11. Saurra - rugiada
11. Saurra – rugiada
"È la pioggia che scorre quando andrai
limpida alla tua foce che disperde a mare.
È pioggia il pianto che devi contenere
celato in percezioni di dolore."
Alluene
Aveva piovuto quei due giorni. Piogge passeggere di fine estate che si portavano via gli ultimi resti del sole caldo e delle temperature torride.
Dell'orco – cinghiale nessuna traccia. E senz'altro era stato meglio così. Aveva bisogno di disintossicarsi dai suoi continui mutismi e brontolii.
Fortunatamente i suoi fastidi legati al tempo si stemperavano tra il primo e il secondo giorno di piogge, giusto in tempo per farsi una lunga doccia serale e provare il nuovo vestito che aveva ordinato da Daisy clandestinamente.
Sua cugina selezionava i capi adatti al target di Tibula e soprattutto dei turisti che la popolavano, ma, almeno per lei, faceva arrivare qualche oggetto speciale: abiti lunghi di designer famosi. Abiti principeschi fatti lustrini, strass, pizzi e ricami, scolli e linee da mozzare il fiato. L'unica cosa che le mancava di New York. Eccolo il lato oscuro della città, quello che non l'aveva mai abbandonata.
Erano prodotti di alta sartoria cuciti su strati di stoffa fluttuante, lunghi strascichi che se li avesse indossati per le strade del paese, si sarebbe trascinata dietro mezza spiaggia con tanto di terriccio intorno.
Aveva cominciato la collezione di abiti da quando aveva quindici anni, spaziando da modelli classici a più stravaganti, con colori estrosi o fantasie bizzarre. Li conservava in un armadio bianco in stile baroccheggiante, posto nell'andito tra le due camere da letto.
Dato che non avrebbe mai potuto sfoggiare quel tipo di abbigliamento, se non per carnevale, in giro per il paese, si accontentava di indossare i suoi preziosi abiti dentro casa.
Si osservava allo specchio facendo roteare la gonna nera in raso, indossando tacchi vertiginosi, quando un rumore sospetto la mise in allerta e le gelò il sangue.
Veniva dal piano di sotto. Odin e le tre vicine solitamente si annunciavano urlando prima di entrare. L'ossigeno si accartocciò in gola temendo che potesse trattarsi un qualche uccello, animale selvatico, o, peggio, di un gigantesco insetto. Fece un bagno di coraggio, ingoiando l'ansia. Afferrò una scarpa come se fosse potuta essere un'arma e imboccò le scale.
Per poco non inciampò sullo strascico del vestito, già dal primo scalino, quando una voce maschile irruppe nella sua bolla di silenzio.
Per tutte le rape rosse!
Harry
Era un caso che sapesse dove abitasse la selvaggia. L'aveva incrociata da lontano un giorno, mentre spariva dietro le porte di quella villetta in pietra. Era convinto che non sarebbe esistito un movente che l'avrebbe condotto fino a quell'uscio, fin quando era rientrato in camera e aveva trovato il bagno allagato. Imprecando tra i denti per l'acqua che continuava a defluire, lenta ma inarrestabile, da sotto il lavandino, si era armato di tutta la pazienza che tratteneva in corpo per correre da lei e pretendere un rapido intervento.
Erano trascorsi due giorni di pioggia in cui non aveva avuto alcun contatto con lei, con suo estremo sollievo. Ma trascorrere 48 ore in solitudine, in quel buco remoto era stato un tormento quasi quanto il chiacchiericcio continuo e vaneggiante della selvaggia.
Aveva fissato perplesso per qualche istante la porta d'ingresso aperta, prima di superarla guardingo, in allerta. Bussò contro lo stipite solo una volta dentro, chiudendosela alle spalle con un tonfo per farsi notare, prima di usare la voce per domandare se ci fosse qualcuno. Guidato dalla luce accesa all'altezza delle scale, abbandonò l'ingresso giungendo in fondo ai gradini.
Scandagliava con lo sguardo l'arredamento rustico e tipicamente marittimo dell'ambiente, fatto principalmente di mobili bianchi e decorazioni color pastello, quando una serie di cigolii gli fece scattare il viso verso l'alto.
Harry dovette serrare le labbra tra loro per evitare di boccheggiare per lo stupore.
Quella non poteva essere lei.
Aveva sceso i primi gradini con lo sguardo composto di puro timore che si rabbuiò non appena lo riconobbe. I capelli come l'oro ciondolavano intorno al viso seguendo i suoi movimenti lenti. Il viso era mascherato da un'espressione tesa, le guance erano appena arrossate e gli occhi splendevano come mille luci infrante sul vetro soffiato. La mano destra scivolava rigida sulla ringhiera di legno bianco.
Lo sguardo di Harry viaggiò impudente su quella figura fasciata da un vestito nero, aderente sino alla vita che scendeva morbido, lungo fino a terra. Seguì con circospetta curiosità le lunghe gambe che uscivano dallo spacco centrale della gonna.
