[jū] aurora borealis
dark mode: ON/OFF
nei media: 藍にいな by YOASOBI
I take your hand
that you held out
to me 映曖汚ー河゜ウ おブッ
AURORA BOREALIS
Buio. Silenzio. La finestra cigola. L'orologio sul comodino segna le due e otto minuti. Lo schermo del cellulare è acceso. Un messaggio colora la stanza di blu: sono qui sotto, scendi.
Osservai il mio riflesso allo specchio. Le braccia magre erano nascoste nelle ampie maniche della felpa. I jeans neri mi stavano ancora bene, dopotutto. I capelli erano puliti, anche se si arricciavano scompostamente sulla fronte, coprendomi quasi del tutto le orecchie. Tuttavia, il mio viso era smunto, spento, privo di luce. Sembrava che avessi appena visto un fantasma. Occhi senza sguardo, guance pallide e labbra mordicchiate. Avevo un aspetto orribile.
Codardo. Hai paura, adesso?
Cosa penserà di te Taehyung?
Lo sai che non si arrabbierà. Anche se dovessi dirgli che ha fatto tutta questa strada a vuoto, non sarebbe mai capace di arrabbiarsi con te.
Lo sai perché. Gli fai pena, Jungkook.
Sei solo un peso per lui. È colpa tua se adesso ti sta aspettando al freddo, alle due di notte, sotto casa tua, mentre tu sei qui a fissare il tuo riflesso allo specchio, spaventato come un coniglio sotto bersaglio.
Gli hai chiesto tu di venire.
È colpa tua.
Codardo.
«Taci. Taci. Taci» sussurrai con i pugni premuti contro le tempie e i polsi che tremavano. Soffocai una risata, ma dalle labbra mi uscì un rantolo di dolore. Stavo parlando da solo, fissando a occhi sgranati lo specchio della mia camera come un pazzo.
Avrei voluto prenderlo a pugni, mandarlo in frantumi e spaccarmi le nocche, ma avrei fatto troppo rumore. Così mi costrinsi a dargli le spalle e controllai il cellulare. Taehyung mi aspettava già da diversi minuti, ma non c'era nessun nuovo messaggio da parte sua.
Se aspetti ancora un po' andrà via.
Forse se n'è già andato.
«No, non è vero» risposi a me stesso. Con le dita tirai giù le maniche della felpa per nascondere la ferita che mi squarciava il braccio, ma pregai che quella che mi squarciava il cuore non s'intravedesse tra lacrime che, miseramente, tentavo di nascondere tra le ciglia.
Vestito di paura e di un coraggio che non credevo di avere, aprii la porta della mia stanza e attraversai il corridoio, costeggiando le pareti e sfiorandole con le dita come un cieco.
Avanzando nel buio a piedi nudi e senza far rumore, raggiunsi la porta di casa. Poi m'infilai le scarpe, afferrai le chiavi e uscii senza voltarmi indietro.
Superai l'ingresso del condominio e sospirai di sollievo. Era ancora lì. Non dovetti neppure cercarlo, lo individuai subito. Appoggiato con le spalle al muro, fissava il cielo stellato a braccia conserte, nello stesso punto in cui l'avevo visto fumare l'ultima volta. Indossava un lungo cappotto grigio e una spessa sciarpa blu intorno al collo. Dalle sue labbra fuoriuscivano i piccoli sbuffi di condensa. Sembrava soprappensiero.
Quando si accorse di me, mi rivolse il sorriso più bello che avessi mai visto. Taehyung non sorrideva solo con le labbra, anche i suoi occhi ridevano, scintillavano come stelle al buio, e le guance diventavano dello stesso colore delle peonie, morbide e soffici come torte di riso. Agitò una mano nella mia direzione e mi salutò con entusiasmo, come se fosse davvero felice di vedermi, come se non l'avessi disturbato a quell'ora della notte. Eppure sapevo che era così, doveva esserlo.
Perché uno come me dovrebbe stare a cuore a uno come lui? Perché, se non per pietà?
Vorrei tanto essere come te, Taehyung, non potei fare a meno di pensare, mentre mi avvicinavo a lui a capo chino, incapace di incrociare il suo sguardo.
Quando fummo l'uno di fronte all'altro, notai che si era fatto improvvisamente serio e che stava fissando le mie mani. Tremavano violentemente. «F-fa freddo» balbettai incrociando le braccia dietro la schiena.
Scusami se ti ho fatto aspettare. Hai freddo anche tu? Ti presto la mia felpa. Puoi tenerla.
Mi mordicchiai le labbra e osservai il suo viso attraverso le ciocche di capelli che mi coprivano gli occhi. Taehyung era bravo a nascondere i suoi pensieri, anzi, era imperscrutabile. O forse ero io quello incapace di vedere le sue fragilità attraverso i suoi occhi in fiamme, concentrato com'ero sui miei dolori e la mia nera solitudine. Eppure quello sguardo bruciava, mi scottava la pelle ogni volta. Avrebbe scaldato anche la più fredda delle notti d'inverno, avrebbe illuminato il cielo più cupo, spettacolare come l'aurora.
