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乇ㄩㄒㄖ卩|卂 || Ep. 9. Il dubbio






|  ㄩ乃乃|





Qualche tempo fa...


«Signor Peterson?»

Distolse lo sguardo dalla finestra e lo trasferì sulla dottoressa che, proprio come il suo compagno, lo stava guardando. Doveva avergli posto una domanda, ma non l'aveva sentita.

James sbatté le palpebre. «Come?»

La donna sorrise paziente. «Le ho chiesto se nella sua famiglia ci sono stati altri episodi di sterilità o di difficoltà nel concepimento. È una domanda che ho posto anche al signor Westling e non c'è nulla di cui vergognarsi. Sono qui per aiutarvi.»

L'Alfa deglutì. «Uhm... che io sappia... no, non mi sembra. Io addirittura avevo una sorella gemella.»

«Capisco.» La dottoressa annotò qualcosa. «Faremo comunque degli esami per accertarci che la cura possa andare a buon fine. Purtroppo, se dovesse venir fuori che uno di voi soffre di sterilità, avere un bambino potrebbe rivelarsi più problematico, anche se non del tutto impossibile.» Sospirò. «Da quanto tempo ci state provando? Lei ha detto di essere un Beta» disse, rivolgendosi a Rogue. Quest'ultimo esitò. «Solo sulla carta, in realtà. Vede... nel mio Paese d'origine, ossia dove sono nato, purtroppo gli Omega sono ancora soggetti a discriminazioni pesanti e i miei genitori decisero di registrarmi come un Beta pur di evitare che incorressi in tanti problemi durante la vita. In verità, però, sono un Omega a tutti gli effetti. Sto cercando di ottenere la modifica dei documenti, ma sa come funziona la burocrazia! Ha delle tempistiche assurde!»

Rogue era nato infatti in una nazione diversa da quella in cui era poi cresciuto sin dall'età di due anni. Era originario di Myserlan, un Paese situato a Oriente, e purtroppo laggiù la vita per gli Omega era un vero incubo.

Si era alla fine abituato a presentarsi a tutti come un Beta, ma era un Omega e in teoria sarebbe dovuto essere in grado di dare finalmente un figlio all'uomo che amava e con cui da tanto ormai voleva costruire una famiglia, eppure non c'era ancora riuscito.

La dottoressa non fu stupita dalla sua spiegazione. «Il suo estro com'è? Va regolarmente in calore?»

«Sì, non ho mai avuto problemi e da quando abbiamo iniziato a provare ad avere un bambino, segno sul calendario i giorni. A volte è un po' frustrante, ma ci siamo impegnati tanto pur di concepire. Siamo persino ricorsi ai metodi dei nonni, per così dire: dopo... beh... dopo aver raggiunto l'apice, chiamiamolo così, aspettiamo qualche minuto prima di separarci e io cerco di stare sempre disteso sulla schiena. Abbiamo provato di tutto, mi creda.»

La donna fece un cenno, la fronte corrugata. Non faceva ben sperare. «Quanti anni ha, signor Westling?» 

«Quasi trentasei.»

«Mhm. E lei, signor Peterson?»

«Saranno trenta ad agosto.» James, vedendo l'espressione della dottoressa, cercò di non sbuffare. «Sappiamo che dopo i trenta è pericoloso e più difficile che mai avere dei figli, ma vorremmo avere un figlio prima di diventare decrepiti! Insomma... lo desideriamo sin da quando ci siamo messi insieme!» disse, cercando di scherzare.

Lei esitò. «Se ne siete consapevoli, allora... direi di provare subito con l'inseminazione intrauterina e... se non funzionerà, passeremo alla fecondazione in vitro. Devo però aggiungere che sono trattamenti costosi e non è sicuro al cento per cento che vadano a buon fine. Se siete disposti a tentare e a essere aggressivi, però, allora ci proveremo. Una speranza c'è sempre.»

Quando, venti minuti più tardi, James e Rogue salirono in auto, nell'abitacolo regnò per un po' il silenzio assoluto.

