16. Aêdes - focolare domestico
16. Aêdes – focolare domestico
- La smetti con questa litania – Harry aprì la porta di colpo e lei sussultò colta alla sprovvista, liberando un breve urlo acuto. Guardò sottecchi come lei spinse entrambi i palmi a tenere chiuse le ante dell'armadio.
Incredibile. Quella ragazzina era incredibile, e non in senso positivo. Anzi, ogni secondo passato con lei era estenuante. Lei si attaccava alla sua scarsa forza vitale e la prosciugava trasformandola in energia che poi gli tirava addosso pretendendo anche di contagiarlo, di contaminarlo.
Lo punzecchiava continuamente senza garbo per la sua condizione, e poi quando parlava, neanche lo ascoltava, lo trattava come un mentecatto.
Rientrati dall'ultima gita, se così poteva definirla, lei l'aveva lasciato apparentemente in pace, occupata ad andare in giro per il paese e fare chissà cosa. Come se in quel posto dimenticato dal genere umano ci fossero chissà quali attività da svolgere. Ma lei riusciva a mantenersi impegnata e per fortuna, abbastanza distante da lui.
Eppure c'era una contraddizione che cominciava a farsi largo in quelle stampe stracciate che componevano la sua mente. Stava diventando un pensiero fisso, un chiodo che, nel bene e nel male, soprattutto, gli si stava conficcando tra i pensieri, come una crepa nella volta cupa fatta di immagini distorte e cancellate della sua mente.
- Spiacente, no – lei si schiarì la voce per ricomporsi, prima di rispondere e la sua espressione si fece accigliata.
C'era qualcosa in lei che sembrava attrarlo, assorbirlo quasi, come c'era qualcosa in quell'isola che graffiava le ragnatele dei suoi istinti, inabissandosi nella sua oscurità senza sparire.
Era qualcosa che non riusciva a comprendere, qualcosa che non era in grado di riconoscere.
Era un profumo, una sensazione nella consistenza dell'aria, dell'atmosfera che gli era entrata dentro e viaggiava, cresceva, si irradiava.
Era insopportabile, invasivo, opprimente e al contempo subdolo quanto la droga, perché iniziava a circolargli nel sangue tanto da sentire lo scoppiettio delle scintille che tentavano di accendersi. Il fumo che arrivava alle narici era deciso, era afrodisiaco.
Era il fascino della curiosità.
La stessa corrente che, quella sera, l'aveva fatto alzare dal letto per andare a spiare da uno spiraglio tra la porta semichiusa e la parete, lei che, canticchiando in una lingua incomprensibile, spingeva con una spalla contro le ante dell'armadio dell'andito, facendo forza affinché si chiudessero.
- Ma che lingua è? – chiese di colpo, stupendo persino se stesso, riferendosi alla litania.
- Giapponese –
- Lo parli? – alzò un sopracciglio scettico, incredulo da una possibile risposta affermativa.
- No, vado a orecchio – lei scosse la testa prima di dare un'ultima spinta alle alte in legno dell'armadio bianco e con un po' di forza riuscì ad incastrare la chiave nella serratura.
- Quindi canti le canzoni male e inventandoti le parole? – la selvaggia annuì come se fosse potuta essere una cosa normale. Ma non era la prima volta che, forse dimenticandosi della sua presenza in casa, lei si lanciava in questi concerti di melodie asiatiche noiose e deprimenti – Sembrano i versi di un animale in agonia – si lasciò sfuggire quell'insulto con una leggera punta di soddisfazione, ma lei scrollò le spalle senza premura.
- Mi diverto – concluse avviandosi verso il lato opposto al suo. Harry lanciò un'occhiata all'armadio. Erano due ante doppie che si piegavano su loro stesse, dalla fattura e da quella tipologia, sembrava un vecchio modello, di quelli antiquati e superati ormai da qualcosa di più comodo e pratico. Le chiavi per sigillare le ante non si usavano più e soprattutto, quella serratura non sembrava sufficiente a tenere fermo il contenuto dato il sibilare sinistro del legno che sembrava sul punto di cedere da un momento all'altro – Non provare ad aprire quell'armadio! – ordinò lei di colpo, sbucando oltre la soglia della porta di quella che doveva essere la sua camera da letto.
- Nascondi armi? – la prese in giro, incrociando le braccia davanti al busto, osservandola beffardo. Ma un rumore continuo e sinistro lo costrinse a piegare il viso verso l'armadio davanti al quale si era piantonato, un istante prima che le ante si aprissero con un sonoro schiocco e qualcosa di poco identificato, soffice e pesante, lo sommerse.
