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乇ㄩㄒㄖ卩|卂 || Ep. 29. L'altra faccia della medaglia




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«Forse dovresti andarci piano con quello» si permise di dire Lydia, osservando Lexie versarsi del vino rosso in un calice apposito dopo che insieme avevano finito di preparare la cena.

Purtroppo Lydia aveva dovuto rimandare la partenza per Eutopia perché le era capitato fra capo e collo un esame alla facoltà fin troppo importante per essere saltato.

Aveva deciso, una volta arrivata, di far prima visita al fratello di Godric, visto che gli sembrava la situazione più urgente da tenere sott'occhio.

Suo zio era piuttosto stressato e v'erano stati momenti, durante la giornata, in cui di tanto in tanto gli era quasi parso infelice o svuotato.

Bisognava ammettere che la sua vita fosse alquanto dura, in poche parole doveva occuparsi di tutto quanto da solo, salvo occasioni in cui la suocera faceva un salto a casa per aiutarlo e alleggerirgli la mole di faccende da sbrigare.

Lexie guardò la nipote, poi si strinse nelle spalle. «Un bicchiere non può guastare. Il medico mi ha solo detto di non strafare, tranquilla.» Si versò in gola un sorso di vino e si sedé accanto alla ragazza, sullo sgabello a ridosso della penisola del ripiano cucina. «E comunque... ne ho davvero bisogno, credimi.»

Lydia lo squadrò e cercò di non sembrare troppo apprensiva. «Zio Lexie... sicuro di stare bene? È solo che...»

«Ancora me la cavo, non preoccuparti» replicò l'Omega più anziano, pur non molto certo di quanto fosse sincera la propria risposta. Neanche lui sapeva come si sentiva, a dire la verità, ma non gli andava di far preoccupare il prossimo, specialmente sua nipote. Tutti avevano i loro casini a cui pensare, non serviva aggiungere altri pesi. Lo sguardo di Lydia, tuttavia, lo incoraggiò ad aprirsi un po'. «Vorrei solo poter trascorrere una sola giornata in santa pace e vorrei che Andrew fosse più presente. So che il suo lavoro è difficile, ma lo sta allontanando da noi, specialmente da me.»

C'erano volte in cui arrivava a pensare che per suo marito ormai fosse solo una sagoma sfocata, quello che lo sfamava al ritorno dal lavoro e soddisfaceva le sue voglie quando quest'ultime lo richiedevano.

Non che tutto stesse andando a rotoli, ma sentiva di aver perso brandelli di se stesso lungo la via, nel corso di quasi diciassette anni di matrimonio e, per quanto odiasse ammetterlo, l'arrivo di altri figli dopo Milo aveva un po' fatto vacillare l'equilibrio che inizialmente era andato a crearsi.

Ricordava che durante la gravidanza culminata con la nascita dei gemelli v'erano stati attimi in cui gli era quasi passato per la mente di... farla finita. Per un istante, poi, aveva accarezzato la consapevolezza di non aver realmente desiderato altri figli, specialmente River ed Elijah.

La situazione si era in seguito ristabilita, ma non aveva fatto molti salti di gioia sentendo il medico annunciargli l'ennesima gravidanza, l'arrivo dell'ennesimo neonato da accudire, di cui tollerare gli orari impossibili, le notti insonni trascorse fra cambi di pannolini e poppate.

Non per niente, ma non era più esattamente un ragazzo e non sapeva quanta pazienza e quanta forza gli fossero rimaste per sopportare i primi anni di vita della bambina in arrivo, il dover giocare con lei e insegnarle a camminare, a parlare e tanto altro ancora.

Che fosse una femmina lo rinfrancava, visto che aveva sempre desiderato una bimba, specie dopo aver messo al mondo nient'altro che maschi quasi sempre Alfa, salvo River ed Anthony che erano Omega come lui, ma era tutto il resto a non andare, a essersi in qualche maniera inceppato e a cigolare sempre di più ogni giorno che passava.

Sentiva che prima o poi sarebbe esploso. Ormai spesso gli toccava chiudersi per un secondo in camera da letto per soffocare vere e proprie grida nel cuscino, nonché attendere che il momentaccio passasse.

Forse Lydia aveva ragione a esser preoccupata, dopotutto, e forse lui si ostinava a ignorare segnali molto pericolosi di un baratro che era sì e no dietro l'angolo.

Non aiutava di certo che Milo, da un paio di settimane, si stesse comportando in maniera alquanto bizzarra e irritante. Più di una volta aveva risposto male sia a lui che a Andrew ed era stato sorpreso a litigare coi fratelli, persino con Anthony, quello con cui aveva un legame più stretto e solido.

Lydia sospirò. «Sai, secondo me a te e allo zio Andrew servirebbe proprio una vacanza. Solo tu e lui, senza quei pazzi dei miei cugini fra le scatole. Pensi potrebbe aiutare, almeno un pochino?»

Lexie sorrise di sbieco, senza reale allegria. «Solo io e lui?» ripeté ironico, accennando al proprio ventre ingrossato di cinque mesi e mezzo. «La vedo dura.»
«Oh, andiamo! Sai che voglio dire» insisté la ragazza. «E poi lei che fastidio potrebbe darvi? Ancora è lì dentro e se ne sta buona buona nella sua beata ignoranza, no?»

«Lydia... non per essere brutale... ma non è il massimo cercare di avere un po' di intimità con tuo zio mentre questa cosina qui dentro non fa che scalciare e muoversi di continuo.»

«Dettagli irrilevanti.»

«Beh, so per certo che Andrew si sente a disagio in situazioni del genere.»

«Allora parlagli e cerca di affrontare la questione. Non è che prima ti fertilizza e poi boh, torna nel suo angolino e ti lascia così finché non sei di nuovo disponibile!» Lydia non riusciva a capire. «Insomma, fa' valere un po' i tuoi diritti e le tue esigenze!»

«La sera in cui sono tornato dalla prima visita e ho saputo che aspettavo un altro figlio mi sono arrabbiato con lui a morte e gli ho imposto di dormire sul divano.»

«Ah.»

Lexie sbuffò. «Vuoi la verità, Lydia? Volentieri andrei a farmi una vacanza per i fatti miei. Niente figli da spronare o da sgridare, niente faccende da sbrigare, niente marito che appena torna a casa chiede come sia andata la giornata, neanche non sapesse che è un inferno qui dentro e io ne sono il dannato custode.» Sorseggiò dell'altro vino.

Lydia esitò. «Zio Lexie, non è che... insomma...»

«No.» Il signor Thorne scosse la testa. «Amo ancora Andrew. Non mi sognerei mai di volere il divorzio, se è questo a preoccuparti. Ho solo bisogno di un po' di tempo per me stesso e di non pensare a nient'altro, se non... che ne so, a non stare troppo al sole per evitare una scottatura o esser indeciso su cosa ordinare al ristorante in riva all'oceano. Non ricordo più nemmeno il rumore delle onde, visto che ogni volta che andiamo in vacanza l'unico sottofondo che ho a disposizione sono i miei figli che schiamazzano o chiacchierano fra di loro.»

La giovane tamburellò le dita sul ripiano in marmo, poi: «Va bene, ho deciso: stasera esci».

«Cosa?»

«Hai capito benissimo! La cena è già pronta e non devi far altro che darti una rassettata! Chiama qualche amico ed esci! Sei in dolce attesa, non in carcere, e hai il diritto di divertirti!»

«Ma...»

«Rimarrò io qui a tenere in riga quei mocciosi pestiferi» scherzò Lydia. «Tu esci e goditi una serata in santa pace. Va bene?»

Lexie, pur non molto convinto, decise di arrendersi e dar ascolto al consiglio di sua nipote. «Okay, uhm... magari sento Skyler e Samantha. Potrebbe piacere a entrambi una serata fuori.» Da che ne sapeva, anche loro erano soggetti a un po' di stress tra i figli e quant'altro, e comunque era diverso tempo che non trascorrevano un po' di tempo assieme.

Milo fece ritorno a casa verso le otto di sera inoltrate. Era appena tornato da un'uscita con Arthur e altri suoi amici dopo il rientro pomeridiano a scuola: come spesso molti del liceo erano soliti fare, si erano fermati al Saffron, un diner sì e no storico per ogni studente della Eutopa High che si rispettasse, e avevano chiacchierato e scherzato davanti a un frappé. Lui aveva ancora in bocca il piacevole e fruttato sapore della propria cremosa bevanda alla ciliegia, nonché della soffice panna che desiderava sempre come guarnizione.«Papà?» disse a voce alta, stupito che Lexie, esigente com'era, non fosse già corso da lui per fargli una lavata di capo coi fiocchi, visto che aveva fatto tardi.

Si stupì ancora di più quando a rispondere a quell'invocazione non fu suo padre, bensì Lydia, sua cugina, che non vedeva da diverso tempo.

