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乇ㄩㄒㄖ卩|卂 || Ep. 25. Silas Jones





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L'aula magna del municipio era gremita di persone, fra le quali vi erano molti inviati di testate giornalistiche e cronisti dei telegiornali principali di Eutopia, oltre che ai fotografi e diversi poliziotti.

Fra di loro, l'unico a esser sotto i riflettori assieme al capo della polizia Aguélo, Andrew Thorne, il giovane detective che la notte prima, dopo ulteriori settimane di terrore e indagini, finalmente era riuscito a catturare il pericoloso omicida che aveva mietuto almeno trenta vite innocenti.

Quella mattina, dunque, era stato invitato dal capitano Aguélo e i superiori a presenziare alla conferenza stampa per rispondere alle tante domande che Eutopia aveva in merito al caso e sì, anche rassicurare i cittadini e far loro capire che il peggio era passato.

In lontananza, fuori dal mucchio della folla per evidenti ragioni, Andrew scorse il viso familiare e rassicurante di Lexie, il quale aveva in braccio Milo e gli sorrideva per spronarlo e ricordargli che quello era il suo momento, che se l'era guadagnato appieno. Gli si leggeva negli occhi che era fiero di lui.

Il detective ricambiò come meglio poté il sorriso e si sistemò velocemente la cravatta prima di salire sul seggio centrale, dopo che il suo capo si era fatto da parte e lo aveva introdotto alla stampa.

Subito un giornalista attirò la sua attenzione. Reggeva in mano un taccuino, pronto a segnare ogni singola parola che lui avrebbe pronunciato.

Che ansia, pensò snervato il giovane poliziotto. «Prego, mi dica» disse al microfono.

«Detective Thorne, non ci è stata ancora rivelata l'identità del serial killer. Potrebbe fornirci delle ulteriori informazioni? Credo che questa città meriti almeno di conoscere il volto dell'individuo che ha terrorizzato tutti quanti per settimane.»

«Mi dispiace, ma per il momento, per ragioni soprattutto di privacy e di ulteriori accertamenti, io e il dipartimento preferiamo mantenere del riserbo in merito all'identità dell'assassino. A tempo debito, però, risponderemo a questa domanda in modo esaustivo. È una promessa, mi creda.»

«Può almeno dirci se è un uomo o una donna?»

«Si tratta di un uomo di quarant'anni, posso dire questo. Ci risulta essere un Beta.»

Una cronista si fece notare e domandò: «Detective Thorne, l'assassino ha offerto una spiegazione di qualche tipo che potesse giustificare i crimini commessi? Perché ha ucciso tutte quelle persone? Sono davvero trenta le sue vittime?»

Andrew deglutì. «È la domanda che ci poniamo ogni volta, questa. Sempre ci chiediamo perché e... anche stavolta, almeno per ora, le motivazioni del nostro uomo risultano ignote. Sospettiamo possa soffrire di gravi disturbi mentali o di uno squilibrio che lo ha indotto poi a commettere tutti quei crimini. Le vittime sono trenta, almeno quelle accertate, ma stiamo indagando più a fondo e abbiamo scoperto che le sue attività criminose potrebbero esser cominciate ancor prima del periodo in cui poi ha scelto apertamente di rivelarsi come una vera minaccia per questa città. Almeno altri cinque casi sono sospettati di esser stati commessi proprio da questa persona, solo che... almeno da quel che ho potuto dedurre fino ad ora, si trattava sempre di una sorta di prova. Stava solo cercando il proprio stile, come avrebbe fatto un artista, per quanto un simile paragone risulti non proprio calzante. Le vittime, dunque, potrebbero essere più di quante ne avessimo contate fino a ieri.»

Un brusio si sollevò tra la folla, poi un'altra giornalista si fece coraggio e domandò: «Penso che tutti, qui, vogliano sapere come è riuscito a catturare il killer. Può dirci qualcosa a riguardo?»

