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[hachi] busan blues

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💿 nei media: ocean eyes - billie eilish






Can't stop staring
at those ocean eyes ギテ仮ヱタ












BUSAN BLUES

Ho visto la libreria in salotto. È piena di romanzi di Haruki Murakami.

Un messaggio. Poche semplici parole scritte frettolosamente su un foglio bianco, marchiate a fuoco sul mio cuore dolorante. Taehyung era a casa mia, così vicino da poterlo sfiorare, a un passo da me. Avrei dovuto soltanto abbassare la maniglia, aprire la porta e fare un passo avanti. La facilità con cui avrei potuto incontrarlo era un pensiero insopportabile.

La solitudine fa rumore, la tristezza grida. Per impedire che Taehyung sentisse il suono del mio dolore, accartocciai quel biglietto. Lo strinsi con forza in una mano. Volevo che scomparisse, volevo inghiottirlo, volevo che mi entrasse nelle vene, che mi fluisse nelle arterie per conservarlo per sempre tra le costole, incastrato nel punto più vitale del mio corpo. Volevo sentirlo stringermi forte il petto ad ogni respiro, ad ogni battito, per darmi conforto.

Sei proprio tu, Taehyung? Sei davvero qui fuori, sei davvero venuto qui per me? Perché ti ostini a volermi essere amico? Sono un ragazzo morto da tempo. Allora perché sento che ogni tuo gesto mi sta riportando in vita dalle ceneri della mia esistenza?

«Taehyung?» sussurrai con voce tremula. Il petto si alzava e si abbassava ad una velocità preoccupante. Le mie mani sudate erano strette a pugno sulla felpa. Inginocchiato sul pavimento, sconfitto in partenza, combattevo la mia eterna lotta contro l'unico nemico che avessi mai avuto: me stesso.

gregorsamsa voleva aprire quella porta, parlare con lui, lasciare che mi liberasse dalla mia prigione, che mi portasse al mare e mi dicesse: andrà tutto bene, stavolta andrà tutto bene.

Ma Jungkook no. Lui voleva solo scomparire, tacere, ignorare i suoi gesti amichevoli, perire in quella stanza, lontano dal mondo, lontano da quel ragazzo e dal suo sorriso contagioso. Bastava una sua parola per farmi battere il cuore, e questo mi spaventava più di ogni altra cosa. L'idea di dipendere dalle sue attenzioni, dai suoi messaggi, mi logorava l'anima. Se avessi perso anche lui, sarei morto per davvero. Per la prima volta mi sentivo compreso, accettato, persino apprezzato. La nostra amicizia mi aveva dato speranza e solo allora me ne resi conto.

Non volevo più sentirmi sbagliato. Se avessi aperto la porta, Taehyung avrebbe visto il mio corpo magro e stanco, i miei capelli troppo lunghi appiccicati sulla fronte, le occhiaie violacee sotto i miei occhi vacui. Avrebbe scavato di nuovo dentro di me come faceva durante le nostre conversazioni nel cuore della notte. Avrebbe visto i miei demoni prima ancora di vedere me, e non potevo sopportarlo. L'inettitudine era dipinta sul mio volto, un quadro astratto di nera inquietudine e nivea tristezza.

Per lui ero tela bianca. Avrebbe potuto tingermi di tutti i colori dell'arcobaleno e di tutte le tonalità dell'universo, glielo avrei lasciato fare. Persino il blu che mi aveva tolto la vita faceva meno paura se si annidava tra i suoi capelli. Quella consapevolezza si fece largo dentro di me: con lui ero vulnerabile, scoperto, nudo.

«Va' via» dissi a voce più alta. Cercai di sembrare convincente, ma non riuscii a celare il tremore nella mia voce. L'emozione mi tradì, e scoppiai a piangere. Trattenni i singhiozzi, li soffocai in gola, mordendomi le labbra martoriate. La carne viva bruciava a contatto con la saliva. Era alcol sulla ferita aperta, sul mio corpo tranciato a metà.

In quell'attimo un lampo bianco illuminò la stanza e socchiusi gli occhi per sottrarmi a quella luce accecante. Il suo chiarore trascinò con sé un tuono oscuro e violento quanto il dolore che sentivo nel petto. La tempesta era inconsolabile, dentro e fuori di me.

Se n'è andato?, pensai. Mi asciugai il viso con la manica della felpa e gattonai più vicino alla porta. Appoggiai un orecchio contro il legno, e smisi di respirare. Nessun rumore. È andato via. Gli hai detto di andar via e se n'è andato. Cosa ti aspettavi, Jungkook?

