乇ㄩㄒㄖ卩|卂 || Ep. 14. Colpo di (s)fortuna
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Godric celò uno sbadiglio e si aggiustò stancamente gli occhiali rotondi e piuttosto grandi sul naso diritto, squisitamente all'insù. Dalle sue labbra sporgeva il manico di un piccolo lecca-lecca alla ciliegia. Aveva sperato che un po' di zucchero lo avrebbe strappato alla stanchezza, ma stava funzionando davvero poco.
Riprese a battere a macchina, gli occhi color malva fissi sul foglio che scorreva e poi tornava indietro quando la macchina da scrivere trillava.
In ufficio era rimasto solo lui, gli altri erano andati a casa e la segretaria, Layla, gli aveva detto che in caso avesse terminato quella sera la bozza, poi avrebbe dovuto consegnare a Jones tutto quanto direttamente a casa dell'avvocato, come era già successo con la precedente tirocinante e con i sottoposti.
Layla gli aveva consegnato le chiavi di riserva che personalmente custodiva per Jones e si era raccomandata di non perderle, di non gingillarsi, di fare in fretta e come se non si trovasse neppure lì. Non c'era da stupirsi che l'ansia lo stesse divorando vivo.
Cosa faccio se quando vado lì lui e i suoi figli stanno già dormendo? Insomma, non posso mica entrare là dentro come se ci abitassi!
Soffiò via dal viso una ciocca dei ricci capelli biondi legati in uno chignon di fortuna. Si domandava perché non si decideva a tagliarli, anche se ammetteva che non gli andava sul serio di farlo.
«Puoi farcela» si disse piano, battendo le ultime cinque righe come se ne valesse della sua sopravvivenza. Sperava solo di non aver combinato un pastrocchio.
Strappò via il foglio dalla macchina e rilesse il paragrafo.
Tanto so già che non andrà bene.
Guardò l'orologio. Non era poi così tardi.
Si alzò e riordinò i fogli, li inserì in una cartellina, annodò lo spago e con la stilografica vi scrisse sopra di cosa si trattava, chi aveva consegnato il documento e a chi era destinato, poi mise tutto quanto nella ventiquattrore a tracolla di cuoio chiaro e si asciugò il sudore dalla fronte. Faceva un caldo terribile, considerando che l'aria condizionata era stata spenta.
Quando uscì dall'ufficio, dopo aver salutato l'inserviente che a quell'ora riordinava tutto e puliva, ci mise almeno una decina di minuti per attirare l'attenzione di un taxi. Controllò il foglietto che Layla gli aveva lasciato e riferì l'indirizzo al tassista, pagando persino in anticipo la corsa pur di fare il prima possibile.
Non aveva altra scelta, visto che fra un paio di giorni ci sarebbe stato il processo. Jones avrebbe avuto bisogno di tempo, se l'arringa si fosse rivelata un fiasco.
Mezz'ora dopo era sceso dall'auto e stava osservando un'elegante casa coloniale che era stata ristrutturata splendidamente. Il giardino era grande e curato, i fiori spandevano un profumo inebriante e soave.
Si strinse al petto la borsa e procedette, attento a non far cigolare il cancello; percorse il viale di acciottolato chiaro, salì i gradini del portico e si fermò di fronte al portone. Gli tremavano le mani e le chiavi gli caddero per ben due volte, ma alla fine riuscì ad aprire e a entrare. Si guardò attorno: alcune luci erano ancora accese e ciò significava che probabilmente il suo capo era ancora sveglio.
Quel pensiero gli mandò il cervello in avaria.
Non devo farmi notare né sentire. Non devo arrecare disturbo, si ripeté a mo' di pappagallo.
Più facile a dirsi che a farsi. La loro specie aveva un udito fin troppo sviluppato e il minimo rumore...
Porco zio.
Guardò male il parquet che aveva cigolato sotto di lui. Accidenti a quegli stivaletti! Quando avrebbe imparato a non indossare i tacchi alti sul posto di lavoro?
Si torturò il lembo della giacca avvitata e cerulea, poi fu la volta del filo di perle che recava attorno al collo affusolato color avorio. Stava sudando freddo.
Che faccio? Vado avanti?
Beh, non poteva restare lì tutta la notte, no?
Si decise a raggiungere l'ampio sottoscala dove c'era un tavolino molto elegante di ciliegio con un telefono a disco postovi sopra. Accanto ad esso piazzò la cartella.
Missione compiuta. E ora, soldato Ranson, squagliatela!