«Non è stato solo merito mio» rispose prontamente Andrew, il quale non voleva arrogarsi un merito che non aveva, non del tutto almeno. «Abbiamo lavorato in modo instancabile tutti quanti al dipartimento e siamo riusciti a incastrare l'assassino grazie alla segnalazione tempestiva e sul filo del rasoio di una donna che sarebbe stata, in caso contrario, la sua trentunesima vittima accertata. Era in grave pericolo di vita e ha riportato diverse ferite e un trauma che dovrà essere trattato con l'aiuto di un terapeuta, ma è comunque riuscita a telefonare alla polizia e a salvarsi in tempo. Siamo riusciti per un soffio a catturare il killer dopo un breve inseguimento. Lui alla fine si è arreso e quando lo abbiamo portato alla centrale è stato sottoposto a un lungo interrogatorio terminato verso le sette di mattina, circa tre ore fa. Ha ceduto non appena siamo riusciti a trarre affermazioni contraddittorie circa sedicenti alibi che non reggevano. Alla fine abbiamo scoperto, grazie soprattutto al portiere del palazzo in cui abita, che gli orari in cui lui usciva corrispondevano a quelli in cui le vittime erano state assassinate. Perquisendo il suo appartamento, poi, abbiamo rinvenuto diversi... uhm... trofei sottratti a quelle che lui riteneva essere le sue prede, per sua stessa ammissione. Oltre a quelli, c'erano anche alcune ricevute e degli scontrini di materiali comprati in dei negozi, materiali che erano stati utilizzati per l'occultamento dei cadaveri o per immobilizzare le persone da lui uccise. Non appena gli ho fatto presente che avevamo tutto questo a disposizione, lui è crollato e ha deciso di confessare e di ammettere la propria colpevolezza.»

A suo parere quell'uomo aveva dei problemi seri e per tale ragione, malgrado i crimini, Andrew sperava che venisse condannato alla detenzione in un istituto d'igiene mentale dove avrebbero potuto aiutarlo a risolvere tali problemi e a trovare un po' di pace dai demoni che con evidenza si portava dietro.

La condanna a morte, d'altronde, non avrebbe risolto niente né riportato in vita le vittime, e personalmente di morte ne aveva vista anche troppa.

Chi erano loro per dire chi doveva vivere e chi doveva morire? Chi erano loro per elargire giudizi dei quali persino i più saggi ed esperti non conoscevano gli esiti e le risposte ad ogni domanda?

«Per il momento non ho altro da aggiungere. Voglio solo assicurare a Eutopia che da oggi potrà tornare a dormire sonni tranquilli.» Si fece da parte e solo allora si rese conto che le gambe gli tremavano e di avere la fronte sudata per via dell'ansia.

Forse anche il non aver dormito granché stava influendo un bel po'.

Voglio solo tornare da Lexie, Milo e Mickey, francamente.

Dei complimenti del governatore e del re poco gli importava. Era felice di aver svolto il proprio lavoro e di aver fermato l'assassino nel minor tempo possibile.

Lexie si sedé al tavolo in sala da pranzo, proprio di fronte al fidanzato, e gli allungò una tazza fumante di espresso con una spruzzatina di panna sopra. Se l'era meritato appieno.

Andrew la prese e sorrise fra sé. «Ricordi che abbiamo preso un caffè anche la mattina dopo che ero venuto da te per raccontarti di cos'avevo scoperto? Mi sembra passata una vita, eppure è trascorso meno di un anno.»

L'altro sbuffò una risata. «È stata anche la prima volta che abbiamo fatto sesso, se la memoria non mi inganna. Sul bancone.» Sghignazzò vedendo Thorne arrossire. «Oh, ma guardatelo! Arrossisce come uno scolaretto!»

«Piantala!»

«Il miglior sesso dell'ultimo anno.»

Andrew si accigliò. «E le volte dopo, allora?»

«Quelle non contano. Quella volta... non lo so, mi è piaciuto da matti perché è stato selvaggio e imprevisto. Volevi farlo con me dalla prima volta che ci eravamo conosciuti, te lo si leggeva in faccia.»

«Non è vero! N-Non...»

«Neanche quando mi hai visto ballare al Black Dahlia

L'Alfa guardò altrove, paonazzo. «Era diverso. Insomma... ti atteggiavi in maniera provocante e tutto il resto.»

«Lo scopo della danza era proprio quello di ammaliare. Non vergognarti.»

