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[ni] tsukimi udon

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completely - radiohead





I walk through
walls 緯意ゔ横











TSUKIMI UDON




Realizzai di aver trascorso l'intera estate tra le quattro mura spoglie della mia stanza quando, una sera, mi svegliai in compagnia del dolce profumo degli udon e dei dango appena cotti. In Giappone, il quindicesimo giorno dell'ottavo mese del calendario lunare si festeggia l'Otsukimi, la Festa della prima Luna, e si preparano piatti tipici per celebrare l'eterea bellezza del satellite grigio. Le origini nipponiche di mia madre l'hanno resa una ricorrenza importante per la nostra famiglia, per cui ogni anno in autunno mia nonna veniva a farci visita per onorare la tradizione. Mi chiesi se mia madre l'avesse invitata anche quell'anno, se avesse avuto il coraggio di dirle che suo figlio era un fallito e che da giugno non metteva piede fuori dalla sua camera.

Okaasama*, ti vergogni di me? Perdonami se ti ho deluso. Mi dispiace tanto.

Mi alzai a sedere sul materasso e strinsi le gambe al petto, lasciando ciondolare la testa sulle ginocchia. I capelli erano diventati troppo lunghi e mi solleticavano la pelle ad ogni respiro. Chiusi gli occhi e inspirai a pieni polmoni quell'odore familiare. Fu come premere il tasto play di una videocassetta: i ricordi della mia infanzia mi scorrevano davanti agli occhi come in un vecchio film malinconico. Vedevo me stesso da bambino, mentre correvo sorridente con i miei cugini nel cortile della nonna. Amavo l'autunno, perché in quel periodo dell'anno - quando mio padre non era nei suoi periodi peggiori - trascorrevamo qualche giorno a Takayama**, in occasione della Festa. Lì mi ero fatto degli amici, parlavo e giocavo con loro senza sentirmi un emarginato. La barriera linguistica non ci aveva mai ostacolati e in quel luogo mi sentivo finalmente a casa, molto più che a Busan.

Con il passare del tempo, l'impresa edile di mio padre acquisì una notevole rilevanza in città e, insieme alle responsabilità, crebbe anche la sua dipendenza dall'alcol. Usciva alle prime ore dell'alba e non tornava mai a casa per cena. All'inizio io e mia madre lo aspettavamo a lungo, fino a crollare addormentati sul tavolo, poi iniziammo a mangiare senza di lui e ad abituarci alla sua assenza. Quelle rare volte in cui ci incontravamo in corridoio, ci scambiavamo pochi rapidi sguardi. Lui mi diceva che era fiero di me e il mio cuore faceva le capriole. Meno attenzioni riceviamo da un genitore, più desideriamo la sua approvazione. Mio padre non mi abbracciava, non mi diceva mai una parola d'affetto, eppure io bramavo le sue lodi come un disperato.

Da allora non visitammo più il Giappone. Vedevo i miei cugini soltanto dalle foto che la nonna ci spediva annualmente. Ogni tanto mi telefonavano, anche se ero sempre troppo impegnato a studiare per intrattenere una vera e propria conversazione con loro. Anno dopo anno, la nostra amicizia sfiorì come i fiori di ciliegio in ottobre. Ero completamente solo, e lo era anche mia madre. Sapevo che le mancava molto il suo Paese e la sua famiglia, anche se non aveva il coraggio di affrontare la questione con mio padre. Certe notti la sentivo singhiozzare attraverso la porta chiusa del bagno. Avvicinavo la testa al buco della serratura e la vedevo seduta sul pavimento con la testa tra le mani. Restavamo lì per diversi minuti, entrambi in lacrime, separati da una porta che non riuscivamo mai ad abbattere.

Toc-toc. Quella porta ci separava ancora.
«Jungkook, sono la mamma» sentii mormorare dall'altro lato del mondo, quello reale, quello dal quale ero fuggito come un codardo.

Vattene via.

«Ho preparato gli tsukimi udon, sono ancora caldi. Sai, domani è la Festa della Luna. Te la ricordi, Jungoo?» chiese con voce rotta dal pianto. Le lacrime di mia madre avevano uno strano potere su di me. C'era una sorta di connessione tra noi due per cui, quando lei piangeva, iniziavo a piangere anch'io di rimando. I miei occhi non potevano vederla, ma conoscevo così bene quei singhiozzi sommessi che la mia immaginazione mi mostrava nitidamente le sue lacrime silenziose rigarle il volto di porcellana.

Non piangere. Non farmi piangere. Le mie lacrime sono lame affilate puntate contro di me. Ho paura che l'ansia torni a farmi visita e che stavolta sia lei a vincere la nostra eterna battaglia. Ho paura che questa sia la mia ultima notte in questo mondo che non mi appartiene.