Ogni nebuloso dubbio sulla sua identità venne spazzato via quando lei allineò gli occhi con i suoi e riconobbe al volo il classico sguardo altezzoso e arrogante con cui osava sfidarlo.
- Non si usa più bussare? - brontolò lei con disappunto, una volta raggiunta la metà della scala. Harry temporeggiò massaggiandosi la base della nuca, dandosi dell'idiota per essere rimasto imbambolato a fissarla. Come se non avesse mai visto un paio di belle gambe prima di allora.
- La porta era aperta – eppure i suoi occhi rimasero a contemplarla straniti, un'inflessione marmorea a tendergli il volto pur di coprire lo stupore, mentre lei giungeva agli ultimi gradini, senza scenderli. Vista a quella distanza in tutta la sua longilinea figura, senza abbigliamento maschile a camuffarla, Harry non lasciò scivolare via la consapevolezza che fosse diversa da come l'aveva immaginata, quasi...quasi attraente. Spedì quel pensiero improvviso nel profondo astio che custodiva per lei, scuotendo persino la testa per il disappunto. La selvaggia non era bella, era solo meno insignificante del solito vestita come una persona normale e non come una vagabonda.
- Che ci fai qui? – gli domandò ancora immobile sulla scala, mancavano gli ultimi due scalini che non sembrava affatto intenzionata a percorrere. Harry nascose entrambe le mani nelle tasche della giacca a vento.
- Il lavandino perde acqua – annunciò austero, la voce divenne più roca del solito.
- Dove? – lei continuò a fissarlo guardinga. Si irrigidiva spesso lui quando lei gli rivolgeva quegli sguardi severi, quasi fosse lui stesso un problema per lei. In fondo, era reciproco, eppure riusciva a innervosirlo.
- In camera mia – quasi sputò il possesso di quell'aggettivo schifato. Giammai volesse possedere qualcosa in quel posto maledetto. Lei spalancò la bocca lasciando cadere dalla mano sinistra la scarpa che aveva tenuto stretta fino a quel momento e sbattè la stessa mano sulla fronte. Harry piegò un sopracciglio, gli faceva specie vederla ammutolirsi - Va chiuso il rubinetto generale e sistemata la perdita, altrimenti si allagherà tutto, non solo il bagno – lasciò trapelare quasi involontariamente quell'informazione, per non ritrovarsi a dormire in una palude oltre che in una topaia.
- Oh santo corbezzolo ma io non ho la più pallida idea di dove sia questo coso! – biascicò lei preoccupata - Ci serve Odin! – esclamò poi saltando gli ultimi gradini con un balzo. Harry la osservò di sbieco infilarsi un paio di ballerine prima che i suoi occhi tornassero di nuovo su di lui – Andiamo! – lo incitò sbrigativa, come desse per scontata la sua presenza e con un atteggiamento confidenziale che gli provocò un formicolare sinistro sulla pelle. Eppure, nonostante non gli facesse piacere, non aveva altro da fare, né dove andare, quindi la seguì fin all'ingresso. Mentre lei gli dava le spalle, uno strano interesse alla base dello stomaco lo portò ad osservare ancora le curve di quella figura sottile, apparse dall'abito aderente che indossava come se avessero voluto invogliarlo a toccarle, a tastarle.
- Esci così? – alzò un sopracciglio con sospetto, ma lei lo incalzò sbrigativa.
- Non c'è tempo, muoviti! – prese ad agitare le braccia per fargli cenno di uscire e lui si limitò a superarla.
- Ho stravolto i tuoi impegni? – soffiò tra le labbra Harry, una curiosità velenosa era defluita sul palato.
- Dovevo dar da mangiare a Patrick – la sua replica era acida e sembrava persino ironica. Harry pensò che doveva trattarsi di un modo isolano per dire che aveva una cena in programma e provò una sorta di solidale pena nei confronti del poveretto o poveretta che avrebbe diviso la serata con lei. La selvaggia si voltò di scatto mentre camminava davanti a lui lungo il vialetto e, come se avesse interpretato i suoi pensieri, indicò qualcosa al di là della siepe – Patrick è la capra della vicina, citrullo – la capra belò con vigore come se avesse riconosciuto il proprio nome. Harry aggrottò la fronte riprendendo a camminare indispettito dalle offese a fine frase che non gli risparmiava quasi mai.
- Sei fastidiosamente sarcastica –
- Bella scoperta, se ti fossi sprecato a spendere due parole in più con me, te ne saresti già reso conto – aprì la bocca per risponderle ma lei lo anticipò – Ma so che non ti interessa – gli fece cenno con la mano di seguirla e per poco non gli venne un infarto quando la vide correre verso l'auto infernale.