- Oddio, stai bene? – la nota di preoccupazione nella sua voce pervenne ovattata da quell'ammasso dalla strana consistenza che lo aveva investito, mentre lui cercava di non tirarsene fuori. Harry riprese un lungo respiro di ossigeno uno volta che era riuscita a far emergere almeno la testa da quella che sembrava una valanga di capi di abbigliamento.
- Cos'è questa roba? – poi lo scoppio della risata della selvaggia gli esplose in faccia con poco garbo mentre lui, con il sedere ancora per terra, spostava con le braccia i vestiti per cercare di farsi largo.
La squadrò con ferreo disappunto, inginocchiata al suo capezzale e ci impiegò pochi secondi per realizzare che, come sempre, la cosa le provocava risate fino agli spasmi era la situazione dei suoi capelli. Si tastò la testa con un palmo e in effetti dovevano essersi gonfiati a nuvola per colpa di qualche stoffa che li aveva resi elettrici.
E comunque non era nulla di così divertente.
- A te cosa sembrano? Fucili? – riuscì a masticare a fatica il solito sarcasmo, tra lunghi respiri e risate a crepapelle senza alcun pudore di provare a stemperarle mentre lui era ancora immerso in quel marasma. Finalmente gli spasmi di divertimento sembrarono acquietarsi, la guardò sottecchi asciugarsi persino le lacrime – Ora mi toccherà sistemare tutto –
- Che ci fai con tutti questi vestiti? –
- Ci torturo i turisti –
- La vuoi smettere – ordinò serio, seccato da quella continua ironia, mentre lei tornava in piedi e cominciava a sfoltire il mucchio di abiti per riporli.
- La colleziono, non è ovvio? – sventolò i due vestiti lunghi, sistemati sulle grucce, che aveva in mano, tanto per essere più credibile – C'è chi lo fa con le conchiglie, con i francobolli, io con i vestiti da sera –
- Costoso come hobby – lei assottigliò gli occhi a quella frecciata mentre stendeva le pieghe della gonna ampia di un vestito in raso color ghiaccio.
- Risparmio molto e Daisy me li fa avere scontati tramite il suo negozio – che cosa inutile, rifletté lui contrariato, tutta quell'eleganza poteva andar bene giusto per i party esclusivi di New York. Però quella considerazione lo lasciò perplesso, non avrebbe mai creduto che quella ragazzina fosse stata attratta da tanta ricercatezza di stile.
Peccato che, in quel posto, fosse sprecata.
Alluene
Era stato più forte di lei, continuava a ridacchiare a denti stretti, affossandoli nelle labbra per cercare di non farsi beccare di nuovo, mentre spingeva a forza tutti i suoi abiti dentro l'armadio e ripensava allo stato del cinghiale quando era emerso dalla valanga dei suoi vestiti.
Lui ovviamente non le aveva offerto aiuto, anzi, una volta risistemata la sua preziosa capigliatura, si era chiuso di nuovo nella stanza che lo ospitava.
Alluene aveva quasi finito di incastrare la sua prestigiosa collezione di abiti quando si ricordò di controllare l'ora.
Accidenti, era tardi!
Doveva cambiarsi e poi raggiungere Odin e gli altri. E proprio quando con l'ultima e assestata spinta riusciva finalmente ad incastrare le ante dell'armadio, incrociò la sagoma dell'orco cinghiale che si dirigeva verso di lei e poi verso le scale, come se lei fosse stata invisibile.
Non doveva stupirsi, pensò insoddisfatta, ma di colpo una lampadina si accese nella testa.
- Senti – bloccò la sua discesa quando era a metà scala, solo forse perché l'aveva colto di sorpresa, assestandosi sul bordo del primo gradino, senza ponderare quanto fosse effettivamente stupida o meno la sua idea.
Lui non si voltò, rimase con il viso girato a tre quarti, come se non ritenesse importante ciò che era sul punto di dire, ma allo stesso tempo sembrava intimare che doveva essere grata anche solo che le stesse prestandola minima considerazione. Nonostante quel suo atteggiamento di superiorità le mandasse il cervello in fumo, decise di contenersi – Stasera usciamo – annunciò senza nascondere l'entusiasmo – Non è nulla di che, solo un incontro in spiaggia, un falò abusivo, qualche chitarra e canzone, ci saranno anche Odin e altri ragazzi di qui e dei paesi vicini – Alluene si passò la lingua sul labbro inferiore approfittando che fosse ancora di schiena, per intimarsi segretamente di darsi una calmata. Perché doveva sembrare sempre un'esagitata? –Almeno potrai bere una birra – fu allora che lui si voltò e una scintilla gli accese lo sguardo sotto la solita espressione truce e guardinga.
