2. Tibulus - pino
"Il tempo si sveglia come il sole al mattino,
momenti ricordano,
momenti di pace si sciolgono in un canto
e indietro sanno tornare,
su queste antiche vie che portano al mare."
Harry
Non avrebbe dovuto accettare.
Lo sapeva fin da quando aveva messo piede su quel dannato aereo, quello privato gentilmente concesso dalla compagnia di suo padre.
I tentativi di tenerlo impegnato di quell'uomo erano commoventi, soprattutto se combaciavano con un drastico allontanamento da New York.
Tutto a causa di quella maledetta notte.
E ora si ritrovava bloccato su un'isola dimenticata dal mondo, senza stimoli né interesse, segregato in una struttura che doveva risalire all'anteguerra perché sembrava essere stata bersagliata da un bombardamento.
E quel grassone si era gonfiato come un pavone nel mostrargli i resti di quella catapecchia.
Non appena si chiuse la porta alle spalle si accorse dell'odore della vernice fresca, ancora fastidioso, che gli pizzicava le narici infilandosi fino alla gola. La stanza era spaziosa con un letto matrimoniale disseminato di una manciata di cuscini di tutte le dimensioni. Il motivo persisteva nel copriletto e nelle tende della porta finestra dando all'ambiente un senso di continuità che, secondo quei due incompetenti, poteva sopperire al color cagarella del resto del mobilio decadente che per altro differiva tra l'armadio e la scrivania in modo evidente.
Per un attimo credette di aver fatto un salto temporale.
Neanche la televisione era presente in quella camera micragnosa.
Posò la valigia sul letto, inarcando un sopracciglio non appena, in risposta, la struttura del materasso cigolò in un lamento sinistro.
Che cavolo.
La coppia di ragazzi che l'aveva accolto doveva avere pressappoco la sua età. Il ragazzo era vestito di tutto punto con un gusto ricercato e con un sorriso affabile che, nonostante tutto, lo infastidì per l'evidente ricerca di una confidenza che lui non era tenuto a concedere.
E poi c'era la ragazza.
Seppur fosse rimasto indifferente dall'aspetto insignificante, una curiosità infedele si era soffermata sullo sguardo attento dei due grandi occhi color dell'ambra che per un istante gli era parso di ricordare.
Era stato come cadere nel campo di due magneti, un'attrazione infida che culminava in un disegno sbiadito dalla pioggia in cui riusciva comunque a ritrovare nelle linee deformate una forma, una traccia.
Per un attimo era stato come riuscire a spostare con le punte delle dita la fuliggine che si era depositata sul nastro delle sue memorie.
Forse era solo un'illusione di chi disperatamente andava a caccia di ricordi quando ciò che restava della mente era un deserto arido, dalla cui sabbia fitta rimanevano solo logorate rovine.
Eppure, una sensazione di fastidio come un sassolino nella scarpa, gli era cresciuta tra le ossa, traspirando dalle giunture, dispargendosi nell'organismo come una nuvola di cenere liberata dal fiato asfissiante di un nemico.
Si era soffermato più del dovuto sull'aspetto trascurato, jeans strappati sulle ginocchia, scarpe da ginnastica ricoperte da un alone grigiastro e una felpa insignificante color notte che confondeva le forme insistenti di un corpicino magro e privo di delicatezza.
Ma ciò che più urtava i suoi nervi era il cipiglio invadente di quel viso. Sebbene i lineamenti fossero aggraziati e semplici, spogli di banali ornamenti, l'insistenza con cui fingeva di non farsi scoprire ad osservarlo era fastidiosa, lo pungeva come una serie di schegge quando si passava il polpastrello sulla superficie di legno che, traditrice, si infilava in sottili lamelle nella carne. Così si era insidiata quell'increspatura fastidiosa, un retrogusto amaro che pulsava nel palato e che rimaneva bloccato sulla lingua in una sensazione che non sarebbe stato in grado di comprendere.