- Vorrai scherzare – grugnì a denti stretti – Questo posto è un buco -
- Faremo prima, non farti pregare! – Harry alzò gli occhi al cielo senza osare interrogarsi sui motivi che lo spingevano ad assecondarla mentre si ritrovava di nuovo chiuso in quel trabiccolo ambulante. Lei come al solito non gli diede il tempo di chiudere la portiera arrugginita, che era già partita in sgommata.
Che si sarebbe pentito di averla seguita era il pensiero che gli martellava la testa mentre lei, la selvaggia, picchiava con una forza immonda contro il massiccio portone in legno della casa dell'amico. Un brivido gli trapassò le ossa, se gli avesse dato un pugno con la stessa forza, gli avrebbe rigirato la faccia! Per di più, oltre a tutto il baccano a causa dei colpi, chiamava il compare a gran voce in piena notte.
Sarebbe voluto sparire mentre nascondeva la faccia contro il palmo, alzando la faccia di tanto in tanto per seguire gli spostamenti di quell'esagitata. Lei scattava a destra e sinistra tra la porta e la finestra al primo piano di quel palazzetto in granito al lato della chiesa. Ergo, la pazza stava urlando e tentando di buttare giù un portone proprio in pieno centro. Se fosse successa una cosa del genere a New York, li avrebbero arrestati.
Ciò che rasentava l'incredibile era che nonostante tutto il baccano, del suo compare non si era vista neanche l'ombra. Lei urlava continuando a camminare avanti e indietro, mentre lui era immobile, appoggiato a braccia conserte ad un grosso vaso pieno di erbacce e residui secchi di piante. Doveva essere uno strumento ornamentale perché erano posizionati sul bordo di tutto il piazzale antistante la chiesa. Invece sembravano rispecchiare la sua stessa decadenza.
- Che vuoi fare? – fu la prima domanda allibita che le rivolse in quel frangente in cui fingeva di essere lì per caso e non complice della vicenda, poiché lei aveva appena parcheggiato la macchina sul viottolo, tra lui e la facciata dell'edificio, proprio sotto la finestra.
- Salgo sul tetto della macchina e busso con il bastone ai vetri della finestra – decretò risoluta, ignorando il suo sguardo sconcertato, mentre tirava fuori dal cofano dell'auto un bastone lucido placcato di bianco che doveva essere parte di un ombrellone da spiaggia – Fortuna che ha il brutto vizio di tenere aperti gli infissi – la selvaggia impugnò il bastone come se fosse stata una lancia, sotto i suoi occhi sgranati.
- Di questo passo ci arrestano – Harry pronunciò senza enfasi, nonostante il suo inconscio cominciasse davvero a temere una qualche ripercussione. Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi mentre lei si tirava la gonna del vestito fin sopra le ginocchia per salire sul cofano dell'auto e poi sul tetto. Gli diede le spalle, stringendo il bastone con entrambe le mani e alzandolo fin sopra la testa a braccia distese. Una scossa di freddo s'insinuò fin sotto la pelle quando temette per un attivo che il bastone le volasse all'indietro, proprio addosso a lui.
- Puoi dirmi se così prendo la finestra? – il suo corpo ondeggiava accompagnando l'oscillare del bastone mentre cercava di prendere la mira. Harry increspò la fronte a quella richiesta.
- Alza la testa e guarda –
- Dimmi se a quest'altezza colpisco bene – continuò lei caparbia come un mulo, senza alzare il viso neanche di un millimetro.
- Perché diavolo non guardi? – gli sfuggì un rantolo di esasperazione al quale lei contestò indignata. Quella ragazza non aveva tutte le rotelle a posto.
- Ti costa tanto dirmelo? –
- Vai bene – l'assecondò alla fine, disinteressandosi delle assurde follie di quella ragazza. Non fece in tempo neanche a finire che incassò istintivamente il collo dentro le spalle quando il rumore dello scontro gli fece accapponare la pelle.
Alzò la testa solo per intimarle di fare più piano, di quel passo avrebbe spaccato il vetro, ma gli occhi gli si bloccarono sul suo corpo teso, esposto alla sua vista da un vestito aderente e dalla posizione rialzata. Harry assottigliò gli occhi tratteggiando lo sguardo verso qualcosa che non avrebbe dovuto colpirlo. Da dove era venuta fuori quella conformazione così invitante? Da che il suo corpo era sembrato banale e rinsecchito come un manico di scopa, quell'abito esaltava una forma dalla quale non riusciva a staccare gli occhi. Scosse la testa con vigore come a volersi redimere di quei pensieri.
Era solo la selvaggia dannazione.
E non doveva stupirsi per la forma decente di un paio di natiche. Ma più lei si scuoteva sporgendo in avanti le braccia per regolare l'impatto, più spingeva indietro il sedere in movimenti equivoci che gli smossero uno strano formicolio nelle parti basse. Non voleva, gli dava fastidio anche solo continuare a fissarla come un arrapato, eppure c'era qualcosa di ipnotico nel tessuto che le scivolava addosso segnando il suo ondeggiare.