La squadrò stranito. «E tu che ci fai qui? Quando sei arrivata?»

«Appena prima di mezzogiorno» rispose lei, stringendosi nelle spalle. «Lo zio Lexie non c'è, comunque. È uscito per una serata fuori con degli amici.»

«River ed Elijah? Anthony?»

«Hanno finito di cenare una decina di minuti fa. Anthony è andato a passare la notte a casa di un amico.»

«E mio padre?»

«Non è ancora rincasato. Gli ho telefonato e ha detto che avrebbe tardato un po', ha dell'altro lavoro da sbrigare in centrale.» Lydia sorrise di sbieco. «Abbiamo il tempo per fare una chiacchieratina, cugino. Solo io e te.»

Milo roteò gli occhi e si tolse la borsa di scuola dalla spalla. «Non ti ci mettere anche tu, per favore. E comunque non sei mica mia madre.»

La ragazza restrinse lo sguardo, lo raggiunse a passo spedito e gli impedì di andare di sopra, trascinandolo in soggiorno. «Prima che i gemelli tornino di sotto e finiscano l'ennesima partita coi videogiochi, gradirei che tu mi dicessi per filo e per segno cosa diavolo stai combinando» disse seria, incrociando le braccia. «Non risparmiarmi i dettagli.»

Il più giovane si incupì. «Perché non fai il terzo grado all'altro tuo cugino, invece? È lui a comportarsi come una cazzo di regina offesa, non io.»

«Modera il linguaggio, marmocchio. Quale cugino? Ne ho a iosa.»

«La diva isterica che si fa comunemente chiamare Mytra.»

«Che ha fatto?»

«Se la fa con un teppista e ora che non gli servo più non fa che snobbarmi e tenermi il broncio, e solo perché ho cercato di aprirgli gli occhi! Sono incazzato, va bene?»

Lydia si avvicinò. «Un teppista?» chiese perplessa. «Che vuoi dire?»

Milo sbuffò. «Un Black Viper.»

«Oh, dèi. Sei serio? Mytra?»

«Fa parte della loro banda, come se non bastasse. Ora capisci perché sono preoccupato?»

Lei si passò due dita sugli occhi e si chiese che diamine stesse combinando Mytra. «Non è un buon motivo per comportarti male qui a casa e trattare come stracci i tuoi genitori. Lo zio Lexie è al limite, sai? Non lo vedo granché bene e non dovrei essere io ad abbracciarlo e a ricordargli che ha una famiglia su cui contare e non è da solo. Gli ho dato una mano a prepararsi e a un certo punto ha avuto una crisi di pianto e senza un motivo apparente. Devo dire altro?»

Il ragazzo ammutolì.

«Bravo. Resta lì e fai la figura che ti meriti, ossia quella dell'idiota.» Lydia si mise a camminare per la stanza. «Ho quasi perso uno dei miei genitori e non voglio che anche tu debba sbatterci il muso. Credimi, Milo, ora posso solo sembrarti una stronza bacchettona, ma di questo passo dovrai andare a trovare Lexie in ospedale perché ha cercato di ammazzarsi, visto che qui dentro fa la vita di uno schiavo.» Non aveva intenzione di indorare la pillola al cugino. La situazione era molto seria e precaria. «Un abbraccio ogni tanto, un grazie, una domanda anche stupida per sapere come sta, possono già fare la differenza, fidati. Sono più grande di te e anche i miei spesso mi hanno rotto le scatole e fatto bestemmiare perché secondo la mia visione da adolescente egocentrica non mi davano abbastanza libertà, ma col senno di poi ringrazio ogni giorno per essersi imposti quando rischiavo di fare una stupidaggine o non mi stavo comportando bene. Odiavo mio padre perché mi imponeva sempre di tornare presto quando uscivo con gli amici, ma lo faceva per proteggermi e per insegnarmi che le regole vanno rispettate se si vuole evitare di diventare degli imbecilli.»

Milo deglutì. «Mi dispiace per lo zio Dante» disse sincero. «Io... non so come avrei reagito se uno dei miei genitori avesse rischiato di morire.»

«E ti auguro di non arrivare mai a saperlo. Un modo per evitarlo è crescere un po' e capire che vogliono solo il tuo bene, anche quando sembra il contrario. Ci sono situazioni peggiori, credimi, e io e te siamo fortunati.»

Il ragazzo sospirò. «Domani parlerò a papà, almeno per chiedergli scusa se ho dato di matto in questi ultimi giorni.»

Lydia si sedé accanto a lui sul divano. «Bene. Ora... torniamo a Mytra: che sta succedendo?»

«Vallo a capire. Quello lì gli ha fuso tutti i neuroni, Lydia. Si veste come un Black Viper e si comporta come tale. Stamattina l'ho visto sul punto di darsele di santa ragione con un altro nostro compagno di scuola.»

Che ci si credesse o meno, Mytra quasi aveva fatto rissa con Ariel Aguillard e se lui non fosse intervenuto, probabilmente la situazione sarebbe tracollata. C'era voluto un bel po' per convincerli a smetterla e separarli.

Lydia era scettica. «Non è mai stato un tipo aggressivo.»

«Questo è quello che pensi tu. Io oggi ho visto una belva. C'ero, Lydia, e i suoi occhi erano quelli tipici di uno che stava dando ascolto all'istinto.»

Lei cercò di non farsi prendere dall'ansia. «Come si chiama quello con cui sta?»

«Viktor. Viktor Yakovich.» Milo esitò. «Abbiamo discusso un'altra volta, ieri. Non ne potevo più di essere ignorato e poi... poi ho visto cos'aveva sul retro del collo e non ci ho visto più. Sono sbottato.»

«Che vuoi dire?»

«Voglio dire, Lydia, che Mytra si è fatto marchiare. Ho visto la cicatrice del morso coi miei stessi occhi. Credo che in quel momento non se lo ricordasse e quando ha sollevato i capelli per legarseli... beh, il marchio c'era!»

«Sicuro di aver visto bene? Insomma... è roba seria.»

«Sicurissimo!» Milo scosse il capo. «Non so più cosa pensare e... ce l'ha con me più di prima, adesso. Dice che sbaglio a giudicare Viktor, ma si può biasimarmi se lo faccio? Lo ha marchiato, accidenti! È come se si fossero in pratica sposati, anzi peggio! Ci manca solo che venga fuori che stanno per allargare la loro famigliola segreta e saremo a posto! La cosa che però mi stupisce veramente è che suo padre, da quello che so, ha deciso di ospitare Viktor in casa loro! Rose non ha voluto scendere nei dettagli, ma sta succedendo qualcosa di molto strano.»

Lydia si prese del tempo per riflettere. «Lo zio Max non è uno stupido. Se ospita quel ragazzo, sicuramente avrà una ragione valida per farlo.»

«Oppure Mytra ha fatto le moine come al solito.»

«Va bene, vacci piano, adesso. Stai pur sempre parlando di Mytra. È mio cugino tanto quanto è il tuo e Max non è così permissivo. Qualcosa sta accadendo, questo è poco ma sicuro, ma forse... forse dovremmo saperne di più prima di sparare sentenze a vuoto. Perché Mytra ce l'ha con te?»

«Perché ho cercato di fargli capire che stare con Viktor è solo uno sbaglio. Perché ho solo provato a farlo ragionare.»

«Beh... conoscendolo... credo che non voglia le tue scuse o giustificazioni. Non è lui la parte lesa. Secondo me dovresti affrontare la questione direttamente con il suo ragazzo. Magari è meglio di quel che sembra.»

«Ne dubito.» Milo, avendo l'amaro in bocca come sempre accadeva ultimamente quando si parlava di Mytra, decise di cambiare argomento. «Tuo padre si è ripreso, piuttosto?»

Lysia sorrise di sbieco. «Abbastanza, anche se non fa che bisticciare con Godric perché deve seguire un'alimentazione molto rigida e limitare gli sforzi fisici. Parliamo di uno che praticava fino a tempo fa sport, quindi... sta bene, è solo molto incazzato.»

Il ragazzo soffocò una risata. «Mi sembra di vederlo» commentò divertito.

«Il giorno prima di partire per venire qui ha detto che papà vuole la sua morte! Io ho saggiamente deciso di non immischiarmi.»

«I tuoi fratelli come se la passano?»

«Marilka e Avery erano tornati a casa per star vicino a nostro padre, ma poi sono dovuti tornare al college.» Teoricamente l'obbligo scolastico era fino ai diciotto anni e dopo di essi vi era un periodo extra di tre anni, fino ai ventuno, ma Avery aveva scelto di frequentare direttamente il college. Marilka studiava presso la facoltà di Lingue e Letterature straniere in un'altra città, Avery invece sembrava più che propenso e contento di seguire le orme di Dante nelle vesti di avvocato. Con la faccia tosta che aveva poteva permetterselo largamente.