Chiusi gli occhi e mi allontanai con un sospiro. Aspettai ancora, fino a sentire le lacrime seccarsi sulle guance, di sentire un passo, lo scricchiolio del parquet, un suono qualunque. Non arrivò, e tentai di convincermi che dopotutto era meglio così, ma dentro di me non riuscivo darmi pace. La rassegnazione che da mesi si celava in ogni mio gesto non bastò a spegnere in me la curiosità.

Forse ero un vigliacco. Forse da tempo nutrivo il desiderio di uscire dalla mia stanza e fingevo che non fosse così per pura codardia. Forse in gregorsamsa avevo trovato il coraggio che mi era sempre mancato per affrontare la mia condizione e il mio isolamento era finito nel momento stesso in cui avevo conosciuto kafkasullaspiaggia.

Non mi chiesi il perché, ma mi alzai in piedi. Mi costrinsi a non guardarmi, tenni lo sguardo inchiodato alla maniglia. Ero in uno stato febbrile, tremavo violentemente, e le mie gote bruciavano a contatto con l'aria fresca della stanza.

È andato via, mi ripetevo. Tanto è andato via. Allungai una mano e feci scattare la serratura. Strinsi il pomello con forza. Temetti che il mio cuore potesse esplodere da un momento all'altro, ma cominciai ad amare quella sensazione. Ne volevo sempre di più.

Per favore, fammi sentire vivo ancora per un po'. Per favore, ancora per qualche secondo.

Tanto se n'è andato.

Girai la maniglia in un unico rapido gesto e spalancai la porta. Non si aprì del tutto. La mano di un ragazzo la arrestò a metà strada.

Sgranai gli occhi e la prima cosa che vidi furono i suoi capelli. Azzurri. Di un azzurro irreale, vivido come il colore vergine sulla tavolozza, soffice come la tonalità del cielo alle sette di sera in primavera. Alcune ciocche ribelli gli ricadevano morbide sulla fronte e sulle ciglia, sembravano brillare sotto la luce flebile del temporale.

Poi, vidi i suoi occhi. Erano spalancati per la sorpresa, accesi di curiosità, magnetici. Quando i nostri sguardi s'incontrarono, non riuscii a vedere nient'altro.

Trasalii e istintivamente arretrai di un passo. Feci per chiudere la porta, inciampando nei miei piedi e mancando goffamente la maniglia. Ma Taehyung fu più veloce. Entrò in camera mia, afferrò il pomello e la porta si chiuse alle sue spalle con uno scatto.

In quel momento Busan si colorò di blu, ed io con lei. A rompere quel silenzio di vetro c'erano soltanto il mio respiro pesante e lo scrosciare della pioggia, sempre più violento. Taehyung non parlò, appoggiò la schiena contro lo stipite e si limitò ad osservarmi. Mi scrutò da capo a piede senza alcuna discrezione, con gli occhi vispi che cercavano di cogliere ogni particolare di me, della mia camera e del mio mondo.

«Esci» mormorai incrociando le braccia davanti al viso, ma dalle mie labbra uscì un sussurro indistinto. La felpa nera era troppo grande per me e le maniche mi coprivano quasi del tutto le mani. Le lacrime erano ormai secche sul viso e le sentivo pizzicarmi le guance arrossate. Ero un disastro. Lui invece era bellissimo. Persino più bello di quanto mi era apparso in foto. I suoi occhi erano oceani neri, abissi infiniti, non riuscivo neppure a guardarli.

Arretrai ancora e ripetei più forte: «Esci, ti prego». Tremavo. Ogni muscolo del mio corpo era scosso dai tremiti ed ero di nuovo sull'orlo delle lacrime. Mi sentivo patetico a nascondermi in quel modo, ma non riuscivo a farne a meno. Mi coprii di più con il tessuto della felpa e pregai che mi ascoltasse.

Dopotutto eri tu, eri davvero tu.
Sei davvero qui con me?

Taehyung non se ne andò, si scostò dalla porta e mi raggiunse in un attimo. Mi prese i polsi, scostò le braccia dal mio viso e disse: «Guardami». Lo feci. Per un attimo i nostri sguardi s'incontrarono e vidi chiaramente la sua preoccupazione. Avevo sempre temuto che provasse compassione per me, ma nei suoi occhi scorsi soltanto una profonda comprensione.

Mi lasciò andare, ma non arretrò di un passo, mentre io contavo i centimetri che ci dividevano. «Vuoi che me ne vada? Dimmi di andar via e me ne andrò». Solo allora mi resi conto che quella era la prima volta che sentivo la sua voce. Era profonda. Ti faceva venir voglia di appoggiare una mano sul suo petto soltanto per sentirlo vibrare sotto le dita. Taehyung parlava piano, senza fretta, accarezzando le parole sulla punta della lingua. La sua voce tranquilla era confortante, e quella fu l'unica cosa che non mi sorprese di lui.