Improvvisamente la concentrazione sulla situazione sfumò, ogni ragionevole condizione gli scivolò di dosso, dimenticandosi quasi il motivo per cui erano per strada in piena notte, lei sopra il tetto di un'auto a prendere a martellate il vetro di una finestra, mentre lui l'osservava stupito, perplesso, immobile, come un depravato, immaginando di poter toccare qualcosa di totalmente proibito.
Forse fu per quello che stentò a realizzare immediatamente cosa successe in quell'esatto istante. Alzò lo sguardo per caso, giusto in tempo di vedere le ante della finestra spalancarsi di colpo e una folta chioma di riccioli scuri facesse capolino oltre il parapetto. Il corpo di Harry venne travolto da un fremito involontario, come se i suoi sensi avessero intuito in anticipo e la mente non registrato con la stessa sagacia per evitare che accadesse.
- Che succe... - e invece accadde. Il bastone volò contro la fronte del poveretto che con un lamento acuto sparì dietro la finestra. Harry sentì le pupille schizzargli fuori dalle orbite. Ora gli avrebbero di sicuro arrestati per omicidio.
Alluene
Era esausta, in perenne equilibrio precario e con le immagini dell'albergo pieno d'acqua come se fosse stato il palazzo di Tritone, a farle crescere l'angoscia. E quel cretino di Odin dormiva ancora sereno!
Fu proprio in concomitanza di quel pensiero che si rese conto in ritardo di aver colpito qualcosa di diverso, prima che un sonoro lamento le arrivasse alle orecchie.
- Oddio! – spalancò la bocca per lo spavento. Non aveva davvero colpito il suo amico...
Un'agitazione furiosa l'investì di colpo, il bastone le scivolò dalle mani, già tremolanti, nell'esatto istante in cui il piede slittò in avanti e le sembrò di tuffarsi in una pellicola a rallentatore. Lo stomaco le andò in gola.
Cadeva.
Nella sua immaginazione un salto da quell'altezza poteva essere fatto aggraziato come quello di una ballerina. Invece lei stava precipitando all'indietro con braccia e gambe spalancate in perfetto stile stella marina, il cervello troppo in panne per concepire un movimento o solo un sibilo.
Invece rimase muta, gli occhi serrati d'istinto preparandosi all'inevitabile schianto.
Quando li riaprì non fu per l'impatto, anzi, la durezza dell'asfalto ancora inumidito dalle recenti piogge era stata sostituita dalla presa morbida di due mani che la trattenevano in aria. Quel tocco era come la carezza di una piuma, mentre l'adagiava piano tra le sue braccia come se fosse stato padrone del tempo, o della gravità. Le dita la sfioravano caute come se fosse fatta di zucchero filato, senza affondare per non rischiare di disfarne la consistenza.
La prima cosa che percepì fu un'ondata di calore che si propagava come scariche di energia. Quando aprì gli occhi trovò le profonde striature di quelle verdi foreste a pochi, pochissimi centimetri dal viso e l'ossigeno sembrò non servire più. Un profumo di autunno, di terriccio bagnato, di rugiada che cadeva dal cielo le riempì i polmoni, mischiata all'increspatura famigliare della notte lì, sull'isola. Rimase immobile quasi a volersi gustare incoscientemente quella vicinanza, quel profumo che non era più solo l'odore di Sandalia.
Era una passeggiata tra antiche rovine impregnate di salsedine e circondate da cespugli di ginepro.
Lei, adagiata a quel corpo maestoso e forte, per la prima volta dopo tanto tempo non si sentì debole. Ma era un ricordo sbiadito, volubile quanto l'animo umano in preda alle emozioni. E quando si rese conto dell'espressione truce sul viso del ragazzo, che fino a quel momento aveva cercato di evitare, il cuore fece un capitombolo. Forse aveva davvero battuto la testa e contro qualcosa di più duro dell'asfalto.
Il diavolo non perdona, chiederà sempre che gli venga restituita anche l'ultima goccia di anima.
Harry
- Fammi scendere subito! – per un istante, solo un istante rubato a quel lasso di tempo centrifugato di assurde stravaganze, si era soffermato sui tratti semplici di quel viso. Fermare la sua caduta, afferrandola al volo, era stato uno slancio automatico. Lui non aveva stretto la presa, come se avesse cercato di toccarla il meno possibile per rispettare il confine silenzioso che aveva imposto. Non aveva mai voluto attraversarlo, o violarlo. Eccetto in quel momento in cui l'aveva così vicino, resa inoffensiva dalle sue braccia.
Ma rimase in superfice nella sua contemplazione, seguendo le linee del timore che lei aveva stampato sul viso, in una piccola ruga in mezzo alle sopracciglia che la rendeva così infantile in quell'espressione mischiata di sgomento e terrore. Le labbra, che si spingevano in avanti ad ogni teso respiro, invece erano così piene, così invitanti, da ponderare se disegnarne il contorno con un dito. Ma quando salì verso i suoi occhi una morsa gli tese lo stomaco e il suo corpo si irrigidì all'improvviso.