«Myron si è fidanzato, cosa che solo a mio padre non è stata granché bene. Killian non gli va proprio a genio e ho paura che una volta o l'altra finirà per strangolarlo.»

Milo scoppiò a ridere.

«Poi... beh, i gemelli sono delle pesti e dei geni del male in miniatura, Hazel è una studentessa modello.»

«E Silas? Di lui non hai detto niente fino ad ora.»

Lydia non rispose subito. «Ho paura che abbia dei seri problemi a scuola. Qualche settimana fa io e papà l'abbiamo visto tornare tutto scompaginato. Era evidente che lo avessero picchiato. Papà ha cercato di convincerlo a dirgli chi fosse stato, ma non ha voluto saperne di vuotare il sacco. Gli ho parlato anch'io e poi lo ha fatto anche mio padre, ma niente. Vuole cavarsela da solo senza mettere nessuno nei pasticci, nemmeno i ragazzi che gli rendono la vita maledetta. Onestamente non lo capisco.»

Silas era un ragazzo sveglio e raramente combinava pasticci, eppure...

«È diventato taciturno e chiuso. È come se fosse successo dell'altro, ma non volesse parlarne. Inizio a essere davvero preoccupata.»

«Davvero non ha accennato a niente?»

«In effetti... mi sembra che abbia nominato una persona, l'ultima volta che abbiamo parlato da soli. Non potevo ignorarlo, appena ho insistito un po' lui si è messo a piangere come una fontana. Ha detto un nome, ma appena gliel'ho fatto presente e ho cercato di insistere, lui mi ha pregato di non dirlo ai nostri genitori. Non so cosa fare.»

«Quale nome?» incalzò Milo, più preoccupato di prima.

«Hansel Hirsch. Solo dopo mi sono ricordata che fino all'anno scorso lui e quel ragazzo erano stati amici. Una volta sono andata a trovare la mia famiglia e Hansel era presente, stava studiando insieme a mio fratello. Mi era parso uno a posto, anche se mio padre, poi, quella stessa sera mi sembrò strano, quasi scontento dell'amicizia fra quei due. Papà in seguito mi spiegò che mio padre e quello di Hansel non potevano crepare di vedersi. Pare, infatti, che fossero rivali quando ancora erano entrambi avvocati e Kellen Hirsch tuttora rimane una spina nel fianco per mio padre, specie ora che... beh... ritirandosi dalla carica di governatore di Nyrme ha sì e no consegnato la città nelle mani del signor Hirsch. Tutti e due avevano concorso per il medesimo ruolo e mio padre aveva avuto una schiacciante vittoria su Kellen, l'aveva battuto in quanto a consensi e carisma. A Nyrme, come sai già, il governatore non viene nominato direttamente dal re, ma prima dal senato e in seguito riconfermato da una votazione pubblica e popolare. Kellen ora prenderà il suo posto, è inevitabile visto che quella volta arrivò secondo, e a mio padre la cosa non va giù per niente. Disapprova le idee conservatrici e rigide di quell'uomo, dice che porterà Nyrme su una pessima strada e indietro di almeno cinquant'anni.»

Milo non capiva come tutto ciò potesse ricadere su due ragazzi di diciassette anni. «Perché ce l'ha con Hansel, però?»

«Secondo lui è tale e quadre al padre e Silas non riesce a vederlo solo e unicamente per via dell'affetto che prova nei confronti di Hansel. Non so se dargli ragione, col senno di poi, visto lo stato in cui era Silas. È successo qualcosa di grave, Milo, e Silas sembra... non lo so, è come se si vergognasse di parlarne, ma sospetto un'altra cosa: non si trattava solo di Hansel. C'entravano anche altri. Silas non faceva che ignorare il telefono che continuava a illuminarsi per via dei messaggi che arrivavano uno dietro l'altro. Appena ho provato a leggerli, lui mi ha strappato di mano il cellulare e mi ha chiesto di lasciarlo solo.»

Milo deglutì. «Se è vittima di bullismo, allora la situazione potrebbe esser sfuggita di mano, in un certo senso. La gente sa essere cattiva, Lydia, specie con un ragazzo che fino a tempo fa era il figlio del governatore.» Fece un respiro profondo. «Hai notato altro?»

«Si innervosisce facilmente e a volte reagisce malissimo appena cerchiamo di insistere quando gli chiediamo di dirci che sta succedendo. È evidente che stia provando in tutte le maniere a sembrare il solito Silas, ma è chiaro che stia nascondendo qualcosa.»

Il giovane Thorne sospirò, sconfortato. «Se solo non abitassi così lontano da lui, cercherei di parlargli io stesso. Magari con me si aprirebbe, abbiamo la stessa età.»

«Grazie lo stesso per il pensiero.» Lydia sorrise tristemente. «Sai, è bello che anche se abitiamo lontano gli uni dagli altri, lo stesso siamo uniti e ci vogliamo bene. Pensavo che col tempo ci saremmo persi di vista, ma non è successo.» Fece una pausa. «Comunque... la mia posizione come sorella più anziana sta per esser riconfermata. Quindi... credo di capire come tu in parte ti senta, Milo. Lexie mi ha detto che non eri granché entusiasta di sapere che avresti avuto una sorellina.»

Il ragazzo si massaggiò la nuca. «Beh... non è che papà sia più giovane come una volta. Ha quarantun anni e non è mai un bene avere figli a quell'età. Sono... sono solo preoccupato, ho paura che qualcosa vada storto e che questo finisca per ricadere su di lui.»

«Beh, io ho lo stesso timore. Papà sembra tranquillo e sicuro, ma mio padre, invece, è preoccupato più di me. Non che non sia felice, ma papà ha già sofferto di altre complicazioni mentre era in attesa di Sage e Jasmine. Hazel poi è arrivata con quasi tre mesi di anticipo. Credo che il suo corpo stia protestando con furore per via di così tante gravidanze.»

La conversazione subì una battuta d'arresto quando udirono la porta di casa aprirsi e chiudersi.

«Dev'essere mio padre» disse Milo, alzandosi dal divano e raggiungendo insieme alla cugina l'ingresso. Come si aspettavano, videro il signor Thorne togliersi la giacca e guardarsi in giro con aria smarrita. Era ovvio che avesse già notato l'assenza del proprio sposo e l'inusuale silenzio. Vide il figlio e la nipote e li raggiunse.

«Ciao!» disse il ragazzo. «Uhm... papà stasera non è in casa. È uscito con Skyler e Samantha» spiegò.

Andrew era perplesso. «Non ha detto niente a me prima che tornassi al lavoro.»

«Lo ha deciso sul momento, sono stata io a convincerlo» si intromise Lydia con un sorriso colpevole. «Pensavo gli avrebbe fatto bene staccare un po' la spina. L'ho aiutato a preparare la cena e poi ad agghindarsi. Credo che tornerà un po' tardi.»  

«Ah, se solo avessi dieci anni in meno e non fossi sposata...!» disse a mezzavoce Samantha, lanciando un'occhiata di apprezzamento a un giovanotto ben piazzato e attraente intento a farsi una bevuta con gli amici a un tavolo in lontananza.

Lexie sorrise di sbieco e a sua volta occhieggiò il tizio. «Beh, devo ammettere che hai gusti sopraffini, cara.» In effetti era davvero un bel ragazzo.

Skyler li guardò a turno. «Parlate come se fossimo dei nonnetti» commentò divertito.

«Non lo siamo?»

«Nah, siamo solo sposati e con figli adolescenti, ma questo non ci rende vecchi.»

Skyler era diventato più spigliato e malandrino rispetto a diciassette anni addietro. Le cose fra lui e Brian parevano andare ancora molto bene, avevano avuto altri due figli dopo Alder e parevano ancora una coppia molto affiatata.

In quanto a Samantha e Asher, beh loro erano la tipica coppia d'oro. Non c'era molto da dire sul loro conto, se non che dessero certe volte l'idea di essersi sposati da appena un paio di settimane ed essere ancora alle prese con la luna di miele.

A quanto pareva, rifletté Lexie, solo il suo matrimonio stava andando alla deriva. Non era di per sé un pensiero confortante.

Samantha schiarì la voce. «Comunque sono felice che tu abbia invitato sia me che Skyler, Lexie. In effetti, e parlo per me, avevo proprio bisogno di una serata fra soli amici.»

«Mi aggiungo.» Skyler sospirò. «A quarantasei anni non ho più la forza di star dietro di continuo al lavoro e poi anche a un bambino di cinque che sembra aver ripreso da quello scalmanato di suo padre. Amo Sebastian come amo i suoi fratelli, ma... a volte è dura per me avere pazienza e ricordare che è ancora piccolo ed è normale che abbia delle energie pressoché infinite.»
«Se vuoi facciamo a cambio, caro» lo rimbeccò Lexie ironico, sfiorandosi il grembo perché la piccola dentro di lui, che aveva scelto insieme a Andrew di chiamare Daisy, al momento sembrava irrequieta. Non faceva che muoversi e mettere a dura prova la sua povera vescica. «Avete mai avuto la sensazione di... non lo so... come se tutto vi stesse sfuggendo di mano, come sabbia fra le dita?»

