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乇ㄩㄒㄖ卩|卂 || Ep. 8. Una lunga notte






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Finì di infilarsi la maglietta nera e a maniche lunghe, poi si voltò a guardare il ragazzo mentre si allacciava i jeans. «Assolutamente no!» decretò duramente, quasi stizzito. «Che cazzo, Lexie! Neanche avessi detto che sto per andare a spassarmela o a fare un picnic!»

Il giovane Omega lo squadrò con un cipiglio contrariato che lo rendeva però adorabile. «Pensi che non sappia cosa c'è in ballo e quanto potrebbe essere pericoloso? Lo so, Andrew, ma non ne posso più di stare con le mani in mano! Se non altro mi renderò utile! Ti prego!» 

Drew distolse lo sguardo, non volendo farsi intenerire né sviare. «Ripeto: no. Tu resti qui, al sicuro, e io vado a fare il mio dovere.»

«Ah! Questa è buona!» esclamò Lexie, infervorandosi. «Stai per violare di nuovo il coprifuoco e oggi non dovresti lavorare né andare in giro, a rigor di logica!»

«Appunto non voglio che tu segua il mio esempio.»

«Stronzate.»

Drew si avvicinò. «Non posso rischiare. Ti prego, cerca di capire. Non voglio saperti là fuori insieme a me e possibilmente in pericolo. Se vuoi aiutarmi, resta qui e aspetta che ritorni.»

«Già. Rimango qui a rigirarmi i pollici mentre l'uomo dal quale forse aspetto persino un figlio si trova chissà dove a rischiare la vita. Bel quadretto del cazzo, Thorne. Sul serio. Dammi un minuto e lo incornicio, almeno sarà più facile prenderlo e sbattertelo in testa.»

«Lexie...»

«Ricordo da solo il mio nome, grazie tante!»

«Non darmi altre preoccupazioni. Ti chiedo solo questo.»

«Tu invece non esiti a darmene un quintale intero. Ho la schiena fragile, sai?»

«Sto solo cercando di risolvere questa faccenda. È il mio lavoro.»

«Davvero? E se facessi una soffiata al tuo capo e gli dicessi che stai violando il coprifuoco e lavorando fuori dall'orario di servizio? Dici che si incazzerebbe? Vogliamo provare?»

«Punto primo: non lo faresti mai. Punto secondo: ti direbbe che in una situazione del genere i protocolli normali non valgono più. Punto terzo: non ti crederebbe, e sai perché? Perché sa che io so che se dovesse beccarmi in flagrante o a sgarrare in qualsiasi altro modo, come minimo mi sviterebbe la testa come un tappo di sughero. Non mi ritiene abbastanza stupido e temerario da testare di nuovo la sua pazienza, e il mio vantaggio sta proprio qui.»

Lexie lo squadrò infastidito. «Ti odio» sentenziò, incrociando le braccia e guardando altrove con ostinazione. 

Andrew gli passò accanto e gli baciò una guancia al volo. «Finché non si tratta di indifferenza, mi va bene tutto da parte tua» disse sogghignando. «E poi dai... sei un Omega di un metro e sessantotto scarso, pesi al massimo cinquantacinque chili e...»

Lexie gli assestò una sberla sul torace. «Quarantanove, stronzo! Quarantanove cazzo di chili che tra un secondo ti piomberanno addosso come la collera divina per strapparti gli occhi dalle orbite se ti azzarderai a ripetere che sono grasso! Sei un carciofo!»

Drew serrò le palpebre, infastidito dal tono di voce decisamente alto e squillante dell'Omega. Un po' lo detestava quando sbraitava a quel modo. «Quello che sia. Il punto è che in caso le cose si mettessero in male in qualche maniera, finiremmo male sicuramente tutti e due.»

«So difendermi, sai? Le apparenze ingannano.»

«Non voglio che tu debba arrivare a farlo.»

«Ormai nessun posto è più sicuro, Andrew! Non tornare alla carica con la storia del dover restare qui in campana!» Lexie lo guardò uscire dalla camera e ignorarlo sì e no apertamente. Lo seguì. «Parlo con te, Andrew Thorne!»

Il detective si fermò e sospirò, guardandolo. «Lo so, ma non voglio ripeterti tutto di nuovo. Non verrai con me e non voglio discuterne oltre.»