- Hai detto che gli alcolici sono banditi qui –
- Ma non ti ho detto che Peter ha delle scorte segrete nel bar e che le tira fuori per le occasioni speciali, come questi raduni – si finse vaga, gli occhi che vagavano ovunque in quell'ambiente tranne che su di lui e con l'indice picchiettava sulla balaustra in legno della scala. Non voleva convincerlo, doveva sembrare una proposta disinteressata, quale era in effetti, ma per un malfidato come lui, poteva equivalere ad una condanna al patibolo – Allora? -
- Forse credi che facendomi famigliarizzare con queste quattro pecorari possa farmi cambiare idea? – Alluene storse il naso. Come non detto.
- Prima di tutto, questi quattro pecorari sono persone, persone! – calò su quel sostantivo in un picco acuto e stridulo, tanto per farsi capire da quel babbeo. I suoi occhi si infiammarono non appena lei gli puntò un dito contro – E ti ho invitato perché oltre ad essere il citrullo che è stato mandato qui, per una punizione divina che ancora non comprendo, sei un essere umano e non un prigioniero – serrò le labbra di colpo, rassegnata. Perché sprecava tanto fiato o preoccupazione per uno come lui. La vera babbea era lei – Ma scusami se ho chiesto, fai come ti pare, anzi no – si corresse dandogli le spalle prima che potesse fare lui la sua grande uscita di scena – Ritirati pure nelle caverne! -
Cercava di concentrarsi sulla scelta dell'abbigliamento più comodo e quanto meno decente per una delle poche serate in compagnia di persone sotto i 50 anni. Invece continuava a domandarsi per quale accidenti di motivo si era messa in testa di invitare Harry Staiden.
Perché sei gentile, si disse nella sua testa.
Ma un facocero come lui cosa ne sapeva degli stimoli della gentilezza. Una folata di vento più forte delle altre sbattè contro il vetro della finestra proprio quando si stava specchiando convinta che un golfino con qualche paillette sarebbe stato sufficiente.
Okay, un giubbotto antivento poteva sempre tornare utile. Sebbene fossero praticamente in Novembre, lei non sentiva freddo. Come diceva Odin, doveva soffrire di una menopausa precoce perché aveva sempre caldo, ultimamente.
Scese due a due gli ultimi gradini.
Era in ritardo, come al solito, Odin la stava aspettando sotto casa sua per poi avviarsi insieme e...
- Aaaah! – l'urlo che liberò non appena si accorse di una presenza equivoca davanti a sé, le fece tremare le ossa.
- Tu non sei normale – lui aveva arricciato il viso in un'espressione distorta e lei dovette sbattere più volte le palpebre e fare profondi respiri mentre il cervello registrava la presenza del cinghiale, davanti alla porta e pronto per, per...ma che stava facendo?
- Che stai facendo? – lo domandò ad alta voce, le corde vocali che ancora vibravano in gola per l'urlo precedente. Fortuna che non aveva mai avuto problemi di voce.
- Non dobbiamo uscire? – replicò con quel timbro atono e ruggente che aveva il potere di renderla nervosa, impaziente.
Un momento. Uscire?
- Chi? – lui fletté un sopracciglio verso l'alto, bastava quello sguardo per darle sommessamente della cretina - Ma... -
- Non ti aspetterai che ti ringrazi – una volta ripresasi dallo stato catatonico in cui era finita per lo shock, lei scosse la testa con fermezza, quando mai - Questo non cambia nulla – concluse schietto, aprendo la porta per farla passare per prima.
- Meno male! -
Avevano raggiunto Odin sotto casa, per poi dirigersi insieme a piedi verso la spiaggia. Si trattava di una piccola cala incastonata tra le rocce e le siepi come una gemma preziosa, raggiungibile solo tramite un piccolo sentiero scosceso di cui pochi ricordavano ancora l'esistenza.
Forse per quello era stata meno massacrata dall'uomo e custodiva con orgoglio la sua natura più selvaggia.
Si raccontava che, in certe notti, si potesse vedere la Via Lattea.
In quello scenario fatto di cespugli alti e rocce dalle forme più strane, un gruppo di giovani si radunava per fare festa e contrabbandare alcolici o altri tipi di divertimenti. Era diventato una specie di abitudine che a tutti piaceva conservare.