Come poteva decifrare quel modo di guardarlo insistente e al contempo schivo che gli scorreva sulla pelle come un profumo famigliare, ma che non era in grado di distinguere. Quelle venature ambrate sembravano sfuggire al suo sguardo, ma al contempo lo scrutavano con l'imprudente tenacia di chi manovrava nella propria mente il sapere.
Lui aveva perso ciò che sapeva persino di se stesso.
Quegli occhi l'avevano accolto come se fossero stati ad aspettarlo, come se avessero saputo esattamente cosa guardare, dove soffermarsi, come sfuggirgli.
Ma sapeva che le sue erano elucubrazioni di una mente che aveva perso degli ingranaggi, come un intreccio mutilato di fili che non poteva più essere ricamato, che non poteva più aspirare ad una forma.
I suoi ricordi erano solo un groviglio di inutili filamenti disfatti, inutilizzabili.
Si liberò della giacca leggera, iniziando a vagare per quelle quattro mura. Cominciava a non tollerare quell'odore aspro e invasivo, persino le tempie cominciavano a pulsare dal fastidio, tanto che dovette aprire la porta finestra, affacciandosi sul piccolo terrazzo lastricato di mattonelle color arancio. Osservò schifato come metà della pavimentazione esterna fosse stata rialzata da famiglie invadenti di muschi e piante, le cui radici si erano infilate nelle giunture di almeno metà della superficie.
Mosse qualche passo, affacciandosi oltre il parapetto. L'altezza da terra era ridicola persino per un primo piano, chiunque sarebbe potuto saltare facilmente da lì, tanto che non sentì alcun pericolo nello sporgersi in avanti, il cellulare stretto saldamente nella mano. Neanche un briciolo di segnale. Accidenti.
Improvvisamente avvertì un senso di costrizione chiudergli la gola, sbottonò nervosamente i primi bottoni della camicia, complice di un clima ancora mite nonostante l'oscurità della notte avesse cominciato a occupare anche gli ultimi sprazzi chiari rimasti di cielo. Harry si affacciò di nuovo oltre il parapetto obbligando il suo corpo a respirare lentamente, ma niente, i polmoni sembravano essere compromessi da una tensione che gli impediva di assorbire ossigeno. Una nebbia densa di inquietudine si insinuò nelle crepe aperte e vulnerabili della mente e si sentì di colpo spaesato, come se fosse stato in trappola.
Si lanciò contro la porta di ingresso con l'intenzione di uscire da quel luogo angusto e claustrofobico e dovette inghiottire un'esplosione di puro sconforto che sembrava andare a lacerargli la ragione quando, nell'impeto, si ritrovò con la maniglia in mano, staccata dal resto della porta e completamente inutilizzabile.
Una goccia di sudore si perse lungo i pori della pelle ormai bollente.
Doveva essere uno scherzo.
Alluene
Una volta giunti al primo piano, aveva aggrottato la fronte sorpresa per la forza spropositata con cui il ragazzo stava picchiando contro la porta della camera, quasi avesse voluto buttarla giù a suon di pugni. E di quel passo, ci sarebbe riuscito, pensò con amarezza.
- Cerca di mantenere la calma! – aveva urlato Odin preoccupato, sperando di poter placare la furia selvaggia che si abbatteva contro il suo prezioso edificio.
- Finirà col distruggere i cardini di questo passo! - sibilò all'amico che aveva preso a camminare nello spazio tra lei e la porta, con entrambe le mani nella chioma corvina e gli occhi spalancati per l'agitazione.
- È così che accogliete gli ospiti in questo sputo di isola? – la voce oltre la porta giunse tra loro come il ruggito di una belva in catene e lei si sentì punta da quell'insulto come se fosse stata colpita sul personale.
- Ehi, bada a come parli, è stato un incidente – replicò lei accigliata e quello in risposta sbatteva i pugni contro il legno che li divideva con maggiore impeto.
Era meglio quando stava zitto.
Alluene cominciò a sentire le palpitazioni aumentare nello stesso istante in cui Odin iniziò a frugare nervosamente alla cieca nella scatola degli attrezzi di pronto intervento.