James, però, si decise a parlare: «Non so se saremo capaci di coprire una spesa del genere. Voglio dire... non ho uno stipendio altissimo e non ho ancora finito di pagare le rate mensili della casa, e non voglio di certo strisciare ai piedi dei miei per farmi prestare dei soldi. Non dimentichiamo, poi, che i bambini costano un occhio della testa solo nel primo anno di vita. Il punto, Rogue, è che i risparmi in banca li avevamo destinati a un ipotetico bambino e i suoi interessi futuri».

Rogue sospirò. «Ormai non abbiamo molta scelta, Jay. Io... io sto invecchiando. O lo facciamo ora o ci arrendiamo. Non vedo altre possibilità.»

Peterson deglutì. «Potremmo riprovare con l'adozione.» In fin dei conti c'erano molti orfani in attesa di una coppia di genitori che potesse assicurare loro un avvenire migliore e tanto affetto.

«Certo, peccato che le altre dieci volte non siano andate bene, e tutto perché non siamo legalmente sposati e tu non vuoi saperne di portarmi all'altare.»

«Lo sai come la penso su quella stronzata del matrimonio, Rog! Andiamo! Ora non buttiamola sempre su quella storia trita e ritrita!»

«Allora scordati di poter adottare un bambino. A quanto pare per te conta di più restare fedele a certi principi da scapolo incallito piuttosto che costruire una famiglia con la persona che spergiuri di amare.»

«Ah, dèi santi e benedetti! Ci risiamo» borbottò fra sé James mentre cambiava marcia. «Cazzo, Rogue! Sono anni che stiamo insieme e sono anni che rigiri sempre la solita minestra! Sappiamo tutti e due che non è colpa del non essere sposati!»

«Ti sto solo dicendo cosa sembri comportandoti così.»

«Il matrimonio ormai è una semplice questione burocratica e di soldi! Scusa se quando ci fidanzammo dicemmo entrambi che non saremmo stati come tante altre coppie!»

«A volte ci si sposa anche per amore e questo non rende qualcuno più conforme al Sistema, James! E poi sei un poliziotto e ti ostini a fare l'alternativo come quando avevi diciotto anni! Fai sul serio?»

«Se ci si ama, non ha importanza che si sia sposati o meno! Non sto facendo l'alternativo del cazzo, va bene?»

Tacquero entrambi, poi Rogue fece un respiro profondo. «Forse... forse sbagliamo a restare insieme. Magari dovresti trovare una persona capace di renderti padre, più giovane e...»

«Ma che stai dicendo?» Jay lo fissò sconvolto. «Io amo te e voglio che sia tu e solo tu a darmi un figlio, chiaro? Piantala con questi discorsi! Lo sai che non li sopporto!»

«Magari dovremmo arrenderci. Insomma... ci stiamo provando da anni e ancora niente. Forse non è destino che accada.»

James ne ebbe abbastanza. Fermò la macchina a bordo strada. «Va bene. Sai che ti dico? A costo di indebitarmi fin sopra i capelli, faremo quel trattamento per la fertilità e a quel punto saremo nelle mani della scienza e della fortuna! O la va o la spacca, okay? In qualche modo riuscirò a rientrare nelle spese. Vogliamo un figlio e lo avremo. Per il resto... ci inventeremo qualcosa, suppongo.» Gli si spezzò il cuore nell'intravedere nello sguardo del compagno un luccichio familiare. Si sporse verso di lui e gli scostò i capelli scuri dal viso, pettinandoglieli dietro un'orecchio. «Ehi, ehi» disse, raddolcendo il tono. «Non piangere. Non è colpa tua né mia, capito? Non è colpa tua, Rogue.»

Gli occhi grandi, chiari e a mandorla dell'Omega dai tratti orientali non osarono incrociare quelli color cobalto dello sceriffo. James soffriva nel vedere la persona che amava colpevolizzarsi a quel modo per qualcosa che non erano stati loro a decidere o a volere. Avrebbe solo voluto vedere Rogue felice, finalmente in procinto di rendere entrambi genitori. Il suo sogno più grande era sempre stato di avere una famiglia che fosse tutta sua ed era ingiusto che per anni non fosse riuscito a realizzarlo.

