comprendere, gli fece scoppiare nel petto una sonora risata.
Maledizione.
Stava ridendo.
Lei si voltò di scatto a guardarlo, rischiando di cadere dal bordo del letto per la fretta con cui si era girata, fissandolo come se fosse stato pazzo un secondo prima di imitarlo anche lei «Stai...» annaspò tra le lacrime e la risarella senza riuscire ad emettere un altro fiato.
«Tutto questo è assurdo» Harry poggiò un gomito sulla gamba, sorreggendosi la fronte come se fosse stato ubriaco «È vestito di tutto punto, elegante e all'ultima moda e poi...» e poi il calzino bucato era stato l'anello debole.
«Dev'essersi rotto stasera nella caduta, non so» ipotizzò lei mentre cercava di tornare a respirare.
«O quando è volato giù dalla scala.»
«Stai davvero ridendo» quasi lo interruppe e lui avrebbe voluto replicare ferreo come faceva di solito, in modo da stroncare ogni speranza; invece, quando la vide guardarlo con un sorriso docile e carezzevole, un peso sconosciuto premette sui resti della sua coscienza.
«Per sfinimento» confessò calzando con fermezza quell'aggettivo.
Era davvero sfinito e in qualche modo, stranito da quanto fosse appagante ridere ancora.
Lei allargò il sorriso come se avesse potuto trarre una vittoria dalla sua ammissione, ciò gli punse l'orgoglio e la sensazione di leggerezza che l'aveva avvolto si disperse. Improvvisamente quel piacevole sentore si trasformò in una lacuna, una debolezza. «Non capisco cosa trovi di così soddisfacente.»
«Che sei ancora umano» replicò di getto, spontanea come una cascata d'acqua pura che lo travolse con una forza inaspettata spegnendo i timori che lei avrebbe potuto usare quel momento a suo favore.
Avrebbe potuto dirgli che era merito dell'isola, di quelle persone, o peggio, suo stesso solo per tirare acqua alla sua causa, invece niente.
Solo un sorriso pulito che nella sua semplicità fece tremare l'oscurità che aveva dentro.
Inspiegabile.
La stessa forza che lo tenette ancorato ai suoi occhi, si allacciò a quel sorriso che si proiettava dal viso alle sue iridi illuminandoli come se fossero stati raggi di un sole chiaro e non bruciante. Solo caldo e confortevole.
Nessuno lasciava lo sguardo dell'altro, come se non avessero voluto cedere, come se semplicemente non avessero voluto.
Il suo corpo scivolò sul materasso abbastanza da violare una vicinanza che fece tremare la fermezza del suo sguardo e lui si sentì inglobato in quella prossimità, come se lei avesse potuto emanare un'atmosfera diversa, fatta di allegria, di energia, di risate e immensa forza, nonostante quello che lei gli avesse appena confessato.
Fu lui a sfiorarle il viso, a non sopportare più l'idea di non farlo.
Lei trasalì indietreggiando d'istinto quando lui iniziò ad accarezzarle una gota con due dita, arrivando a passare un pollice sul labbro inferiore, separandolo dall'altro.
Un'onda magnetica si sprigionò a quel contatto, prima gli occhi restarono rapiti, poi ogni particella del suo corpo bramò un contatto, come se non avesse potuto fare a meno.
Incastrò le labbra contro le sue con un movimento preciso e fluido, per poi stringere quel roseo petalo tra le sue, di labbra, prima di stuzzicarlo con i denti con pericolosa delicatezza, assaporandone la dolciastra consistenza.
Una miccia prese a scorrere nel sangue, come uno scoppio si disperse nel vigore di un battito assopito che invece riprese a cavalcare con la potenza del ruggito di una bestia appena liberata dalle catene della prigionia.
Non poteva essere.
Indugiò un istante, le labbra che ancora respiravano tra le sue e lei sempre interdetta, stranamente inerme, come mai l'aveva vista. Come se quell'improvviso contatto, quel provvisorio ponte tra due atmosfere così distanti, avesse lasciato senza ossigeno anche lei.
Harry schiuse le palpebre solo per fissare quella bocca socchiusa, un leggero rossore tra le pieghe che sembrava essere stato dipinto.
Invece era stato il suo passaggio.
Non comprese cosa gli avesse arrestato ogni movimento. Erano entrambi immoti, fissi ad una distanza invisibile composta da un unico respiro che ancora si rifiutava di sparire nell'aria.