Mi sottovaluti perché non sono come te e sembro piccolo e innocuo, ma ti sbagli. A volte sono le persone piccole ad avere la meglio sui problemi più grandi, pensò frustrato il ragazzo. 

Non era giusto che Andrew non volesse dargli neppure un'occasione. Era come se non lo ritenesse all'altezza di aiutarlo, di essergli utile, e questo... questo un po' gli faceva male. Un po' tanto, anzi.

Lo vide chinarsi per baciarlo un'ultima volta prima di uscire, ma volse altrove il viso e celò così lo sguardo lucido. Era troppo arrabbiato con lui in quel momento. Arrabbiato e offeso da quella mancanza di fiducia.

Thorne decise di non insistere. «Ci vediamo quando torno, va bene? Se vuoi va' pure a riposare, penso che mi ci vorrà un po'.»

«Come se potessi chiuder occhio con te che stai in giro a farti forse scannare da un altro predatore.»

«... e tanti saluti all'ottimismo.»

«Non sono ottimista per natura e adesso, Andrew, lo sono ancor meno. Là fuori c'è il terrore e il silenzio, neanche fossimo al cimitero. Beato te che riesci a essere ottimista!» sbottò il giovane Omega. Fece un respiro tremante e agitò le mani. «Vai, adesso. Fallo o giuro che ti incateno, così almeno ti impedirò di rischiare la vita.» Sgusciò via dal tentativo di Andrew di stringerlo e tornò in camera sbattendosi dietro la porta.

Drew sospirò. Forse era meglio lasciare a Lexie un po' di spazio, almeno per il momento.

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Andrew fece un respiro profondo e si guardò in giro un'ultima volta. I suoi occhi verdi, abituati al buio della notte, non videro anima viva. Premurandosi di aver prima indossato i guanti per evitare di lasciare impronte, sollevò una mano, afferrò il pomello della porta e lo girò. Non era chiuso a chiave, naturalmente. C'erano le transenne, ma ben allenato com'era per lui fu un gioco da ragazzi strisciare sotto i nastri della polizia e intrufolarsi dentro, proprio come quando all'accademia tante volte nelle esercitazioni gli era stato chiesto di avanzare supino sul terreno.

Richiuse piano la porta e si pulì gli abiti.

L'appartamento era freddo. Il tipico gelo dell'assenza.

La polvere aveva iniziato a sedimentarsi ovunque, ve n'era un leggero strato un po' dappertutto e alla luce della luna che filtrava dalla finestra proprio in fondo al diritto corridoio principale, delle minuscole e traslucide particelle vorticavano nell'aria.

Si fermò per un attimo accanto al mobile dove v'era un telefono fisso affiancato da tre cornici con all'interno delle fotografie. In tutte e tre vi era un elemento comune: Rachel, ben diversa dai resti che la polizia aveva rinvenuto. Quel viso bello e innocente, che ispirava dolcezza, era ormai un mero ricordo. La cosa che più mise i brividi a Thorne fu il confronto con gli occhi che stava guardando e quelli che nessuno gli avrebbe mai strappato dai ricordi e dagli incubi: quelli di un cadavere in decomposizione, opachi e brulicanti di moscerini, in parte divorati dagli insetti mangiatori di cadaveri.

Il cuore gli si sedimentò in gola alla vista, in una delle fotografie, di una piccola famiglia formata da Rachel, da quello che doveva esser stato il suo compagno e una bambina che all'epoca non doveva aver avuto più di un anno. Una famiglia che non esisteva più ed era stata distrutta per sempre e quella stessa bambina, Nadia, sarebbe cresciuta orfana. 

Non ce la fece oltre a guardare quelle fotografie e decise di passare oltre e di iniziare a esaminare una stanza dopo l'altra.

Cercò, cercò e cercò, ma niente. A quanto pareva, qualunque cosa fosse potuta sembrare di utilità era già stata requisita e catalogata. 

Eppure lui sapeva che doveva esserci qualcosa. Se lo sentiva nelle ossa. Doveva solo cercare più a fondo.

Andiamo, Rachel! Dovrai pur aver lasciato qualcosa, un indizio o una traccia! Era un segreto così importante che ti ha persino fatta andare nella tomba!