Harry
- Non sono vietati i falò? – fu la prima cosa che gli venne naturale chiedere alla selvaggia quando vide tutte quelle persone radunate intorno ad un fuoco decisamente troppo grande per essere stato approvato dalla legge. Era proprio al centro della spiaggia, circondato da qualche pietra per impedirne il divampare. Le fiamme erano già alte, quando loro vi arrivarono vicino.
- Si, ma noi stiamo attenti e nessuno viene mai a controllare – Harry si guardò intorno. L'atmosfera era talmente placida, con metà della popolazione già ubriaca e in preda a ridarelle e a strane danze tribali, che senza dubbio nessuno sembrava preoccupato di qualche possibile conseguenza. Poi lei indicò un ragazzo alto e magro, con una folta chioma ramata – Vai da Peter, ha lui gli alcolici – gli fece l'occhiolino in modo amichevole, tanto che lui ne rimase perplesso per qualche istante.
Il ragazzo in questione soprassedeva ad una seria di borse termiche schierate una accanto all'altra da dove tirava fuori alcolici di ogni genere.
- Tu devi essere Staiden – gli tese la mano e quando lui gliela strinse, sul viso del ragazzo si allargò un sorriso amichevole e la stretta si trasformò in un abbraccio grezzo che lo colse impreparato, tanto che non si tirò indietro – Benvenuto amico, tieni, questa è la birra che facciamo noi – Harry afferrò al volo la lattina mentre la leggera musica di sottofondo prese possesso dell'aria.
- Per avere un po' di balli di gruppo dobbiamo andare da Lars a Laurus? – Harry non si stupì che fosse stata lei a parlare. Giusto una pazzoide come lei poteva lamentarsi dei Rolling Stones.
- Mettete Cotton Eye Jo! – invocò l'amico alzando in aria una lattina in modo tanto scoordinato che riversò un po' di contenuto sulla propria testa, scatenando l'ilarità della selvaggia che si piegò in due, tenendosi la pancia dalle risate, di fianco a lui.
Non che fosse così divertente vedere un imbranato innaffiarsi da solo con la birra.
Ma lei sembrava sempre divertirsi a dismisura delle disavventure del prossimo e non aveva problemi a darlo a vedere. Ingoiò un sorso di birra quasi con sollievo e rimase stupito dal gusto acre e leggermente speziato.
- La fate qui? – chiese riportando l'attenzione sul ragazzo dai capelli color carota.
- Si, io e quei due ragazzi laggiù – indicò con un cenno vago qualcuno in mezzo al gruppo a cui Harry non fece troppo caso ed entrambi si sederono su uno dei tronchi sistemati vicino al falò - Lo facciamo come hobby ma ci piacerebbe implementarla come attività, solo che io seguo anche Tyler. Se ci scoprisse, come minimo, ci arresterebbe – Peter ridacchiò mandando giù un lungo sorso – Capisci a cosa mi riferisco? – Harry annuì.
- Ne ho sentito parlare – commentò vago - Perché continuate a dargli retta? – il ragazzo scrollò le spalle, sbuffando rassegnato.
- Perché gestisce da sempre la città e siamo tutti affezionati a quella zucca vuota – una risata sommessa gli sibilò tra i denti – Mi piacerebbe essere il suo successore, un giorno, forse quando sarò vecchio, chi può dirlo. Intanto lo accontento e poi di nascosto faccio come mi pare, tipo per questa – scosse appena la birra che aveva in mano a tempo di musica.
- E tu straniero, chi sei? – Harry si voltò per rintracciare quella voce squillante che sembrava averlo interpellato e rimase piacevolmente sorpreso nel trovarsi davanti una ragazza che gli tendeva la mano – Sono Megan – lui si alzò in piedi prima di stringerla e offrirle anche un ghigno di totale approvazione.
- Lui è il newyorkese che deve occuparsi dell'aeroporto e lei, Harry, è la cugina di Odin, è una cantante – aggiunse Peter ponendo luce al motivo per cui lei aveva una chitarra trattenuta tra il busto e il braccio sinistro.
- Allora mi fa ancora più piacere conoscerti – miagolò soave, sbattendo le lunghe ciglia in modo ammaliante.
- Che genere? – le domandò fissandola negli occhi, che sembravano aver rubato il colore azzurro direttamente da quelle acque.
- Perché non me lo dici tu – lo sfidò cogliendo l'occasione per sedersi accanto a lui e manovrare la chitarra con incredibile maestria. Peter fece cenno di abbassare la musica e tutti si concentrarono su di lei. Non doveva avere difficoltà ad attirare l'attenzione, pensò Harry mentre lei prese ad intonare una canzone country.
