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𝐯𝐢𝐢𝐢. - distese di ghiaccio



-E lui cosa ti ha detto?- chiese Natasha ad Alex, mentre tutti gli altri erano troppo occupati a parlare tra di loro.

-Mi ha detto "certo che tengo a te". E poi io l' ho abbracciato- le raccontò lei.

A Nat comparve un sorriso che partiva da un orecchio e arrivava all'altro.

-Sapevo che sareste andati d'accordo! Mi fa tanto piacere Alex, e...-

-NAT!- la chiamò Tony dall'altro lato della stanza, facendo sobbalzare la ragazza per lo spavento.

-Scusami Alex- disse, per poi alzarsi e andare da Tony.

Lei restò a guardare per alcuni secondi i due che parlavano tra di loro, poi si alzò e si incamminò verso la sua stanza. Peter era andato a scuola, e lei non aveva assolutamente nulla da fare. Appena entrata in camera notò un particolare che prima non aveva nemmeno considerato. Sulla scrivania era poggiata una fotografia di Peter insieme ad un ragazzo e una ragazza. Il ragazzo era robusto, con i capelli neri molto corti e un sorriso allegro sul volto. La ragazza era molto carina, con i capelli ricci tenuti insieme da una matita. Lei, al contrario degli altri due, non sembrava molto entusiasta di scattare quella foto.

Questi devono essere i suoi amici, pensò Alex, prendendo in mano la fotografia.

Restò ad osservare per un pò quei tre volti, soffermandosi più di una volta su quello di Peter. Rimise a posto la foto, per poi girarsi e andare verso il grande balcone. Non appena aprì la vetrata, un debole e fresco venticello le fece svolazzare i capelli intorno al viso. Sotto di lei, New York era già in piena attività. C'erano macchine che inondavano le strade, uomini e donne che camminavano svelti per non arrivare tardi a lavoro, anziani che portavano a spasso i propri cani. Tutto sembrava tranquillo, eppure Alex aveva come un brutto presentimento. Decise di fare una passeggiata, per schiarirsi un pò le idee e rilassarsi. Indossò il suo pantalone nero e la felpa verde con le scarpe bianche, e uscì dalla stanza. Salutò Natasha prima di andare, poi si chiuse la porta del quartier generale alle spalle.

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Alex

La ragazza aveva appena superato Central Park quando iniziò a sentire quella voce. Non era la voce di suo padre, ma quella di una donna. Non sapeva perché, ma voleva seguirla. Era come se il suo corpo si muovesse da solo, verso strade che non aveva mai visto. La voce continuava a chiamarla, sempre più veloce e sempre più insistente. Ora sembrava quasi che le ordinasse di camminare in una direzione sconosciuta. Intanto Alex era come incantata. Non riusciva a ragionare, non riusciva a capire dove stesse andando né a chi appartenesse quella voce. Alla fine si ritrovò in un quartiere, con due file di case perfettamente parallele tra loro. Ad un tratto, Alex ricordò quel posto. Era il quartiere dove aveva vissuto da bambina. Si sentì svenire, ma cercò con tutte le sue forze di rimanere in piedi.

Alex, ce l'hai fatta tesoro

Quella era la voce di sua madre.

Una forza invisibile le fece voltare la testa verso la fila sinistra delle case. E lì, proprio in mezzo a due normalissime abitazioni, si vedevano i resti di un'altra completamente bruciata. Alex sapeva che quei resti erano protetti da un incantesimo che li nascondeva agli occhi di tutti. Infatti, vide un uomo in giacca e cravatta uscire dalla casa proprio vicino a quei resti e passarci attraverso, come se non esistesse. La ragazza si fece coraggio e, con passo incerto, si avvicinò a quella che una volta era la sua casa. Ormai le uniche cose che rimanevano erano delle colonne incenerite e il tetto annerito diviso a metà. No, c'era qualcos'altro. Mandava un bagliore argenteo, ed era posizionata esattamente dove Alex se la ricordava. Si avvicinò ancora di più, arrivando dove una volta ci sarebbe dovuta essere la porta. Lo spadone asgardiano che aveva trafitto sua madre era ancora lì, conficcato nel pavimento e con del sangue secco incrostato sulla lama. Ad Alex iniziarono a scendere delle lacrime, che poi diventarono molte di più. Girò intorno all'arma, con il viso rigato dalle lacrime. Ad un tratto, notò qualcosa che pendeva dal manico della spada. Era un pezzo di pergamena, chiuso con un nastro verde petrolio. La ragazza lo prese con mani tremanti, leggendo il bigliettino che era attaccato alla pergamena. Era scritto con una scrittura molto semplice, a caratteri ben chiari e tracciati con una penna nera.

Alexandra, tesoro. Non ci crederai, ma è tua madre che sta scrivendo. Ho scritto questo biglietto il giorno prima di morire, e grazie ad Hela, la regina dei morti, sono riuscita a portarlo fino a te. Ti chiedo solo una cosa. Non aprirlo fino alla sera del tuo sedicesimo compleanno. -joanne

Alex rilesse più e più volte il messaggio, mentre le lacrime continuavano a scenderle dagli occhi. Si soffermò sul nome di sua madre, che non sentiva da così tanto tempo. Pensò ad Hela, che nella sua malvagità aveva comunque permesso a Joanne di portare quel biglietto a sua figlia. Alla fine si mise la pergamena nella tasca della felpa, cominciando a perlustrare il piano di sotto. Quello di sopra era stato totalmente incenerito, non c'erano neanche più le scale. Proprio sul tavolo della cucina, riconobbe qualcosa di familiare. Si avvicinò, mentre non riusciva proprio a smettere di piangere. Prese tra le mani la foto della sua famiglia. Risaliva a undici anni fa, quando lei aveva appena cinque anni. Il vetro era frantumato, e i bordi della foto leggermente inceneriti. Ma Alex la prese comunque. Uscì dalla casa, con il cuore spezzato proprio come il vetro della foto. Quando si girò verso i resti della sua vecchia vita, cadde a terra in preda ai pianti. Si prese la testa tra le mani, mentre le mani iniziavano a diventarle azzurre. Un'ondata di tristezza, mista a rabbia, la travolse. Gli occhi le diventarono rossi, la pelle completamente azzurra. I suoi pensieri andarono ad Odino, e fu questa la goccia che fece traboccare il vaso. Con urlo di rabbia, distese le mani verso i resti della sua casa. In pochi secondi, si trovò davanti non più dei resti inceneriti ma un gigantesco pezzo di ghiaccio.

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