Sospirò e si ravviò i capelli. Faceva un caldo soffocante e in più l'aria era viziata, sapeva di chiuso e di polvere. 

«Cazzo» sbuffò a bassa voce il detective, tergendosi col dorso della mano la fronte sudata. Mise le dita sui fianchi e si guardò attorno, passando in rassegna il piccolo soggiorno. 

Se lui fosse stato una giovane ragazza Omega con un segreto mortale da custodire e temere, che cosa avrebbe fatto?

Beh, a rigor di logica sarei andato dalla polizia, pensò sarcastico. Ricordò tuttavia il primo incontro con Lexie e gli altri del Black Dahlia, il loro atteggiamento schivo e ostile, la loro sfiducia nelle autorità di Eutopia. Se avesse dovuto ragionare con la loro ottica, di certo non sarebbe andato dalla polizia, considerando cos'era accaduto quando Lexie e Zelda avevano tentato di denunciare la scomparsa di Rachel.

Avrei contato sulle persone che più mi erano vicine, continuò a riflettere. E questo mi riporta a Zelda, la sua amante, e a Lexie, ma sono di nuovo a un punto morto. Non è mai arrivata a dire loro cosa la stava angosciando. È stata uccisa prima.

Ciò poteva significare che qualcuno l'aveva scoperta. Qualcuno l'aveva tenuta d'occhio e quando si era reso conto che lei sapeva, che in qualche maniera aveva ficcanasato troppo e negli affari altrui sbagliati, l'aveva messa a tacere.

Di nuovo non poté non ricondurre i propri sospetti a Logan Durby. Era abbastanza influente e scaltro da poter far sparire chiunque senza che la polizia o altri ficcassero troppo il naso. Perché avrebbe dovuto, però? Perché aveva zittito per sempre una povera ragazza che in quel locale faceva il lavoro da contabile? E Rachel da chi aveva appreso tale segreto? Forse aveva spiato una conversazione sospetta e udito qualcosa?

Tutto era partito da lì, dal Black Dahlia, inutile girarci attorno.

I suoi pensieri vennero bruscamente frenati da un rumore lieve e sordo. I suoi sensi subito captarono la presenza di qualcun altro all'interno dell'appartamento e la sua mano corse rapida alla pistola nella fondina. La sfilò e la puntò davanti a sé, procedendo con cautela, attento a non fare rumore. A volte essere un Alphaga dalla forma alternativa di un felino aveva i suoi vantaggi, come un passo rigorosamente felpato e fermo.

Fuori dal soggiorno, sul pavimento dell'ingresso, vide un'ombra oscurare il riverbero argenteo della luna.

Non esitò un attimo e uscì allo scoperto. Un attimo dopo, tuttavia, con aria smarrita abbassò l'arma e sbatté le palpebre. Due istanti più tardi rimise la pistola nella fondina e bestemmiò. «Ma che cazzo!» sbottò poi. «Mi hai fatto venire quasi un infarto! Fanculo!» Appena realizzò fino in fondo chi aveva davanti, la rabbia aumentò. «Ti avevo detto di restare a casa o sbaglio? Che diavolo ci fai qui? Fuori le vie sono pattugliate!»

Lexie inarcò un sopracciglio e abbassò le mani che aveva sollevato quando Thorne era balzato fuori come un fantasma. Lo spavento era stato più suo che di quel poliziotto nevrastenico, sinceramente.

«Seriamente, Andrew?» chiese, senza scomporsi. Pose le mani sui fianchi. «Per la milionesima volta: sono cresciuto per strada. Ho imparato a tredici anni a farla in barba ai poliziotti e alle tue adorate pattuglie.»

«Stai comunque infrangendo la legge!»

«Già, disse quello che a sua volta si trova in giro dopo il coprifuoco e senza autorizzazione. Sei davvero convincente.»

«Io sono un detective!»

«Io una ex-baldracca che ha un debole per un detective imbecille. Giochiamo a chi è messo peggio? Ti avverto che sono in vantaggio.»

Andrew gli si accostò e gli afferrò un braccio con poca grazia, trascinandoselo appresso verso la porta. «Tu ora vieni con me e torniamo a casa, e poi giuro che aspetterò lì finché un mio collega non verrà a controllarti mentre sono fuori. Punto e basta!»