La sua voce era limpida e il suo aspetto, il viso dai lineamenti dolci, gli occhi svegli contornati da una frangetta sbarazzina castana e i lunghi capelli lasciati al vento, era sicuramente un motivo in più per ammirarla. Per di più, le occhiate atomiche che gli rivolgeva erano inequivocabili – Riesci a seguirmi? – Harry ghignò spavaldo, ricambiando gli sguardi lascivi e facendosi più vicino a dove lei era seduta, tanto che le loro gambe si sfiorarono in un contatto per nulla casuale.
Approfittò di un ponte di sola chitarra per fischiettare il motivetto orecchiabile e facile da memorizzare. Il suono della chitarra che accompagnava il suo fischiare era enfatizzato da un silenzio abissale, che quasi ne esaltava l'eco in quella notte salmastra, tra lo scoppiettio di tiepide fiamme. E a lui defluì con naturalezza, come se fosse stato sempre lì, come se già lo conoscesse, come se si sentisse per la prima volta a suo agio in mezzo a tante persone.
Persone che non sembravano curarsi del suo bagaglio che improvvisamente si faceva leggerlo, quasi invisibile.
Alluene
Controllava con sguardi veloci il cinghiale, di tanto in tanto, giusto per assicurarsi che non fosse scappato.
Invece rimase stupita che stesse chiacchierando con Peter, ma con lui era semplice fare conoscenza, era un ragazzo socievole, aveva il potere di mettere chiunque a proprio agio, persino un soggetto difficile come l'orco – cinghiale.
Quando lo cercò ancora, stava stringendo la mano a Megan. Distolse lo sguardo quando notò, tra lo scoppiettio delle fiamme, il modo in cui lei gli si avvicinava sfiorandolo lasciva, attorcigliandosi una ciocca di capelli tra le dita, capendo immediatamente il suo intento.
Ciò che invece le risultò incomprensibile era quel leggero mulinello di malessere che le formicolò tra lo stomaco e lo sterno.
Conosceva Megan da quando erano piccole, era sempre stata bellissima, sicura di sé e particolarmente talentuosa. Nessun ragazzo riusciva a resistere a quel suo fascino pulito e attraente al contempo. E neanche lui sembrava contrariato alle sue lascive lusinghe.
Cercò di concentrarsi su Odin, su Daisy, fin quando Peter non richiamò al silenzio e allora l'attenzione di tutti atterrò verso di lei. Su di loro. Perché lui, l'algido angelo caduto che si era estraniato dal mondo, ora fischiettava a ritmo di musica, più umano che mai. Quell'imprevisto spiraglio di umanità le sbattè in faccia come una fiammata.
Non l'aveva mai visto così accondiscendente, così coinvolto, così...sereno.
Trattenne il fiato come se non avesse voluto farsi sentire, come se solo respirare fosse potuto essere pesante. Sarebbe dovuta essere compiaciuta, sarebbe dovuta essere rallegrata di un misero passo avanti, di vederlo coinvolto in qualcosa.
Invece, in quell'immagine di lui e lei vicini, a canticchiare con una sintonia che sembrava quasi tangibile, lei rivide solo il riflesso frastagliato delle sue mancanze, di ciò a cui segretamente aveva aspirato e che non sarebbe mai riuscita ad ottenere.
Harry
- Allora come ti trovi? – la musica rock era tornata a far muovere fuori tempo gli ubriachi e far stonare i brilli. La ragazza, Megan, si era allontanata intrattenendo a turno tutti i presenti, senza però dimenticare di seguirlo con lo sguardo di tanto in tanto. E lui accoglieva con piacere quelle occhiate. Peter invece aveva ripreso a chiacchierare ed Harry gli rispose con un'occhiata furtiva che lui sembrò cogliere – Non dev'essere semplice starle dietro – Peter alzò il mento indicando lei oltre le fiamme, che se ne stava in piedi, dall'altra parte del falò.
- La conosci bene? – gli chiese senza smettere di fissarla. Non era bella quanto Megan, non di quella bellezza oggettiva, ma, in quel momento, sprigionava un'energia che attirava i suoi occhi, i suoi pensieri, come se fosse stata la prima volta che la vedeva.
Forse era l'alcol. Ma le scintille di fuoco le volavo intorno quasi a volerla riempire di luce e lei rideva, un sorriso caldo, radioso, che poteva infondere serenità a chi poteva osare contemplarlo, o solo curiosare nei suoi occhi. Peter scrollò le spalle.