Non guardarmi in quel modo, mi fa male il cuore quando mi guardi così.
Lo vidi indugiare, cercare le parole e fallire. «Ti va di mangiare qualcosa?» mi chiese di punto in bianco, scostandosi dal muro e avvicinandosi a me di un passo.
Sgranai gli occhi per la sorpresa e arretrai istintivamente. «Eh? A quest'ora? Non hai ancora mangiato?».
Scosse la testa. «Ero a cena con la mia squadra di nuoto quando mi hai scritto, ma non avevo ancora toccato cibo. Sto morendo di fame» disse con tono divertito, portandosi una mano tra i capelli.
Abbassai il capo, incassando il colpo, e la fastidiosa voce nella mia testa tornò a tormentarmi. Taehyung dovette accorgersene, perché allungò una mano verso di me e mi scompigliò i capelli. Le sue dita mi sfiorarono con gentilezza. Sentii nelle orecchie il fruscio dei miei capelli che si spostavano sotto il suo tocco, e un lungo brivido mi percorse la schiena.
«Hey, non dispiacerti. Mi hai salvato. Odio cenare con quelle persone» mormorò con una risatina amara. Per un secondo sembrò rannuvolarsi, ma non seppi dirlo con certezza, perché un attimo dopo mi stava di nuovo sorridendo.
«Ho visto che dietro l'angolo c'è un konbini*. Ti spiace se vado a comprare qualcosa? Torno subito» mi chiese mettendomi le mani sulle spalle con fare rassicurante. Più che rassicurarmi, però, il suo tocco m'incendiò le guance e mi fece tremare le ginocchia.
Scossi rapidamente la testa. «Non voglio restare qui da solo. Non lasciarmi qui da solo» sussurrai sentendo le lacrime pizzicarmi gli occhi. Rosso di vergogna, le ricacciai indietro e afferrai un lembo della sua sciarpa, abbassando lo sguardo sulle mie scarpe.
Taehyung non parlò più di konbini né di cibo, e non lasciò neppure per un secondo la mia mano. Ci sedemmo su un muretto l'uno accanto all'altro e restammo in silenzio per un po', contemplando il cielo di quella notte d'autunno che profumava ancora di pioggia. Di tanto in tanto gli lanciavo occhiate fugaci, preoccupato che mi trovasse monotono e noioso, ma la sua espressione non lasciava trapelare niente. Era rilassata, anche se assorta. Così mi concentrai sui nostri respiri, tentai di sincronizzarli, e feci altre cose stupide che la gente normalmente fa quando inizia a provare dei sentimenti per qualcuno, prima ancora di rendersene conto.
In quel silenzio confortevole, ebbi finalmente modo di realizzare che ero uscito fuori da casa mia. Davanti ai miei occhi c'era davvero il mio quartiere, l'immensa Busan, il mondo da cui ero fuggito. Osservai con occhi colmi di meraviglia le case mute, la nebbia che intasava la strada e la luce del lampione che si accendeva e si spegneva a intermittenza. Poi chiusi gli occhi e ascoltai il rumore delle auto in lontananza, il ronzio degli elettrodotti e, tendendo l'orecchio, il mormorio del mare a qualche isolato di distanza. Era tutto reale. Non era uno dei miei incubi, non avevo paura. Ero davvero evaso dalla prigione in cui io stesso mi ero rinchiuso.
Non lo avevo neppure ammesso a me stesso, ma Taehyung era stato lo spiraglio di luce nell'oscurità della mia vita, aveva acceso in me il desiderio di un cambiamento. Qualsiasi tipo di cambiamento, buono o cattivo, sarebbe stato meglio dello stato d'impasse in cui mi trovavo.
Dalla mia paura, però, nasceva anche l'incapacità di essergli grato. Non riuscivo a ricambiare un singolo gesto d'affetto per quel ragazzo che, senza neppure conoscermi, aveva scelto di stare al mio fianco. Ero spaventato e al contempo ebbro di un'adrenalina che nascondeva strati di paura spessi come colpi di pistola. Ma ne volevo ancora, volevo di più. Non m'importava delle mani che tremavano, del cuore che galoppava impazzito nel petto, del sudore freddo sulla mia fronte.
Con lui - e solo con lui - diventavo gregorsamsa. Ed ero davvero io, ma più coraggioso, più forte, più felice. Come in una vera Metamorfosi.
Riaprii gli occhi e mi voltai verso Taehyung. Mi stava fissando. Sobbalzai e distolsi immediatamente lo sguardo per nascondere le mie guance rosse.