Andrew tacque per una manciata di secondi, sorseggiando l'espresso. «Per me non è mai stata una questione del voler fare semplicemente sesso con te. Io... io penso che sia stato un vero colpo di fulmine. Mi sei entrato nella testa e non ne sei più uscito, e... quando poi ti ho incontrato e conosciuto per la vera e prima volta al locale, come una persona comune, ho pensato che l'universo non è abbastanza pigro da affidare tutto a mere coincidenze. Mi piacevi da impazzire, ma adesso... adesso so di amarti sul serio, Lexie. Stamattina, se non ti avessi visto lì, in mezzo alla folla, pronto a sostenermi, non credo sarei riuscito a spiccicare mezza parola. Mi hai dato coraggio, me lo dai ogni singolo giorno, e non vorrei nessun altro al mio fianco se non la meravigliosa persona che ho di fronte proprio ora.» Ricordando bene il motivo per cui aveva tardato a tornare a casa quel pomeriggio, dopo essersi guadagnato un po' di riposo, frugò nelle tasche dei pantaloni.

Lexie si accigliò. «Che stai facendo?»

«A-Aspetta un attimo, devo solo... ah, ecco qui.» Thorne tornò a guardare il fidanzato e si fece coraggio. «L-Lexie, i-io volevo... volevo chiederti se vorresti... vorresti farmi il l-l'ordine di...», si maledisse. «N-Non l'ordine, volevo dire... l'onore d-di...»

Il ragazzo lo squadrò spaesato. «Andrew, non riesco a capire. Ti senti male? Sei paonazzo.»

«Vorrestifarmil'onoredisposarmierendermituomarito?» chiese tutto d'un fiato l'Alfa.

Lexie sbatté le palpebre. «Eh?»

Porca miseria, imprecò a mente Andy. Un respiro profondo. «Vorresti sposarmi, Lexie?» chiese ancora, scandendo bene le parole, il cuore che intanto gli massacrava le costole. «Sposami.»

«Miseria nera» esalò il giovane, spiazzato. «A-Andrew, io...» Non sapeva cosa pensare, ma al tempo stesso...

Andrew, convinto di aver sbagliato e di aver fatto solo un gran pasticcio, biascicò e gli disse di dimenticare tutto e fare come se non avesse mai detto niente, ma Lexie, indispettito, batté le mani sul tavolo e scattò in piedi. «Ma sei pazzo? Certo che ti sposo, cazzo!» esclamò stridulo. «Sì, porca miseria! SÌ, CAZZO!» Aggirò il mobile e si fiondò in braccio al fidanzato, baciandolo ancora e ancora. «Idiota di un Thorne! Come hai potuto pensare che non volessi sposarti?» proseguì in lacrime. «Oh, tu... tu... adorabile testone!» Lo baciò di nuovo, poi lo abbracciò forte. «Cazzo, quanto sono felice!»

Un attimo dopo, però, si scostò di nuovo e inorridì. 

«Ma ho avuto da poco un bambino! Come farò a dimagrire in tempo?!»

«Non ne hai bisogno. Stai benissimo così, credimi.»

«Ma cosa vuoi capirne, tu? È un disastro!»

«Lexie, ci vorranno mesi per organizzare il matrimonio.»

«Se credi che siano sufficienti un paio di mesi per tornare in forma, allora sei più stupido di quanto credessi, Andrew Thorne!»

Udirono il campanello di casa suonare e Andrew ne approfittò immediatamente per darsela a gambe e sfuggire all'uragano Lexie prima di subirne l'ira funesta. Ringraziò il cielo quando vide sulla soglia il cugino e Brian. «Meno male che siete qui» disse loro a bassa voce. «Lexie sta sclerando di brutto.» Si accorse che non erano soli e sorrise al nipotino in braccio a Skyler. «Ci sei anche tu, Alder!» Gli accarezzò la testolina castana e si sciolse vedendo il piccolo sorridergli di rimando e gorgheggiare, poi agitare una mano come a voler afferrare la sua.

«Oggi è di buon umore, sì» commentò Brian, scuotendo la testa mentre osservava il figlioletto con amore paterno. «Pensa che ha iniziato a gattonare e quasi a saper stare in piedi da solo. E se io o Sky proviamo ad aiutarlo, ci spinge via perché vuole fare da solo.»

«Oh, beh, vi lascio parlare» fece Skyler, cedendo il bambino al marito. «Io vado da Lexie e cerco di capirci meglio. Non osate sparlare di me o di lui!»

«Mai e poi mai» scherzò il cugino. Guardò Brian. «Mi sembra molto in forma.»

«Eccome, e abbiamo appena ricominciato a farlo.»