Era un limbo fatto di nuvole dense, una fuliggine che gli invase i polmoni e setacciò il respiro.
Era ad un passo, bastava avvicinarsi ancora per decretare la fine di quello stallo indecoroso di indecisione e timori.
Ma quel tumulto insensato, che gli viaggiava nel sangue, lo immobilizzò come se si fosse appena tramutato in granito.
Perché non poteva riconoscere quell'ammasso incomprensibile di sensazioni emotive che gli si era schiantato come un macigno sullo stomaco.
Forse perché non rimaneva infangato dalla sostanza degli eventi e delle persone da tanto tempo.
E non voleva.
Non voleva domandarsi altro se non cosa gli fosse accaduto, non voleva concentrarsi su altro se non la ricerca dei ricordi perduti.
Non poteva chiudersi in ragionamenti assurdi e inconcludenti sulle reazioni interne del suo corpo.
E si fermò allora, racimolando la forza di una distanza che poteva seppellire ogni cosa, ogni cedimento.
Ma cercò ancora i suoi occhi, impiantati su un viso ora teso in un'espressione incredula che sembrava averla immobilizzata.
E allora non potè non domandarselo.
Lei?
Avrebbe ceduto lei?
Odin si smosse nel letto.
«Passami la farina!»
La distanza crebbe in automatico come se fosse stata già presentata in quell'attesa.
Eccolo il volto della selvaggia incupito da quella piccola ruga contrariata in mezzo alle sopracciglia.
Le iridi erano disseminate di luci dorate, vibravano di un'espressione che non avrebbe potuto riconoscere.
Cosa ti turba, Fiorellino?
Quello che ho fatto, o che ho smesso di farlo?
«Andiamo!» affermò lei a voce troppo alta, ancora rivolta verso di lui, cogliendolo di sorpresa, un istante prima di alzarsi e correre verso la porta d'ingresso lasciandolo con uno strano senso di solitudine a sconfinare oltre le sue apatie.
Alluene
Era impazzita.
Il caffè che aveva preso dopo il tè, prima della festa, le aveva dato alla testa.
Accidenti, non riusciva neanche a ripensarci, ma al contempo non poteva smettere di rimuginare.
Aveva quasi baciato l'orco-cinghiale. O meglio, aveva tergiversato nella scusa che era rimasta immobile, aspettando che lui le desse un bacio come si doveva.
Ma cosa aveva nel cervello? Bacche marcie!
Ovviamente, dopo il danno, era scappata da casa dell'amico, senza accertarsi che lui la seguisse, per chiudersi nella sua stanza dove avrebbe volentieri preso a testate ogni muro solo per smettere di pensare.
Di vedere ancora le immagini di lui che si avvicinava con leggera prepotenza, come faceva sempre, impossessandosi delle sue labbra come se fosse stato il padrone del mondo e anche le sue labbra gli fossero appartenute.
Come se tutto di lei gli fosse appartenuto.
Il respiro rimase sospeso in aria, il corpo si tese come avvolto dalle stesse sensazioni e Alluene si rotolò nel letto, affondando la testa sul cuscino.
Accidenti!
Era stato un errore, il divertimento, la festa e le risate inaspettate le avevano fatto perdere la lucidità.
Le risate.
Si poggiò sui gomiti prendendo di nuovo aria. Vederlo ridere per la prima volta era stato incredibile, quasi fantascientifico come trovare un uovo di dinosauro o vedere un asino volante. Come vivere per la prima volta un'emozione nuova ed era stato...bello.
Il suono di un allarme vibrò nella sua testa facendola ricadere a peso morto sul cuscino.
Doveva smettere di rimuginarci.
Allora perché non riusciva a pensare ad altro???
***
Quel pomeriggio era volato via senza fretta. L'orco - cinghiale, che era diventato ormai il suo personale incubo dato che appariva sempre proprio quando lei cercava con tutte le sue forze di mettere in pratica il proposito di scrollarselo dai pensieri, era arrivato dopo pranzo in hotel e lei aveva passato tutto il tempo a non far altro se non cercare di evitarlo, finendo persino per intralciare i lavori.
Gli operai avevano appena spento le attrezzature, quando lei si fermò a guardarsi intorno con gli occhi lucidi di emozione.
Il Mirage stava lentamente prendendo forma, era ancora lontano dalla sua vecchia gloria ma le tubature vecchie erano state sostituite, i pavimenti quasi tutti ammodernati e le stanze erano in via di ristrutturazione totale. Era persino riuscita a convincere Odin di buttare i vecchi mobili per acquistarne di nuovi, oltre quelli già previsti.