Westling si asciugò le guance. «C-Che te ne fai di me se... se nemmeno sono capace di...», gesticolò, incapace di terminare la domanda.

«Cosa me ne faccio di te? È una sfida, forse? Non stuzzicare la mia fantasia!» scherzò James, sorridendo di sbieco. «Avrei qualche idea, ma poi verremmo arrestati per atti osceni in luogo pubblico!» Gli baciò la pallida fronte. «E comunque, se anche non dovesse andar bene, non è la fine del mondo. Voglio che tu ricordi questo: non è la fine del mondo. Non siamo da meno come coppia rispetto agli altri solo perché non sentiamo tutto il giorno un marmocchio zampettare per casa. Anche ora siamo una famiglia. Io e te. Ricordi cosa mi dicesti? La famiglia è dove regna l'amore, poco importa quanti membri ci sono in una casa.» Rogue annuì debolmente e James accostò il viso e lo baciò sulle labbra. «Ti amo e lo farò fino alla fine dei miei giorni. Per me non esiste nessun altro, mia dolce rondine.» In qualche maniera riuscì ad abbracciarlo, anche se l'abitacolo era un luogo scomodo e poco adatto alle dimostrazioni di affetto e d'amore. «Ce la faremo. Dobbiamo solo restare uniti.»

Tempo attuale

Odiava vedere Rogue su quel letto d'ospedale. Odiava il suono costante e monotono di quelle maledette macchine che al momento tenevano in vita il suo compagno, ma non abbastanza da riportarlo da lui, da farlo svegliare.

Il bel viso dello sceriffo Peterson era sciupato, quello di un uomo che non dormiva più, che stentava a voler mangiare e a mantenere un aspetto decoroso.

I suoi occhi si consumavano, giorno dopo giorno, nella disperata attesa di vedere finalmente quelli del suo amato riaprirsi.

A stento distolse lo sguardo e incrociò quello del medico. «Che... che cosa?» fece distratto.

Il dottore, capendo la situazione, non lo biasimò per non aver ascoltato. «Dicevo che... se la situazione del suo compagno non dovesse variare, c'è anche la possibilità che perda il bambino. È accaduto che persone in coma siano in qualche maniera riuscite a portare avanti una gravidanza fino alla fine, in quel caso venendo operate tramite cesareo, ma altre... beh... sono andate incontro a un aborto e non sappiamo se le cure alle quali stiamo sottoponendo il signor Westling potrebbero danneggiare il feto. Le sto dicendo che deve prepararsi anche alla possibilità che uno dei due non ce la faccia o che il bambino non arrivi mai a nascere.»

Alla fine c'erano riusciti. Erano riusciti a realizzare il loro sogno di costruire una famiglia e Rogue, quando gli aveva mostrato l'ultima ecografia che ritraeva un feto di tre mesi accoccolato dentro il suo grembo, gli aveva sorriso raggiante, così tanto che gli era parso ringiovanito di dieci anni. James si era impegnato a far combaciare i turni del lavoro con la costruzione della cameretta che aveva deciso di eseguire personalmente. Avevano scelto di non sapere fino all'ultimo il sesso del nascituro e per sicurezza stabilito di riservare al piccolo un corredo bianco e una cameretta dall'arredamento del medesimo colore. Il bimbo era sano, era forte, non c'erano stati problemi finché, una sera, mentre tornava dal lavoro, Rogue non era stato aggredito ed era andato in coma.

Quando la vita aveva deciso di sorridere a entrambi, ecco che l'ennesima disgrazia si era abbattuta su di loro. James iniziava a credere di essere stato maledetto da quella stronza di sua madre per essere scappato di casa e aver voltato le spalle alla famiglia.

E ora... ora ecco che quel medico lo aveva messo di fronte alla possibilità di dover perdere Rogue, il figlio non ancora nato o addirittura entrambi.