Perché lei lo guardava sempre con l'aria di chi osava presumere di conoscere la sua storia.
Qualcosa si ruppe non appena lui si tirò indietro da quel gioco di contemplazione. La selvaggia prese ad agitarsi come un'anguilla, muovendo braccia e gambe con furia nonostante lui cercasse di trattenere i suoi movimenti. La pazza esagitata doveva essere tornata nel pieno delle sue facoltà. Scalciando con tutta quella forza, lo spacco del vestito cominciò ad aprirsi sempre di più aiutato dai suoi movimenti. La stoffa prese a salire fino a confini che Harry non avrebbe davvero voluto guardare e, concentrato nel non lasciarsi trascinare dalla tentazione, decise di smettere di assecondarla e, semplicemente, lasciò la presa - Ahio! Ma che accidenti fai? – sibilò lei a terra, massaggiandosi il di dietro. Quello che lui aveva fissato adorante fino a qualche minuto prima.
- Sei pesante – masticò con un ghigno satanico quell'offesa assecondando la voglia di inalberarla, nonostante fosse lontano dal provare vera soddisfazione.
- E tu un barbagianni! – replicò lei inviperita – Pesante sarà il tuo sedere – un mugolio dolorante la fece zittire - Dodo stai bene? – ululò ancora verso la finestra. Come minimo quello era svenuto. Invece, con sua enorme sorpresa, una voce tremolante giunse in risposta da dietro la finestra:
- Sono vivo! –
- Dio sia lodato – sospirò lei scostandosi i capelli dalla fronte – Hai bisogno di assistenza? – quello negò in un mugugno poco convinto - Dodo devi venire al Mirage a chiudere il rubinetto generale dell'acqua o l'albergo si allagherà! – poi la selvaggia spalancò gli occhi talmente tanto che sembrarono schizzare fuori dalle orbite e Harry non potè fare a meno di notare ancora una volta quanto fosse espressivo il suo viso, al limite della normalità – Oddio, l'albergo sarà allagato – Harry alzò un sopracciglio scettico.
- Te ne ricordi solo o... - ma lei lo agguantò per il polso della manica della giacca, e colto alla sprovvista, finì per lasciarsi trascinare come una zavorra di nuovo verso il trabiccolo infernale.
- Ti aspettiamo lì Dodo! –
Aveva girato tutto l'edificio come una trottola impazzita. Aveva anche tentato di farsi largo attraversando la pozza d'acqua in cui galleggiava parte del mobilio della stanza che gli avevano affidato, motivata a raggiungere il bagno, convinta che con "rubinetto generale" lui intendesse quello del lavandino.
Quando le aveva fatto notare con poco garbo la sua idiozia, per niente impietosito dalla sua agitazione o dal sudore che le colava dalla fronte inumidendole le ciocche di capelli intorno al viso, lei aveva persino replicato seccata e con un tono ovvio come se fosse stato lui l'imbecille della situazione.
Una volta resasi conto della sua palese stupidità, aveva preso a cercare per tutta la struttura, invano, mentre lui la seguiva in silenzio, a braccia conserte, il senso di preoccupazione lontano anni luce, dato che tutto ciò che gli interessava erano i suoi averi, riposti al sicuro nel borsone con cui era arrivato e depositato dietro al bancone della hall.
L'ultima spiaggia di quella ridicola e vana ricerca era una piccola porta nel muro laterale dell'edificio, nascosta parzialmente da una trama fitta e incolta di rampicanti selvatici.
- Come minimo è qui dentro – lei tergiversò sfregandosi le mani nervosamente. Harry attese, convinto di vederla sparire all'interno da un momento all'altro. Invece niente. Si sporse per poter vedere cosa la stesse trattenendo, ma lei si voltò – Perché non vai tu dato che sei tanto esperto? – Harry flettè le sopracciglia verso l'alto, se si aspettava che l'avrebbe aiutata, poteva scordarselo.
- Perché dovrei –
- Perché sembri capirci di queste cose – tentò ancora lei.
- Mi ha preso per il tuo factotum? –
- Sarebbe un gesto di cortesia – l'occhiata sprezzante che le riservò fu più esplicita di qualsiasi altra parola – Io non so neanche quale sia – la selvaggia alzò la voce in uno acuto disperato che invece non lo scheggiò minimamente. Lei allora aggrottò il viso - Sai che le persone egoiste muoio da sole? – Harry fece vibrare le labbra in uno sbuffo. Patetica.
- Ho esaurito la mia dose giornaliera di altruismo – concluse ferreo e lei ridusse gli occhi in due fessure, sbattendogli addosso quanto fosse contrariata. Doveva ammetterlo era testarda, ma tenace. Peccato che lo fosse con la persona sbagliata.
- Sei veramente... -
- Insomma, entri o no? – l'interruppe secco, per niente allettato dai suoi noiosi insulti.