«A volte, sì» ammise Samantha. «Ma nel mio caso penso di essere fortunata ad avere un marito psicologo. Con Asher non mi faccio problemi a parlare quando non mi sento tranquilla e ho bisogno di sfogarmi o fargli capire che qualcosa non va bene e va cambiato.»

Skyler sorrise di sbieco. «Io e Brian a volte discutiamo e... beh, capita che si crei un'atmosfera molto pesante, ma poi lui, la mattina dopo, mi porta sempre dei fiori per scusarsi. L'ultima volta abbiamo finito per fare sesso nel mio studio, è stato eccitante e sciocco al tempo stesso, ma appena l'ho visto arrivare con delle rose rosse non sono riuscito a trattenermi.»

Lexie più ascoltava i due e più si sentiva sprofondare. Quand'era stata l'ultima volta che Andrew gli aveva regalato dei fiori o lo aveva veramente ascoltato? Quando aveva attivamente partecipato a una discussione e a uno sfogo?

Che sotto sotto avesse perso per lui interesse? Magari era proprio lui ad averlo fatto allontanare a furia di essere un isterico e di arrabbiarsi di continuo?

Skyler parve quasi leggergli nel pensiero. «Brian dice che Andrew spesso parla di te con lui e con James, quando non devono pensare a delle indagini o altri affari burocratici.»

«Lo dici solo per consolarmi.»

«È vero eccome, invece. Ti ama ancora, Lexie.»

«Beh, non lo sta dimostrando!» sbottò l'altro Omega, senza alzare la voce. «Io sto annegando a furia di annaspare in un mare di faccende domestiche e figli da gestire, e lui sembra non averlo ancora capito! Continuo a chiedere aiuto senza che nessuno riesca a sentirmi! È come se urlassi in una stanza piena di persone e nessuno si degnasse neppure di sollevare lo sguardo! Aveva promesso che non avrebbe mai permesso al lavoro di venire prima della sua famiglia, prima di me, e guarda cosa ne è stato di quella promessa! Si ricorda di me solo quando deve lasciarmi un regalino che fra mesi a venire dovrò mettere al mondo fra dolori atroci!»

Sin da subito aveva capito che stare insieme a un poliziotto non sarebbe stato semplice, ma non si sarebbe mai aspettato una situazione del genere. Col senno di poi non era più così contento che suo marito fosse stato promosso con la carica più alta che ci fosse all'interno del dipartimento. Andrew aveva raggiunto la vetta, ma cosa ne era stato di tutto il resto?

«A volte sono quasi geloso dei nostri figli! Il tempo per ascoltarli e risolvere i loro dilemmi lo trova, ma non per aiutare me o almeno ricordarmi che non sono solo e che mi ama ancora! Lo trovate giusto questo, ditemi?» aggiunse sfiancato, tergendosi le guance ripetutamente, visto che alla fine aveva ceduto alle lacrime di frustrazione che da mesi ormai non faceva che reprimere. «Volete la verità? Ormai ho solo il terrore di vivere. Ci sono notti in cui mi auguro di non svegliarmi più!»

Skyler e Samantha, a tali parole, ebbero una specie di sussulto e si scambiarono un'occhiata decisamente allarmata.

Era un bene che Lexie si fosse sfogato, ovviamente, ma non si erano resi conto che il problema fosse così profondo e radicato.

Fecero per parlare, ma lui li anticipò: «Lydia è venuta a trovarmi e forse... forse ha ragione lei: dovrei prendermi del tempo per me stesso. Passare una settimana senza dover preoccuparmi di fare il bucato o rimproverare Anthony perché si veste come un cubista.»

Sentiva che era l'unica cosa che potesse fare se voleva cercare di riprender fiato e uscire da quel soffocante tunnel le cui pareti parevano comprimerlo sempre di più. Doveva farlo o sarebbe finito per restare schiacciato.

Viktor si prese più di un secondo per osservare il foglio di carta che il giudice Linderson aveva fatto scivolare verso di lui.

Accanto al ragazzo sedeva il dottor Wildbrook, il quale aveva accettato, su sua stessa richiesta, di accompagnarlo quel giorno nell'ufficio del giudice per terminare le pratiche e decretare che lui, in quanto maggiorenne, poteva avere la piena potestà sul proprio avvenire e le proprie decisioni, cosa che avrebbe tagliato fuori per sempre suo padre dalla sua vita una volta rilasciato nuovamente dalla prigione dov'era stato trasferito subito dopo la sentenza del processo per abusi e violenza domestica. Era chiaro che trascorsi i dieci anni di carcere sarebbe seguita un'ordinanza restrittiva che gli avrebbe vietato tassativamente, pena il ritorno dietro le sbarre, di avvicinarsi al figlio che aveva maltrattato per anni, sin dall'infanzia.

Molte cose erano affiorate durante la testimonianza del ragazzo durata circa quindici ore. Appena il detective Peterson era riuscito a farlo sentire a suo agio e a fargli capire che lì era al sicuro e che non aveva nulla di cui vergognarsi, Viktor aveva iniziato a parlare e non si era più fermato, se non per ascoltare le domande ben mirate e precise di Peterson, solo per poi rispondere e ricominciare a raccontare di tutto quello che aveva subito sin dall'età di nove anni da parte di Julian Yakovich, suo padre.

Alla fine di tutto il detective era rimasto sconvolto e disgustato dalla crudeltà di quell'uomo e aveva assicurato al ragazzo che avrebbe fatto tutto il possibile pur di porre fine alla situazione invivibile di cui il giovane era protagonista da fin troppi anni.

Non c'era voluto molto perché venisse aperto un processo la cui sentenza era stata chiara a tutti sin da subito. Dopo di essa Viktor aveva visto l'uomo che gli aveva reso la vita un inferno dibattersi, urlare come una bestia e insultarlo mentre veniva trascinato via da due agenti di polizia.

Dubitava che avrebbe dimenticato mai una scena simile e la paura di suo padre sarebbe rimasta sempre ben radicata dentro di lui, così come il terrore che, una volta tornato in libertà, avrebbe potuto cercare di regolare i conti. L'ordinanza restrittiva non sempre era sufficiente a evitare che qualcosa di orribile si verificasse ugualmente, tuttavia... ormai era fatta. Era libero e da quel momento in avanti avrebbe potuto voltare pagina e farlo con l'aiuto della famiglia del fidanzato e dei suoi amici e fratelli Black Vipers, i quali, venuti a sapere di cos'aveva fatto Julian, si erano schierati dalla sua parte e per una volta, solo una, si erano trovati d'accordo con la polizia e con la giustizia. Un evento più unico che raro che Mytra stesso aveva favorito parlando a lungo con le altre Vipere Nere e facendo capire a ogni singolo membro della banda che Julian non meritava l'appoggio di nessuno e non faceva che infangare la reputazione che i Black Vipers, con fatica, erano riusciti a riguadagnarsi.

«Prenditi tutto il tempo che ti serve» gli disse con gentilezza il giudice Linderson, una donna dai tratti del viso delicati, ma con una volontà di ferro e un'intolleranza assoluta verso i casi che vertevano sugli abusi, di qualsiasi genere essi fossero. Max, tra l'altro, la conosceva bene, visto che si erano incrociati per la prima volta al matrimonio di suo cognato e lei restava, fra l'altro, anche una buona amica di Godric.

Si era interessata al caso proprio grazie al compagno di Dante che, venendo a sapere della questione di Viktor tramite una telefonata da parte del medico, non aveva esitato un attimo a sollecitare l'amica ed ex-compagna di facoltà di legge.

Erano trascorsi due mesi e una settimana dalla notte in cui Viktor si era recato a casa di Mytra insanguinato, con tre costole rotte, una incrinata e diverse contusioni su tutto il corpo e la sua vita, finalmente, sarebbe presto cambiata e forse, con il tempo, il ragazzo avrebbe guardato avanti e dimenticato quanto aveva subito.

Annuì timidamente, si umettò le labbra e alla fine lo fece, firmò il documento e restituì foglio e penna al giudice. «La ringrazio per essersi interessata al mio caso, giudice Linderson» disse sincero. «Sono grato a tutti e non so cosa dire, se non c-che finalmente posso... posso tornare a respirare e a vivere.»

Grace gli sorrise. «Ti auguro tanta fortuna, Viktor. Sei stato coraggioso a testimoniare contro tuo padre e a denunciare i suoi maltrattamenti. Non tutti ne sarebbero stati capaci.» Guardò Max. «Beh, è tutto. Restava solo questa pratica da firmare.» Schiarì la voce e si ridiede un tono, raddrizzando la schiena. «Ora devo scappare. Devo presenziare a un processo fra un'ora e il tribunale è abbastanza lontano da qui.»