Se solo le sue speranze non fossero state ancora così radicate dentro di lui, avrebbe preso una pistola e si sarebbe sparato in testa. In fin dei conti il suicidio era un patrimonio di famiglia, no? Sua sorella era stata la prima e lui, di quel passo, forse l'avrebbe seguita a ruota.

Si asciugò le guance, così scavate e pallide. «Salvateli entrambi. Non mi importa come o cosa richiederà. Se serve un miracolo, allora fatelo! Non mi piacciono le mezze misure» replicò infine, la voce che stentava a restare calma e bassa. Aveva voglia di urlare, di spaccare tutto quello che lo circondava, di piangere, di rintanarsi da qualche parte, lontano da tutto il dolore, dalla sventura che lo perseguitava. «Salvateli o non so come potrei reagire» aggiunse a denti stretti. Rivolse un ultimo sguardo disperato al compagno che oltre il vetro giaceva nel letto, il ventre ancora poco visibile, ma con all'interno il loro unico figlio che cresceva e aspettava di venire al mondo, senza sapere che forse ciò mai sarebbe accaduto.

Rogue è forte. Ce la farà. Ce la faranno entrambi.

Senza guardare il medico, si allontanò.

Si sedé di fronte a quello che era probabilmente il suo migliore amico numero uno e gli allungò il bicchiere di carta. Aveva il coperchio con un foro in cima dal quale si poteva berne il contenuto e quest'ultimo era caldo e fumante.

«Ne ho preso uno anche per te. Ne hai bisogno, Drew, si vede da un miglio.»

Thorne mormorò un rauco ringraziamento e si versò in gola un sorso di caffè. «Mi ci voleva proprio.» Abbozzò un sorriso che parve tuttavia forzato. Era pallido e visibilmente stanco, e James sentiva che non era solo per il lavoro e lo stress generale.

«Com'è andata a finire con quella persona di cui abbiamo parlato un paio di sere fa?» chiese lo sceriffo. «Ci sono stati progressi?»

Andrew scosse il capo. «No. Ho provato a parlargli, sono persino andato da lui, ma non vuole starmi a sentire. Crede che il mio non sia un dispiacere autentico. Lui... è un tipo particolare, James. Ne ha passate troppe, temo.»

James sospirò. «Il gatto è fuori dal sacco, Drew. Si tratta del ragazzo del Black Dahlia, vero?»

«Sì, esatto. Ma come...»

«Come ho fatto a capirlo? Non sono nato ieri. Sapevo sin da quando ti ho visto fissare per tutta la sera quel tipo che non te lo saresti tolto dalla testa neppure se ti avessero minacciato con una pistola. Non sei solito lasciar andare facilmente ciò su cui metti gli occhi. Ricordo che ti capitò di restare folgorato fino a questo punto solo con... cavolo, com'è che si chiamava?»

«Dylan.»

«Già, lui. Brutta storia, però diavolo se ti fece girare la testa! Non facevi che parlare solo di lui. Io e Brian a un certo punto fummo a tanto così dal voler farci saltare le cervella con una pistola! Eri insopportabile!»

«Fottiti.» Andrew si sistemò meglio sulla poltrona e si rilassò contro lo schienale. Tamburellò le dita sulla scrivania. «È il tuo turno, sceriffo Peterson. Cosa bolliva in pentola fra te e Rogue, prima che lui venisse aggredito?»

«Prego?» James, per prender tempo, sorseggiò il proprio caffè.

«Non prendermi per il culo. Ultimamente sembravi timbrare il cartellino e non facevo quasi in tempo a salutarti che già eri pronto per tornare a casa. Tra l'altro, l'ultima volta che ho visto Rogue... come dire... sembrava aver messo su un po' di peso. Sai che fra me e lui non ci sono peli sulla lingua, è diventato un fratello per me come lo sei sempre stato tu, e alla fine non ho resistito al farglielo notare. La sua risposta è stata molto schiva e confusa, decisamente non nel suo stile. Pareva in difficoltà, aveva il viso più rotondo e portava al polso un braccialetto che molti in gravidanza utilizzano per farsi passare la nausea.»

James deglutì e ingoiò del caffè. «Colpito e affondato.»