- Non preoccuparti, ora sistemiamo tutto – dall'inflessione incrinata della voce dell'amico, lei perse ogni possibile speranza di rassicurazione. Le abilità manuali di Odin si riducevano alla dimestichezza con il pianoforte, ma per il resto non sapeva distinguere nemmeno un cacciavite.
- Fatemi uscire, adesso! – la ragazza alzò gli occhi al cielo sbuffando spazientita all'ennesimo grugnito accorato del newyorkese. Neanche fosse rimasto chiuso in una bara.
A ogni sua protesta impellente, Odin aumentava la velocità con cui sferragliava tra gli attrezzi alla ricerca di un qualcosa che potesse aiutarli.
- Con una bacchetta magica? Bibidibobidibù! – protestò sarcastica lei agitando la maniglia che aveva ancora per le mani. Lanciò a Odin un'occhiata intimidatoria, ma più il prigioniero sbraitava indispettito, più notava l'agitazione trasformarsi in gocce di sudore per l'amico che ancora era alla ricerca di tirare fuori dalla magica cassetta, mai utilizzata, una soluzione a tutti i problemi.
Sarebbe servita davvero una bacchetta magica, di quel passo...
Concentrata sulla ricerca dell'amico è il tormentato sferragliare nella cassetta, si accorse per puro caso che improvvisamente i rumori si erano acquietati. Alluene avvicinò l'orecchio alla parete.
Che fosse svenuto? Intanto Odin si era accovacciato a terra per setacciare meglio quella cassetta, del tutto inutile per le mani di due incapaci come loro.
- Meglio se chiamiamo Tom, magari riesce a fare un salto subito – decretò lei infine e senza aspettare l'assenso dell'amico prese a comporre il numero dell'esperto di fiducia.
Odin sospirò prima di tornare in piedi e rivolgersi ancora verso la porta:
- Stiamo chiamando un tecnico, si tratta di pazientare qualche minuto – cercò di apparire fiducioso nonostante dalla sua espressione rigida e severa trasparisse con chiarezza tutta la preoccupazione. Subito dopo, infatti le rivolse un'occhiata impaziente, alzando le sopracciglia inquieto in attesa di una sua parola.
- Non risponde! –
- Shh – le fece cenno anche con le mani di abbassare i toni, temendo di spaventare il prigioniero più di quanto non fosse già alterato. Alluene continuava a chiamare compulsivamente l'unico uomo nel paese che vantava la bellezza di essere un geometra, operaio, falegname, tecnico, idraulico ed elettrauto. Insomma, quando si riscontrava un problema di qualsiasi tipo la prima persona da chiamare era Tom. Tutti nella cittadina facevano riferimento a lui, forse per questo che rintracciarlo era diventato più difficile che essere testimoni di un miracolo.
Cercava di mantenersi concentrata tra lo squillare a vuoto del telefono, lo scalpitare di Odin che agitato batteva la punta del piede sul pavimento ripetutamente ad un ritmo incalzante e quell'appena accennato senso di inquietudine per le sorti del prigioniero, di cui da qualche lungo minuto non si aveva più un cenno di vita.
Che situazione!
Che si fosse calato dal balcone?
Come se avesse potuto leggere i suoi pensieri, il ragazzo apparve davanti a loro superando le scale con una furia assassina che li fece sobbalzare entrambi. Odin aveva lanciato un urlo acuto che era penetrato nei timpani come un fulmine a ciel sereno e lei, per il sussulto che le aveva mandato in fibrillazione i tessuti, si lasciò sfuggire il telefono di mano, che per poco non finì in faccia all'individuo che li stava raggiungendo con falcate veloci e pesanti.
Il sangue si trasformò in una colata lavica che avrebbe incenerito ogni particella se non avesse smesso all'istante di contemplare il fisico alto, asciutto, ma robusto, le spalle ampie e forti. I muscoli del torace che guizzavano per lo sforzo e la tensione da sotto lo strato sottile della camicia che, lasciata semi aperta, si tendeva sotto i suoi movimenti irruenti.