Era una una di quelli che non volevano che si sapesse troppo in giro quanto in realtà avessero un cuore tenero e una spiccata tendenza a commuoversi in certe situazioni.

Il dottore annuì e si scambiò con lei una stretta di mano. «Grazie, Grace. Davvero.»

«Ho fatto solo il mio lavoro, non c'è bisogno di ringraziarmi.» Il giudice fece un cenno a entrambi, indossò il soprabito e insieme a loro uscì dall'ufficio e infine dal palazzo di giustizia. «Quando Godric mi ha telefonato perché accettassi il caso di Viktor abbiamo parlato anche un po' di tutto il resto e di te. Diceva che, almeno dalla voce, sembravi cambiato. Beh, non posso che confermarlo. Quando un paio d'anni fa ti ho rivisto alla festa di compleanno di Godric eri decisamente... beh...»

«Depresso?» suggerì Max.

«Sì, esatto. Adesso non più.»

«La storia di Viktor mi ha restituito un po' di carica, lo ammetto.»

«Mhm...» Grace non era convinta che fosse solo per via del ragazzo e dell'impegno che il medico aveva mostrato nell'aiutarlo. «Fatto sta che nessuno di noi sarebbe contrario al sapere finalmente chi sia il responsabile di un simile miracolo» aggiunse allusiva, ridendo di fronte allo stupore sincero del vecchio amico. «Non sono nata ieri, Wildbrook. Ho alle spalle ben due divorzi e so riconoscere quando qualcuno con una storia d'amore travagliata dietro di sé finalmente decide di rimettersi in pista. Sappi che ne sono contenta e... beh, mi farebbe piacere conoscere un giorno o l'altro la persona che ti ha riportato metaforicamente in vita.»

Max si chiese quando sarebbe riuscito a confessare a tutti loro la verità, ad ammettere che in realtà conoscevano eccome la persona in questione. Ora che la questione degli Yakovich si era risolta non aveva più scusanti né ragioni valide per rimandare l'inevitabile. Doveva dire la verità almeno ai suoi figli e quale occasione migliore dei giorni a venire, visto che Esther aveva fatto ritorno a casa per il fine settimana? Non doveva far altro che riunire tutti e tre i ragazzi in una stanza e dire loro come stavano le cose, che avevano ancora con loro entrambi i genitori.

Forse, però, io e Dario dovremmo aspettare un altro po' prima di dire loro che presto avranno un altro fratello o un'altra sorella.

Rio aspettava eccome un figlio, era stato Max stesso, in lacrime per l'emozione, a riferirglielo durante il controllo ecografico che il compagno gli aveva chiesto di fargli. Qualche minuto dopo aver posto sul suo grembo la sonda dell'ecografo, infatti, gli era subito apparsa evidente la presenza di una camera gestazionale e di un embrione, cosa che aveva spiegato l'assenza del calore nell'ultimo paio di mesi.

Max era felice che presto sarebbe diventato padre di nuovo e Dario sembrava entusiasta quanto lui, meno invece del dover limitarsi molto ad andare in giro. Togliendo che per tanti anni aveva fatto la vita di un recluso, il motivo principale per cui tendeva a uscire di rado era che Itami, l'ultima volta che era andato a trovarlo, gli aveva detto di fare attenzione perché malgrado fosse evidente che in apparenza Black Fox fosse stato neutralizzato per sempre, aveva avuto lo stesso l'impressione che i piani alti non se la fossero bevuta fino in fondo. Forse in giro v'erano agenti sotto copertura incaricati di pattugliare la città e uccidere a vista Dario e questo non si poteva semplicemente ignorare.

Non era una vita facile, ma correre troppi rischi non era un'opzione.

«Forse un giorno di questi vi presenterò la persona in questione» rispose, abbozzando un sorriso. Salutò un'ultima volta la donna e poi raggiunse verso l'auto Viktor, montarono entrambi e partirono per far ritorno a Eutopia.

La sera seguente, dopo cena, vedendo che i figli erano ancora tutti in sala da pranzo, Max prese in seria considerazione di approfittare di quel momento per lanciare finalmente la bomba.

Era presente anche Viktor, ovviamente, ma ormai quel ragazzo era di famiglia e di lui ci si poteva fidare.

Il dottor Wildbrook fece un respiro profondo e osservò a turno i ragazzi: Mytra e Viktor stavano ripercorrendo per l'ennesima volta quanto accaduto durante l'ultimo processo contro Julian; Rose ed Esther, invece, chiacchieravano in merito alla scuola frequentata dalla seconda e la più giovane si stava lamentando sul conto di alcuni compagni di scuola piantagrane che rischiavano di minare la sua posizione come rappresentante di classe.

Fuori pioveva che gli dèi la mandavano, ma dentro quella dimora la temperatura era piacevole e così pure l'atmosfera.

«Devo parlarvi di una cosa» disse infine Max, attirando quasi subito l'attenzione di tutti e quattro.

«Ovvero?» incalzò Esther, sorridendo.

Mytra si sporse in avanti e guardò in attesa il padre. Rose, invece, sembrava quasi sperare che il genitore finalmente avesse scelto di aprirsi circa la misteriosa persona da lui frequentata. Viktor rimase in silenzio.

«Rose, due mesi fa mi hai chiesto se per caso avessi conosciuto qualcuno. Beh... sì e no.»

«Che vuol dire?» chiese Mytra, inarcando un sopracciglio.

«Beh, v-vedete... si tratta di qualcuno che conoscevo già da molto tempo.»

«Una vecchia fiamma, intendi?» domandò Esther.

«Non proprio.»

«Papà, non tenerci sulle spine» implorò Rose. «Fuori il rospo, su!»

Max si rese conto di star sudando freddo e avrebbe scommesso tutti i propri risparmi che pure la pressione gli fosse sì e no arrivata alle stelle. Non era facile, non lo era per niente e avrebbe tanto voluto al proprio fianco, in quel preciso momento, il compagno. Avrebbe reso probabilmente le cose molto più semplici. Magari invece no, ma almeno sarebbe stata una presenza rassicurante.

«Mi avete... mi avete sempre domandato cosa accadde al vostro papà e come fosse potuto morire ancora nel fiore degli anni. Per tanto tempo mi sono limitato sempre a spiegarvi che si era ammalato gravemente e per vari motivi non c'era stato modo di salvarlo. Questo è vero, almeno in parte.»

A suo parere era molto meglio partire dal principio, da ciò che aveva scatenato ogni cosa e infine arrivare all'epilogo, al colpo di scena situato nel finale.

Per capire il presente avrebbero prima dovuto affrontare fino in fondo il passato e... beh, Max sapeva che sarebbe stato un racconto molto doloroso e complesso da spiegare.

«Sicuramente a scuola vi avranno raccontato della grave epidemia che colpì Eutopia diciassette anni fa. È un argomento entrato nei libri di storia proprio per via delle vittime che vennero mietute e dello scandalo dietro a tanto dolore.»

Il suo sguardo si posò sui gemelli. «All'epoca voi non eravate ancora nati, i vostri genitori neppure erano consapevoli della vostra presenza. Per Dario era... era un momento molto difficile sia dal punto di vista personale che lavorativo. Come vi ho detto una volta, lui e il vostro vero padre, Gareth, erano sull'orlo del baratro e l'epidemia segnò la fine del loro matrimonio, ma questo accadde un po' di tempo dopo. Ancora prima, una notte, Dario venne svegliato da una telefonata e gli dissero di raggiungere immediatamente il vecchio ospedale, quello che poi si sarebbe scoperto essere l'epicentro dell'epidemia, il cuore di tutto quanto. Saprete anche che molti agenti, dopo esser entrati in contatto con quell'area, si ammalarono e morirono nei mesi e anni successivi. Ebbene... accadde questo anche a lui. Rimase compromesso e non se ne rese conto in tempo. Per via di un intrigo di potere che ora non starò a spiegarvi fin nei minimi dettagli, gli venne comunicato che il test che aveva fatto per sapere se fosse stato contagiato o meno risultava negativo, ma non era così. Era un'informazione falsa.»

Il medico strinse una mano nell'altra appena si accorse che tutte e due tremavano come foglie. Aveva la vista sfocata, gli occhi fissi sul tavolo.