Con gli occhi ancora velati per la proiezione di futuro prossimo che le era apparsa davanti, si voltò con slancio finendo per scontrarsi contro qualcosa di duro.
Per tutti i castori sdentati.
«Scusa» balbettò con fretta «Non ti avevo visto» lui grugnì in risposta senza offrirle neanche il passaggio del suo sguardo come se non ne fosse nemmeno stata degna, facendole montare la voglia di tirargli uno scappellotto.
Ma lui si era già allontanato. Che fosse persino lui ad evitarla era inaudito, pensò sconvolta.
Il mondo si era rovesciato!
«C'è ancora qualcuno?»
«Ehi George, come va» Tom salutò con una stretta di mano il nuovo postino che aveva sostituito il vecchio George.
Si, si chiamavano tutti così.
Questo si distingueva per la giovane età, la totale inesperienza e il baffo spelacchiato, ramato come i capelli, che si ostinava a tenere sotto il naso.
«Bene, grazie, meno male che vi ho trovato» il povero ragazzo era lucido di sudore sotto il cappellino giallo e la divisa delle Poste locali.
Nonostante tutto il suo impegno, da quando era lui a consegnare la posta, la gente del paese aveva timore a ricevere, ordinare o spedire qualunque cosa. Il poveretto perdeva tutto, un giorno era riuscito a perdersi persino il camion con il carico di pacchi da consegnare «Ho un pacco per... Alluene V-» l'ossigeno si cristallizzò nei polmoni non appena sentì il ragazzo pronunciare il suo nome per intero.
Scattò in avanti con una velocità supersonica.
«George!! Dai pure a me, carissimo!» urlò per sovrastare la sua voce, afferrando il pacchetto per strapparlo dalle mani del giovane postino.
Sperò che l'orco - cinghiale fosse troppo distratto per accorgersi di loro, invece quello sbucò alle sue spalle come se il suo grido l'avesse attirato.
Brutto allocco!
«Aspetta, devi firmare prima» per tutte le rape lesse.
«Che bisogno c'è, sai benissimo chi sono» provò ancora a tirare via il pacco, ma il ragazzo fece resistenza.
Neanche si ricordava cosa avesse ordinato!
«Il protocollo dice che devi firmare! – quel suo impuntarsi testardo le fece venire voglia di pestargli un piede.
«Firma tu per me e dammi questo dannato pacco!»
«Non prima di avere la firma originale!» replicò lui irremovibile nonostante le sue occhiate assassine.
«Molla l'osso!»
«Ragazzi smettetela» provò ad intervenire Tom per stemperare la diatriba, persino l'orco - cinghiale si fece più vicino e lei sentì le mani sudare tanto che il pacco avvolto dalla plastica iniziava a scivolare via dalla sua presa.
Doveva assolutamente evitare che Harry Steiden leggesse il suo nome!
E quella testa di rapa non ci pensava per niente a collaborare, più cocciuto di un asino, perciò doveva trovare un'altra soluzione.
«E va bene» cogliendo George in contropiede, Alluene lo afferrò per un polso per trascinarlo verso il fronte della hall «Spostiamoci qui» ordinò predisponendosi sul bancone della reception.
In quel brevissimo lasso di tempo avrebbe firmato con una sigla illeggibile e avrebbe risolto ogni problema.
Peccato che avrebbe preso a pugni quel carciofo lesso mentre perdeva i secondi preziosi che aveva guadagnato prima che il resto della combriccola curiosa, comprensiva dell'orco - cinghiale, si avvicinasse ancora per farsi i fatti suoi.
Così infilò le mani tra la pila di fogli disordinati del ragazzo per siglarne uno a caso.
«Ecco, ora puoi andare» richiuse la cartellina sgangherata che George ancora si ostinava a portarsi dietro, rifiutando tecnologie più avanzate con il benestare di quel cretino di Tyler che così facendo era convinto di risparmiare cifre importanti.
E intanto tutti perdevano la propria corrispondenza.
«Ma non è quello giusto» si lamentò lui aprendo di nuovo la famigerata cartellina, spargendo fogli a destra e sinistra, ma Alluene questa volta aveva perso la pazienza.
Raccolse i fogli in fretta, richiudendo la cartellina che lui aveva per le mani, accompagnandolo verso l'ingresso.