Lexie puntò i piedi sul pavimento come un mulo recalcitrante. «Cosa? No!» esclamò querulo, cercando di liberarsi. 

«Non fare le bizze, per favore! Su, andiamo!»

L'Omega sentì montargli dentro una rabbia senza nome e prima di poter rendersi conto di cosa stava facendo, già lo aveva fatto: mollò un calcio su una gamba al detective e riuscì così a sfuggire alla sua presa, poi gli diede un ceffone. Andrew lo guardò scioccato. «Ma sei impazzito?» esalò. In sé per sé i due colpi non avevano fatto male quasi per niente, ma era stato il gesto a lasciarlo di sasso e a ferirlo. Guardò il ragazzo scostarsi i capelli dall'occhio sinistro e sollevare il viso in una posa quasi fiera, seppur furibonda. Lexie gli fu di nuovo vicino e sollevò un indice davanti alla sua faccia. «Ficcati bene in quella testa cosa sto per dirti, Thorne: io non sono una creaturina debole e inerme che puoi prendere e piazzare sul caminetto come e quando cazzo ti pare, va bene? Non sono una bambolina di coccio che rischia di rompersi se cade a terra! Non sono il tuo animaletto domestico che lasci a casa e che ti corre incontro appena torni, e uggiola e piange quando invece te ne vai! Non sono la fottuta principessina da rinchiudere in una torre per il suo stesso bene in attesa che arrivi quell'idiota del principe azzurro a salvarla e a uccidere il drago! Io il drago so ammazzarlo da solo, ho imparato a farlo da quando ero un ragazzino!»
Un altro passo avanti.
«Sono stanco di dar retta a tutto ciò che l'Alfa cazzone di turno dice! Sono stufo di fare come vogliono gli altri perché, secondo loro, è solo per il mio bene! So da solo cosa è o meno per il mio bene! Sono adulto e consapevole di ciò che sono! Fate tutti la voce grossa, ma poi quando siete nel letto di quelli come me vi riducete a bambini lamentosi che morirebbero pur di essere sfiorati da noi! Siamo noi ad avere il controllo in quel momento, e questo dovrebbe farvi riflettere tutti quanti! Non siamo noi i veri deboli, ma voi! E io non sono solo quello che ti cavalca l'arnese e poi resta a casa a fare la brava mogliettina in attesa che ritorni! Non ti permettere più di trattarmi come se avessi dieci anni e fossi un bambino rincretinito! Ho atterrato stronzi più grossi di te, Thorne, ed è stata sufficiente un po' di furbizia! Essere piccolo e mingherlino mi è sempre tornato utile, e non solo a me!»

Andrew non ebbe il coraggio di aprir bocca. Era stato sì e no rimesso in riga come un soldato. 

Ciò che sul serio lo aveva lasciato a bocca aperta, era l'aver rivisto negli occhi di Lexie lo stesso sguardo fiammeggiante e ardente di stanchezza e di rabbia repressa che aveva scorto in quelli di Jones, forse anche in quelli di tanti altri Omega come loro. Sguardi che nessuno aveva mai realmente ascoltato. Sguardi che pretendevano parità fra i generi e rispetto.

Lexie si diede un po' di tono. «Ci torno a casa, ma a casa mia. Vaffanculo» disse sprezzante, squadrando l'Alfa dall'alto in basso con alterigia. «Credo che riuscirò a dormire senza troppe seghe mentali, dopotutto.»

Andrew gli fu appresso e cercò di fermarlo, ma il ragazzo si divincolò come un'anguilla e gridò stridulo, perdendo del tutto il controllo: «Non mi toccare, cazzo, non mi toccare!»
Sembrava davvero inferocito. «Ero venuto ad aiutarti. Conoscevo Rachel meglio di quanto facessi tu, ma sai cosa? Fai da solo. È ora che l'amore della mamma si decida a crescere! Fa' da solo, visto che sei così bravo!»

Drew di nuovo tentò di bloccarlo parandoglisi davanti e sollevando le mani. «Per favore... ti prego, Lexie... ti prego... scusami. Io... m-mi dispiace, sul serio. Ho sbagliato io, hai ragione, e mi dispiace. L-Lo so, sono uno stronzo, forse lo siamo tutti quanti.»