Si voltò piano piano e fece per procedere a piccoli passi, ma vedendo una figura affacciarsi dall'architrave che dava sul soggiorno, sussultò, trattenne un grido per miracolo e finì per cadere bocconi, da imbranato qual era sempre stato.
Il viso gli ardeva d'umiliazione e il cuore gli fracassava le costole. Si coprì il volto, sentendosi sul punto di piangere.
Non ne combinava mai una giusta, proprio come era successo alla cena della settimana scorsa quando i suoi genitori avevano invitato a cena la famiglia di un loro amico di vecchia data, amico che aveva un figlio, Alfa, che a quanto pareva era stato promesso a lui sin dalla tenera età. Quello era stato il loro primo incontro in assoluto e lui era stato un disastro per tutta la cena e anche oltre. Aveva rimediato come regalo da parte del suo probabile futuro sposo proprio quella collana di perle, ma si sentiva uno schifo a indossarla perché non poteva amare quell'uomo che conosceva appena. Non gli piaceva neanche, a dire la verità. Troppo noioso e pieno di sé, troppo impegnato a snocciolare le proprie avventure di futuro imprenditore destinato a seguire le orme paterne e a dirigere l'azienda di famiglia. Godric quasi si era addormentato, a un certo punto.
Dei passi lo strapparono ai pensieri. Si fece coraggio e spostò le mani dal viso, alzò piano piano gli occhi e vide che Jones si era avvicinato, si era inginocchiato e gli stava tendendo una mano per aiutarlo a tornare in piedi.
Di quel passo gli sarebbe venuto un infarto, altro che storie.
«So di non avere un aspetto dei migliori, ultimamente, ma non pensavo di farle spavento» lo apostrofò Jones con un sorriso sghembo.
Il ragazzo esitò, poi accettò il suo aiuto e poco dopo biascicò che aveva consegnato la bozza e di nuovo si scusò per aver fatto bordello. «I-Io... io contavo di non disturbare, ma...»
«Lasci quelle mosse ai ninja, la prossima volta, d'accordo?» replicò l'altro, prendendo la cartella e aprendola per dare un primo sguardo al documento. Sospirò. «Uhm, senta, le spiace restare qui finché non avrò finito di leggere? Almeno potrò dirle subito se va bene o se dovrò puntare tutto sull'improvvisazione.»
Godric deglutì e annuì. «O-Okay.»
Non subito seppe se seguire o meno in soggiorno l'avvocato, poi stabilì che era meglio farlo. Almeno dalla sua espressione avrebbe capito l'esito dell'esame.
Osservò Jones camminare per la sala con una mano in tasca, l'altra invece che sorreggeva i fogli. A un certo punto, però, lesse ad alta voce, poi increspò le labbra. Non pareva granché convinto.
«È un disastro, vero?» chiese il ragazzo.
«Non proprio. Diciamo che io, di solito, non punto granché sul lato emozionale dei presenti. Il mio è un approccio diretto e spietato, tagliente.»
Godric avrebbe voluto sotterrarsi. Tutto quel lavoro per niente. «Le domando scusa. Io... io ho fatto del mio meglio.»
Dante si tolse gli occhiali da lettura e scosse il capo. «È pur vero, però, che al momento non ho la testa focalizzata del tutto sul lavoro. Sono una fonte poco attendibile, mi creda.»
Ranson esitò. «Forse dovrebbe prendersi qualche giorno per riposare e metabolizzare gli eventi, per stare anche coi suoi bambini. Ora più che mai dovrà mancare loro molto, no?» Non voleva accusarlo di essere un padre poco presente o menefreghista, ma di quel passo sarebbe finito male, a suo parere. Tutto qui.
Ricordando, però, qual era il suo posto, abbassò il capo e si chinò in segno di scuse. «Non spetta a me dire certe cose, mi scusi.»
Jones non pareva adirato, invece. Sbuffò una debole risata sfumata d'ironia. «È fra i pochi ad avermi parlato con franchezza in questi giorni infernali» ammise. «Preferisco la verità a una bugia ben costruita. Le bugie non portano mai a niente.»
Godric annuì. «Lo so bene, mi creda.»
«Ad ogni modo... le faccio gli auguri.»
Il ragazzo lo guardò stranito. «P-Per cosa?»
