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乇ㄩㄒㄖ卩|卂 || Ep. 12. Ultima occasione



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Dante si lasciò cadere con evidente stanchezza sull'elegante seggiola imbottita di fronte alla scrivania.

Non era una bella giornata per lui, visto che aveva appena ricevuto una strigliata via telefono da parte della sorella, Rebecca. Lo aveva sì e no incenerito e tutto per via del loro asociale fratello che da sei mesi non si faceva più sentire.

Becca gli aveva sbraitato tramite la cornetta che avrebbe fatto meglio a risolvere la situazione. In caso contrario poteva anche considerare la loro parentela cancellata e sepolta.

Le donne...!

«Come se già non avessi abbastanza da fare» borbottò tra sé, inforcando gli occhiali da vista che usava spesso per leggere i documenti. Quel giorno aveva la scrivania piena di scartoffie ed era tentato di affibbiare tutto il lavoro sporco al nuovo tirocinante, un bamboccio di ventitré anni che era stato costretto a prendere nello studio perché figlio del collega che aveva invitato a cena una sera di sei mesi addietro, ovvero quella in cui gli era stato comunicato della sparatoria che aveva coinvolto Dario.

Non ricordava neanche il nome di quel marmocchio e non poteva neppure lamentarsi del suo operato, visto che era diligente e in gamba, forse addirittura un futuro avvocato coi fiocchi.

Udì la porta di vetro dell'ufficio aprirsi e chiudersi. Finì di firmare uno dei tanti fogli che la segretaria gli aveva lasciato e sollevò lo sguardo. Eccolo là, il tirocinante. Un Omega di un metro e sessantotto che era riuscito a superare la scrematura non solo grazie al nome del padre, ma anche alle capacità che innegabilmente possedeva.

Qualche lingua velenosa avrebbe potuto sostenere che in realtà fosse arrivato fino a quel punto solamente per via del bel faccino e dell'innegabile aspetto in generale incantevole, ma sarebbe stata una sporca menzogna.

Dante osservò, serio come al solito, il ragazzo avvicinarsi alla scrivania. Diamine, quant'era nervoso il tipo!

«Ranson, fossi in lei mi farei preparare una bella camomilla» commentò con eloquenza. «Si rilassi. Non mordo, di solito.»

Il tirocinante emise una debole risata incerta. «Le chiedo scusa, signor Jones» biascicò, spostandosi i capelli mossi e lunghi color dell'oro da un occhio. Quel giorno li aveva raccolti in una treccia a spina di pesce che gli ricadeva sulla spalla sinistra. «Voleva vedermi?»

«Sì» replicò l'avvocato. «Sono sommerso da un bel po' di scartoffie, qui, perciò le chiedo cortesemente di cercare di indagare di più sul caso Ennis. Deve pur esserci qualcosa, e non intendo permettere a quell'individuo di passarla liscia. Parli con il capo della polizia, lo conosco da anni e non è la prima volta che mi permette di frugare nei fascicoli e nelle confessioni degli imputati.»

Vedendo che il messaggio pareva non esser stato recepito, Jones alzò gli occhi al cielo. «Voglio dire, Ranson, che la prossima udienza sarà decisiva, pertanto è necessario scovare un dettaglio che sia capace di inchiodare Ennis come si deve e di far crollare il suo avvocato difensore.»

Il ragazzo deglutì. «M-Ma signore... è sicuro che sia del tutto legale?»

Dante si sfilò gli occhiali e squadrò il giovane. «Impari una cosa: nel mondo degli avvocati il gioco sporco è più comune di quanto si pensi. Non troverà mai un avvocato che sia riuscito a vincere una causa senza un aiuto poco ortodosso e senza barare. Per questo è sempre bene avere contatti con le forze dell'ordine, altri studi legali o addirittura con il procuratore e il governatore. Anche il re, se si è fortunati. Sono arrivato in alto proprio perché sono stato spudorato e spietato. Prima imparerà come ci si muove nell'ambiente e meglio sarà.»

Ranson era ancora dubbioso. «Ma se Ennis fosse innocente?»