L'Omega restrinse lo sguardo. «No» sputò fuori, gelido. «Tu non sai un cazzo.» Lo superò con una spallata e colto da una collera che anziché diminuire non faceva che crescere, diede un calcio alla porta e finì per scardinarla. La superò con un balzo e sparì nel buio corridoio. Invano Andrew rimase dov'era, aspettando che tornasse indietro, che potesse perdonarlo. Non accadde.

«Chi mai sarebbe andato a pensare a una cosa del genere!» Il capitano Jones gettò sulla scrivania l'ultima fotografia che era stata scattata nell'appartamento di Rachel. Sembrava esser rimasto davvero colpito. «La ragazza, prima di uscire e di andare incontro alla morte, forse quasi sapendo che era braccata, ha deciso di scrivere sul muro con un pennarello indelebile delle informazioni e parti del segreto che l'ha infine uccisa, e tu hai pensato bene di controllare sotto la carta da parati che, a detta della sua amante, non era presente affatto l'ultima volta che si erano viste a casa della defunta. Hai visto che un angolo sporgeva e che era decisamente nuova rispetto al resto dell'ambiente in decadenza, e hai deciso di scavare a fondo.»

Andrew lanciò un'occhiata brevissima a James, il quale gli stava sorridendo sotto i baffi, chiaramente orgoglioso di lui.

«Peterson, togliti quel ghigno dal muso. Non siamo a una recita scolastica e Thorne non è il tuo fratellino minore che canta sul palco come uno scimunito.» Jones tornò a squadrare il detective. «Beh, ben fatto, anche se dovrei sospenderti dopo che ti sei permesso di agire quando non eri in servizio, di violare il coprifuoco e regole che sono imposte a tutti per la pubblica sicurezza, e soprattutto di aver fatto come ti pareva, come al solito. Dovrei farlo, ma non sarebbe giusto, perciò... per questa volta te la cavi e ne esci pulito, Thorne, ma guai a te se ti azzarderai ancora una volta a dare il cattivo esempio a questa maniera. Che non diventi un'abitudine, mi sono spiegato?»

Andrew annuì. «Sissignore. Ammetto di essere stato precipitoso e forse un po' troppo entusiasta, però... voglio dire... almeno abbiamo finalmente qualcosa di concreto fra le mani, no?»
«Lo stesso pretendo da te la massima serietà.» Il capitano della polizia decise di tornare alla questione più importante. «Da ciò che ho letto, salta all'occhio un indirizzo ben preciso. Hai già controllato?»

«No, signore. Prima volevo riferirle cosa avevo scoperto.»

«E questo è ciò che ti salva dalla sospensione dal servizio. Ad ogni modo, ora ti consiglio di tornare a casa e di riposare. Tra qualche ora potrai occuparti dell'indagine, ma finché il tuo turno non ricomincerà, gradirei che non andassi in cerca di altri possibili guai.» Jones si massaggiò le tempie, poi agitò una mano. «Per il momento è tutto. Quanto a te, Peterson, se te la senti ancora di lavorare, non posso di certo impedirtelo. D'altronde sei lo sceriffo e non è il momento adatto per nominare un tuo sostituto.» Li squadrò brevemente a turno. «Potete andare.»

James fece un cenno con la testa e uscì dall'ufficio, ma Andrew rimase dov'era. Il capitano sbatté le palpebre. «Ebbene?»
Il detective esitò. «Io... volevo chiederle scusa. Sa, per... per quello che è accaduto al municipio e...»
«Non so proprio di cosa tu stia blaterando, Thorne» lo interruppe Jones, impassibile. Era chiaro che non avesse intenzione di tornare sull'argomento.
«Non era mia intenzione umiliarla, volevo solo dare una mano e...»
«Sei ancora qui?»

Andrew si rese conto di trovarsi davanti a un muro di mattoni. Capì che quel che era stato fatto era ormai stato fatto e Jones, d'altra parte, non era uno che si guardava indietro o si perdeva nei meandri della dietrologia. Annuì e si decise ad abbandonare l'ufficio.

Vide James che era rimasto là fuori in attesa. Lo sceriffo gli si avvicinò. «Quando sei entrato avevi l'aria afflitta, anche se finalmente sei riuscito a scoprire qualcosa in più. Che succede?»