«Com'è possibile? Voglio dire... Rogue non è un Beta? I Beta sono quasi del tutto sterili, almeno nel novanta per cento dei casi! Siamo davanti a un concepimento miracoloso!»

«Un miracolo, certo, ma non nel senso che credi tu.»

«Ossia?»

«Rogue in realtà è un Omega, ma... insomma, sai che è nato nella terra d'origine dei suoi genitori e laggiù essere un Omega rappresenta un'onta, come lo è per noi la faccenda dei calasma, degli... insomma, scarti di nidiata. La sua famiglia scelse di farlo registrare come un Beta per dargli una vita migliore, poi però dovettero trasferirsi qui per motivi di lavoro quando lui aveva due anni. Rogue ha vissuto per tanti anni facendo credere a tutti che è un Beta, incapace di togliersi di dosso completamente la concezione che hanno i suoi connazionali degli Omega, ma poi... poi ha conosciuto me, ci siamo messi insieme e... beh, non mi ci è voluto tanto per capire che era troppo esile per essere un Beta. Voglio dire, gli Omega li si riconoscono subito! Potresti prenderli e portarteli in tasca, tanto sono mingherlini! Comunque... due anni dopo esserci fidanzati abbiamo iniziato a provare ad avere dei figli, ma niente... non arrivavano mai, nessuna gravidanza, neppure un aborto. Niente. Un po' di tempo fa stavamo per iniziare una cura, volevamo ricorrere ai metodi artificiali e più aggressivi. Rogue ha trentasei anni, dopotutto, e non voleva più aspettare, e come sai non si può adottare se non si è sposati legalmente. Eppure... è come se finalmente gli dèi ci avessero ascoltati e avessero deciso di aiutarci a risparmiare un bel po' di soldi. Avremmo dovuto sborsare cifre assurde per la cura, ma poi lui, tre mesi fa... una sera venne da me. Ero nel mio studio, mi ero portato a casa del lavoro e ricordo che stavo battendo a macchina un rapporto. Lui mi sorrise e...», James sbuffò una risata. Aveva lo sguardo lucido. «Da dietro la schiena tirò fuori e mi mostrò una piccola scatola decorata. La aprii e vidi due minuscole scarpette da neonato bianche. Cazzo, fu come se qualcuno mi avesse dato un colpo in testa, te lo giuro! Pensavo di aver capito male, ma lui mi disse che sì, finalmente saremmo diventati genitori. Decidemmo di non dire niente a nessuno finché Rogue non fosse stato in là con la gravidanza. Era per scaramanzia, considerando la nostra situazione, ma poi... poi lui è stato aggredito. Mi hanno detto che non sanno se riusciranno a salvarli tutti e due, non sanno se sopravvivranno. Nessuno sa un cazzo di niente e lui è là, su quel letto d'ospedale, con nostro figlio che cresce dentro di lui ignaro dell'inferno che si è scatenato in città. Volevo... volevo che la sua fosse una gravidanza felice, che non gli mancasse niente. Non sai quanto ero contento quando lo vedevo sorridere. Era... era pieno di gioia, euforico, sprizzava vita da tutti i pori. Eravamo riusciti a realizzare il nostro sogno più grande e adesso... adesso potrei perdere tutti e due.» Lo sceriffo sbuffò una risata tetra. «Sai quanto ci godrebbero quei due stronzi se qualcuno andasse da loro e gli dicesse che quel buono a nulla di James è a tanto così dal diventare il fallito che sempre hanno pensato che fosse. Già li vedo a sfottermi e a commentare che in fin dei conti c'era da aspettarselo! D'altro canto, sono il gemello della loro figlia che anche dopo la morte hanno continuato a definire pazza e svergognata!»

Peterson si passò una mano sotto gli occhi con rabbia malcelata.

«Da quando è successo, io... n-non faccio che chiedermi perché non sia accaduto a me! Voglio dire, sono un poliziotto! La mia vita è sempre in pericolo! Ogni volta che esco di casa potrebbe essere l'ultima che ho varcato quella soglia! Perché allora non è successo a me? Perché a lui? Perché a loro? Mi sento in colpa! Sento di non aver lavorato abbastanza duramente per rendere questa città un posto sicuro per la mia famiglia, quella che ho faticato per costruire e che amo con tutto me stesso!»