- È la cugina di Daisy, in qualche modo si somigliano, ma Elene è particolare – già. E "particolare" era un termine riduttivo quando si trattava della personalità della selvaggia. Ma c'era qualcosa che segretamente lo affascinava. Un richiamo che in quel momento riusciva a decifrare distintamente.
Era quel modo in cui lei esprimeva ciò che aveva dentro in ogni espressione del viso, in ogni smorfia o piccola ruga, ed era stato facile, per uno come lui, rassegnato in quella muta contemplazione, imparare come decifrarla.
Perché lei non si nascondeva, vestiva negli occhi ciò che aveva dentro e se da un lato per lui era assurdo e sconsiderato, dall'altra parte, era curioso provare uno strano sentore amaro che si confondeva tra la poca stima che aveva di lei, la scarsa sopportazione e quel lembo strascicante che puzzava troppo di invidia.
Invidia perché lui non sapeva neanche riconoscere se stesso e lei invece offriva la sua anima a chiunque – Ormai è come se fosse di qui, proprio come noi, nonostante abbia vissuto per tanto tempo in continente –
- Dove viveva? – domandò più per riflesso che per curiosità, ingoiando un altro sorso di quella birra che, doveva ammetterlo, era fantastica.
- A New York, non te l'ha detto? – il liquido aspro e speziato sembrò cristallizzarsi in gola, gli andò quasi di traverso tanto che, nel trattenere lo stimolo di tossire, un rivolo gli sfuggì oltre le labbra.
Harry serrò la mascella asciugandosi con il dorso della mano, sfregando la pelle mentre con gli occhi cercò lei. Una sensazione incomprensibile gli defluì dentro, amplificata dai fiotti di alcol che continuava ad ingerire mentre si domandava perché non glielo avesse mai detto.
Lei, come se avesse sentito la scia di quel malsano disgusto, si voltò verso di lui, le fiamme che sprigionavano scintille volavano tra loro come tanti schizzi di stelle. Il suo sguardo si scontrò preciso contro i suoi occhi, insolente, segretamente ammaliante, come una melodia ascoltata più volte che iniziava ad intrufolarsi nelle corde della memoria.
Quei suoi occhi insidiosi, accesi come la brace di cui parevano nutrirsi, e che lo guardavano in quel modo strafottente, erano diventati una strana certezza quando non si sapeva cosa cercare.
- Beccati! Brutti disgraziati! – e tutto si spense.
Anche il fuoco.
Tyler sbucò dai cespugli fitti che circondavano la laguna, fecero in tempo ad accorgersi della sua presenza un attimo prima che lui impugnasse una pompa color pece come se fosse stato un bazuca e iniziasse ad innaffiarli.
- Via! – Harry non seppe chi avesse intimato di defilarsi. Con il fuoco spento, le torce che dai cespugli puntavano verso di loro e le persone che veloci come gazzelle impazzite si disperdevano intorno a lui, rimase confuso, correndo senza una direzione precisa fin quando qualcosa, o qualcuno, non bloccò la sua fuga.
Alluene
Tyler non era ingenuo come pensavano. Doveva averli seguiti, forse spiati da qualche tempo, per prepararsi ad un attentato simile, armato di pompe d'acqua e con qualche gendarme a fargli da spalla. Tutti erano schizzati via nel marasma generale, ma lei aveva perso il cinghiale. E la cosa peggiore era che si era accorta della sua assenza solo troppo tardi.
Per tutti i fagiani spennati!
Facendo qualche indagine in giro, le avevano riferito che Tyler era riuscito ad acciuffarlo e che l'aveva portato in caserma. L'unico imbecille che si era fatto acchiappare.
Per tutti i fagiani spennati, al quadrato!
Non ci voleva, pensò amareggiata, per una volta che il cinghiale sembrava divertirsi.
Grazie per il tempismo, Tyler!
Raggiunse la caserma di Tibula più in fretta che potesse, con le scarpe piede di sabbia, i capelli gonfiati dall'umidità come una parrucca d'epoca e un groppo di ansia a renderla nervosa e impaziente, ma attese.
Dopo un lasso di tempo che sembrava infinito, in cui era finita persino a contare i mattoni color ruggine della facciata, finalmente vide la sagoma del ragazzo lasciare l'edificio.
Gli corse incontro sventolando la mano per attirare la sua attenzione, lui invece mantenne lo sguardo rivolto verso terra e la superò come se fosse stata invisibile.