«Taci, ti prego» brontolò Thorne. «Per un bel pezzo io e Lexie non avremo altro a cui pensare che a poppate, pannolini e quant'altro. Non sapevo che un bambino costasse così tanto nel primo anno di vita, comunque!»

Herden sistemò meglio fra le braccia Alder. «Ah, che devo dirti! Ci si adegua, in qualche modo. E poi ne vale la pena.»

«Su questo sono d'accordo, ma...», Andrew sospirò profondamente. «Per un po' mi toccherà sputare sangue con i turni.»

«Il governatore non ti ha offerto un riconoscimento anche in denaro per la cattura di quel pazzo furioso?»

«Sicuro, ma io e Lexie abbiamo deciso subito di trasferire quel denaro nei fondi fiduciari sia di Michael che di Milo. Sai, no... nel caso che una volta cresciuti avessero bisogno di soldi per un'attività o simili, o anche solo per il college.»

Brian annuì. «Sì, in effetti è stata una bella mossa, ma così sei di nuovo con le gomme a terra.»

«Non ancora, ma per un po' dovremo stringere la cintura.»

«Dai, che ce la farete.»

Skyler, intanto, aveva raggiunto in sala da pranzo Lexie e in tal modo aveva scoperto che presto suo cugino e quel ragazzo si sarebbero sposati. Tra una chiacchiera e l'altra, alla fine erano arrivati anche al discorso circa il fratello ritrovato del giovane, ovvero Godric.

«Andrew me ne aveva parlato. Cavolo, sembra la trama di un libro!» commentò il medico, sorridendo. «Andate d'accordo? Com'è stato conoscerlo?» Lexie gli aveva offerto del vino bianco da bere, implorandolo poi di gustarselo anche per lui che non poteva neppure avvicinarcisi visto che stava ancora allattando. Se ne prese un sorso.

Il giovane Omega si strinse nelle spalle. «Bizzarro. Onestamente all'inizio, quando l'ho visto arrivare, mi è sembrato uno snob perfettino tutto ‟gne gne"... in realtà, vedendolo, gli ho dato mentalmente del pupattolo.»

Skyler a momenti si strozzò con il vino e gli ci volle un po' per smettere di ridere di gusto. «Sei terribile!»

«Sai come sono fatto!» si difese scherzando l'altro. «Poi però abbiamo iniziato a parlare e... ho scoperto che non era come appariva. È molto alla mano, una persona gentile.»

«Mi stupisce che si sia sposato con uno come l'avvocato Jones. Mi basta aver conosciuto una volta, a un evento indetto dal dipartimento di polizia per la Festa d'Inverno*, l'ex-capo di Brian. Lo ammetto: mi era sembrato un emerito stronzo con la puzza sotto il naso, ma... beh, poi Brian mi ha raccontato di esser venuto a sapere della morte di Jones e ammetto che un po' ho provato dispiacere. Insomma, considerando che ho visto il marito di tuo fratello all'opera in tribunale, e considerando come hai descritto Godric, sembrano talmente diversi da risultare incompatibili.»

«Sì, anche a me ad acchito era parso un po' bastardo, ma credo sia solo una facciata, com'è quasi sempre. Godric sembra amarlo con tutto il cuore e dovrà pur esserci un motivo, no?»

«A volte ci innamoriamo delle persone sbagliate.»

«Uffa, Skyler! Devi sempre vedere il bicchiere mezzo vuoto?»

«Nah, solo quando si tratta di far arrabbiare te.»

«Comunque ho scoperto che aspetta un bambino, il primo per lui. Dice che lo chiameranno Silas.»

«Bel nome» commentò Skyler. «Progettate di rivedervi, spero. Insomma, a questo punto voglio conoscere anche io il pupattolo.»

«Smettila!» rise Lexie. «Suppongo che lo inviterò al mio matrimonio. Ora come ora non può viaggiare, è in là con la gravidanza e credo che tra non molto il bambino nascerà. Sarebbe stato più facile se lui avesse abitato qui o nei dintorni, ma la sua vita è a Nyrme e non si può far altrimenti.»