«Non è compito di un avvocato dell'accusa occuparsi dell'innocenza o della colpevolezza dell'imputato. Ciò che conta è trovare un motivo valido per farlo andare in prigione. Al resto ci pensano il giudice e la giuria.»

Vedendo la faccia del tirocinante, Dante tamburellò le dita sulla scrivania. «Perché quell'aria afflitta?»

«Pensavo...», il ragazzo sospirò e si avvicinò, torturandosi le mani. «Pensavo che un avvocato dovesse sempre fare la cosa giusta e mandare in prigione chi se lo merita davvero. Credevo che quelli come lei dovessero essere degli alleati della legge e della verità.»

Jones lo guardò quasi con compassione. «Purtroppo le cose non vanno così. Siamo una casta a parte, in un certo senso.» Mise da parte le scartoffie e incrociò le braccia. «Uhm... probabilmente ho fatto questa domanda già più volte, ma... com'è che ha detto di chiamarsi?»

Non negava di essere una frana con i nomi, quando non si trattava di questioni legate al lavoro.

Ricordava facilmente un viso, ma non il nome cui era annesso. Un difetto che aveva sempre avuto.

Ranson tentò di mascherare la delusione e piegò le labbra da cherubino in modo indulgente. «Godric, signore.»

«Okay, Godric... diciamo che la verità, spesso, sta nel mezzo, e... tra non molto sicuramente dovrà sostenere gli esami sull'etica e rispondere come ci si aspetta che lei faccia. Io, molti anni fa, ho fatto la stessa cosa, ma quando ho iniziato a lavorare sul serio... mi sono reso conto che l'etica non c'entra niente. Bisogna voltarle le spalle, se si vuole tirare avanti e vincere almeno qualche causa. Spesso l'etica, nel mondo reale, è solo una parola ed è impraticabile. Va contro i principi di una vita spietata dov'è il più forte a vincere, non chi ha ragione. Capisce dove voglio arrivare?»

Godric annuì debolmente. «Penso di sì.»

«Bene. Mi permetto di aggiungere, però, un'altra cosa: se questo lavoro non è come se lo immaginava e lei non è una persona disposta a venire a patti con dei duri compromessi a livello etico, allora... forse è meglio che riconsideri la vita che intende condurre da qui a qualche anno. È ancora in tempo per cambiare facoltà e non c'è vergogna nel farlo. Alcuni sono portati per queste cose e altri non lo sono.»

Il ragazzo esitò, poi, a piccoli passi, si avvicinò alla scrivania e si sedé di fronte ad essa, le mani giunte sulle ginocchia e lo sguardo basso. «Non ho scelto di conseguire l'avvocatura per vera e propria vocazione» ammise. «L'ho fatto per mio padre. Lui... lui ci teneva molto e io...», sospirò. «Sa, io... io sono stato adottato. Avevo pochi giorni quando venni preso dall'orfanotrofio in cui ero nato e i miei genitori non mi hanno mai fatto mancare niente. Hanno soddisfatto ogni mio capriccio, non ricordo neppure una volta in cui mi è stato dato uno scapaccione perché facevo le bizze! Papà contava molto sul fatto che, terminato il liceo, avrei scelto di diventare un avvocato come lui. Sa, quando ancora frequentavo le superiori, lui mi parlava spesso di lei, signor Jones, e io... io ascoltavo rapito mentre raccontava di com'era capace di tenere sotto scacco l'intera aula di un tribunale e collezionare schiaccianti vittorie. Descriveva lei come un baluardo della giustizia e della trasparenza, quasi una sorta di vigilante in giacca e cravatta.»

Non poteva far a meno di parlare, le parole gli uscivano dalla bocca senza che potesse far qualcosa per impedirlo, e non c'entrava niente la sua segreta infatuazione per l'avvocato presso il quale stava conducendo il tirocinio. Quasi niente.

Ricordava di aver avvertito una stretta al cuore soffocante non appena aveva scorto, la prima volta in cui era stato in quell'ufficio, una fotografia che ritraeva l'avvenente avvocato trentaquattrenne in compagnia della splendida moglie e dei tre figli.