«Avvenne tutto lo scandalo che ben conoscete, lui si licenziò e io decisi di rintracciarlo. Ci conoscevamo appena, ero stato io a confermargli che aspettava due gemelli e... sentivo di dover rintracciarlo. Nessuno aveva più saputo niente di lui, era sparito dalla circolazione e avevo paura che avesse potuto fare qualcosa di molto grave e definitivo. Lo avevo visto molto male durante i vari processi nei quali aveva testimoniato. Lo trovai, diventammo amici e alla fine capimmo di provare qualcosa l'uno per l'altro. Gli stetti vicino per tutta la durata della gravidanza e anche in seguito ad essa. Andammo insieme al matrimonio di vostro zio e... beh... vostra nonna quella volta gli disse delle cose non proprio belle, cose che lo indussero a dubitare della sua relazione con me. Pensava che fosse troppo vecchio per me, per un Alfa più giovane che sicuramente, negli anni a venire, avrebbe voluto avere dei figli tutti suoi. Non era affatto vero, per me eravate voi i miei figli. Vi avevo visto nascere e volevo bene anche a te, Rosie. Amavo il vostro papà e volevo renderlo felice, ma poi... non molto tempo dopo... una sera discutemmo e lui, alla fine, m-mi disse che...»

Max si terse le guance.

«Era malato. Glioblastoma.»

«Che cos'è?» chiese Mytra perplesso.

«Una... una forma piuttosto rara di tumore al cervello e... se non curata adeguatamente... aggressiva, capace di uccidere nel giro di pochi mesi e di rendere l'agonia un calvario. Dario all'epoca aveva molti problemi finanziari, così tanti da non aver a disposizione neppure un'assicurazione sanitaria adeguata che gli avrebbe permesso di curarsi, di tentare con la chemioterapia. Non c'erano ancora le leggi che tutelavano le persone nella sua condizione. O avevi i soldi o morivi, purtroppo andava così.»

Fu difficile spiegare tutto da lì in avanti: il motivo per cui lui avesse scelto di sposare Dario, oltre al fatto che si fossero innamorati; cosa avvenne secondo la versione ufficiale e cosa invece era realmente accaduto.

La cosa più assurda? Gli credettero. Tutti loro, nessuno escluso. Sarebbe stato impossibile, d'altronde, non farlo. Il signor Wildbrook era fin troppo serio, l'espressione del suo viso fin troppo grave, perché potesse star semplicemente scherzando.

Mytra si coprì le labbra, come a trattenere un grido di sorpresa, le sue sorelle e Viktor si scambiarono sguardi scioccati e increduli.

Il più piccolo di loro, quello nato per ultimo, minuti dopo Esther, scattò infine in piedi. «Quindi... quindi questo vuol dire che papà... che lui...», non riuscì a pronunciare quella parola. La paura che fosse tutto troppo bello per esser vero era tanta, troppa, intollerabile. Un attimo dopo gli sovvenne tuttavia un pensiero. «Se è vero ciò che hai detto, allora... allora dov'è? Perché non è qui con noi, se non è mai morto, se la cura davvero riuscì a salvarlo, anche se in modo diverso?» Piangeva, ma sembrava anche arrabbiato, all'apice della collera. Per diciassette anni della sua vita aveva creduto di esser rimasto in parte orfano, di aver perso uno dei suoi genitori, poi ecco che suo padre se ne usciva con una storia incredibile e pazzesca, affermando che il compagno in realtà non fosse mai morto.

«N-Non è semplice da spiegare» disse Max.

«Provaci, almeno!» esclamò Mytra. «Dimmi perché non dovrei odiarlo per averci fatto credere che era morto! Per quale motivo non dovrei odiarlo per averci abbandonati? Perché è quello che ha fatto, se le cose stanno così! Ha abbandonato te, i suoi figli e fratelli, le persone che gli volevano bene, tutti quanti! Con quale coraggio poi si è ripresentato da te, dimmi?!»

L'uomo tacque per alcuni secondi. «Sono stato io a cercare lui. Un tale, un ex-detective, mi aveva detto di sapere alcune cose sul suo conto, di sapere dove si trovava e io... io alla fine ho deciso di seguire quella pista. Per questo sono partito, due mesi fa. Era vero, lui era ancora vivo e... ci siamo confrontati, mi ha spiegato cosa lo avesse davvero trattenuto dal tornare da noi. Non fu colpa sua, Mytra. Non del tutto.»

«Probabilmente non voleva saperne niente di nessuno, visto quello che io so sul suo conto!» disse Mytra in un momento in cui non era capace di frenarsi né riflettere.

«Che vuoi dire?» incalzò smarrita Rose.

Il ragazzo, capendo che ormai era troppo tardi per rimangiarsi quanto aveva affermato, raccolse il coraggio e rispose: «Ho rintracciato il nostro padre biologico, Rosie. L'ho fatto, va bene? Avevo... avevo bisogno di sapere, bisogno di risposte che tu, papà, non hai mai voluto darci, per un motivo o l'altro. Ho dovuto insistere un po', ma alla fine Gareth mi ha raccontato molte cose, mi ha detto che tipo di persona era quello là! Mi ha detto che non gli importava niente di me né delle mie sorelle, ma solo del suo lavoro! Neppure desiderava dei figli, a dirla tutta! Gareth lo tradì, è vero, ma solo perché lui non c'era mai in casa e si faceva gli affari propri! Per lui non esisteva altro che la sua carriera! Pensava solo e unicamente a se stesso, perciò... non mi interessano le sue ragioni, neanche voglio sapere se si trova a Eutopia o meno! Non voglio aver nulla a che fare con lui! Se tu lo hai riaccolto come nulla fosse fra le braccia, io non lo farò! Per me è morto veramente e per sempre, stavolta!»

Sapeva di aver ferito suo padre dicendo quelle cose, ammettendo di aver chiesto a Gareth, allo stesso genitore che a sua volta non aveva voluto saperne niente di lui e delle sue sorelle, informazioni circa la persona che fino al giorno prima credeva esser morta da tempo. Sapeva di aver fatto un torto al solo uomo che riteneva esser suo padre, ma a quel punto si erano feriti a vicenda.

Le bugie non portavano ad altro, se non a quell'epilogo.

«E se per caso aveva la mezza idea di tornare qui, in questa casa,» aggiunse il ragazzo, «sarò io ad andarmene.» Fu così brusco ad allontanarsi dal tavolo che fece quasi ribaltare la seggiola. Si ritrasse quando Viktor cercò di fermarlo e se ne andò di corsa di sopra sbattendo la porta della propria camera da letto.

Rose fece un respiro profondo, come se fosse rimasta per tutto il tempo della sfuriata del fratello in apnea. Esther non era in condizioni migliori e Viktor... beh, era sconvolto per tutto quanto, anche se...

Schiarì la voce. «S-Signor Wildbrook, posso... posso dire una cosa?»

Max lo guardò. Il discorso di Mytra lo aveva lasciato di sasso e sì, gli aveva fatto male, specie nel venire a sapere che il figlio aveva contattato Gareth, un menefreghista di prim'ordine che ovviamente aveva buttato la colpa solamente sul suo ex-sposo, facendolo passare per il cattivo della situazione. «Dimmi, Viktor» incalzò rauco.

«So di non avere probabilmente il diritto di metter becco in questa faccenda, ma...» Il ragazzo guardò Esther e Rose. «Comunque stiano le cose, penso che la sola verità a contare sia una e una soltanto: avete ancora entrambi i vostri genitori. Avete la possibilità di avere di nuovo tutti e due al vostro fianco. Se quello che il signor Wildbrook ha detto è vero, è evidente che vostro padre non sia potuto tornare da voi per motivi che andavano oltre la sua volontà. Nessun genitore indifferente verso i figli avrebbe rinunciato persino a curarsi pur di assicurare loro dei fondi fiduciari per gli studi e quant'altro. Ne so qualcosa di genitori disumani ai quali non importa niente dei loro figli e... penso che dovreste dargli una possibilità.»

Esther annuì debolmente. «In effetti... penso che dovremmo fare come dici tu, Viktor. Solo... prima voglio sapere perché papà non è mai tornato. Cos'è successo veramente?»

Max scelse allora di dire la verità solo in parte, come aveva stabilito insieme a Dario: «Per lui era troppo pericoloso restare a Eutopia, specie visto che le persone che avevano provato a toglierlo di mezzo e a farlo tacere erano ancora in libertà e lo avrebbero braccato, se avessero saputo che era sopravvissuto. Fu costretto a espatriare e a rifugiarsi in una piccola città dello stato di Nihon ed è lì che infine l'ho trovato. Sono rimasto lì per due settimane e l'ho convinto a tornare con me qui. Attualmente ha un appartamento in centro e... beh...»

Tanto valeva dire tutto fino in fondo, anche se sarebbe stato un po' imbarazzante.

«I-Il punto è che... q-quando ci siamo ritrovati... n-noi...»

Entrambe le ragazze capirono. «Oh» commentarono in coro. Viktor invece pareva imbarazzato quanto Max. «Beh, mi sembra il minimo, vista l'astinenza durata anni» aggiunse Rose, quasi ridendo.

«Rosie!»

«Oh, papà, andiamo! Ormai ho diciotto anni! Non mi scandalizza parlare di sesso!»

«Quindi?» chiese Esther.

Il medico fece un respiro profondo. «Abbiamo appena scoperto che... insomma... aspetta un bambino.»