- Dà qua – lui approfittò del momento di totale assenza per sfilarle di mano l'altra parte della maniglia e impugnare agilmente qualche attrezzo dalla cassetta, con una facilità estrema che Odin gli invidiò con una chiarezza trasparente mentre lo fissava a bocca aperta e occhi spalancati. Entrambi rimasero coinvolti in un silenzio imbarazzante dato che l'ospite di lustro, che avrebbe dovuto essere corteggiato con tutti i possibili comfort, invece, era stato costretto a saltare giù dal balcone della sua camera per mettersi personalmente a riparare la serratura di un infisso, pur di non essere costretto ad appendere una fune al balcone per entrare e uscire a piacimento dalla propria camera.
- Ci dispiace molto Harry, ma ti assicuro che non succederà più – Odin parlò mesto, massaggiandosi le tempie per appianare il vergognoso risvolto.
- Ne sono certo– replicò lui secco. Nessun accenno di convinzione nel tono. Con uno scatto brusco il ragazzo chiuse e riaprì la porta, in modo che fosse lampante ai loro occhi impreparati a chi dare il merito di tale traguardo.
- Grazie – Alluene alzò gli occhi dalla porta solo per scalare il torace robusto del ragazzo fino ad arrivare alla base del suo viso. Aveva la mascella contratta per il nervoso e le labbra erano aggrinzite in un'espressione appuntita.
- Non ringraziarmi – proferì lui con una freddezza che lo rendeva inavvicinabile come una divinità, abbatteva la sua rabbia contro i comuni mortali e le loro evidenti incapacità.
Harry lanciò gli strumenti nella cassetta prima di rientrare nella sua camera senza nemmeno premurarsi di chiudere la porta. Alluene ne approfittò per stanziarsi sulla soglia.
- Dovremmo parlare del programma – lei gonfiò i polmoni per apparire decisa. I tumulti e le scosse dovevano rimanere dentro, solo dentro. Lontane e invisibili a quegli occhi malfidati e rapitori.
- Domani – la sua voce giunse perentoria, un tono saldo di chi non ammetteva repliche. Alluene chiuse le braccia contro il petto bloccando in gola un grugnito di disappunto a tanta reticenza e piegò la testa tanto bastasse per infilare un'occhiata fugace nella stanza. Lui era di spalle e si stava infilando la giacca. Scattò un passo indietro un istante prima che potesse coglierla in flagrante, mentre lui si muoveva veloce nella stanza.
- E non ceni stasera? –
- Mi arrangio – la ragazza alzò gli occhi al cielo. Ti pareva...
- Ho il compito di portarti in giro, di farti conoscere questo posto – alzò la voce affinché lui potesse percepire tutto il suo disappunto. Sapeva quanto Harry Staiden fosse inavvicinabile, ma stava rivendicando un rapporto lavorativo, non una luna di miele.
- Non sono un cane da compagnia – Alluene sobbalzò insieme a Odin quando il suo brontolare verace varcò di nuovo la soglia della porta insieme al suo imponente aspetto, per poi chiudersela alle spalle con un tonfo. Entrambi lanciarono una rapida occhiata oltre la sua schiena, rimanendo segretamente ammirati del lavoro veloce e preciso ed efficace che aveva apportato alla maniglia. Nonostante il colpo era ancora attaccata saldamente al legno.
Harry li superò imboccando le scale con una velocità tale che sembrava cercasse di scrollarsi di dosso loro e l'ambiente che l'avrebbe ospitato in quelle settimane, come se ne avesse già abbastanza. Alluene avvertì tutta la sua indisponenza come se l'avesse colpita con uno schiaffo in pieno viso. Un brusio metallico simile a un ringhio sintetizzò tutta l'insoddisfazione che le cresceva dentro.
Quando era troppo, era troppo!
- Ma è tuo dovere osservare e analizzare le cose in modo obiettivo! – lei gli andò dietro con slancio, affacciandosi sulle scale scendendo i primi gradini con furia e aggrappandosi alla balaustra quando fu sul punto di perdere uno scalino per l'impeto e finire a gambe all'aria.