«Hai detto che volevi solo la firma» spiegò mentre lo spingeva per le spalle «Non dove la volessi!»
Che fatica!
Salutò tutti gli operai, come sempre uno ad uno con affetto e poi, volente o nolente, si rivolse anche a lui.
«Ceni a casa stasera?» cercò di apparire più neutra possibile. L'ultima cosa che voleva era che sembrasse un invito quando si trattava solo di un'informazione.
Il suo silenzio però non fece che alimentare il nervosismo che scalciava nello stomaco da tutto il giorno «Ti costa molto dare un cenno di assenso o negazione?» lui invece di cogliere il suo tono spazientito, continuava a sistemare le ultime cose nella cassetta degli attrezzi, ovviamente di spalle, senza dare un cenno di averla minimamente ascoltata.
Questo era troppo «Parlo con te!» urlò più forte e lui la fulminò con un'occhiata severa che avrebbe potuto congelare il centro della terra, prima di superarla e andarsene.
Come osava.
Ma il newyorkese non aveva fatto i conti con il ribollire dei suoi nervi. Il centro della terra non era ancora congelato, doveva impegnarsi di più per stemperare i suoi bollori «Si tratta di buone maniere brutto cavernicolo, non ti avevo proposto del sesso selvaggio, volevo solo sapere se eri in casa per cena, ma fai pure come se non avessi chiesto niente e tornatene ai tuoi divertimenti allegri quanto i funerali!»
Gli urlò rimanendo quasi senza fiato, fin quando lui non sparì nel crepuscolo serale e le sue ombre.
Harry
Non aveva voglia di starla a sentire.
Non aveva voglia di vederla.
Non capiva se era più fastidioso percepire con nitidezza oltre la parvenza neutrale il suo nervosismo, o il modo palese in cui si impegnava ad evitarlo come fosse stato un appestato.
Non aveva tempo neanche per contemplare il leggero malessere che gli era cresciuto nel petto dopo quella notte. Dopo che si era abbassato a rispondere ad un istinto piuttosto che alla sua imponente razionalità.
Dannazione.
Era colpa sua, lei lo mandava al manicomio con quelle sue urla stridule, lo esasperava con quella continua vivacità, lei che...
Lei che dormiva sul divano serena, rilassata come mai era da sveglia.
Chiuse la porta con delicatezza, evitando rumori bruschi che avrebbero potuto svegliarla.
Era rimasto a mangiare qualche stuzzichino al pub, dove stranamente la conversazione con il proprietario non era stata così noiosa come aveva temuto, persino terminata con la consumazione segreta di un digestivo.
Un forte digestivo.
Più di uno, in realtà.
La permanenza su quell'isola gli stava facendo perdere la ragione.
Doveva immaginarlo da quando aveva cominciato a sviluppare una specie di assurda attrazione per lei, per quella strana creatura per la quale non aveva mai trovato nulla di attraente, fino a quel momento.
Fin quando resistere alla tentazione di sfiorarla era diventato difficile tanto da ribollirgli nel sangue, nei muscoli; fin quando era diventata bella ai suoi occhi, persino singolare.
Fin quando non gli si era fuso completamente il cervello.
Doveva andare via di lì al più presto.
Barcollò stanco, spossato e infreddolito verso il calore del soggiorno, la sola luce del tavolino in legno bianco vicino al divano ad illuminarlo.
Lei che consumava un sonno placido.
Non si sarebbe dovuto soffermare più di tanto su quella figura che ormai conosceva, dannazione si, aveva imparato a studiare lei più di quanto non avesse appreso di se stesso.
Sapeva com'era fatta, conosceva le sue espressioni quando si arrabbiava o quando era allegra. Sapeva distinguere il suono della sua voce di prima mattina quando era ancora traballante o la sera quando era forte e deciso tanto da poter rompere una vetrata.
L'avrebbe riconosciuta in mezzo a una miriade di persone per come si muoveva sinuosa nel caos, guardandola camminare esaltata dalla vita quasi con indivia.
Forse era l'alcol che girava nel suo corpo a convincerlo di non ignorarla proprio quando poteva concedersi di osservarla mentre era in silenzio e quieta.
Così si avvicinò a passi silenziosi, attento a non farsi sentire.
Si sedette in un piccolissimo spazio solo per poterla guardare più comodamente mentre era rannicchiata su un lato con le braccia piegate vicino al busto ed entrambi i pugni stretti contro il viso in prossimità della bocca.