«Taehyung, hai ancora fame?» chiesi, contorcendomi le dita.
Lui fece per rispondere, ma lo anticipai.
«Andiamo al konbini» mormorai.
«Mangerò qualcosa a casa, Jungkook. Non è necessario, davvero» rispose con il suo tono di voce calmo e rassicurante.
«Ci voglio andare» conclusi. Mi diedi una lieve spinta e scesi dal muretto.
Non so quando troverò il coraggio di rifare quello che ho fatto stasera. Devo ricordare. Voglio che Taehyung ricordi il tempo che ha trascorso insieme a me. Voglio creare un ricordo in cui io esisto davvero, fuori dalla mia camera. Un ricordo in cui sono un ragazzo come gli altri, che compra del cibo in un convenience store insieme a un amico alle tre del mattino.
C'incamminammo giù per la stradina scoscesa che portava al konbini. Le case di lusso del mio quartiere erano spaventose di notte, sembravano dimore infestate dai fantasmi, silenziose e fredde come tombe. Dietro le vetrate, nascosti dalle loro tende costose, gli occhi dei miei vicini mi scrutavano, mi giudicavano e ridevano di me. Erano armi da fuoco, coltelli affilati, corde spesse nate per soffocare.
È notte fonda. Non c'è nessuno, Jungkook.
Sì, invece. Tutti ti vedono, vedono quello che sei diventato e si prendono gioco di te.
Abbassai lo sguardo sull'asfalto e non mi guardai più intorno, se non per osservare Taehyung camminare davanti a me. Non eravamo più fianco a fianco, avevo rallentato il passo senza rendermene conto, ma lui mi aveva lasciato fare, anche se di tanto in tanto lanciava occhiate alle sue spalle. La sua ombra lunga e sottile mi precedeva, la testa finiva sotto ai miei piedi. Iniziò a camminare più veloce e mi affannai per rincorrerla.
«Che stai facendo?» mi chiese con tono divertito. Si arrestò di colpo, voltandosi indietro, e per poco non gli finii addosso. Spalancai gli occhi e scossi nervosamente la testa, arrossendo davanti a lui per l'ennesima volta. Taehyung ridacchiò e mormorò qualcosa che avrei voluto non capire: sei tenero.
Feci finta di non aver sentito, ma il suono di quelle due semplici parole accostate tra loro riecheggiò nella mia mente per settimane.
Mi indicò il konbini con un cenno del capo. Sapevo che eravamo arrivati, conoscevo la strada a memoria, ma una parte di me sperava di camminare in eterno dietro di lui, osservando la sua ombra danzare sotto la luna.
Le luci al neon erano una festa di colori vivaci e accecanti, apparivano quasi fuori luogo in quel grigio quartiere benestante. L'insegna blu recitava in giapponese: il tuo konbini di fiducia. Accennai un sorriso. Era davvero come me lo ricordavo. Prima di diventare un hikikomori passavo lì dopo la scuola per comprare il latte alla fragola e altri prodotti tipicamente giapponesi che avevo scoperto a Takayama. La qualità non era il massimo, ma per qualche strano motivo avevo sempre amato quel convenience store.
Osservai il mio riflesso sulla porta scorrevole. Ero davvero lo stesso ragazzo che avevo visto allo specchio quella sera? Era rossore quello sulle mie guance? Era luce quella nei miei occhi?
Taehyung osservava ogni mio movimento, in piedi al mio fianco come se fosse pronto ad afferrarmi e a rimettermi in piedi se fossi crollato. Prima di entrare mi alzò il cappuccio della felpa sulla testa e mi rivolse un sorriso d'incoraggiamento. Afferrai la manica del suo cappotto, troppo imbarazzato per prendergli la mano, ed entrammo insieme nel negozio. All'interno suonava una canzone giapponese a basso volume. Il ritmo era allegro, così come la voce vagamente infantile di chi la cantava, ma qualcosa - nel testo o forse nella melodia - la macchiava di una dolce malinconia.
Gli scaffali erano ordinati e colmi di snack variopinti: dolci decorati con orsi e gattini, patatine agli edamame, gelati e frullati color arcobaleno. La disposizione dei reparti non era cambiata da quella che ricordavo. Infondo a destra c'era ancora l'enorme scaffale dei pasti tradizionali con gli onigiri, il bento preconfezionato e i dango. Prima della cassa, invece, c'era il rumoroso frigorifero con il latte aromatizzato.
Non c'era nessuno. Il konbini era deserto. La cassiera sembrava annoiata, giocava a un videogame sul cellulare e lanciava continuamente occhiate all'orologio, in attesa che finisse il suo turno. Era la stessa donna che avevo incontrato qualche volta durante le mie brevi visite dopo la scuola. Pregai che non mi riconoscesse. Mi sistemai meglio il cappuccio sulla fronte, fino a coprirmi del tutto gli occhi. Taehyung mi afferrò la mano e la strinse forte.