- Mi dispiace che sia stato acciuffato – Alluene gli corse dietro e solo allora si rese conto di quanto velocemente si stesse defilando - Spero che Tyler abbia fatto un trattamento di favore a te – provò ancora ad instaurare un dialogo, ma sobbalzò facendo un passo all'indietro quando lui si voltò di colpo investendola con la pungente avversione che si specchiò nelle ombre oscure che gli trasformarono il volto in una maschera dura e impenetrabile.
- Siete un branco di pazzi! – il suo urlo si schiantò tra le strade deserte come l'ululato di una bestia colpiva una notte di nebbia. Ma era esausto e con una nota raccapricciante che la spezzò il fiato, colandole dentro come un rivolo di ghiaccio. Alluene gonfiò il petto per non farsi vedere intimidita, non tanto da lui, quanto dal suo perenne ribrezzo.
- Non ti sembra di esagerare! – sparò fingendo un tono saldo, sebbene qualcosa di indentificato le scricchiolasse dentro.
- Mi ha fatto pagare una multa, quel pezzente! E non per il falò, ma per la birra! Perché tenevo in mano una dannata lattina di birra, schifosa per giunta! –
- Sai che odia l'alcol, suo fratello è... -
- Non me ne frega un accidente! – l'interruppe sovrastando la sua voce e lei sgranò gli occhi per un lampo di tensione che le esplose nel sangue. Harry assottigliò gli occhi, la mascella tesa come se stesse cercando di contenere un conato di vomito, il volto trasfigurato in una morsa d'ira.
Fece un passo verso di lei, veloce e minaccioso quanto la sua vicinanza massiccia e pericolosa – Non me ne frega niente di questo paese, quest'isola, di queste dannate persone! Io vengo da New York, il cavolo del centro del mondo dannazione e finisco in questo sputo dimenticato da Dio, con questa mandria di bifolchi che parlano con le capre e in una lingua incomprensibile per di più – Alluene fece un passo indietro. Se solitamente lei ci sguazzava nelle discussioni, in quel momento era come se la sua furia sgradita, venata di una rabbia ingiusta, l'avesse prosciugata di parole o argomentazioni.
Non l'aveva mai visto in quello stato.
E lui dovette cogliere quello stato precario, in qualche modo – Inutile che mi guardi così – l'ammonì severo, irraggiungibile come era sempre stato. Era tornato il demone che rigettava la sua umanità solo in frustrazione, solo talvolta in collera - Mi chiedi perché non parlo, ma non è ovvio? Capirebbe qualcuno? Siete abituati a parlare solo con le bestie – sputò quel disprezzo nell'aria come una lingua di fuoco.
Lei inspirò l'aria riempendo i polmoni per rompere quel torpore in cui era caduta. Non abbassò lo sguardo per non scoprire le sue debolezze, per non mostrare il solco delle sue speranze incenerite da quegli occhi.
Il verde di quelle iridi emanava tutto, fuorché un manto di fiducia.
- Allora strano che non ti capiscano – con quell'ultima, amara stoccata, gli diede le spalle, prendendo ad allontanarsi più in fretta che potesse.
Era inutile, con lui, era tutto inutile.
Non importava quanto avrebbero potuto includerlo, quante meraviglie, storie e leggende avrebbero potuto raccontargli.
Lui si nutriva solo di ciò che distruggeva ed ora, doveva solo cercare di non farsi annientare.
- Fai anche l'offesa adesso? – la sua voce le arrivò alle spalle come lo sciocco di una freccia da una distanza ravvicinata e lei spinse i muscoli delle gambe per continuare a camminare e non voltarsi - Tu sei libera di sparare a zero su tutto, vuoi sempre che parli e ora che dico ciò che penso non va neanche bene? – ma lui la raggiunse rapido, bloccando il suo avanzare.
E allora, inaspettatamente, una scia di parole riprese a ruotare nella sua testa.
- Pensavo fossi come quest'isola, che forse era un segno che proprio tu fossi stato destinato a rimettere in piedi questo posto. Perché avevi bisogno di riprendere a vivere – defluì trascinando quell'amara verità in ogni sillaba.