Thorne tacque. Non aveva detto niente a nessuno, neppure a James e a Brian. Nessuno sapeva della sua relazione con Lexie e non era sicuro se parlarne proprio in quel momento e proprio a un suo amico e collega che stava attraversando un momento buio e angosciante con la rispettiva e dolce metà, fosse una buona idea. Aveva bisogno di parlarne, ma non era certo di voler essere così egoista.

«Niente, è... è solo che questa storia mi sta un po' buttando giù, tutto qui. Forse i miei nervi iniziano a cedere, non saprei!»

Incrociò gli occhi cerulei di James e capì che non gli aveva creduto. D'altronde non era diventato sceriffo perché era tipo da credere sempre alle panzane che gli venivano propinate. Era sempre stato bravo a riconoscere i bugiardi, peggio di un segugio.

«Qualunque cosa ti tormenti, sai che puoi parlarmene. Lo so, a volte non sembro esattamente il tipo adatto ad ascoltare, in quello è Brian a essere un asso, ma sono tuo amico e di me puoi fidarti.»

Andrew si chiese perché non fosse riuscito fino ad allora ad aprirsi coi suoi vecchi amici su una questione che sapeva non avrebbero mai riferito ad altri. Si domandò poi se davvero ci fosse qualcosa da nascondere. Che gli importava? Non era il primo né l'ultimo a essersi preso una sbandata per un testimone che faceva parte dell'indagine in corso.

Dopo quanto accaduto tre ore prima, però, non era sicuro se valesse la pena dire la verità. Lexie gli era sembrato davvero, davvero arrabbiato. Diamine, aveva scardinato una porta con un calcio prima di andare via.

Si umettò le labbra. «È... È sbagliato, secondo te, voler proteggere a ogni costo una persona che ti piace da morire? Anche a costo di andare contro il suo volere? Di essere odiato?»

James sospirò. «Beh... c'è un limite a tutto. Se la persona che mi piace finisce per odiarmi e solo perché sto cercando di proteggerla, significa che non la sto proteggendo nel modo giusto e che dovrei forse tornare sui miei passi. Le persone, Andrew, non si proteggono tarpando loro le ali o limitando la loro libertà. Si passa dall'essere dei salvatori all'essere dei carnefici, così.»

Drew sospirò. «E se quella persona fosse talmente arrabbiata da non voler forse vederti mai più?»

Peterson incrociò le braccia. «Beh... con Rogue è successo. Avevamo litigato. Insomma... discutiamo spesso, più per colpa mia che sono uno stronzo, che per colpa sua. Cazzo, lui è un santo. Comunque, quella volta Rogue si arrabbiò sul serio e ci separammo. Non che siamo sposati davvero, ma è come se lo fossimo e quello fu per me una specie di divorzio. Durò una settimana, più o meno, e alla fine fui io a cedere per primo. Mi dissi ‟diamine, stupido coglione, torna da lui e chiedigli scusa, perché sai che senza di lui la tua vita non ha più senso". Tornai a casa e lui... lui mi aprì e ci abbracciammo, e bastò questo. Da allora, ripeto, litighiamo ancora, ma... come dire... lo facciamo con amore. Litighi ma sai di essere al sicuro, che non c'è problema, che a volte è normale e salutare discutere. Sai che non c'è pericolo perché ami la persona con cui stai litigando e sai che a volte le persone parlano a sproposito o fanno delle stronzate quando sono arrabbiate. Sai che nessuno è perfetto, ma che insieme alla persona che ami puoi benissimo mirare alla perfezione.»
James fece una pausa.
«E fidati, Andrew... quando poi accade qualcosa di davvero brutto, di davvero grave, ti guardi indietro e pensi a quanto sei stato saggio e sveglio quella volta a non aver ceduto alla rabbia e a essere tornato da quella persona. Ringrazi di averlo fatto perché nel presente puoi stare accanto a chi ami e tenergli la mano mentre tutto intorno a voi sembra crollare, infrangersi come vetro. Non c'è cosa più bella, malgrado tutto il male del mondo. La verità è che da soli non andiamo da nessuna parte.» Lo sceriffo Peterson si strinse nelle spalle. «Non so bene quale relazione ci sia fra te e questa persona, ma so che il primo passo per risolvere una lite è parlarne e soprattutto ascoltare ciò che quella persona ha da dire. Le persone vanno sempre ascoltate, anche quando fa male e non vorremmo sentire. Dobbiamo ascoltare. Tutti hanno il diritto di essere ascoltati.»