«Beh, non perderlo di vista, capito? Avere un fratello è già fantastico, ma un gemello... Credimi, Lexie, è tutt'altra cosa, è speciale e unico. Io non riuscirei a stare senza Asher e non potrei mai immaginare una vita dove lui non è mai esistito. È l'altra metà della mia anima, da piccoli ci parlavamo con una sorta di codice che avevamo inventato noi di sana pianta. Mamma e papà uscivano sempre di testa pur di cercare di interpretare quella lingua stramba, sapevano che la usavamo sempre prima di combinarne una.»

Lexie si morse il labbro inferiore. «Andrew a volte mi ha parlato di suo zio, ovvero tuo padre. Che tipo di uomo era? Tu sei suo figlio, dopotutto.»

Skyler sospirò. «Era un brav'uomo. Affettuoso e premuroso, severo quando doveva esserlo. Lui e il nonno di James erano fratellastri, sai? Erano nati l'uno a molta distanza dall'altra, certo, e Arthur morì prematuramente di cancro. Avevano lo stesso padre e madri diverse. Quella di Arthur aveva abbandonato Peter, che era sia mio nonno, sia il nonno di James, e allora si risposò. Fu così che venne al mondo André.»

«Accidenti, che intreccio» commentò sbalordito Lexie, che non si era aspettato una simile storia. «E Peter che fine ha fatto?»

«Oh, è morto tanti anni fa, ormai, come la sua seconda moglie, ovvero Sophie. Ti sarebbe piaciuta! Era grintosa come poche altre donne al mondo.»

«Peccato siano morti. E Andrew, dunque, quale parentela aveva con Peter?»

«Lui era suo zio acquisito, o forse prozio, addirittura. Le nostre famiglie si sono unite tutte quante grazie al matrimonio fra Peter e Sophie, che era la nonna di Drew da parte della figlia, Scarlett, tua futura suocera.»

Lexie sbatté le palpebre. «Non è che avete da qualche parte uno di quei grafici in cui sono rappresentati gli alberi genealogici? Credo di aver bisogno di una mappa.»

«Sì, in effetti a volte anche io mi confondo» rise Skyler. «Da ragazzo scherzavo sempre con Asher dicendogli che qualcuno avrebbe dovuto scrivere un libro sulle avventure da soap opera dei Langford e parenti vari!»

«E pensare che volevo solo sapere qualcosa in più su André!»

«Non lamentarti sempre, su!» Langford finì il calice di vino. «E Milo come sta, piuttosto?»

«Lui sta benissimo, ma io e Andrew non dormiamo granché, specie per via della storia del serial killer. Credo che per un po' dovrò cavarmela da solo con il pupo, Andy ha bisogno di riposare.»

«Se vi servisse una mano, contate su di me e Brian.»

«Avete già Alder a cui pensare, non oserei mai caricarvi le spalle così.»

«Nah, lui ormai dorme senza svegliarsi quasi mai. Le cose vanno così bene che io e Brian finalmente siamo tornati ad avere un po' di sana intimità.» Era un eufemismo, visto che il compagno di Skyler pareva non averne mai abbastanza. Lo facevano almeno tre volte ogni notte.

Lexie sbuffò. «Accipicchia, quanto vi invidio. Io non riesco a far niente con la mia mercanzia, ora come ora. Ho provato a fare da solo in doccia, se sai che intendo, e ho tirato non so quante bestemmie visto che ho subito sentito un dolore pazzesco.»

«Beh, è ancora presto. Milo non ha neppure un mese di vita, è normale che tu debba ancora rimetterti del tutto e riassestarti. Non forzare le cose.»

«Lo so, lo so, ma è snervante, perché la voglia ce l'ho eccome e solo gli déi sanno quanto Andrew vorrebbe strapazzarmi fra le lenzuola! Sono talmente fissato che a volte ho paura che lui finirà per tradirmi!»

Skyler strabuzzò gli occhi. «Non lo farebbe mai!»

«Lo so!» si lagnò il ragazzo. «Ecco perché non volevo un altro figlio, uffa!»

Langford gli diede dei colpetti sulla spalla. «Smettila, su. Adori i tuoi bambini e devi andare fiero di entrambi.»

«Non so se penserò ancora che ne sia valsa la pena, quando uno di loro si presenterà qui, in casa mia, con una sciacquetta o uno stronzetto pronti a portarmeli via e a dirmi che sono vecchio e non devo impicciarmi!»

«Ho pietà di chiunque finirà per averti come suocero, in effetti.»

«Non è vero, sono adorabile e gentile!»

