[jū roku] starry blue
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nei media: j'san - i'm in love with you, sorry
I'm in love with you
You heard me? ひヒンデ ゚マプ
STARRY BLUE
Quando tornai in salotto, il blu della notte si riversava nella stanza, denso come l'oceano inchiostrato dal buio. Taehyung era fuori, avvolto nel cemento dello squallido cortile, e fumava da solo sotto lo stellato. Lo vedevo attraverso i vetri della finestra; la polvere che li sporcava sembrava fatta di stelle nei punti in cui s'incontrava con le ciocche dei suoi capelli. Avevo capito che Taehyung fumava quando aveva bisogno di restare da solo. Sebbene riuscissi a vedere soltanto la sua schiena, aveva assunto di nuovo la stessa posizione di quella volta sotto il porticato di casa mia: appoggiato spalle al muro, a capo chino, una gamba tesa e l'altra piegata per fare leva con un piede sulla parete, come per spingersi in avanti. L'espressione che aveva allora mi ritornò alla mente, nitida come una fotografia. Gli occhi persi nel vuoto e le labbra un po' dischiuse che lasciavano andare il fumo, senza trattenerlo, eppure senza espirarlo mai davvero.
Lo vidi voltarsi per rientrare, ma lui non si accorse di me. Non si accorgeva mai di me, degli sguardi che rivolgevo a lui e soltanto a lui, del colore delle mie guance ogni volta che eravamo insieme e delle mie mani timide che cercavano un contatto con lui, uno qualunque, persino quello più insignificante di sistemargli la mia patetica sciarpa sulla bocca in una notte d'autunno come quella. Ed io ero uno stupido, perché ci pensavo ancora - ci pensavo sempre - a come quella sciarpa dovesse essersi sentita di cemento contro le sue labbra di nuvola.
E tu che cosa ne sai, Jungkook?
Le hai mai sfiorate, forse?
Scossi la testa e mi sforzai di mettere a tacere i miei pensieri. Per essere un ragazzino triste e solitario, avevo sempre avuto una mente troppo affollata.
Taehyung rientrò e mi rivolse un piccolo sorriso, come se un attimo prima non l'avessi visto contemplare il vuoto, in cerca di mute risposte alle sue mute domande.
«Tutto ok?» chiese scrutando la mia espressione con il suo fare apprensivo.
Capii che gli importava sul serio di me. Taehyung non era il tipo di persona che finge di provare interesse per qualcuno. Era brutalmente schietto in tutto, anche nel dimostrare il suo affetto. Gli importava che io stessi bene, ma questo non significava nulla. Potevo fargli pena, o magari gli stavo anche a cuore, ma non nel modo - totalizzante ed estraniante - in cui lui stava a cuore a me.
Annuii, e lui continuò a fissarmi. Quando abbassai lo sguardo, sospirò e mi diede le spalle per srotolare un futon sul pavimento. Ci sistemò un paio di coperte sciupate dal tempo e troppo leggere per quella stagione, ma profumate di bucato fresco come la primavera. Si inginocchiò sul pavimento e sistemò accuratamente i lembi sotto il piccolo materasso.
Pensai che avesse preparato quel letto improvvisato, eppure ordinato e accogliente, per riposare dopo la sua lunga e difficile giornata, quando a un tratto Taehyung alzò il capo per incontrare il mio sguardo, scostò le coperte e sussurrò: «È tardi. Dormi un po'».
Quel gesto mi costrinse a trattenermi dal piangere, di gioia e di tristezza, perché non riuscivo a non sperare che almeno un frammento di lui provasse i miei stessi sentimenti; eppure, da qualche parte dentro di me, sapevo che prendersi cura di qualcuno non significa amarlo. Il bene non sempre muta in amore: lo imparai da mia madre, che mai aveva amato suo marito, ma che gli aveva sempre voluto troppo bene per impedirsi di piangere, accucciata sul lato sbagliato del letto.
Abbassai il capo e biascicai qualcosa che non esprimeva affatto tutta la gratitudine che provavo per lui. Quando m'infilai sotto le coperte e me le tirai sul naso, rabbrividii così forte da battere i denti. Avevo tanto freddo, ma la casa si era scaldata. I vetri erano coperti di condensa.
Tremavo di febbre, nascosto sotto le coperte, quando Taehyung si stese sul pavimento e si voltò verso di me poggiando la testa su un braccio, perché non c'erano più cuscini.
Feci per cedergli il mio, quando lui, fissando un punto indistinto nel vuoto, mi disse: «Scusa se non te l'ho detto».
Aggrottai la fronte. «Che cosa?».
«Di mio padre». Incontrò il mio sguardo e vi lessi una strana incertezza, un timore che non riuscii a comprendere.
«Lo so da un po' di tempo. Solo che... solo che sei sempre così riservato, e io non volevo... non volevo che ti sentissi a disagio con me» balbettai nervosamente. Scrutai la sua espressione e lo vidi abbozzare un sorriso, così aggiunsi: «È una bella persona, tuo padre».