L'uomo inarcò un sopracciglio. «Uhm... per il suo fidanzamento. Io e suo padre siamo amici, no? Me l'ha detto ieri pomeriggio, ci siamo incontrati per discutere di un caso. Voleva un consiglio e fra una cosa e l'altra abbiamo preso un caffè insieme. Non smetteva di parlare di lei e di come fosse felice al pensiero che presto si sarebbe sposato. Perciò, beh, auguri.» Si strinse nelle spalle.
Il giovane Omega sentiva che di lì a poco sarebbe andato in fiamme a furia di arrossire come una mammola. «I-Io, ecco... a-ancora non ho deciso se accettare la proposta. Insomma, n-non conosco quel ragazzo. Sono stato promesso a lui quand'ero bambino, ma onestamente sta andando tutto troppo in fretta e vorrei pensarci bene.»
Egoisticamente parlando, non gli andava granché bene l'idea di concedere la propria verginità a Jeffrey Hammond. In tutta franchezza era un idiota, e i biondi neanche gli piacevano. Non voleva neppure mettere al mondo i suoi figli che forse sarebbero stati altrettanto boriosi e viziati.
Credeva di meritare di meglio.
«Problemi in paradiso?» azzardò Jones.
«Jeffrey è un cretino» ammise Godric, tappandosi subito dopo la bocca. «Oh, cielo! Mi perdoni, io... L-Lei conosce gli Hammond e...»
Dante scoppiò a ridere di gusto. «Vuole scherzare? Conosco di persona Jeffrey e confermo la sentenza: imbecille fino a prova contraria!»
Il ragazzo si rilassò un pochino e per un soffio evitò di sospirare per il sollievo. «Mi sento meno... beh, non uno stronzo come mi sono sentito fino a poco fa. Mi perdoni la parolaccia, ma rende l'idea.»
«Siamo fra adulti. Una parolaccia ogni tanto non guasta.» L'attenzione di Dante si focalizzò su qualcosa alle spalle di Godric e quando il giovane si voltò, vide una bambina mulatta dai folti capelli ricci che ricadevano sulle spalle. Aveva occhi verde chiaro e la faccia di chi si era appena svegliato. «Lydia, tesoro, che succede?» le chiese il padre.
Lei soppesò Godric quasi senza un'espressione precisa sul volto, poi rispose: «Ho fatto un brutto sogno con la mamma».
Dante fece un debole cenno col capo e si rivolse un'ultima volta al tirocinante. «La bozza dell'arringa può andare. Ha bisogno di essere corretta e rivista, ma per il resto funziona. Grazie per avermela portata. Le auguro la buonanotte.» Non si trattenne oltre e andò dalla bambina per riaccompagnarla a letto e starle un po' vicino. Godric, il quale stava uscendo dal portone, non si accorse che Jones si era voltato per guardarlo, anche se solo per un istante.
Grace scosse la testa e posò una guancia sulla mano sollevata a mezz'aria. Le dita dell'altra erano impegnate a mescolare un drink con la cannuccia apposita color prugna.
«E quindi, in sostanza, sei andato lì e ti sei fermato a parlare con Paparino» snocciolò. «Finché non è arrivata la bambina a infrangere i tuoi sogni di gloria.»
Godric, imbronciato, sorseggiò la propria bevanda. «Nessun sogno di gloria. Insomma, si può dire che abbiamo parlato sul serio per la prima volta da quando sono arrivato in quello studio per fare il tirocinio.»
Lei arcuò le sopracciglia. «Senza offesa, ma è palese che ci stai provando con lui. Prima il mezzo flirt di qualche giorno fa, poi ieri sera ti fermi a casa sua per parlarci e addirittura gli racconti di quanto sia idiota il tuo fidanzato, e lui addirittura ti ha dato ragione!»
A suo parere quell'uomo era più solo di quanto lasciasse intendere al prossimo e dopo la morte della moglie la solitudine si era accentuata. Era normale che cercasse di sfumarla in qualche maniera.
«Ti stai gettando a capofitto sapendo che al momento non è in grado di respingere il prossimo. Voglio dire, Godric... è vedovo da due settimane, non ha ancora metabolizzato il lutto e tu già pensi a prendere il posto della compianta Talia?»
Lui spalancò la bocca. «Cosa? No! Io... io stavo solo... è lui che mi ha incoraggiato! Che dovevo fare, scusa? È pur sempre il mio capo!»
Grace schiarì rumorosamente la voce, succhiò con la cannuccia il drink, poi: «Mi chiedo se userai sempre questa scusa quando una mattina ti sveglierai nel suo letto. Dirai che gli hai dato corda perché è il tuo capo e non volevi rischiare di far andare in malora il tirocinio?»