«Una volta sei venuto da me per farti dare una rammendata perché avevi litigato con un cliente e ne avevi prese quante ne avevi date.»

«Era autodifesa! Quello stronzo mi aveva palpeggiato e voleva un servizietto di bocca senza pagare un centesimo, e si era pure incazzato!»

Skyler sbuffò una risata, poi schioccò le dita e gesticolando disse: «Abbiamo appena trovato la soluzione, almeno momentanea, per te e il povero Andrew».

«Giusto» convenne Lexie, malizioso. «E sono piuttosto bravo in materia.» Quella sera stessa avrebbe messo in pratica il sordido proposito, parola sua. Se non altro per ricordare a Andrew che non era tutto finito solo perché avevano avuto un figlio.

Rimasero un attimo in ascolto e alzarono entrambi gli occhi al cielo: Brian e Andrew, fra una chiacchiera e l'altra, avevano acceso la televisione e deciso di guardare la partita. Si alzarono e si fermarono in soggiorno, osservandoli, e videro i due compagni guardare con la solita faccia ebete e concentrata lo schermo. Anche Alder sembrava preso dalla partita di football.

«Ritratto tutto» disse a bassa voce Lexie a Skyler. «Stasera vado a dormire prima e non faccio un bel niente a nessuno. Così impara a guardare la partita.»

Anita corse ad aprire alla porta e fece appena in tempo a fare questo, perché poi rischiò quasi di prendersela in faccia, tanto il padrone di casa fu sgraziato e brusco nello spalancarla per entrare in fretta e furia.

La donna si armò di pazienza e lo aiutò a togliersi il soprabito. «Si calmi, per l'amor del cielo! Il signorino sta bene ed è in forze, andrà benissimo!»

«Taci, Anita! Dov'è? Il dottore è arrivato? Parla, donna!»

«Si calmi o non le dirò un bel niente!»

«Al diavolo! Vado da lui!» Dante superò la governante e fece per correre al piano superiore, ma lei lo fermò per un soffio e gli si parò davanti. «Signor Jones, non la farò passare finché non avrà ripreso il controllo! In questo momento il suo compagno ha bisogno di quiete, non di uno scalmanato in giro per la stanza!»

Poteva capire tutto, ma non avrebbe permesso a quell'uomo di far venire l'ansia a quel povero ragazzo, come se già questi non fosse abbastanza spaurito, visto che era il suo primo bambino.

Sospirò. «Il dottore è già qui, non si preoccupi. Ci siamo quasi.» Anita gli diede un paio di colpetti incoraggianti sulla schiena. «È meglio se resta qui. Sarebbe solo di impiccio e alla nascita di Marilka è persino svenuto. Ricorda?» Dante, però, era già arrivato alle scale e le stava salendo. Anita, sconsolata, gli fu subito dietro e lo seguì di sopra. Videro Lydia e gli altri due bambini origliare dietro la porta della camera matrimoniale.

La governante, pratica come al solito, sventolò le mani per spronarli. «Su, sciò! Non è una faccenda per dei bambini, questa! Andate di sotto. Marciare!»

Lydia, però, rimase indietro e guardò il padre e Anita. «Perché urla così tanto?» chiese preoccupata. «Sta male?» Sapeva che si trattava del fratellino, ma non si era immaginata che il suo arrivo si sarebbe svolto con tutte quelle grida.

Dante si chinò e la strinse forte. «Non preoccuparti. È... è normale, credimi. Ora vai, Lydia. Ti chiameremo non appena il tuo fratellino sarà arrivato, promesso. Tu bada ai tuoi fratelli, intanto, va bene?»

Silas, alla fine, era arrivato con due settimane in anticipo. Da quel che aveva capito per telefono, mentre stava tornando in fretta e furia dal lavoro, Godric era caduto dagli ultimi gradini dell'atrio e per fortuna non si era fatto male, ma ciò gli aveva indotto il parto quasi immediatamente.

Lui e la sua proverbiale imbranataggine.

Dante affidò Lydia ad Anita, si fece coraggio ed entrò in camera, chiudendosi le porte alle spalle.

Si tolse la giacca del gessato, sentendo di colpo un caldo infernale, e in pochi passi fu al capezzale del consorte. «Ehi, come va?» chiese ansioso, non sapendo bene cosa fare o come. Dopo tre figli andava ancora nel pallone in momenti del genere.