Non restammo a lungo lì dentro e gliene fui grato. La canzone era appena finita quando raggiungemmo la cassa. Comprò quattro onigiri, due al salmone e due al tonno. Dal canto mio, mi maledissi per essere sceso senza portafoglio, avrei comprato volentieri il latte alla fragola. Ero così disabituato a uscire che era un miracolo che avessi portato con me le chiavi di casa.
Quando Taehyung si fermò davanti al frigorifero per chiedermi quale gusto preferissi, quasi gridai di felicità. Arrossii e mormorai: «Fragola».
Mentre pagava, mi nascosi dietro le sue spalle ampie per evitare che quella donna mi riconoscesse, ma alla fine non alzò neppure lo sguardo dal cellulare. Digitò con le sue lunghe unghie giallo fluorescente il prezzo sul display e biascicò con voce asfittica: «Sono quindicimila won. Grazie per averci scelto».
Una volta fuori, ci sedemmo su una panchina lì vicino, sotto un grande pioppo spogliato dall'imminente inverno. Era distante dalla strada principale quel tanto che bastava per non farmi uscire di matto, perciò riuscii a rilassarmi e godermi quel momento di irreale libertà. Taehyung scartò un onigiri al salmone e me lo offrì, ma io scossi la testa e gli chiesi il latte alla fragola.
Scoppiò a ridere. «Deve proprio piacerti tanto. Kawaii». Calcò l'ultima parola alla maniera dei giapponesi e sentii le guance bruciare per l'imbarazzo. Così mi affrettai a prendere il latte, staccai la cannuccia e la infilai nel foro. Il primo sorso mi fece tornare indietro nel tempo. Sorrisi sinceramente, con gli occhi chiusi e il latte che mi sporcava le labbra.
Quando li riaprii, mi accorsi che Taehyung mi stava fissando con una strana luce negli occhi. Non tentò neppure di nasconderlo. Mi guardava con insistenza, ma sembrava che non mi vedesse affatto, che fosse altrove, lontano da me. Erano lacrime quelle che gli brillavano nello sguardo? Il suo labbro inferiore aveva appena tremato o era stata la mia immaginazione? Non c'era più traccia della spensieratezza che aleggiava sempre sul suo viso, di quel sorriso da bambino che mi rivolgeva ogni volta che poteva. Ero davanti a lui e avevo capito che quella che avevo contemplato scambiandola persino per bellezza, altro non era che una delle forme della sua paura.
«Taehyung?» sussurrai tentando di leggere nei suoi occhi, ma erano pozzi neri, universi alieni che parlavano una lingua incomprensibile.
Ci guardavamo negli occhi, ma senza vederci, l'uno accanto all'altro, così vicini da poterci sfiorare, eppure così lontani, separati da una morte che si era già seduta in mezzo a noi.
Taehyung aprì la bocca. Fece per parlare, ma le parole gli morirono in gola. Una lacrima muta gli rigò la guancia. «Scusami. È che... è che me lo ricordi così tanto, Jungkook».
Note:
* Il konbini è un minimarket tipicamente giapponese aperto 24/7.
And to my eyes,
you're ever so
pretty 波か ぉゖヷ 院彙ヮ
a/n
Tutte le mie note autrice iniziano con delle scuse. Mi scuso con voi perché sono lenta a scrivere, perché non sto scrivendo come e quanto vorrei. È da quasi un mese che non aggiorno rapsodia in blu e non so dirvi quanto mi sia mancata. Ho passato uno dei miei periodi blu e non sono riuscita a buttare giù nemmeno due righe che non parlassero di me e delle mie paure. Mi sono sentita davvero in colpa, inadatta a scrivere di Jungkook e Taehyung (che di me hanno così tanto e che non riuscivo più a riconoscere) e incapace di portare avanti questa trama.
Stavolta non vorrei scusarmi. Vorrei ringraziare tutte le persone che leggeranno questo capitolo dopo averlo aspettato per un mese e tutte quelle che mi hanno supportata fino ad oggi con una stellina o un commento. Non riuscirò mai a soddisfare me stessa e il mio stupido perfezionismo, ma spero di aver fatto un piccolo passo avanti oggi. Avrei voluto pubblicare questo capitolo ieri sera, ma ho finito di rileggerlo a mezzanotte passata,
quindi perdonatemi per l'orario!
Avete qualche idea sul passato di Taehyung?
Mi piacerebbe leggere le vostre opinioni!
Spero come sempre di avervi tenuto
compagnia e di avervi emozionato
almeno un pochino.
Un abbraccio,
tanti cuori 𝒷𝓁𝓊 per voi
~💙💙💙~
P.S. la canzone che Jungkook
sente nel konbini è la stessa
che trovate nei media!
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