«Non voglio...», Godric sbuffò e guardò altrove per celare il rossore sulle guance.
«Certo, e io sono nata ieri, vero?» La ragazza si sporse. «Posso capirti, credimi. È sexy, non c'è che dire, e tutti in quello studio ci siamo sognati almeno una volta di infilarci nel suo letto, ma così è troppo!»
«Oppure voglio solo... non lo so, essergli amico! Ha parlato con me perché aveva bisogno di parlare con qualcuno, tutto qui!»
«Sarà, ma al tuo posto ci andrei piano.»
Il ragazzo tacque per qualche secondo. «Aveva gli occhi arrossati. Credo... credo avesse pianto e che si sia ricomposto solo quando mi ha sentito all'ingresso.» Aveva evitato di sfiorare corde il cui suono si spiegava da solo, ma ripensandoci in seguito quel ricordo gli aveva fatto stringere il cuore. «Non sta per niente bene.»
«Ha perso la donna della sua vita. Che ti aspettavi?»
«Mi fa male vederlo così, tutto qui. È ovvio che sia a pezzi, ma fa comunque male.»
«Si riprenderà prima o poi. Lo fanno in tanti, lo farà anche lui.»
«Oppure si ammazza.»
«Non è un tredicenne egocentrico convinto che l'universo stia complottando alle sue spalle. È un padre di famiglia, ha delle responsabilità. La sua vita ora sono i suoi figli, Godric. Se per assurdo dovesse succedere qualcosa, farai meglio a ricordare che i suoi figli verranno sempre prima di tutto il resto. Sono la più grande e preziosa eredità lasciatagli dalla moglie, tra l'altro.» Grace fece un bel respiro. «Che mi dici di Jeffrey?»
Godric roteò gli occhi, disgustato. «Oggi è venuto a casa mia e sono stato costretto a seguirlo fuori per fare una passeggiata e stare da soli. Credici o meno, ha trovato ogni scusa possibile e immaginabile pur di toccarmi i fianchi e il fondoschiena. A un certo punto ha tentato di baciarmi, ma l'ho respinto. Gli ho detto che non mi sembrava il caso e che era troppo presto per quelle cose.»
«Però... voglio dire... è ricco sfondato. Vivresti come un principe con lui e non dovresti preoccuparti di niente, se non di sfornargli un paio di marmocchi.»
Il ragazzo guardò l'amica con estrema serietà. «E l'amore? Che mi dici di quello?»
La Linderson si accese una sigaretta. «L'amore è sopravvalutato. I miei si sposarono per amore e divorziarono dieci anni dopo il mio arrivo. Si amavano e ora vivono in città diverse e non si vedono dall'ultimo processo in tribunale per stabilire chi dovesse avere la mia custodia.»
«Non va sempre così, Grace.»
«Allora ti faccio un altro esempio: guarda com'è finito Jones. Amava sua moglie alla follia e ora è a pezzi perché l'ha persa per sempre. Ne vale la pena? Io credo di no.»
«Vale sempre la pena, altrimenti facciamo prima a tornare gli animali che eravamo una volta, quando non pensavamo ai sentimenti e l'unico obiettivo era procreare e far proseguire la specie. Ci siamo evoluti perché non bastava più e dicemmo basta allo sfruttamento degli umani che ormai si erano quasi del tutto estinti.»
«E siamo diventati come loro» gli fece notare Grace. «Solo che rispettiamo di più la natura, tutto qui.» Si accigliò vedendo l'amico agitarsi debolmente sulla seggiola e fare una smorfia con le labbra. D'un tratto era diventato pallido. «Stai bene?»
Lui scosse il capo. «N-No, per niente.» Si alzò barcollando. Sentiva le gambe molli, una sensazione di caldo espandersi dal basso ventre e ramificarsi in tutto il corpo. Si coprì la bocca con una mano.
Grace finalmente capì e imprecò. Si alzò a sua volta, lo prese per un braccio e lo accompagnò in bagno, giusto in tempo per evitare che rimettesse anche le viscere sul pavimento del locale.
«Maledetto calore» mormorò la ragazza. «È una piaga.» Gli accarezzò la schiena e gli tenne i capelli lontani dal viso, aspettando che la nausea passasse. «Hai i Soppressori con te?»
Lui annuì e cercò di farsi capire quando le disse che aveva un blister nella borsa. Grace lo prese subito e gli passò una delle pillole. Il giovane la mandò giù aiutandosi con l'acqua del rubinetto.