- Insomma lo dico io! – si voltarono in contemporanea verso quella voce maschile che bloccò le loro diatribe. Harry quasi era stupito che il compare della selvaggia fosse incolume se non per un ponfo rosso bello grosso al centro della fronte. Quell'emerito idiota li fissava come se fossero stati dei ragazzini dispettosi, con le mani appoggiate ai fianchi e l'aria di chi li aveva appena colti in fallo – Vengo sempre preso per un incapace e poi in due non riuscite a trovare lo sportello degli interruttori generali che è proprio davanti all'ingresso – Harry alzò gli occhi al cielo, incredibile che dovesse sorbirsi anche inutili ramanzine - Ci ho pure preso una bastonata in testa – si lamentò ancora quello e proprio quando stava per mandare al diavolo il suo diabolico controllo, il suono di una risata lo lasciò di stucco. La ragazza al suo fianco iniziò a ridere di gusto, arrivando a tenersi persino la pancia con le braccia e, la cosa più incredibile, era che anche il suo amico l'imitò ridendo come un posseduto a singhiozzi mentre lui rimaneva serio, immobile, spaesato.
Erano tutti folli in quell'isola, non c'era altra spiegazione.
- Solo che la camera è inagibile – quando il ragazzo emanò quella sentenza. Harry si massaggiò le tempie con due dita, poggiandosi con un gomito al bancone in mogano. Si, aveva voluto movimentare la serata, morso dalla profonda noia di quei giorni, ma quello era davvero troppo.
- Dammene un'altra e facciamola finita – fissò il ragazzo aspettandosi che gli consegnasse un'altra chiave, ma il silenzio che ricevette in risposta lo fece andare in apnea per la preoccupazione.
- Può star da te – propose immediatamente lei, ma il compare scosse la testa in modo inequivocabile e a lui si chiuse definitivamente la gola per un macabro presentimento.
- Sai che faccio su e giù con Boston, e inoltre, lui è stato affidato a te –
- Non sono un cucciolo da salvare – s'intromise a forza intuendo dove sarebbero andati a parare, ma niente, loro non prestavano la minima attenzione a lui - Piuttosto dormo in spiaggia – decretò perentorio, tutto tranne stare a contatto con la selvaggia ventiquattro ore su ventiquattro. E a giudicare dalla sua espressione accigliata e devastata al contempo, dovevano pensarla allo stesso modo.
- Vi odio – sentenziò seria tirandosi i capelli all'indietro con le dita – Tutti! –
- Non ci penso nemmeno a stare da te –
- Ma non hai altra scelta – e per la rassegnazione con cui lo disse, Harry cominciò a sentire il fiato corto.
- Non ci sono altri alberghi? – lei congiunse le braccia battendo un piede a terra con un ritmo che gli avvelenò il sangue – Dannazione – questo era troppo.
Alluene
- Il bagno è al piano di sotto, sarà il tuo personale, io uso quello in camera mia – con quell'ultima indicazione concluse il tour della casa, con il morale di uno zombie. Ossia defunto, altro che sotto i piedi.
Sua nonna le raccomandava spesso di quanto fosse importante essere altruisti, gentili, ospitali. Lei traduceva l'ospitalità in un senso più ampio con delle parole antichissime di un detto locale, che facevano riferimento a "un grande cuore". Ma in quel caso, il suo era sul punto di scoppiare, ma per lo stress, e il massimo dell'ospitalità che poteva permettersi era non assecondarle l'impulso di gettarlo giù dalle scale.
- Mi faccio una doccia – fu lui invece a lanciarsi verso le scale sparendo a velocità fulminea. Non si era stupita del suo completo silenzio, mentre lei gli faceva poggiare la borsa nella stanza degli ospiti, alias suo personale sgabuzzino con due armadi pieni di roba, alias ancora museo di peluche di infanzia puliti e conservati in una gigante cassapanca in legno bianco. Ma da come era schizzato via, sembrava davvero che il suo livello di sopportazione fosse giunto al limite. Come biasimarlo.
Alluene si affacciò al terrazzo della sua camera, inspirando l'aria della notte ormai inoltrata, imponendosi di restare calma, nonostante il tremolio dei suoi muscoli sfiancati. Chiuse gli occhi prendendo più aria riuscisse per poi buttarla fuori, entrambe le mani che stringevano il parapetto.
Avere a che fare con lui durante il giorno era esasperante, ma averlo in casa era... La gola si seccò causandole qualche colpo di tosse e lo stomaco fu vittima dell'ennesima contrazione nervosa. Era decisamente troppo.
Riaprì gli occhi cercando l'orizzonte.
Non aveva altra scelta. Ingoiò il magone che le annodava la trachea e sigillò i battiti frenetici sotto un respiro forzatamente cadenzato. Uscì dalla camera dopo un lasso di tempo che parve infinito, decisa a prendere il toro per le corna, ad abituarsi psicologicamente a quell'ingombrante presenza senza finire schiacciata dal suo gigantesco ego. O dal suo enorme silenzio.