Vattene. Resta. Lasciami solo. Abbracciami.

Non risposi. Abbassai lo sguardo e strinsi la mascella così forte che sentii le tempie pulsare. Il mio unico pensiero era quanto dovessi sembrargli ridicolo in quel momento. Il mio unico timore era non rivederlo mai più. Una lacrima silenziosa mi bagnò la guancia e non mi preoccupai neppure di asciugarla.

«Io non ti capisco, Jungkook. Perché ti ostini a continuare con questa farsa? Sono qui davanti a te, toccami se non ci credi» disse prendendomi una mano e appoggiandola sul suo petto. Sorpreso da quel gesto, la ritrassi di scatto. Sotto il morbido tessuto del maglione Taehyung scottava, e mi chiesi se la sua espressione tranquilla nascondesse la mia stessa agitazione.

«Perché non ammetti a te stesso che sei pronto per lasciare questa stanza? Non sei curioso di sapere che sta succedendo nel mondo, cosa ti stai perdendo?». La sua voce era dolce, un dolce veleno, fiele che uccide.

Se mi avesse colpito in faccia, se mi avesse preso a pugni, mi avrebbe fatto meno male. Il nodo che mi stringeva la gola stava per soffocarmi. Così, alla fine, lo dissi. «Vattene». Fu soltanto un sussurro, un soffio tra le labbra, ma Taehyung trasalì come se glielo avessi urlato in faccia. Lo avevo ferito, i suoi occhi lo tradivano. Si portò una mano tra i capelli e distolse lo sguardo. Osservò silenziosamente la libreria, il mio letto, la scrivania e la finestra. Durò un'eternità, o forse passarono soltanto pochi secondi, ma quando riportò lo sguardo su di me vi lessi la determinazione.

«Il 5 luglio la sonda spaziale Juno sviluppata dalla NASA è entrata nell'orbita di Giove» disse a voce più alta. Marcava ogni sillaba con una strana enfasi, con insistenza, persino con disperazione. «La Gran Bretagna è uscita dall'Unione Europea e nel giorno di Halloween il tramonto era così mozzafiato che a Busan si è fermato il tempo per ben cinque minuti! Tutti, bambini, adulti e anziani, hanno alzato gli occhi al cielo-».

«Basta!» gridai stringendo i pugni sulle maniche. Mi sforzai di non piangere, di non mostrarmi debole, ma crollai a sedere sul materasso come se non avessi più energie per stare in piedi. «Smettila, Taehyung! Non mi interessa!».

Taehyung non replicò. Lo vidi accennare qualche passo verso di me, indugiare, e infine fermarsi. Lessi l'incertezza nei suoi movimenti e il rimorso nei suoi occhi tristi.

«Non mi conosci poi così bene, quindi non mi aspetto che tu mi capisca» mormorai. Era lontano da me, ma anche a quella distanza sentivo il suo sguardo trapassarmi da parte a parte. Lo osservai per la prima volta senza indugio. Taehyung indossava un maglione viola a collo alto e dei jeans scoloriti, stonava nel grigiore della mia camera come una viola del pensiero in un capo di erbacce. Abbassai lo sguardo sui miei vestiti e un sorriso amaro fiorì sulle mie labbra.

«Che ne sai tu della solitudine, del sentirsi sempre fuori posto, estraniato dal mondo? Che ne sai, Taehyung?». La mia voce era irriconoscibile, calma e amareggiata, persino delusa. «La tua vita è perfetta, sei circondato di gente, hai un sacco di amici che ti vogliono bene!». Alzai la voce e lo vidi sgranare gli occhi come se l'avessi colpito al cuore con una pallottola.

«Non ti sei mai sentito solo - diverso - nemmeno una volta, te lo si legge in faccia!» continuai alzandomi in piedi, sentendo le guance ardere di rabbia. Sputai con disprezzo soltanto una parola, quella che mi tormentava sin da bambino: diverso.

Io e te siamo diversi, Taehyung.

Quel pensiero mi intossicava come il più letale dei veleni. Mi aveva fatto pronunciare quelle parole senza alcuna fatica, senza neppure pensarci. Le vomitai. Vennero fuori dalla gola del mio io bambino, strozzate, sofferenti e colme di rabbia. Quando mi resi conto di aver oltrepassato il limite, era ormai troppo tardi.