Fino a poco tempo prima vederla sveglia sarebbe stato solamente fastidioso e guardarla dormire non sarebbe stato niente, il nulla totale, o ancora peggio: inutile.
Invece quella volontà di non allontanarsi era incomprensibile per lui.
Eppure c'era, piantata in testa, dove i centri nervosi controllavano le emozioni, o quello che era rimasto, tra gli impulsi qualcosa era andato in cortocircuito.
Qualche filo doveva essersi spezzato per fargli desiderare di starle vicino, di guardarla come...neanche lui sapeva riconoscere come la stesse guardando, ancora una volta, rifletté ricordando la sera prima, quando lei l'aveva accusato di osservarla in un modo strano, diverso.
Il cortocircuito provocò delle scosse di elettricità tra i suoi impulsi quando prese ad avvicinare una mano al suo viso sereno nella culla del sonno e poi lasciarla lì a mezz'aria, in un lembo impreciso di volontà.
Come lui.
Il braccio tremolò nello sforzo involontario di spostarlo, oppure avvicinarlo ancora.
Harry si sporse in avanti e quando fu a pochi palmi da lei, osservò la punta delle sue stesse dita, sfiorarle la pelle della guancia come se quei movimenti fossero sfuggiti al controllo della sua mente solo per lei.
Come se fosse stato sotto l'influenza di una magia.
Il suo calore vellutato gli scaldò i polpastrelli invogliandolo a non staccarsi, anche a costo di svegliarla.
Le avrebbe persino scostato le mani chiuse a pugno, che le davano l'aria di una bambina timida, per cercare le sue labbra.
La volontà di baciarla si fece avida, per la prima volta scalpitava in un fremito accelerato del battito che sembrava incontrollabile.
Cos'era quel battito? Perché si faceva più forte?
Era patetico dannazione, spiarla dormire, sfiorarla nel sonno, ora con il dorso dell'indice immaginando di poterlo fare con la sua bocca, ispirando il profumo leggero che emanava la sua pelle come un pazzo che cercava di colmare qualcosa riempendosi di lei.
Perché?
Perché riempi i miei vuoti anche quando sei in silenzio.
Anche quando non ci sei.
Sgranò gli occhi ad un improvviso senso di claustrofobia. Si staccò da lei alzandosi dal divano con uno scatto, la stanza gli girò intorno e la gola si chiuse per un moto repentino di nausea.
Un ricordo.
La prima voce era ovattata ma la seconda...era lui. Era la sua.
Lo schianto della porta risuonò alle sue spalle.
Si chiuse in quella stanza e spalancò la finestra respirando le sferzate di vento, l'odore pungente delle piante bagnate dalla notte, cercando di calmarsi.
Un altro ricordo.
O ciò che ne restava.
Il cuore si strinse dentro il petto, il respiro si fece marcato mentre continuava a rivivere nella mente quello stralcio sgualcito di suoni e ombre.
Un ricordo. Ancora gli suonava inconcepibile persino la parola.
Non era mai successo di ricordare qualcosa se non in qualche incubo che la mattina dopo lasciava solo l'agitazione e l'angoscia senza immagini o suoni.
Gli sembrò ancora impossibile poter ripensare a quel ricordo. Poterlo studiare con il pensiero, transitarvi sopra ripetutamente come se fosse stato una strada da imparare.
Barlumi di ricordi che non desiderava altro che ritrovare.
Erano solo stralci quelli di una sofferenza che non aveva dimenticato che si ripercuotevano ancora.
Forse era solo il ricordo di un sogno, legato all'unica donna che aveva amato nella vita e che se n'era andata.
🌼🌗
Spazio Ila 🐿
Ciao Fiorellini! Sono abbastanza emozionata per questo capitolo.
Come avete visto, il primo "pseudo bacio" tra i due non è stato molto classico, ma di classico i due protagonisti hanno poco, lo capirete più avanti e ricordatevi sempre che sono entrambi molto particolari, necessitano dei loro tempi biblici eheh.
Con il proseguire della storia capirete tante cose, ve lo assicuro. 😋
Spero di non avervi deluse, ma vi prometto che anche da una piccola scintilla può scoppiare un incendio, e loro, di fuoco, ne hanno parecchio 😋
Intanto spero davvero che vi sia piaciuto ❤️ e se si, di ricordarvi la ⭐️❤️
Grazie a tutte voi per esserci sempre ❤️
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