Un sospiro sconsolato accompagnò i passi lungo le scale, d'altra parte era stata una passeggiata avere a che fare con lui fino a quel momento, perché avrebbe dovuto preoccuparsi di averlo sotto il suo stesso tetto!
Si diresse verso la cucina solo per bere un bicchiere d'acqua e quando fu sul punto di tornare al piano di sopra lanciò un urlo che fece tremare le pareti.
Harry Staiden era al centro del corridoio, nudo come un verme, con tutta la preziosa mercanzia allo scoperto se non per una piccola lavette che tentava di contenerla. Lui si voltò di scatto, i capelli grondavano gocce d'acqua sulla fronte e sulle spalle. In quel guazzabuglio di terrore e ormoni impazziti, incurante che lui la stesse fissando in malo modo, gli occhi le schizzarono in automatico verso quella muscolatura statuaria. Non era un fisico palestrato, ma tonico e sviluppato al punto giusto. Per non parlare del bacino stretto e...
Alluene risucchiò l'aria trattenendo il fiato quando si accorse della sua espressione di puro disprezzo a quella approfondita contemplazione.
- Ma cosa pensi di fare? – lei si impegnò a mantenere lo sguardo fisso sul viso, e non sul resto, gli occhi erano sul punto di incrociarsi per lo sforzo.
- Prendere i vestiti – ringhiò cupo, lapidario come sempre.
- E non potevi chiamarmi? Te li avrei portati – lui socchiuse gli occhi come un predatore.
- Non voglio che frughi tra la mia roba –
- Potevo almeno portarti un accappatoio pulito – deglutì un vago sentore di imbarazzo, indicandolo con un gesto nervoso per sottolineare la situazione. E lei che non riusciva a smettere di guardare in una certa direzione...
- Vuoi davvero continuare a discutere così o ti piace guardarmi mentre sono nudo? – Alluene sobbalzò quando lui alzò la voce come pochissime volte l'aveva sentito fare. Iniziò a sentire caldo, il sangue doveva essere affluito al cervello in quantità eccessive perché si ammutolì di colpo prima di scattare verso le scale.
- Tornatene in bagno, te lo prendo io! –
Bussò una volta, prima di dare le spalle alla porta, stringendo gli asciugamani tra le braccia.
Rimase con la schiena rivolta alla porta, seppur fosse vicino, giusto per non farsi un altro giro di giostra sul suo corpo nudo.
- Ti ho portato un accappatoio, ma anche altri asciugamani per le mani, viso, doccia, uno per il bidet, anche se non so se lo userai, e uno extra... - parlò appena lo sentì aprire, in una frenesia tale che incespicò con le parole. Si bloccò solo quando vide un braccio sbucare alle sue spalle, gli occhi si sbarrarono e il cuore balzò in aria per la sorpresa. L'odore fresco del suo bagnodoccia le arrivò alle narici, la pelle profumata dell'avambraccio era talmente vicina che poteva sfiorarle la guancia, tanto che lei si immobilizzò per non rischiare di collidere.
O di sporgersi quei centimetri mancanti per toccarlo ancora.
L'attrazione verso qualcosa di proibito pulsava dentro le vene disconnettendo i centri della ragione, ma lei doveva essere razionale.
Lui afferrò quanti asciugamani riuscisse con una mano sola, e si chiuse di nuovo all'interno del bagno. Alluene sbuffò fissando un rimasuglio che ancora le era rimasto tra le mani. Benché non avesse problemi a parlare anche per lui, cominciava ad essere frustrante ricevere solo grugniti da cinghiale. Così, azzerata la ragionevolezza, si girò su se stessa e con uno scatto poco garbato spalancò la porta del bagno. Ed ecco che la visione di un paio di chiappe ancora nude le si parò davanti agli occhi. Sembrava una beffa che lo sguardo finisse sempre a quell'altezza.
Per tutti i cetrioli spelacchiati, Alluene, guarda altrove!
- Ma che diavolo... - Alluene non lasciò che terminasse di ringhiare qualche lamentela che gli lanciò la cintura dell'accappatoio arrotolata proprio contro la faccia. Lui non si parò, lasciò che quella gli volasse sulla fronte disfacendosi proprio all'altezza del suo viso prima di finire a terra.
- Hai dimenticato questa! – la porta sbattuta con poco garbo fece da colonna sonora alla sua uscita di scena.
Aveva mandato alle rape persino l'antichissimo proverbio di sua nonna sull'ospitalità!
E invece si era immediatamente pentita di essere stata burbera, perciò, aveva cominciato a camminare avanti e indietro davanti alla porta della sua camera. Il cuore perse un battito. Era strano intestare quella camera a qualcuno, specialmente a lui. Sgrullò dalla testa con un gesto energico quei pensieri, mentre aspettava che lui si palesasse. Accidenti, era più lento di una donna. Proprio in concomitanza di quel pensiero un'ombra apparve alle sue spalle. Alluene sobbalzò socchiudendo gli occhi. Perché quel cretino doveva sempre apparire alle spalle come un fantasma. Sarebbe stramazzata al suolo per la paura prima o poi. O sarebbe morta di infarto. Sempre morta sarebbe stata alla fine.