Mi aspettavo che dicesse qualcosa, qualunque cosa, che si aprisse con me e mi raccontasse di lui, ma si limitò a stringersi nelle spalle.
E mi ferì così tanto che non riuscii a frenare la lingua quando, poco dopo, domandai: «E tua madre?».
Oh, Jungkook, stai di nuovo usando il dolore per avvicinarti a qualcuno.
Jungoo, lo sai che chi si infila nelle ferite per creare dipendenza è una droga o una malattia, e in ambo i casi è il male? Lo sai? E se lo sai, perché fai questo all'unico amico che hai?
Mi scoccò un'occhiata che mi fece mordere a sangue la punta della lingua.
«Scusami. Scusami, non volevo. Non dovevo, so che non vuoi parlar-».
«No, Kookie, è ok» m'interruppe. «Mia mamma è morta quando ero piccolo». Parlò con una tranquillità che mi fece gelare il sangue nelle vene. Il nodo in gola mi fece ingoiare a vuoto.
Così questa è la mano di una madre.
«È ok» ripeté abbozzando un sorriso. «Non fare quella faccia, non sentirti in colpa. È normale che tu me lo abbia chiesto». Si fermò per un attimo, cercando le parole o forse cercando il coraggio.
Allora non sapevo quanto sforzo gli fosse costato parlarmi di lei quella notte. Allora non sapevo proprio niente, ero solo un ragazzino cieco, innamorato ed egoista.
«Non me la ricordo» mormorò dopo un po'. «Non ricordo neppure che suono avesse la sua voce. A volte riesco a vederla, che corre sulla spiaggia con un sorriso enorme sul volto e gli occhi che brillano, come nelle foto che mio padre nasconde nel cassetto accanto al letto. Era bellissima. Le piaceva il mare, anzi ne era ossessionata, tanto che dopo essersi sposata decise trasferirsi qui a Busan per passeggiare tutti i giorni sulla costa. Quello che so su di lei è che era di salute cagionevole. Come tutte le cose belle e pure, era fragile come un fiore nella neve».
Taehyung rabbrividì, si strinse le braccia al petto e non parlò più. La mia domanda l'aveva reso fragile come un fiore nella neve. Ed io lo sapevo, sapevo tutto, eppure glielo avevo domandato lo stesso.
Per tenerti con me.
Ti prego, tienimi con te.
E se il dolore è la sola cosa che condividiamo, allora fammi soffrire, fammi del male e poi lecca le ferite.
Ed io ti farò soffrire, ti farò del male e poi leccherò le ferite.
Purché insieme, purché tu resti sempre al mio fianco mentre piango e rido per tutto il male - per tutto il bene - che mi hai fatto.
E tu piangi e ridi con me.
Soltanto con me.
«Stai tremando» mormorai. Poi, scostai le coperte e gli feci posto. Lo feci senza pensare a nient'altro che al tremore che lo scuoteva dall'interno.
Non pensai al significato che poteva avere quel gesto per lui, per me, per la società in cui vivevamo, in cui due ragazzi che dormono insieme o sono amici di vecchia data, o sono fratelli.
E amanti? Due ragazzi possono essere amanti?
Oh, Jungkook. Mi fai ribrezzo, direbbe il tuo papà.
Oh, se lo sapesse il tuo papà.
Taehyung si avvicinò e lo fece con naturalezza.
Si stese accanto a me sul futon e quando mi vide bene in volto, mormorò: «Sei così rosso, Kookie». Era talmente vicino che il suo respiro mi accarezzava le guance mentre parlava, eppure la sua voce mi apparve d'un tratto lontanissima.
Rosso.
Sentivo il suo sguardo confuso percorrermi il viso. Lo sentivo come la punta di un coltello sulle guance di un bambino, ma non lo vedevo. Sotto i miei occhi acquosi e febbricitanti non c'erano che ricordi, sogni, incubi. Non vedevo che la sua bocca sulla mia. Non vedevo che mio padre con il braccio teso e il pugno stretto, il volto contratto in una maschera di disgusto. Non vedevo che me stesso, morto nella vasca, e mia madre ai suoi piedi che mi dice piangendo: mi hai lasciata sola, mi hai abbandonata. Sei uguale a tuo padre.
Egoista.
Se non ti vuole neanche il tuo papà, come potrebbe mai volerti qualcun altro?
Lui ti chiama Kookie, ti tratta come un bambino, come potrebbe mai desiderarti?
E poi, desiderarti?
E perché? Tu lo desideri, Jungkook? Un altro ragazzo, un maschio come te?
Se lo sapesse papà ti ucciderebbe. Ti avrebbe già ucciso se avesse stretto più forte.
Adesso stringi più forte, papà.
Stringi e spezzami il collo.