Al momento voleva solo farsi una doccia per togliersi di dosso i vestiti e quell'imbarazzante sensazione di bagnato fra le gambe.
Il calore per gli Omega che non si erano legati a nessuno era più intenso, a volte doloroso, peggio ancora se non avevano mai avuto rapporti, come lui, e più la condizione si protraeva più gli effetti diventavano difficili da gestire.
Grace sospirò. «Odio essere così materialista, ma è il caso di dirlo: trovati un compagno come si deve e metti fine a questo strazio.» Godric si sciacquò il viso, inspirò profondamente. «Senti... com'è?»
«Cosa?»
«Dai, hai capito. Insomma... fa male?»
«La prima volta un pochino» ammise lei. «Meno se lo fai quando sei in calore. Per assurdo per voi Omega maschi è più piacevole, a parte un po' di sangue all'inizio. Perché lo chiedi?»
Si scambiarono un'occhiata e Grace agitò le mani. «No, assolutamente no! Hai resistito fino ad ora, non ti permetterò di gettare via una cosa così preziosa con il primo che capita! Non sei una prostituta e devi farlo con qualcuno di cui ti fidi e a cui importa di te e di farti sentire a tuo agio! È importante, Godric!»
«Preferisco fare così piuttosto che permettere a Jeffrey di sfiorarmi. Tanto vale rovinarmi già da ora.»
«Ma smettila. Se non vuoi quello scemo, allora parlane coi tuoi e digli che ti sembra un viscido bastardo. Punto.»
«Non è così semplice. A loro importa di vedermi con qualcuno che abbia un futuro certo e stabile, e soprattutto abbastanza soldi da poter mantenermi nel caso decidessi di lasciare un giorno il lavoro e dedicarmi ad eventuali figli. Non mi permetteranno di certo di sposare un musicista squattrinato, tanto per fare un esempio.» Il ragazzo si asciugò le guance. «A volte vorrei solo scappare, cambiare nome e... non lo so, accidenti! Non è giusto che siano loro a scegliere chi devo sposare!»
Molte famiglie ancora mantenevano quell'antica tradizione, ma altre invece avevano deciso di lasciar perdere. I matrimoni combinati non andavano quasi mai a buon fine, per un motivo o l'altro, e lui non intendeva suicidarsi a trent'anni perché era magari arrivato alla frutta e non vedeva più via d'uscita.
«Ho dovuto frequentare una facoltà che non mi entusiasmava per far felice mio padre e adesso... adesso mi viene chiesto di sposare qualcuno che a malapena conosco e ha già iniziato ad allungare le mani.»
Jeffrey un po' lo spaventava. Gli faceva paura quell'insistenza, quel voler intrufolarsi dentro di lui in ogni senso e ad ogni costo. Aveva una brutta sensazione ogni volta che gli stava vicino.
In un quasi attacco di nervi afferrò le perle e se le strappò dal collo. Le piccole sfere iridescenti volarono ovunque sul ripiano e finirono per la maggior parte nello scarico del lavandino.
Grace sbatté le palpebre. «Quanto costava, più o meno?»
«Non lo so e non me ne frega niente. Non può comprarmi con dei semplici regali. Non funziona così» rispose Godric. «Lo dico ai miei e se insisteranno, allora scapperò davvero di casa e andrò a vivere per conto mio.»
«Se vuoi ti ospito io» propose lei. «Non ho problemi, davvero.»
«Prima... prima vediamo se riesco a far ragionare i miei» replicò con molto giudizio Godric, il quale confidava nell'affetto dei genitori. Gli volevano bene e non potevano realmente pensare che potesse esser felice con un uomo come Hammond Jr.
Connor Ranson sedeva accanto al compagno mentre in silenzio ascoltava il figlio spiegare il motivo per cui voleva rompere il fidanzamento con Jeffrey Hammond. Il suo sposo, Maddox, quando calò il silenzio prese parola per primo. Si pettinò i capelli neri e fluenti dietro un orecchio, le labbra rosee curvate verso il basso. Pareva sul punto di piangere. «Connor... forse... forse è il momento di dirgli la verità» suggerì al marito, di due anni più anziano di lui. Connor era un Alfa quarantatreenne dai capelli castano chiaro, occhi nocciola, una curata barba e una mente che sempre aveva pensato in primo luogo al futuro e al benessere del figlio.