Andrew decise che era meglio fermarlo e cercare di farlo calmare. Gli sembrava sul punto di una crisi di panico o di un crollo nervoso, o ancora ambedue le cose. Si sporse e gli strinse un braccio. «Ehi, ehi! Non dire cazzate, va bene?» Gli sembrava quasi di rivedere il ragazzo fragile che un tempo James era stato prima che avesse finito per costruirsi addosso un'armatura, un muro che lo proteggesse e riparasse dalle avversità. «Lui non vorrebbe che tu pensassi certe cose e... ce la farà, chiaro? Ce la faranno tutti e due. Rogue è una persona forte e con genitori come voi, vostro figlio non può esser altrimenti. Ehi! James? Guardami!» Appena ebbe i suoi occhi puntati nei propri, aggiunse che sarebbe andato tutto bene. «Se la caveranno, Jay.»

Sperava solo di non sbagliarsi.

Il capitano Jones non riusciva a credere ai propri occhi.

«Porca puttana» si lasciò sfuggire sottovoce, restio a sfogliare il resto delle fotografie scattate dal detective Thorne. «Tutto questo è stato sotto il nostro naso per tutto il tempo e non ce ne siamo accorti fino ad ora.» Quella storia avrebbe rovinato tutti quanti, soprattutto lui, ma un altro tarlo lo stava tormentando: perché il governatore Reger non aveva voluto far ispezionare l'edificio abbandonato vicino al quale era stato ritrovato il cadavere smembrato di Rachel? Aveva detto che non ce ne sarebbe stato bisogno, che quel posto cadeva ormai a pezzi e non vi sarebbe stato alcun motivo valido per entrarci, per controllare la struttura.

Un sospetto folle, stupido e insensato lo corrodeva, un sospetto che lo aveva appena portato a credere che Reger non avesse voluto appositamente permettere a lui e ai suoi uomini di ficcanasare nell'edificio.

Non aveva senso, ovviamente, e odiava ammettere di star dando ascolto al fantomatico istinto, lo stesso che lui aveva detto a Thorne di lasciar perdere. Tale istinto gli sussurrava di scavare nella faccenda, di chiedere spiegazioni e non dar modo al governatore di cogliere il giusto pretesto per mettere lui per primo alla gogna, ma come poteva assecondare qualcosa di così irrazionale?

Erano dubbi privi di fondamento, semplici speculazioni, forse un accenno di vago complottismo che mal si sposava con la mente pratica e affezionata alla logica del capitano Jones.

Lo erano, sì, ma nel silenzio di quell'ufficio illuminato dai primi spenti bagliori dell'alba urbana, sembravano perfettamente plausibili e giustificati, anziché sciocchi.

Rinunciò a guardare il resto delle polaroid. Non ne aveva lo stomaco e la nausea mattutina lo stava già abbastanza crocifiggendo.

«Bene. A quanto pare qualcuno sembra aver avuto la malsana e imbecille idea di avvelenare in qualche maniera gli Alphaga Predatori e indurli a una pazzia assassina.»

Thorne aveva scovato, nelle viscere sotterranee di un vecchio ospedale in disuso, un autentico laboratorio che avrebbe gareggiato con il set di un film dell'orrore con denotazioni fantascientifiche.

Improvvisamente la prospettiva di dover dimettersi in maniera definitiva non gli pareva più così orrenda e impraticabile. Diamine, quando era diventato una matricola non gli sarebbe mai e poi mai passato per l'anticamera del cervello che un giorno si sarebbe ritrovato ad aver a che fare con una situazione del genere. Non si era aspettato che tutto sarebbe sempre filato liscio, ma neanche... quello. Era roba che andava oltre i suoi potenziali.