Gli occhi del ragazzo lampeggiarono in direzione sua. «TU COME CREDI CHE VADA, EH?!» sbottò stridulo. «È TUTTA COLPA TUA! GIURO CHE TI FACCIO CASTRARE DOMANI STESSO!»

Il medico strinse con gentilezza le ginocchia divaricate al giovane. «Si calmi, la prego» lo apostrofò. «Faccia dei respiri profondi. So che è difficile, ma ci siamo quasi.»

«Mi creda, lo sento perfettamente che ci siamo quasi!» si lamentò l'Omega. Aveva il viso arrossato ed era in un bagno di sudore. C'era sangue sulle lenzuola e fra le sue gambe celate dalla maglietta che, fra una cosa e l'altra, non era riuscito o non aveva voluto togliersi.

Aveva ben altri pensieri per la testa.

Obbedì al medico quando gli venne detto di spingere di nuovo, per l'ennesima volta.

Non era nato ieri e sapeva che avrebbe fatto male, che sarebbe stato difficile, ma non si era aspettato una cosa del genere.

Era come esser trafitti da mille lame tutte assieme, ancora e ancora.

Jones, per fare qualcosa, disse che avrebbe arieggiato un po' e in fretta andò ad aprire la finestra.

«Già che ci sei, buttati di sotto, bastardo!» gli urlò dietro il suo sposo, spingendolo a fingersi sordo, viste le circostanze.

In realtà la colpa è stata sua, non mia. Io neanche sapevo che non aveva preso un bel niente per non restare fregato, accipicchia!

«Vedo la testa, eccola!»

Scattò in modo talmente repentino da sbattere la testa contro un lato della finestra. «Porca puttana!» gemette, tenendosi il punto colpito. Raggiunse di nuovo il letto e non resisté all'impulso di chinarsi, prendere il viso di Godric fra le mani e baciarlo. «Stai andando alla grande!»

«E tu che ne sai? Non c'eri neanche!» mugolò il ragazzo, anche se era chiaro che lo sprono del marito lo avesse un po' rinfrancato. Approfittò del breve momento di quiete prima del finale e si sistemò meglio sul letto mettendo la schiena a ridosso dello schienale. Cercò di fare dei respiri profondi. «Possibile che tutti voi Alfa siate dei testoni sin da prima di nascere?» gemette.

Era risaputo che i bambini Alfa sin da quando venivano al mondo risultassero di dimensioni maggiori rispetto agli Omega e ai Beta, e si chiedeva perché fosse toccato proprio a lui sfornarne uno.

Dante sbuffò una risata e gli pettinò via i capelli dal viso. «Siamo dei casi persi in partenza, temo.»

Il ragazzo gli allontanò la mano. «Zitto che sta ricominciando... Ahh!», spinse il capo contro la testiera e non attese le direttive del medico. Spinse e basta, sentendo di doverlo fare a tutti i costi. Ormai voleva solo che il dolore finisse, che smettesse all'istante.

Non ci volle molto perché il resto del corpo del piccolo Silas scivolasse fuori dal suo grembo, dritto fra le braccia già pronte a reggerlo del dottore, il quale sorrise e chiuse un occhio quando il bambino iniziò a strillare con quanto fiato aveva nei polmoni. «Beh, come già sapete è un maschio ed è più che in salute!» scherzò, mentre si adoperava per avvolgere il neonato nel panno che Anita, rientrata poco prima, aveva già preparato.

Fu lei, poi, a consegnare con delicatezza Silas a Godric. Il ragazzo piangeva e sorrideva, non si capiva bene, aveva solo occhi per il bambino che sgambettava e si agitava tra le sue braccia.

«Ciao, Silas» gli sussurrò, baciandogli poi la testolina senza badare al sangue e ai fluidi che la ricoprivano. Non gli importava, era una parte di lui, era il suo bambino, il suo tesoro più grande.

Udì un lieve rumore. Sollevando lo sguardo, si accorse che il marito si era voltato e stava provando come meglio poteva ad asciugarsi gli occhi e a farsi passare il momentaneo crollo emotivo.

«Oh, smettila di fare il duro e vieni a conoscere nostro figlio!» lo apostrofò divertito.

Dante, bofonchiando, lo invitò a star zitto e imprecò tra sé. Non era la prima volta che vedeva qualcuno nascere, aveva avuto già altri tre figli, ma quella volta era stato tutto diverso, lui si sentiva diverso e più fragile del consueto.