Per tutte le cime di rapa bollite!
- Ho già tratto le mie conclusioni – lui si muoveva con passi lesti, lasciandola indietro con facilità. Non si degnò neppure di voltarsi quel...quel...
Una valanga di insulti si insinuarono negli impulsi che il cervello dettava alla lingua, ma finì per arrotolarla tra i denti per dire solo:
- Così in fretta? Immagino quanto siano state approfondite le tue ricerche dato che sei appena arrivato – lei picchiettò con evidente sarcasmo ma bloccò il suo inseguimento non appena lui si voltò di scatto ai piedi della scala di legno. Alluene trattenne il fiato quando la furia che galleggiava sulla superficie lucida di quelle verdi cale saettò dritta contro di lei. Il viso del ragazzo era tirato in una smorfia di puro disgusto che andò ad alimentare i suoi segreti fremiti.
- Mi è bastato rimanere bloccato nella mia stanza per colpa di due incompetenti –
- È stato un incidente! –
- Che mi ha costretto a saltare giù dal balcone – Harry fece un passo verso di lei credendo forse di apparire maggiormente minaccioso sovrastandola con la sua altezza.
Alluene non si sarebbe sottratta da quella diatriba, non con lui, usò come complice l'ultimo gradino che decise di non scendere, usandolo come leggero sostegno pur di sentirsi più forte.
- Senti, non sei qui per farci un favore, ma per svolgere il tuo lavoro – tuonò serafica, pur cercando di apparire pacata, sfidando la sua ira con lo stesso disappunto. Eppure i muscoli si tendevano, reclamando le ultime gocce di coraggio mentre seguiva le ombre di collera indurire le pieghe infossate del suo volto.
Non avrebbe ceduto, non a lui, non per quella causa.
I polmoni si accartocciarono alla ricerca di aria che come un rantolo veniva emessa nello spazio - Il tuo lavoro consiste nel farti portare in giro da me, perciò se pensi che ti lasci in pace, ti sbagli – suonò dura persino alle sue stesse orecchie e lui assottigliò le palpebre riservandole un'occhiata beffarda.
Spingeva contro i suoi occhi come se fosse stato in grado di allontanare la sua presenza con la sola prepotenza del suo sguardo.
- Sono terrorizzato – ghignò malefico lui, piegando l'angolo destro della bocca con insolente scherno e i suoi sensi si tesero in un tremolio sinistro. Era facile, con tanta demoniaca bellezza, inciampare e cadere nella trappola di quel maleficio. Ma lui le diede le spalle di colpo, riprendendo la sua marcia verso l'uscita.
- Lo sarai! – gli urlò lei con impeto, lasciando cadere lo scudo di apparente calma, mentre lui si allontanava, permettendo che l'oscurità delle strade deserte lo inghiottisse, lasciando solo la traccia esaurita dell'eco della loro discussione.
Alluene rimase immobile su quella scala, ancora con un piede poggiato sull'ultimo gradino e uno in aria, indeciso se compiere quell'ultimo passo o restare dov'era. Strinse la balaustra in legno con le dita che tremavano di rabbia, di terrore, di vergogna. Asciugò nelle pupille la pressione umida che minacciava di strabordare oltre le barriere che aveva imposto al suo corpo tra quelle mura deserte.
Le cicatrici interne tiravano nei centri pulsanti delle sue emozioni, bruciavano sulla pelle in attesa che la fine la consumasse come una lenta tortura.
Erano quelle tensioni, quelle sensazioni che si attivavano, si aprivano come le corolle dei fiori al richiamo del sole, che tradivano l'apparenza serena e spensierata facendola sentire ancora vulnerabile.
La corazza che era riuscita a indossare da quando era arrivata a Sandália non sarebbe stata sufficiente contro i fantasmi del passato, contro quello che aveva voluto abbandonare nel perimetro di New York.
Avrebbe dovuto vestire la sua armatura più resistente per affrontare Harry Staiden, che fosse pronta o meno.