Si voltò cercando di mostrarsi per niente turbata, ma lui la superò senza neanche degnarla di uno sguardo.
- Allora buonanotte – disse andandogli dietro, ma lui si chiuse dentro la stanza senza contraccambiare, mandando alle ortiche il lavoro di calma che aveva cercato di fare su se stessa. Allargò le narici sbuffando per il nervoso. Ancora l'orco – cinghiale non aveva capito che una porta chiusa non era sufficiente per bloccarla. Quindi la spalancò senza farsi troppi problemi, rimanendo però sull'uscio. Lui era ancora in piedi al centro della stanza. I suoi occhi verdi come i boschi dell'isola le volarono addosso inquieti, spaventosi – Senti so che può essere difficile avere a che fare con me – iniziò cauta facendo profondi respiri per prendere tempo per formulare le parole giuste – So di avere un carattere complicato però non dobbiamo per forza andare d'accordo. Solo non rendiamo più complicata questa parentesi di quanto non lo sia – fece una pausa per riprendere fiato, contemplando quell'espressione perennemente imperturbabile, mentre lei nella mente si ripeteva come un mantra che lo stava facendo per l'isola, non per lui – Tra un paio di settimane tornerai a casa tua e non ci vedremo mai più, ma almeno in questi giorni possiamo provare a sopportarci? – le costò fargli quella supplica.
Acciderbolina se era difficile!
I battiti erano inquieti, il sangue pompava calore e il sospetto che si fosse resa vulnerabile le fece tremare le ossa. Ma non si mosse, lo fissò caparbia immobile al centro della stanza, un'ombra a tagliarli in diagonale il viso che lo rendeva ancora più austero. Ancora più pericoloso.
Poi lui si avvicinò, il passo felpato coperto da un rumore inesistente come se il silenzio che aveva dentro avesse potuto risucchiare ogni suono. La sua falcata era precisa, scandiva i secondi come un assassino che li contava prima di uccidere la sua preda. Alluene chiuse un labbro tra i denti inconsciamente, una sensazione di disagio ad opprimerle il petto, mentre sensazioni antiche tornarono a galla come rovine sgombre di sabbia.
- Se pensi di ottenere qualcosa da me, puoi scordartelo – parlò lui solo una volta che fu così vicino tanto che da costringerla ad un passo indietro per poterlo continuare a guardare negli occhi – Non sapete neanche da dove cominciare con l'ospitalità, quest'isola non offre opportunità, opzioni, niente di umanamente paragonabile al comfort e pretendi un aeroporto per avere solo una serie di turisti scontenti? – ogni parola era come il morso di una belva inferocita, i cui denti aguzzi le succhiavano via il sangue – Non promuoverò mai questo posto anzi, se marcisse, nessuno ne sentirebbe la mancanza – quello fu come uno strattone che le bloccò il respiro - E ora esci di qui – quel fiato bollente le sbattè contro il viso, ad una vicinanza minacciosa da cui poteva percepire quel suono rauco e cavernoso uscire direttamente dalla gola dell'inferno. E sarebbe andata via, avrebbe alzato i tacchi alla svelta senza concedere oltre a quel demonio. E invece puntò i piedi a terra, un antico rancore si proiettò contro quello sguardo riempito solo di ombre, sebbene a stento riuscissero a coprirne il vuoto.
- Peggio per te – le labbra si scontrarono con forza accentuando le consonanti in modo che fossero più incisive.
Uscì da quella camera sbattendo la porta con la stessa forza che aveva usato lui, ma poi rimase immobile qualche istante nell'andito che divideva le loro stanze, proprio all'altezza dell'armadio degli abiti segreti, dell'armadio che come Narnia, ogni volta che si spalancava la riportava magicamente alla sua vita di New York. In una vita che aveva abbandonato. Attese in silenzio che il respiro si acquietasse, che l'angoscia scivolasse via dai muscoli. Non era più a New York, Harry Staiden era nel suo territorio e lei si sarebbe corazzata per dimostrargli che non l'avrebbe lasciato vincere.
Per dimostrare a se stessa che non avrebbe mai più subito il volere di un uomo.
Mai più.
Spazio Ila 🐿
Abbiamo il capitoloooooooo!
Ragazze grazie a chi è ancora qui ad aspettare che io spilli i capitoli e prometto che cercherò di tornare attiva e tartassarvi con curiosità e piccoli spoiler ❤️
Questo e il prossimo sono capitoli abbastanza importanti, ma non vi dirò oltre.
Qualcosa si nasconde sotto la coltre dell'apparenza e prima o poi sapremo cosa ❤️
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