«Oh, perbacco!» si lasciò sfuggire Rose. «Non avete perso altro tempo, questo è certo!» aggiunse divertita.

Esther era decisamente sorpresa, ma non sembrava averla presa male. Viktor, invece, sentiva di non capirci ormai un bel niente. Esther, subito dopo, si permise di dire però una cosa: «Non so se Mytra la prenderà bene». Considerando la reazione di poco fa del ragazzo, era molto probabile che non avrebbe rivolto più la parola neppure a Max, il quale annuì abbattuto. «È possibile che accada» concesse. «Forse dovrei andare a parlargli.» Da un lato sarebbe stato magari meglio aspettare che la rabbia di suo figlio si placasse o almeno attenuasse, ma dall'altro tutti loro sapevano che Mytra era capace di tenere a qualcuno il broncio anche per un anno intero, se lo credeva bene. C'era il rischio che aspettando si sarebbe finito solamente per peggiorare tutto.

«Parlaci adesso, papà» incalzò Rose. A suo parere Mytra non era arrabbiato, ma ferito. Se l'era presa perché Max non aveva detto sin da subito cosa stava succedendo e... beh, era ferito anche per l'aver saputo di punto in bianco e dopo anni che in realtà l'altro genitore era ancora vivo. Dunque era possibile, molto possibile, che in realtà il suo disappunto e la sua delusione non fossero realmente rivolte a Max, bensì a Dario. Max era stato colpito perché si era ritrovato sulla fiammeggiante traiettoria, niente di più.

Nelle orecchie di Mytra la musica hard rock risuonava così forte tramite le cuffiette che il ragazzo non si accorse di non essere solo se non quando un paio di mani gli sfilarono gentilmente gli apparecchi dai timpani.

Inviperito com'era, ci mancò poco che non se ne uscisse con una sequela interminabile e pittoresca di insulti. Sollevò lo sguardo torvo e vide suo padre, ma era talmente arrabbiato con lui che alla fine decise di ignorarlo e di tornare a scarabocchiare sull'album dei disegni.

Mytra era uno di quei ragazzi che avevano una sorta di doppia vita: scriveva racconti dell'orrore e del sovrannaturale su una piattaforma del web e da qualche anno a quella parte si era dedicato molto al disegno finché non aveva deciso di lavorare a un fumetto vero e proprio che di recente aveva scelto di pubblicare sotto pseudonimo su un'applicazione digitale. Suo padre aveva scelto di rendere lui e le sue sorelle almeno un pochino indipendenti e per questo tutti loro possedevano una carta di credito, seppur limitata, e i guadagni del fumetto che molte persone sceglievano di leggere pagando andavano a finire tutti proprio su quel conto bancario.

Ad ogni modo, né suo padre né le sue sorelle erano a conoscenza di quella sua attività extra, e non per questioni di umiltà, vergogna o imbarazzo, ma perché, semplicemente, a Mytra piaceva l'idea di poter avere uno spazio del tutto personale all'infuori del nucleo familiare dove poteva sbizzarrirsi a piacimento e mantenere un minimo di privacy, avere qualcosa che fosse solo e unicamente suo e di nessun altro.

Doveva la pubblicazione del fumetto solo e soltanto a Viktor che lo aveva spronato a fare un tentativo e aveva creduto sin dall'inizio nelle sue capacità, e sempre con lui aveva condiviso i crescenti progressi e sviluppi dell'opera. Non era semplice trovare un fidanzato disposto a sostenere sempre e comunque la persona che reputava di amare e questo rendeva Viktor ancora più speciale agli occhi di Mytra.

Max non perse la calma e inclinò il capo per cercare di sbirciare e vedere cosa stesse scarabocchiando il figlio, ma quest'ultimo fu lesto a richiudere l'album e gli scoccò un'occhiata avvelenata. «Di', papà, sei qui per invadere la mia privacy o per parlare di qualcos'altro?» chiese astioso.

L'uomo fece un lungo respiro. «Sono qui per parlare.»

«Lo stai già facendo.»

«Io... non riesco a immaginare come tu ti stia sentendo, Mytra, ma devo anche dire che non mi hai dato il tempo di spiegare il resto della storia. Sei saltato subito alle tue conclusioni, ma credimi: tuo padre non ha scelto di stare lontano da voi di proposito, e sai come lo so? Perché io c'ero quando tu ed Esther veniste al mondo. Gli sono rimasto accanto per tutto il tempo e fidati quando ti dico che vi ha voluto bene dal primo momento in cui vi ha presi in braccio. Toccò per primo proprio a te, sai? Fu commovente e... non te lo nascondo, non subito era partito con l'intento di proseguire la gravidanza. La questione dell'epidemia, però, gli impedì di prendere quell'appuntamento per prenotare l'aborto e col senno di poi ricordo che mi disse che era stato felice di non essersi mai recato a quella visita. Puoi dubitare di tante cose sul suo conto, Mytra, ma non sul suo affetto.»

Mytra stringeva così forte la matita nel pugno che era un miracolo che la poveretta non fosse stata ancora troncata a metà. «Allora perché non è tornato? Perché fare del male così a me, a Esther e a Rose? Dove cavolo è stato per tutti questi anni?»

«Non è potuto tornare proprio a causa delle persone responsabili della morte di tanti innocenti. Era gente pericolosa, Mytra, e lui... beh, sapeva che avrebbe rischiato solo di mettere in pericolo te e i tuoi fratelli, se fosse rimasto. Fino a tempo fa ha vissuto all'estero, ma adesso è qui e... non te lo nascondo, vorrebbe tanto incontrarvi tutti e tre ed è in ansia. Sapeva che probabilmente vi sareste arrabbiati, com'è giusto che sia.»

Il ragazzo contrasse la mascella. «Esther e Rose cosa dicono?»

«Loro sono disposte a dargli una possibilità.»

Mytra dapprima fu sul punto di dire che non voleva saperne niente, ma avvertendo qualcosa di strano chiese, invece: «C'è altro che dovrei sapere?»

Si pentì subito dopo di aver domandato non appena suo padre gli confessò che, fra tante altre cose, presto lui avrebbe dovuto veder scorrazzare in casa un marmocchio. «Vogliamo scherzare?!» esplose. «Non esiste! Va bene?! E poi... ormai siete vecchi! Quando Coso lì avrà dieci anni voi avrete l'età per essere nonni!»

Non voleva un altro fratello. Non se ne parlava!

«Certo che non avete perso tempo, eh?!» continuò, davvero furibondo. Gettò da una parte sul letto l'album e superò il padre quasi travolgendolo, uscendo infine dalla stanza. Sentiva il bisogno di uscire da quella casa. Gli mancava l'aria e sapeva che se fosse rimasto avrebbe finito per prendere qualcuno a pugni o fare di peggio.

Ignorò deliberatamente suo padre che gli diceva di fermarsi e poi le sorelle quando gli chiesero dove credesse di andare a quell'ora. Vide Viktor avvicinarglisi e gli rivolse un'occhiata di avvertimento. «Vade retro! Ora come ora mordo e sono un concentrato di veleno puro!»
Il giovane Yakovich, però, non si lasciò intimidire e lo riacciuffò in tempo prima che potesse uscire e andare chissà dove. Ignorò le proteste di Mytra e i suoi tentativi di divincolarsi. Si agitava tanto da sembrare imparentato con un'anguilla. «Ehi, ehi, ehi!» esclamò Viktor, schivando il calcio istintivo che il fidanzato cercò di rifilargli. Alla fine decise che entrambi sarebbero usciti. Forse un po' di aria fresca avrebbe giovato a quella testa calda.

Appena furono fuori vennero accolti dall'odore della pioggia che scrosciava sui gradini del portico e sul vialetto. Per fortuna la tettoia li teneva al riparo dall'acqua.

Mytra sibilò sottovoce una sconcia imprecazione che ben poco si addiceva al suo viso raffinato e delizioso, poi frugò nella tasca dei jeans del proprio ragazzo e pescò da essa un accendino e delle sigarette. Ne sfilò una dal pacchetto e se l'accese.

«Spero solo che tuo padre non si accorga dell'odore di fumo» borbottò Viktor, lievemente preoccupato. Per un medico non doveva essere il massimo avere un figlio fumatore.

«Chi se ne frega» mormorò l'altro espirando un sottile nastro di fumo che si snodò nell'aria e infine svanì. Non fumava spesso e lo faceva solo quando era nervoso o arrabbiato. «Da quel che ho capito ha ben altro per la testa, adesso.»

Viktor lo squadrò. «Non ti sembra di essere un po' troppo intransigente e forse... ingiusto?»