Lui e Maddox si erano sposati molto giovani: Connor aveva vent'anni, il suo amato compagno diciotto e solo a furia di tentare senza successo di costruirsi una famiglia tutta loro, alla fine avevano capito di non poter avere dei figli nella maniera canonica. Sembrava solo ieri quando finalmente avevano ricevuto una chiamata presso uno dei tanti orfanotrofi che avevano consultato e l'assistente sociale aveva detto loro che c'era la possibilità di adottare qualcuno.
Erano dovuti andare fino a Eutopia e all'arrivogli era stato spiegato che si trattava di due gemelli, in realtà, nati da pochi giorni e bisognosi al più presto di una famiglia.
Purtroppo all'epoca a Nyrme vigeva ancora la legge che non si poteva avere più di un bambino a coppia, per via del controllo sulle nascite che era sì e no rigido, e in parte si erano sempre sentiti in colpa, dei mostri, ad aver dovuto fare una scelta sofferta e drastica: adottare solo uno dei bambini e, purtroppo, sperare che l'altro potesse trovare a sua volta la felicità con una famiglia adatta a crescerlo.
Erano tornati a Eutopia e avevano allevato Godric viziandolo e coccolandolo, e quando era stato abbastanza grande da capire gli avevano rivelato dell'adozione, ma l'avevano lasciato all'oscuro del fratello, il gemellino rimasto in istituto. Lo avevano fatto per evitare che si sentisse in colpa o cose del genere.
Connor si allentò la cravatta e giunse le dita delle mani. Un respiro profondo. «Godric... io... io devo confessarti una cosa. Ti prego, siediti.»
Il ragazzo esitò, poi fece come gli era stato detto e prese posto sulla poltrona di fronte al divano dov'erano seduti i genitori. «Di che si tratta?» chiese turbato.
Il capofamiglia si umettò le labbra. «Ho fatto degli investimenti, negli anni scorsi, ed è sempre filato tutto liscio, ma ora... io...», scosse la testa. «Ho perso tutto o quasi, Godric, e se non estinguerò i debiti in qualche maniera... ci toglieranno la casa e quel po' che resta in banca non basterà a tamponare l'emorragia finanziaria e a risolvere la bancarotta.»
Maddox sospirò e si spalmò una mano sul viso dalla classica bellezza di Nyrme, dov'erano frequenti gli individui dai capelli molto scuri e gli occhi chiari, in quel caso verdi. «Ciò che tuo padre sta provando a dirti, Godric, è che siamo al verde e gli Hammond si sono offerti di darci una mano. Tuo padre sta perdendo il favore di molti che prima gli erano amici e neanche lavorando giorno e notte potrebbe risolvere tutto. Hammond ha promesso di aiutarci, ma in cambio vuole che l'accordo che stipulammo un tempo venga finalmente rispettato, ovvero di unire le famiglie con un matrimonio, quello fra te e Jeffrey. Ci dispiace metterti sulle spalle un peso simile, non avremmo mai voluto farlo, ma non abbiamo scelta. Perdonaci, Godric.» Si terse le lacrime che gli stavano rigando le guance e non parlò oltre.
Godric avrebbe tanto voluto capire, essere meno combattivo e abbastanza abnegante da accettare il proprio destino che sembrava segnato, ma non ce la faceva. Non era giusto.
«Non potete vendermi agli Hammond come se fossi un oggetto da collezione. Suo figlio non è un brav'uomo come credete. Restare da solo con lui mi terrorizza e non oso immaginare a cosa potrebbe fare se davvero lo sposassi! Diventerei una sua proprietà, potrebbe uccidermi e tanto la farebbe franca con le conoscenze che possiede e per via della legge che sarà sempre dalla sua parte e mai dalla mia!» Si alzò in piedi e si asciugò più volte il viso. «S-Se il fidanzamento non verrà sciolto, io... g-giuro che mi ammazzo! Meglio morto piuttosto che sposato con quel serpente!»
Era costretto a scegliere fra il condannare tutta la famiglia o solo se stesso.
La ragione imponeva al singolo di sacrificarsi in cambio del benessere comune, ma cosa ne era, allora, dei diritti di una persona? Era giusto che lui dovesse trascorrere decenni al fianco di Jeffrey e forse arrivare, un giorno, ad augurargli di morire pur di liberarlo da quella prigionia?
No. Non era giusto, e lo sapeva. Sapeva quale vita desiderava e quale invece non avrebbe mai accettato a capo chino.