Taehyung si avvicinò a me e mi afferrò per la felpa. Quando mi tirò a sé, i nostri nasi si sfiorarono per un istante. Il suo viso era a pochi centimetri dal mio, sentivo il suo respiro sulle guance e il suo profumo nelle narici. Cloro, gelsomino, colonia maschile.

«Sei bravo a giudicare le persone dalle apparenze, Jungkook. Potranno anche esserci cento persone intorno a me, o mille, o milioni, ma se non sono le persone che voglio accanto, allora non conta niente». Mi guardava con occhi carichi di delusione, ma sentivo la sua mano tremare contro il petto.

«Mi sono sempre sentito solo in mezzo a tutta la gente che frequento, perché nessuno mi conosce davvero. Perciò non parlare come se mi conoscessi, come se sapessi tutto di me. Almeno tu, non dare tutto per scontato».

Quelle parole frantumarono ogni mio tentativo di allontanarlo. Gli occhi mi si riempirono di lacrime. Soffocai un gemito e lasciai che mi vedesse crollare, abbandonandomi contro di lui. Non avevo altra scelta, non più.

Appoggiai la testa sulla sua spalla e piansi. I nostri corpi non si sfiorarono neppure, impaurito com'ero di vederlo fuggire da me e dalle mie stranezze. Fu Taehyung ad azzerare la distanza tra noi. Mi strinse in un abbraccio e con una mano mi accarezzò capelli. Il suo tocco era delicato, gentile, timoroso.

«Non piangere, Jungkook» mi disse accarezzandomi alla base della nuca. Il suo petto vibrò davvero mentre parlava e la sua voce era tenera come una carezza.
«Anzi, piangi pure se vuoi. Disperati, urla, sferra pugni contro il muro se ti fa stare meglio. Ma esci fuori di qui. Se ti piace la mia vita, vieni a prendertela».

«Ho tanta paura» sussurrai.

«Tutti abbiamo paura di qualcosa» disse scostandosi da me. Mi arruffò i capelli alla maniera degli adulti e mi asciugò le guance con le dita.

«Io di più» risposi arrossendo e portandomi le mani al viso per ripetere il gesto.

Taehyung rise. Sembrava più piccolo quando rideva. Strizzava gli occhi come un bambino.
«Definisci di più, Jungkook. Non c'è modo di quantificare la paura, o il dolore» replicò scuotendo la testa. Una ciocca azzurro cielo gli scivolò sulle ciglia e provai l'impulso irrefrenabile di scostarla.

«Cosa ti dà conforto? Pensaci. Parlamene» mi chiese girovagando per la stanza e curiosando tra gli scaffali della mia libreria.

«Non lo so» mormorai con un'alzata di spalle. «Il profumo degli udon appena cotti, i ciliegi in fiore di Takayama, i miei libri. Quel gioco». Tu.

Taehyung si voltò a guardarmi e mi sorrise. «Cosmic child. Ci hai giocato perché te l'ho detto io?».

«Sì» risposi istintivamente. Poi, scossi rapidamente la testa e mi affrettai a correggermi. «Cioè no, ero solo curioso» balbettai. Taehyung annuì semplicemente. Stava ancora sorridendo. Lo osservavo percorrere con lo sguardo tutti i titoli della libreria. Sembrava assorto, perso nei suoi pensieri.

«Perché sei venuto qui con il dottor Kim?» non riuscii a fare a meno di chiedere.

«Sai una cosa? Esci di qui e risponderò a una delle tue domande, quella che preferisci. Te lo prometto» rispose dandomi le spalle. Aveva tra le mani la mia copia da collezione di Norwegian Wood. La aprì e immerse il naso tra le pagine, ispirando a pieni polmoni l'odore della carta. Il mio cuore accelerò di colpo, perché era un'abitudine che avevo anch'io. Mi sembrò per un attimo di rivedere me stesso in lui. Mi ricordò la persona che ero prima di diventare un hikikomori, e ne sentii la mancanza.

«Il cielo era così infinito che a guardarlo fisso dava le vertigini» recitò Taehyung guardandomi negli occhi. Non c'era più traccia dei sorrisi di poco prima. Tutto a un tratto i suoi occhi oceano erano pozzi neri densi di malinconia.

«Ritorna nel mondo, Jungkook».









Falling into your
ocean eyes イをビ恩












a/n

Mi tremavano le mani mentre scrivevo.
Ho anche pianto un pochino... I'm so emotional for rapsodia in blu.

Comunque, spero che il capitolo
vi sia piaciuto e che vi siate emozionat*
tanto quanto me. Lemme know~🥺

Lasciate un commentino per
farmi sapere che siete passati di qui💙
Non siate silenziosi, non lasciatemi da sola
in mezzo a tutto questo blu🌊

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