«Vaffanculo. Io ho chiuso.» Non si accorse di aver pronunciato quelle parole ad alta voce finché Thorne non chiese delucidazioni in merito ad esse. Jones respirò profondamente. «Mi faranno a pezzi: il governatore, il re, l'opinione pubblica, l'intera, maledetta popolazione di Eutopia. Lo faranno eccome e... beh, non intendo restare inerme mentre attendo il capestro.»

Andrew si convinse di aver sentito male. «Uhm, vedo che... vedo che è in vena di scherzi» commentò incerto. «Scherza, vero?»

«Ti sembro uno a cui piace scherzare, Thorne?» chiese di rimando Jones. «In quel dannato scantinato degli orrori ci sono tante di quelle schifezze, che qualsiasi mia giustificazione sembrerebbe solo un modo come un altro per pararmi il culo mentre il resto della città mi accusa di negligenza, e molto probabilmente anche di un lieve accenno di stupidità. Stronzo sì, ma coglione e incapace no, cazzo. Non ci sto.» Come minimo lo avrebbe atteso un'inchiesta con tanto di processo. Era la prassi quando accadevano casini grossi, talmente enormi da non poter essere minimamente schivati. Non riusciva a immaginare cosa avrebbero fatto il governatore e il procuratore distrettuale di Eutopia quando sarebbe scoppiato tutto quanto. In situazioni del genere spesso veniva scelto un capro espiatorio in modo che il resto delle forze dell'ordine potesse uscirne più o meno indenne, e chi meglio di uno come lui che già partiva in svantaggio in quanto Omega? L'integrazione sociale e i conseguenti programmi atti a incoraggiarla non erano che una facciata buonista. Nella vita reale e quotidiana la faccenda era ben diversa. La discriminazione c'era ancora, ci sarebbe sempre stata.

Il detective fece per parlare e dire che, secondo il suo onesto e umile parere, era troppo presto per fasciarsi la testa a quella maniera, e che comunque non era di certo colpa della polizia se in giro c'era qualcuno intento a compiere simili atti di terrorismo, se così poteva esser definita quella storia.

«Nessuno immaginava che...»
«Certo, nessuno lo immaginava, ma io avrei dovuto insistere. Avrei dovuto dire ai miei uomini, quella sera e nei giorni successivi, di fare un sopralluogo in quel dannato ospedale.»

«E allora perché non ha agito così?»
«Perché è stato Reger a dirmi che avrei solo perso tempo. Mi disse che sarebbe stato come andare a caccia di farfalle, se ti è chiara la metafora.»
«Ma allora perché mai dovrebbero incolpare lei?» Andrew non capiva. Più tentava di farlo e meno ci riusciva.

Jones alzò gli occhi al cielo. «Forse una delle mie ultime azioni come capitano sarà di spedirti sul serio a gestire il traffico davanti a una scuola elementare» commentò tagliente. «È quasi evidente che Reger non voleva che io andassi a indagare dentro quell'edificio. Insisteva tanto che alla fine, ripensandoci, inizio a fare due più due, e se avessi veramente ragione... beh, è chiaro che lui negherà di avermi detto di non perlustrare l'ospedale lì vicino. Non c'erano altri testimoni. La mia parola contro la sua, contro quella del governatore di Eutopia, un pezzo grosso. Una battaglia persa.»
Forse era paranoico, ma aveva l'impressione che Reger avesse in qualche maniera voluto infinocchiarlo. Lo aveva manipolato, ecco qual era il punto, e lui come uno stupido c'era cascato.

Scosse la testa. «Devo comunque informarlo degli ultimi sviluppi prima che qualche gola profonda dell'ultimo minuto decida di informare i nostri cari fratelli armati di taccuino e cinepresa. Salterà fuori tutto quanto. Anzi, salterà in aria come un petardo.»

«Secondo me... se le cose stanno come pensa lei... non dovrebbe dirglielo» si azzardò Thorne. Aveva una brutta sensazione sul conto di quella faccenda. Sentiva che era sbagliato coinvolgere Reger fino in fondo. «Non gli dica niente. Continuiamo con le indagini e basta.»