Una mano. Una mano calda sulla fronte. E poi una voce. «Jungkook» chiamò. «Cristo, Jungkook, tu scotti».
No, Taehyung, io brucio. Brucio per te.
Taehyung mi guardava con gli occhi sgranati colmi di preoccupazione. Le sue mani di neve mi toccarono frenetiche le guance, i polsi, il collo.
Stringi e spezzami il collo.
Tu non sei mio figlio.
Papà, mi sono innamorato di un ragazzo.
Mi dispiace. Mi dispiace se ti ho deluso.
Papà, lui ha le sole labbra che io abbia mai desiderato baciare.
«Hyung» mormorai con voce tremante di paura e desiderio e coraggio, e il viso bagnato, perché forse stavo piangendo o forse era soltanto colpa della febbre, perché fu la febbre - e soltanto la febbre, vero? - che mi fece sussurrare a un palmo dal suo viso: «Daisuki».
Un ragazzo, un maschio come te.
Sei disgustoso.
Se lo sapesse tuo padre ti ucciderebbe.
Taehyung-sama... daisuki.
Mi mosse la febbre quando - sfiorandolo - gli presi il volto tra le mani, e mi sorpresi di quanto fossero piccole contro la sua mascella squadrata, di quanto due anni di differenza potessero essere smascherati in un istante, soltanto guardando i miei buchetti di bambino sulle nocche.
Mi mosse il cuore quando poggiai le labbra sulle sue. Il cuore, che mi batteva in tutte le parti meno che al suo posto; il cuore che sentivo nei polsi, nelle tempie e nello stomaco, dove stormi di farfalle azzurre - di un azzurro irreale, vivido come il colore vergine sulla tavolozza, soffice come la tonalità del cielo alle sette di sera in primavera - battevano le ali a un ritmo frenetico che mi faceva tremare d'un brivido lungo e viscerale.
E tremai più forte quando sentii calore del suo respiro contro la bocca, e quando percepii che la sua era bagnata, a causa dello strano e ipnotico vizio che aveva di umettarsi le labbra con la lingua.
Mi accorsi di aver chiuso gli occhi solo quando li riaprii e mi scontrai con quelli sgranati di Taehyung. Allora mi scostai appena, quanto bastava per separare le nostre labbra con uno schiocco tenero e silenzioso, ma ebbi paura di allontanarmi, di vedere l'espressione sul suo volto. Volevo continuare a guardare i suoi occhi, soltanto quelli, incastrati nei miei, e a tenere le mani sulle sue guance, che adesso erano calde e febbricitanti tanto quanto le mie.
Vidi il mio riflesso nelle sue iridi scure e per la prima volta non mi disgustò.
Restammo a guardarci così, con le punte dei nostri nasi che si sfioravano per prolungare un bacio che era durato troppo poco, che era stato troppo immobile per essere un vero bacio, uno di quelli che avevo visto qualche volta in televisione. Ma nei film si trattava sempre di un uomo e una donna.
Avrei potuto baciarlo in quel modo anch'io?
Come si baciano due ragazzi, Taehyung? Tu lo sai?
Hai mai baciato un ragazzo?
Voglio baciarti ancora e ancora e ancora...
Dimmi che lo vuoi anche tu.
And I know that the
sun will swallow the
only earth we will
ever have, and I'm
in love with you,
sorry 中で蒸モキ右ド ・下下以
a/n
Sono davvero curiosa di leggere i vostri commenti in merito a questo capitolo, perché è ovviamente il più importante fino ad ora e spero di aver reso al meglio questo momento di lotta interiore.
A questo punto stiamo scavando davvero a fondo nella mente di Jungkook, nella sua personalità autodistruttiva e nella sua anima profondamente lesa dalla solitudine e dall'abbandono da parte del padre. Mi interessa far passare un messaggio, mi interessa farvi percepire (con le emozioni e con l'immaginazione) che non è mai tutto bianco o tutto nero, che il blu ha infinite sfumature diverse e che nel dolore talvolta ci si perde e talvolta ci si ritrova.
Fatemi sapere... ci tengo tantissimo💌
Se la storia vi piace e aspettate il prossimo capitolo, non dimenticate di lasciare una stellina e un commento di supporto. Io scrivo per me, ma scrivo anche per chi mi legge, e questo è innegabile. Avere un vostro feedback, come quelli che ho ricevuto nei giorni scorsi, mi fa ritrovare sempre la motivazione per continuare a scrivere Rapsodia, anche quando il tempo e il mio stato d'animo sembrano mettermi i bastoni tra le ruote!
Grazie a tutti coloro che hanno lasciato commenti e stelline anche durante il mio hiatus.
Li leggo tutti e mi fanno bene al cuore.
Tanti cuori blu a tutti i lettori di rapsodia.
💙💙💙💙💙🌊🌊🌊🌊🌊
Vi abbraccio,
Maddie
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