Non sapeva cosa lo avesse fatto commuovere così tanto nella scena cui aveva assistito.

Appena si fu un po' calmato, fu dal compagno e si sedé sul bordo del letto. «Fa' un po' vedere questo scricciolo al suo vecchio, vah» disse rauco, la voce che tremava per l'emozione. Resse in braccio il figlioletto e sorrise. «È perfetto» sentenziò. «E ha i tuoi occhi.» Erano socchiusi e presentavano il medesimo colore di quelli di Godric. I capelli invece erano scuri, ma forse sarebbero cambiati col tempo.

Godric sorrise di sbieco, stremato, ma felice come mai si era sentito e fiero di aver dato alla luce quella piccola meraviglia. «Già dalla faccia che ha ora so che ne combinerà di tutti i colori.»

Vide l'espressione del marito incupirsi e gli strinse una spalla. «Sono sicuro che starà piangendo come una fontana vedendo il suo nipotino, dovunque sia ora» disse, capendo immediatamente. «E se fosse stato qui, sarebbe accorso appena possibile per starti vicino.»

Era inevitabile che in momenti del genere il ricordo di una persona scomparsa troppo presto, e di recente, tornassero a galla. Sarebbe stato così sempre, probabilmente.

«Lo so» replicò rauco l'altro. «Comunque... ha proprio la faccia da Silas. Decisamente.» Guardò la governante. «Anita, va' a chiamare Lydia, Avery e Marilka. Devono conoscere il loro fratellino.»

Lei sorrise, aprì la porta e non si scompose quando i tre caddero a terra in un groviglio di scarpe da tennis, jeans e maglioncini di tre colori diversi. «Credo fossero qui già da un pezzo, signore.»

I ragazzini furono lesti a districarsi, a scattare in piedi come molle e a raggiungere di corsa i genitori.

«Levati, Avery, c'ero prima io!»

«Smettila, Lydia!»

«Voglio vederlo anch'io! Fate posto!»

Alla fine a spuntarla fu Avery, il più piccolo e agile: si arrampicò sul letto matrimoniale e quasi travolse Godric pur di avere per sé il primo sguardo esclusivo al nuovo arrivato. Spalancò la boccuccia. «Mi piace!» sentenziò.

Anita intervenne. «Avery, non stare addosso a Godric. È molto stanco e ha male dappertutto. Giù, avanti.» Lo fece scendere, ma Marilka sgusciò sotto il suo braccio sollevato a mezz'aria, fece il giro del letto e si sporse per guardare il bambino adagiato sugli avambracci del padre. «È piccolo e carino! Come si chiama?» trillò euforica. Silas, intanto, osservava i fratelli maggiori con tanto d'occhi. Pareva quasi chiedersi se fosse capitato fra tre matti. Fece una smorfia buffa e con una manina cercò in tutte le maniere di acchiappare una lunga e riccia ciocca di capelli della sorella di mezzo.

Godric sghignazzò. «Che ti dicevo? Guardalo!»

Dante sospirò in maniera drammatica. «Un terremoto, sì.» Riferì poi il nome alla figlioletta mentre permetteva al compagno di riavere un po per sé il bambino. «Lydia? Vieni qui anche tu, dai.»

Lydia obbedì, ma non appena fu accanto ai genitori, la prima cosa che fece fu avvolgere le braccia attorno al collo di Godric e piangere come una fontana, pur stando attenta a non far del male al fratello appena nato.

«Avevo tanta paura» singhiozzò. «Non volevo che andassi via anche tu come la mamma!»

Godric non disse niente e, sorreggendo con un braccio solo il figlioletto, con l'altra mano accarezzò il capo alla figlia acquisita, poi glielo baciò. «Te lo dicevo che non sarei andato da nessuna parte, piccola. Per me una promessa è una promessa, Lydia.»

Lydia si scostò e si asciugò le guance con la manica del maglione viola chiaro. Guardò entrambi i genitori e sorrise. «Vi voglio bene. E anche a lui.» Indicò Silas.

Dante era sul punto di ricominciare a versare fiumi di lacrime. Si sporse e strinse al petto la figlia, senza dire una parola.

Nessun ventisei di febbraio era mai parso tanto caldo e confortante come quello all'interno di casa Jones.


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