Possibile non ci fosse altra maniera? Davvero dipendevano dagli Hammond fino a tal punto?
I suoi genitori gli parlavano, ma lui non stava ascoltando. No, perché qualcosa gli era finalmente venuto in mente. Era un azzardo, era poco saggio e rischioso in primo luogo per lui, ma doveva provarci e sapeva che suo padre mai avrebbe osato fare tanto perché troppe cose lo frenavano da compiere un passo del genere.
Lui, però, sapeva essere sfacciato, all'occorrenza, e ne andava della sua libertà.
Controllò l'orologio. Tra non molto sarebbe dovuto tornare in ufficio.
Guardò Connor e Maddox. «Io... io ora devo andare. Penserò a quel che avete detto e... farò la mia scelta. Non posso fare tardi.»
Non attese la loro risposta e andò in bagno per controllare brevemente il proprio aspetto in generale. Si sciolse i lunghi capelli ondulati color del grano. Era tentato di lasciarli in quel modo, ma avrebbe corso il rischio di sembrare uno che appositamente voleva essere provocante e di venir frainteso nelle intenzioni.
«Sembri una vacca» si disse a bassa voce. Raccolse nuovamente la chioma in una mezza coda. Andava già un po' meglio.
Uscì dal bagno, recuperò la borsa e uscì di casa.
Scese dal taxi e si sbrigò a correre in direzione dell'entrata dell'alto grattacielo di vetro. Proprio mentre attraversava la strada vide Jones a sua volta affrettarsi per tornare sul posto di lavoro.
Decise di raggiungerlo. «Signor Jones!» fece ad alta voce, seguendolo. «S-Senta, c'è una cosa di cui vorrei parlarle!»
Doveva pur iniziare da qualche punto ed era meglio buttar lì qualcosina, almeno per cominciare.
L'avvocato controllò l'orologio che recava al polso. «Di che si tratta, Ranson?» chiese distratto. Aprì le porte del palazzo e gli fece un breve cenno per dargli la precedenza, visto che conosceva le buone maniere. «Si sbrighi, però. Tra dieci minuti ho una riunione e dovevo esser qui almeno una mezz'ora fa!»
Godric fu costretto sì e no a seguirlo per l'atrio e poi fino allo spazioso ed elegante ascensore. In fin dei conti erano diretti allo stesso ufficio. Sgusciò dentro e quando lanciò un'occhiata di sottecchi al suo capo, notò che sembrava stare leggermente meglio. Forse si era riposato un po' prima di tornare al lavoro. Se lo augurava, anzi.
L'ascensore nel frattempo partì.
«Si... si stratta di mio padre» snocciolò cauto. «E sapendo che lei e papà siete amici... ho deciso di agire di testa mia. Lui non ne sa niente, glielo assicuro, perché so che altrimenti mi avrebbe detto di non fare alcunché.»
Jones si accigliò. «Smetta di girarci attorno e arrivi al punto.»
Il ragazzo aprì bocca per rispondere, ma si interruppe quando l'ascensore subì un arresto brusco e decisamente in anticipo rispetto al tempo che impiegava per salire ai piani situati più in alto. Si fermò e non volle saperne di ripartire.
«No» mormorò Dante. «No, no, no! Non oggi!» Invano premette un pulsante qualsiasi, poi un altro ancora, ma non accadde niente. «Cazzo! Fra tutti i giorni possibili in cui questa gabbia per uccelli doveva fermarsi, proprio stamani?!» sbottò spazientito. Godric di istinto fece un passo indietro, non avendolo mai visto così alterato. Si sporse giusto un momento per premere il pulsante d'emergenza in modo che qualcuno potesse venire a riparare il guasto, poi tornò al proprio posto. «Arrabbiarsi non serve a granché» si permise d'osservare. «La riunione era così importante?» chiese cauto.
«Lo era eccome» lo rimbeccò il suo capo, il tono monocorde. «Dovevo incontrare il CEO di un'azienda fra le più quotate in borsa al momento. Di recente ha avuto delle grane e voleva che fossi io a occuparmi del suo caso, ma grazie a questo stronzo», indicò attorno a sé l'ascensore, «lui si rivolgerà a quei bastardi della Wagner & Rothman, i principali avversari del mio studio legale».
Come se non fosse stato già abbastanza umiliante e rovinoso, la Wagner & Rothman era attualmente capitanata da qualcuno di cui aveva un pessimo ricordo.