Mytra lentamente gli posò gli occhi addosso che mandavano faville. «Ho appena scoperto che uno dei miei genitori si è finto morto per quasi diciassette anni, va bene? Ora però è saltato fuori dal nulla con la pretesa di essere riaccolto a braccia aperte e, ciliegina sulla dannata torta, lui e mio padre hanno pensato bene di inaugurare la riunione di famiglia con un altro figlio! Non credo proprio di essere io quello che sta sbagliando!» sbottò. «Vuoi la verità? Non è stato facile crescere con solamente un genitore, ma ormai avevamo trovato tutti un equilibrio perfetto, la nostra vita era quella e andava bene così! Io e le mie sorelle non abbiamo bisogno del Signor Salto-Fuori-Quando-Più-Mi-Aggrada, okay? E mio padre avrebbe dovuto mandarlo a quel paese e finalmente decidersi a voltare pagina e trovare una persona che potesse amarlo come si deve e come merita!»

Viktor sospirò. «Da cosa mi è parso di capire c'era un valido motivo se...»

«Non mi importa! Va bene?»

«Perché non vuoi dargli una possibilità? Non ci credo che tu non voglia almeno provarci, Mytra.»

«Perché tanto so che finirà per deluderci! Lo ha fatto una volta e potrebbe farlo ancora!»

«Non puoi esserne certo fino in fondo.» Viktor fece una pausa e gli rubò la sigaretta per fare un tiro. «Pensaci bene... Con me ti sei forse fermato alla prima impressione? Non l'hai fatto e... beh, ora eccoci qui, fidanzati e tutto il resto. Una possibilità va data a tutti, specialmente alle persone che restano, nel bene e nel male, la nostra famiglia. Non sarà un granché detto proprio da me, visto che mio padre è dietro le sbarre e sono stato io stesso a denunciarlo e a farlo arrestare, ma io ci ho provato, Mytra, anche se alla fine è andata male. Gli ho dato una possibilità perché... malgrado tutto... era pur sempre mio padre e gli volevo bene. Gli voglio ancora bene, in realtà, e a suo modo una cosa importante me l'ha insegnata, me l'ha fatta capire: l'uomo che non voglio e mai vorrò diventare ed essere. È comunque qualcosa, no?»

Non voleva che Mytra rischiasse di commettere un errore di giudizio solo per una questione di orgoglio e testardaggine.

Il diciassettenne non disse niente per un po', finché: «Sai cosa davvero mi fa innervosire?»

«Cosa?» incalzò Viktor.

«Mentre ascoltavo mio padre parlare... ho avuto più volte la sensazione che non stesse dicendo tutta la verità. È come se avessi un tarlo in testa che mi ripete che c'è sotto qualcosa. È una spiegazione che non regge e comunque... tutte le persone coinvolte nella faccenda dell'epidemia e gli intrighi attorno ad essa sono state poi uccise da Black Fox appena quattro anni dopo che la verità era affiorata. Lui sarebbe potuto tornare un bel po' di tempo fa, eppure solo ora lo ha fatto. Mio padre sta nascondendo qualcosa, forse per proteggere me e le mie sorelle o forse... per proteggere lui.» Dava ascolto al proprio istinto che mai lo aveva tradito o condotto in vicoli ciechi e il suo istinto gli urlava che la verità era molto più complicata e, forse, spiacevole.

Suo padre gli stava mentendo eccome. Sentiva che era così ed era quello a farlo imbestialire. Cosa c'era da nascondere? Cosa non aveva voluto rivelare? Perché dovevano esserci così tanti segreti?

Viktor sbatté le palpebre e rifletté. «In effetti è un po' bizzarro e controsenso» concesse con cautela.

Mytra si morse il labbro inferiore e spense a terra la sigaretta. «So che la mia sarà un'ipotesi balorda e azzardata, ma... pensaci bene, Viktor. Una cosa in comune nella famiglia Jones è che quasi tutti loro posseggono la forma animale di una volpe e... insomma... guarda caso Black Fox significa ‟Volpe Nera". Guarda caso quelle esecuzioni a opera di quell'individuo mascherato avvennero mentre lui era ritenuto morto da quattro anni. Insospettabile, no? Nessun altro sapeva tutta la verità, avrebbe potuto operare indisturbato e con il beneficio più grande che ci sia per qualcuno che intende ammazzare un bel po' di gente e passarla liscia: il proprio nome su una lapide. Per lo Stato e l'intera popolazione lui non esisteva più. Sarebbe stato come dare la colpa a un fantasma, no?»

Yakovich era dubbioso. «Secondo me stai un po' demonizzando una persona che al momento chiaramente detesti. Chi ti dice che magari non fosse invece tuo zio?»

«Mio zio è un Alfa, Viktor, e non dimentichiamo che è stato appurato che quel pagliaccio caudato fosse stato identificato come un Omega. E comunque mio zio non mi sembra uno di quelli che se ne andrebbero in giro a fare i giustizieri mascherati. È un uomo dalla parte della legge e irreprensibile.»

«Lo stesso penso che tu ti stia perdendo in congetture improbabili. Posso capire che tu lo detesti per tante ragioni, ma da qui all'accusare uno dei tuoi genitori di essere un assassino mascherato di acqua sotto il ponte ne passa! Insomma... è come accusarlo di essere un serial killer.»

«Chi ti dice che non lo sia o che non lo sia stato? Che ne sappiamo noi di cosa abbia potuto fare in tutti questi anni mentre se ne stava bello bello a fare una vacanza dall'altra parte del mondo? Non mi fido, Viktor! Le coincidenze sono troppe, te lo dico io!»

Viktor sospirò e gli prese il viso fra le mani, poi lo baciò. «È stata una serata pesante. Dormici un po' su.»

Per qualche ragione a Mytra invece ricordava spaventosamente il personaggio che presto Yakovich avrebbe interpretato alla recita scolastica: anche Angor Valdemar aveva commesso un grave errore a fidarsi di quel losco figuro di nome Gylias Reisbach, andando persino contro il parere ben più imparziale di Tristan che aveva cercato invano di metterlo in guardia.

Viktor e Angor da quel punto di vista si somigliavano, per quanto fosse pazzesco: tendevano a concedere il beneficio del dubbio a tutti quanti, poco importava se a volte fosse palese la cattiveria di una persona.

Non penso quelle cose solo perché sono arrabbiato. Io so che qualcosa non torna.

Si tastò le tasche dei jeans, ne estrasse il cellulare, aprì il motore di ricerca e digitò velocemente delle parole chiave ben precise che subito lo condussero a ciò che stava cercando. Appena ebbe individuato l'immagine a risoluzione più alta, la ingrandì più che poté e la osservò bene. Un po' bruscamente fece abbassare il fidanzato e gli mise sotto il naso il cellulare.

«Guarda questo frame! È quello che misero sui giornali e fecero vedere nei telegiornali! Guardalo bene!»

Ammetteva che non fosse semplice riconoscere i tratti del viso per via della maschera che lo copriva in parte e della qualità generale del frame che non era ottimale, ma un minimo di riscontro c'era.

«Ma come fai a capirci qualcosa? A malapena è visibile il viso da quell'angolatura» protestò Yakovich.

«Io invece ti dico che la forma del viso, il naso e la bocca sono distinguibili! È lui, ti dico! Se vuoi rientriamo e ti piazzo di fronte la foto del giorno in cui lui e mio padre si sono sposati!»

«Oh, andiamo, Mytra! Stiamo parlando di una persona che una volta lavorava per la polizia.»

«E questo che c'entra? Niente impedisce a un ex-poliziotto di passare dall'altra parte della barricata e diventare a sua volta un criminale, e quando questo succede ciò che ne esce fuori è il doppio più pericoloso perché sa come non farsi beccare e quali errori non commettere, quali prove non lasciare sulla scena del crimine!»

Viktor era palesemente spezzato fra il dare un minimo di credito alla teoria del fidanzato e il pensare che quella faccenda fosse solo una scusa ben congegnata per non affrontare il vero problema. Appena aprì bocca per dire qualcosa, tuttavia, venne interrotto dalla suoneria del cellulare di Mytra che li sottrasse alle teorie cospirative.

Il giovane Wildbrook sbuffò scocciato, ma rimase sorpreso quando vide chi lo stava chiamando.

«È Milo» mormorò.

«Beh, rispondi» incalzò il diciottenne. «Andiamo, Mytra, non potrai continuare a ignorarlo per sempre. Rispondigli.»

«Solo perché sei tu a dirmi di farlo» borbottò l'altro, accettando la chiamata. «Sì?» rispose. Seguì un intermezzo di silenzio durante il quale Mytra strabuzzò gli occhi. «Ma che diavolo...» disse fra sé. «Per l'amor del cielo! Cosa... Dove siete, si può sapere?» Sbuffò tra sé sonoramente. «Arrivo subito.» Chiuse e sollevò lo sguardo sul fidanzato. «Devo andare e... ti chiedo di venire con me. Sei maggiorenne e nessuno farà storie per via del coprifuoco. Non posso andare in giro da solo a quest'ora.»

«Che è successo?»

«Non lo so, non ci ho capito niente! Andiamo, guido io.»

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