James strinse una spalla all'amico. «Su, adesso torna a casa. Riposati, te lo sei guadagnato.»

Il detective annuì debolmente. «Grazie per il consiglio. Io.... Io spero davvero che Rogue torni a stare bene. Mi dispiace che sia successo proprio a lui, fra tanti altri.»

James sospirò. «Credo che ormai il male sia la sola cosa rimasta al mondo a colpire indiscriminatamente. Per quanto orribile possa essere, non si può negare che questa sia la sua unica virtù. Colpisce chi vuole e non bada alle conseguenze.»

«Non ne sono così sicuro, sai?» 

«Io parlo secondo la mia esperienza» replicò tranquillamente Peterson, la cui vita non era stata propriamente rosea come quella di Andrew. A parte la perdita di suo zio, Andrew era cresciuto in una famiglia felice e grande, amato dai parenti e dai genitori, ricoperto di attenzioni sin dal primo vagito.

James invece era cresciuto in una casa a non molta distanza da quella di Andrew, stessa piccola città  in campagna, ma la sua famiglia era sempre stata molto diversa dai Thorne e dai Langford. I suoi erano stati genitori molto severi e rigorosi, non c'era mai stato spazio in quella casa per la ribellione, per infrangere le regole imposte, i divieti e la gerarchia. James non era nato figlio unico, aveva una sorella gemella nata novanta secondi prima di lui. L'aveva avuta accanto per diciotto anni, finché lei non era stata trovata morta proprio da suo fratello: si era impiccata nella soffitta e James era andato a controllare infine lì, non vedendola da nessun'altra parte, solo perché la piccola botola con annessa una scala era aperta. Era salito fin lassù e a buio, sotto la debole luce della luna in parte celata dalle nubi notturne, aveva visto prima un'ombra penzolare, poi il corpo della sorella. La caduta era stata così violenta e la corda si era tesa con tanta forza che il collo della povera ragazza si era spezzato.

James era corso via in lacrime e invece di chiamare qualcuno, era scappato di casa e andato proprio da Andrew. Era stato orribile e per un bel po' tutti erano stati in ansia, perché nelle famiglie, specie nel caso dei gemelli, i suicidi tendevano ad accumularsi. Era come se alla prima morte una sorta di maledizione venisse scagliata sul resto della famiglia, qualcosa che induceva poi gli altri ad andare incontro alla medesima sorte.

Andrew e gli altri, quindi, per un po' avevano temuto che James avrebbe tentato di seguire nella tomba la gemella, rimasto da solo con quei genitori insopportabili e che neppure di fronte alla morte della figlia avevano ammesso i propri errori.

James, invece, aveva visto la morte di sua sorella solo come un incentivo a sbrigarsi a lasciare quella casa e a rendersi indipendente. Dopo esser uscito dall'accademia aveva tagliato i ponti e messo dei paletti coi genitori e con il passato. Brandon e Gwenevere Peterson attualmente non sapevano neppure del suo fidanzamento con Rogue e non l'avevano mai cercato.

Era orribile come situazione, ma James non aveva mai dato segno di soffrirne, anzi tutt'altro.

Per come erano andate le cose, si poteva quasi dire che quell'uomo fosse venuto su meglio di quanto chiunque avrebbe mai potuto sperare o immaginare.

Era uno di quelli che si atteggiavano da stronzi e da cazzoni, ma in fin dei conti era un pezzo di pane e quando un amico era in difficoltà, non si tirava mai indietro ed era il primo a farsi in quattro. I Thorne e i Langford ormai lo consideravano uno di famiglia, un figlio adottivo.

Andrew, ripensando a tutto questo, non esitò un attimo in più e abbracciò forte lo sceriffo. «Andrà tutto bene. Starà bene, capito?» gli disse a bassa voce.

Gli fece male sentire James, una persona forte che in tutta la sua vita raramente si era lasciato andare alla tristezza, afflosciarsi come un sacco vuoto e scoppiare a piangere.

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