«Il CEO che la amministra è il mio ex, tanto per aggiungere la beffa al danno» aggiunse a denti stretti, trattenendosi dall'assestare un pugno alle porte dell'ascensore ben sigillate.
«Oh...», Godric deglutì a vuoto. «In effetti è... beh...»
«Un casino, lo dica pure.»
«N-Non era proprio ciò che volevo dire, però ci si avvicina.»
Dante si appoggiò alla parete e incrociò le braccia. «Beh, di cosa voleva parlarmi? Rimarremo qui per almeno un paio d'ore, se non di più, perciò tanto vale sfruttare il tempo in modo costruttivo.» Non udendo risposta, spostò gli occhi scuri verso il basso per guardare il tirocinante, ma quest'ultimo era impegnato a cercare qualcosa dentro la propria borsa con fare agitato, e l'ansia pareva aumentare di secondo in secondo. «Cazzo, no!» sussurrò nel panico il ragazzo. «Accidenti!»
«Va tutto bene?» domandò dubbioso l'avvocato. «Peste e corna, Ranson! Risponda o finirò per agitarmi anch'io!»
Il giovane deglutì e smise di cercare qualcosa che evidentemente non era nella borsa. Aveva lo sguardo puntato dritto davanti a sé, il viso era quasi esangue. «Ho... ho dimenticato il soppressore a casa» disse, insolitamente calmo, ma era la quiete prima della tempesta, prima della paura che già aleggiava dentro di lui e aumentava.
Jones si convinse di aver capito male. «Cosa?» chiese, quasi divertito dall'assurdità della situazione, ma mascherava solo la preoccupazione. «Mi prende in giro, vero?»
«No. L-Lo prendo una volta al giorno, di mattina, ma oggi... oggi l'ho dimenticato. Contavo di portarmelo in borsa e di prenderlo prima di entrare in ufficio, ma poi... poi ho visto lei e ho ricordato che dovevo parlarle di una cosa e allora...», Godric avrebbe voluto sotterrarsi. «H-Ho solo preso un farmaco per attenuare gli effetti del calore mentre ero in ufficio stamattina, ma...»
L'effetto tra non molto sarebbe svanito e senza neppure più il soppressore in circolazione nel suo corpo... presto la situazione sarebbe degenerata. Che figura del cavolo stava per fare! L'aveva già fatta, anzi!
Jones evitò di bestemmiare. «Ah. Bene.»
«Non usi quel tono! Cosa c'è ancora?» chiese stridulo il ragazzo.
«Se glielo dico, prometta di non uscire di testa» disse lentamente l'avvocato.
«Per l'amor del cielo! Non mi faccia promettere cose impossibili, nel mio attuale stato psicologico e fisico! Sputi il rospo!»
«Sono mesi che non faccio uso di quei farmaci. Mia moglie era incinta, perciò era superfluo prenderli, visto che in ufficio i dipendenti sono tenuti per regolamento ad assumere i soppressori per evitare un bel po' di rogne. Contando che sono un Alfa e i soppressori destinati al mio genere a volte hanno controeffetti spiacevoli, una volta ne ho preso una dose eccessiva e mi è stato consigliato di sospendere il trattamento, visto che sono finito in ospedale per problemi cardiaci. Quindi... le consiglio vivamente di mettere più distanza possibile fra me e lei, se vuole evitare spiacevoli inconvenienti.»
Quali conseguenze? Non serviva dire cosa accadesse quando un Alfa e un Omega che non avevano assunto soppressori si ritrovavano imprigionati in uno spazio ristretto senza la possibilità di fuggire. Gli Alfa di per sé non andavano in calore, ma subivano un effetto speculare e presentavano sintomi analoghi quando un Omega in pieno estro li incrociava.
L'ultima cosa che Dante voleva, francamente, e vedovanza a parte, era perdere la ragione e sbattersi il suo tirocinante ventitreenne in quel dannato ascensore. Era quello il rischio che tutti e due stavano correndo, e quando vide il ragazzo, il quale si era allontanato fino a sfiorare con la schiena il lato opposto della cabina, agitarsi debolmente e incrociare forte le gambe, serrare le labbra e presentare i classici sintomi del calore – occhi lucidi, viso accaldato, irrequietezza e un inebriante sentore floreale al limite dell'esasperazione – capì che la situazione stava per degenerare. Sperava solo che si riuscisse a evitare di toccare il fondo, ma ricordando la lunga astinenza che aveva attraversato per via della gravidanza a rischio di Talia, non poté che vedere all'orizzonte un gran bel disastro.
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