«Sciocchezze. Non riusciremmo a fare che pochi passi prima di venir ripresi dal paparino del cazzo per aver agito senza il suo permesso e senza avergli riferito alcunché. Francamente non muoio dalla voglia di offrirgli un altro bastone col quale farmi fare la fine della pignatta. Ci tengo a specificare, Thorne, che i miei sono solo sospetti infondati. Forse Reger davvero riteneva inutile gironzolare per quell'edificio alla ricerca di indizi.»

«Lei ha appena detto che insisteva. Ha fatto pressioni pur di impedirle di agire come da prassi.»

Jones esitò. «È un tipo zelante, dopotutto, e odia tirare troppo per le lunghe, specie se si tratta di un'indagine di tale calibro. Non converrebbe neppure a lui sollevare un simile polverone.»

«Lo dice perché lo pensa o solo perché il governatore le fa paura?»

Il capitano della polizia restrinse lo sguardo e si alzò lentamente dalla seggiola, le mani sulla scrivania. «Come, prego?» domandò gelido, una nota vagamente minacciosa nella voce.

Andrew preferì, con molta saggezza, non ripetere. Jones, però, non gliela lasciò passare. «Come cazzo ti permetti?» chiese di nuovo. «Per caso il distintivo nuovo di zecca ti ha spinto a credere che potevi aprire bocca senza badare alle conseguenze delle stronzate che ne escono fuori? Se è così, Thorne, allora ti consiglio di rivedere i tuoi diritti in quanto detective di questo dipartimento, prima che decida di sbatterti in faccia un richiamo disciplinare o addirittura sospenderti. Sono stato chiaro?»

Andrew per l'ennesima volta agì in maniera stupida, seppur in cuor proprio consapevole che una volta o l'altra sarebbe dovuto accadere. Si alzò a sua volta e fronteggiò il proprio capo. «Nel caso le fosse sfuggito, signore, sto solo cercando di darle una mano e di ricordarle che ha un compito principale al di sopra del governatore e dell'opinione pubblica: fermare ciò che sta accadendo e riportare all'ordine la città. Ci sono migliaia e migliaia di persone in pericolo là fuori, persone la cui sicurezza è stata affidata a lei e a nessun altro!» Di certo Jones non era rimasto fino ad allora in attesa che lui arrivasse a rinvigorire il suo senso del dovere, ma ogni tanto era d'obbligo per tutti ricevere uno schiaffo morale. «Che ne è stato di uno dei detective più ligi al dovere e alla difesa dei più deboli, dei cittadini senza voce e senza diritti? Una volta si batteva per chi non aveva la possibilità di farsi valere e di farsi ascoltare da chi comanda a Eutopia e ora sta qui a dire di voler scappare con la coda fra le gambe mentre la città è in preda al caos? Io spero veramente che lei stia solo scherzando!»

Con sua enorme sorpresa, il capitano della polizia non si scompose né batté ciglio. Con una calma quasi glaciale si allontanò dalla scrivania, la aggirò e si diresse alla porta dell'ufficio. «Vado a parlare con Reger. Non fare niente di avventato finché non sarò tornato e se ci sono problemi, se succede dell'altro, fa' in modo di avvisarmi in qualche maniera.»

Thorne avrebbe voluto dirgli che era un vigliacco, che non era assolutamente qualcuno da prendere da esempio, ma si morse la lingua, lo fece appena in tempo per udire Jones aggiungere, senza che quest'ultimo si voltasse: «Se non dovessi tornare, non fare niente a riguardo e prosegui con le indagini. Metti fine a questa storia. Devo ripetere o sono stato cristallino?»

Andrew si accigliò. Non aveva compreso affatto quelle parole così criptiche e sibilline. «Che significa? Dove...»

«Sono stato chiaro o no?»

Il detective tacque, poi: «Non sta semplicemente andando a riferire del laboratorio al governatore, giusto?» chiese prudente.

Realizzò che non erano affatto quelle le intenzioni del capitano. Aveva in mente qualcos'altro, ma per qualche motivo aveva la vaga impressione che non vi fosse da gioirne un granché.

Jones, tuttavia, non rispose e uscì.

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