«Mangia con noi. C'è anche papà, vuole vederti».
Patetico. Ero patetico. Il dolore di mia madre non era riuscito a stanarmi da quella stanza, ma appena sentii quelle parole mi sembrò di rinascere. Bruciavo di vita per quell'uomo violento, disinteressato e freddo come il ghiaccio. Per lui, solo per lui, trovai la forza di alzarmi dal letto. Il mio corpo mi reggeva a malapena, non ero che un fragile mucchio d'ossa. Nemmeno tutti gli anni trascorsi a fare sport di ogni tipo riuscivano a salvare quel brandello di ragazzo che ero diventato.

Avanzai verso la porta e la mia mano indugiò sulla maniglia. Abbassai lo sguardo sui miei vestiti: indossavo una t-shirt sgualcita e i pantaloncini del pigiama. Mi facevo ribrezzo, eppure da qualche parte dentro di me trovai il coraggio di aprire. Lo sguardo di mia madre fu una pugnalata al petto. Allungò una mano tremante verso di me, ma io mi scostai, facendo un passo indietro. Attraverso la mia frangia troppo lunga la vidi asciugarsi celermente le guance e rivolgermi un sorriso d'incoraggiamento.

La cucina era blu. Mio padre sedeva compostamente a un tavolo vuoto e abbondantemente apparecchiato. Il suo volto era teso, illuminato solo dalla flebile luce azzurrognola del televisore. Le luci erano spente, perché mia madre aveva capito che i miei occhi si erano abituati all'oscurità. Alla luce ero vulnerabile. Mi infastidiva.

Ci sedemmo a tavola. Soltanto il monotono gorgoglio del frigorifero e il lieve vociare del programma in onda rompevano quel silenzio di vetro. Al centro del tavolo c'erano gli udon, ancora fumanti e perfettamente decorati con l'uovo, che ricordava la forma di una luna piena, rossa e sanguinante.

«Sono arrivati i risultati dei test di ammissione» disse mio padre con voce atona, senza degnarmi di uno sguardo. Sbiancai.

«T-tesoro, ti prego, mangiamo prima» balbettò mia madre. La sua voce era ridotta a poco più che un tremulo sussurro.

«No!» urlò, trafiggendomi con uno sguardo carico di vergogna e disapprovazione. «Deve sapere a cosa sta rinunciando con i suoi patetici capricci!». Batté un pugno sul tavolo e scaraventò il cibo sul pavimento. Mia madre scoppiò a piangere e si alzò per raccogliere quel che rimaneva del pasto che aveva preparato con amore.

Mio padre mi si avvicinò, mi afferrò per la maglietta e mi spinse contro il muro. «Non hai passato il test, lo sai? Vuoi sapere qual è stato il tuo punteggio, Jungkook?» gridò, stringendomi la gola con la sua mano grossa e nodosa.

«Sessanta su cento». Mi sputò in faccia quel numero con una tale rabbia da farmi salire la bile su per la gola. Mia madre piangeva, gridava, implorava. Io tremavo violentemente per la paura, ma, quando iniziai a soffocare, un'orrida sensazione di sollievo si irradiò nelle mie vene.

Se devo morire stasera, vorrei che fossi tu ad uccidermi. Stringi più forte e strangolami. Non sopporto più questo dolore.

Mio padre strinse più forte. Le urla di mia madre si fecero a poco a poco più lontane. Non gridai, non piansi, non emisi un singolo suono. Mi abbandonai a lui con devozione e gratitudine. Poi, la stretta si allentò, l'aria tornò a riempirmi i polmoni e mi accasciai al suolo.

Sono uguale a te, papà. Siamo due codardi.









* è il modo più formale per dire "madre" in giapponese.
** Takayama è una città giapponese situata nella prefettura montuosa di Gifu. È famosa per la Festa di Takayama, che si tiene in concomitanza dell'equinozio d'autunno e di primavera.








This isn't happening
I'm not here ピぞト臆を








a/n

Ho scritto poco, ho detto troppo.
Jungkook è la parte più fragile di me e mi
spaventa con quanta facilità riesca a venire
fuori. Taehyung non comparirà subito,
perché vorrei che questa storia raccontasse
più di una storia d'amore, vorrei lasciare
spazio ad argomenti che mi stanno
molto a cuore. Spero comunque che il
capitolo vi sia piaciuto, anche se non vi
parlo d'amore (non ancora).

Grazie per il vostro supporto✨

P.S. la playlist è disponibile su spotify🌊
@/manamidesu

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