La smorfia truce sul viso del ragazzo si distese, impreparata, mentre i suoi occhi le restavano puntati addosso come se avessero voluto sradicarle i pensieri per potervi leggere dentro, per poterli strappare dalla sua sfera più intima – Pensavo che stando qui ti saresti reso conto di quanto stessi buttando via la tua vita, invece tu sei sempre concentrato su ciò che hai perso invece di rimetterti a costruire ciò che ti è rimasto – un battito accelerato tradì la fermezza della sua voce. Fece una pausa, umettandosi le labbra, improvvisamente secche – Ma è così che funziona, è più facile cercare ciò che non si ha, piuttosto di essere grati per quello che abbiamo -
- Vorrei vedere se, al mio posto, parleresti ancora così – stava per rispondere, ma lui l'interruppe ancora, gli occhi ridotti in due fessure che la scrutavano con sospetto - Perché non mi hai detto che hai vissuto a New York? – fu come se una secchiata d'acqua gelida l'avesse appena investita mandando in cortocircuito ogni terminazione nervosa.
No, quello no.
- Ti sembra che abbiamo mai fatto conversazione io e te? – ma la forza testarda con cui cercava di oscurare quella parte del suo passato, le impose di non titubare - Non era un segreto dove sono nata e cresciuta e non sai cosa darei per dimenticare certe parti del mio passato – quella confessione sfuggì ad un autocontrollo precario che le frizionò il battito - Ma tu pensi che rimuginando riuscirai a recuperare i ricordi? –
- E buttare tempo dietro a quest'isola, cosa può darmi? –
- La vita, idiota! – in quel gioco di ombre e le lontane luci dei lampioni che lampeggiavano animando l'atmosfera macabra, il volto di Harry apparve sconvolto da una miscela di rabbia, sorpresa e incredulità. Come se quell'urlo gli fosse vibrato dentro l'oscurità che lo avvolgeva - Ma non lo vedi? Queste rovine sarebbero solo pietre senza il tempo che scorre, sono qui perché ci ricordano cosa è stato, non per portare indietro il passato. Il passato per definizione non c'è più e vivere in funzione di esso, non è vivere – tese le labbra per contenere il tremolio di quello inferiore.
Era andata precisa, sapendo cosa dire perché spesso aveva fatto quel discorso a se stessa, quando voleva andare avanti e non ci riusciva. Abbassò lo sguardo per un istante, delusa, da lui e anche da se stessa, perché ancora era difficile affrontare il suo passato, che sembrava risucchiarla via ogni qual volta anche solo una goccia ne veniva a galla - Pensavo che se il fato ti avesse scelto, ci fosse un motivo -
- Il fato non esiste – serrò i denti lui emettendo un suono rauco e malconcio. Alluene strinse le palpebre, impotente.
Il muro tra loro era così alto, che neanche se fosse stata in grado di alzare gli occhi al cielo, avrebbe visto la luce. Lui era una creatura dannata e lei era troppo umana, troppo fragile per impedirgli di spezzarla.
- Hai ragione – convenne rassegnata, accartocciando le labbra con forza prima di continuare.
Perché qualcosa ancora aveva da dire.
La tenacia che aveva riconquistato a Sandália, il sangue delle sue origini di guerrieri e banditi le pulsò dentro come ad invocare il temperamento ribelle.
L'avrebbe distrutta, ma almeno, non avrebbe aspettato inerme la sua fine – Tornatene a New York. Lascia scorrere gli anni dietro a questa follia e fammi un fischio quando riuscirai a recuperare la memoria e se non ti sentirai un povero cretino per averci perso tanto tempo dietro – mantenne lo sguardo verso il basso, nascondendosi nell'ombra che lui stesso le offriva - Noi saremo qui, ci prenderemo cura di questo posto fino alla fine e se dovessimo affondare, almeno non avremmo rimpianti – un sibilo ammanettò la folata di vento più forte – Chissà se tu potrai dire lo stesso –
Spazio Ila 🐿
Ciao Fiorellini 🌺
A quanto pare ce l'abbiamo fatta! Preparatevi perché questi capitoli saranno un po' altalenanti.
Tenete bene a mente che Alluene non sopporta Harry, ma sa che ha bisogno di lui per Sandália e quindi cerca di spronarlo affinché dedichi un po' di tempo e attenzione.
Lui ovviamente non sopporta lei, così lontana dal suo mondo, da dove è cresciuto e che sembra non capire nulla delle sue frustrazioni e dei suoi tormenti.
Apparentemente questi due non possono andare d'accordo e non vogliono...ma vedrete...è solo l'inizio e ancora tanti, ma tanti, segreti devono venire a galla ❤️
Per farmi perdonare delle varie attese vi spillo un trailer ❤️
Love you!!!
Ps. Se potete ricordatevi la ⭐️
[Dovrebbe esserci un GIF o un video qui. Aggiorna l'app ora per vederlo.]
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