Everything to lose, no one to save me. Losing is easy, winning takes bravery. The kindest of whispers are cruel. Should I ask myself in the water? What a warrior would do? Tell me, underneath my armor. Am I loyal, brave and true? Cold is the morning. Warm is the dream. Chasing the answers 'til I can't sleep. Will I be stronger or will I be weak when you're not with me? All I know is that it's harder to be loyal, brave and true.
Harry
Un buio denso come il petrolio si faceva largo tra le strade, illuminate dalla pallida luce di qualche lampione solitario. Sembrava che quel luogo potesse riposare meglio senza luci.
Tibula era un piccolo porto, una cittadina marittima le cui origini si disperdevano in tempi lontani, troppo lontani. Le vie antiche erano un sali e scendi continuo in un tessuto urbano a cerchi concentrici fatti di pendenze che portavano al mare, in una piccola spiaggia dai colori caraibici, e culminavano su una collina dominata dalla struttura ancora integra di un castello medievale che padroneggiava l'apice del promontorio come un vanitoso feudatario.
Alle spalle, a coprire la città come una muraglia impenetrabile, si stanziava una fitta foresta di pini. Attraversarla in auto, lungo la strada che come una crepa la divideva in due parti, era stato come immergersi in un paesaggio nordico. Gli arbusti erano talmente alti che a malapena aveva potuto trovare il cielo.
Non un'anima viva, non un animale, non un'auto. Come se la città si fosse spenta con lo spegnersi del sole, dormiva nel suo letto di denso silenzio, coperta da una notte oscura e senza stelle.
Camminava senza una meta precisa tanto che scese di nuovo verso la spiaggia. Nel silenzio, i versi della natura cantavano armoniosi. Si sedette sul muretto in cemento che separava la strada ciottolata dalla sabbia umida.
Il vento si abbatteva sulla pelle scoperta del viso, sibilava recitando versi ignoti, sonetti perduti, come le sue memorie. I profumi di quella terra erano invadenti, si incollavano addosso, infilandosi nelle trame dei tessuti e lui li inspirò con una forza eccessiva, allargando le narici per imporsi di non dimenticarli.
Era la freschezza del vento che veniva dal mare, che trainava le fuliggini di polline e terriccio, era l'odore secco del granito, era un'unione improbabile e indefinita che lui non poteva avere conosciuto eppure aveva qualcosa di familiare, qualcosa che gli permetteva di distinguere quei dettagli.
Gonfiò il petto lasciando che quegli odori lo colmassero mentre con gli occhi osservava quelle scogliere che cullavano i lati della spiaggia come due braccia forti proteggevano un corpo più fragile. Seppur fosse costantemente alla ricerca di tracce, di segnali, di indizi, nessuna immagine riusciva ad apparire familiare, conosciuta.
Eccetto quei profumi. Ma erano più sensazioni lontane, sbiadite, qualcosa di indistinguibile, schegge troppo piccole per ricomporre una forma.
Sentiva il peso del tempo, dei propositi, gravargli sulla schiena e una nostalgia carica di rammarico come un miele amaro migrò insieme a quei rumori, a quei profumi, nella desolazione di una mente distrutta.
Spesso le persone sceglievano di intraprendere un cammino decidendo di non voltarsi indietro, pur sapendo che se l'avessero fatto, se solo avessero avuto un ripensamento, un piccolo insignificante cedimento, avrebbero ritrovato ciò che avevano lasciato.
Invece, guardare indietro per lui significava vedere solo nebbia. I ricordi erano dispersi dal vento e lui cercava disperatamente il canto che avrebbe ricomposto quelle macerie.
Spazio Ila 🐿
Buonaseraaaa!! In ritardo madornale ma eccomi!!
I due protagonisti cominciano i loro battibecchi e ovviamente non è che l'inizio.
Spero che questi primissimo capitoli vi stiano incuriosendo ❤️
Grazie a chi passerà di qui e a chi lascerà una stellina ⭐️ ormai sapete quanto sono importanti ❤️
Per i video idioti e gli aggiornamenti mi trovate anche su IG: Ilala90 ❤️
Un abbraccio, a presto, Ila
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