La tirocinante di un altro avvocato che lavorava in quello studio lo aveva preso per i fondelli, la settimana scorsa, dicendogli che doveva stare attento ed evitare di mangiarsi con gli occhi Jones, specialmente il suo fondoschiena, almeno quando era là dentro.

Più facile a dirsi che a farsi.

Si trovava lì da cinque mesi e ormai poteva dire di detestare un pochino la perfetta moglie di Jones e anche se stesso per essersi invaghito di un uomo che chiaramente non poteva avere per sé. Più tentava di non pensare a lui, poi, e di trovare qualcun altro che fosse libero e capace di ricambiare i suoi sentimenti, e più falliva miseramente.

«Più sentivo papà parlare e più sognavo di diventare un giorno come lei» aggiunse, tentando di celare il rossore sulle gote come meglio gli riuscì.

Per la prima volta vide che Jones era stupito. A quanto pareva non si era aspettato affatto una simile confessione. Quando fu sul punto di dire qualcosa, però, il telefono richiamò la sua attenzione e l'uomo, dunque, rispose. «Pronto?»

Riconobbe dall'altro capo della cornetta sua moglie, Talia, e sorrise tra sé. Ebbero una breve conversazione in cui lei gli comunicò che finalmente, quel giorno, aveva scoperto il sesso del loro futuro quartogenito. Era maschio e ciò significava, come commentò Dante divertito, che lui aveva perso la scommessa. «Ne parliamo meglio stasera» aggiunse con dolcezza. «Dai un bacio ai ragazzi da parte mia. Dovrei tornare presto.» Le disse che la amava, poi mise giù e schiarì la voce, un po' imbarazzato nel rendersi conto di aver fatto lo sdolcinato in presenza del tirocinante. Si stava rammollendo, accidenti. «Uhm... dicevamo?»

Si domandò perché Ranson avesse di colpo quella faccia da funerale stampata sul viso.

«Signor Ranson?» incalzò.

«Eh?» fece il ragazzo, come se fino ad allora si fosse trovato altrove con la testa. «

Dante sciabolò fra sé le sopracciglia. «Niente, niente. Vada a fare quel lavoro di cui le ho parlato poco fa. Ci restano pochi giorni e il tempo è sacrosanto.»

A volte quel tipo si comportava in maniera bizzarra e c'era una cosa, in particolare, che aveva notato diverse volte, specie negli ultimi tempi. Quella cosa lo spinse a chiamare indietro un'ultima volta l'aspirante avvocato, il quale con reticenza si voltò e attese.

Dante si rigirò fra le dita la penna stilografica, squadrando il giovane. «È una mia impressione, Ranson, o fa di tutto per non guardarmi negli occhi quando le parlo?» chiese, il tono di chi stava davvero tentando di capire.

Godric si irrigidì e finalmente, almeno in maniera vaga, capì cosa dovevano provare gli imputati quando si ritrovavano di fronte a quell'avvocato nel bel mezzo di un processo.

«Uhm...»

«Sa che potrei considerarlo un sintomo di chiara maleducazione o di disattenzione?»

«L-Le chiedo scusa. N-Non pensavo che...»

«Non pensava che lo avrei notato?»

«N-No, cioè... volevo dire...»

Forse si sente solo in soggezione o è timido, tutto qui, rifletté Jones, quasi con indulgenza. Odiava ammetterlo, ma diventare padre di tre splendidi figli l'aveva raddolcito e reso più paziente. Sorrise di sbieco. «Non si preoccupi. Non intaccherà le ottime referenze che sicuramente scriverò per lei, alla fine del tirocinio. Può andare, è tutto a posto.»

No, invece, pensò Godric, quasi disperato. Non per me, almeno.

Era quasi tentato di sputare il rospo, di giocarsi sicuramente il futuro e di fare la figura dell'idiota, sapendo però che almeno si sarebbe tolto quel peso dallo stomaco, ma ciò che temeva non erano le conseguenze delle parole che aveva sulla punta della lingua. Temeva la risposta che avrebbe ottenuto, sicuramente dolorosa.

Se solo... se solo fossi nato prima o fossi riuscito in qualche maniera a conoscerti anni fa...

Forse non era una semplice infatuazione, la sua. Si era invaghito di molti altri, in passato, e a scuola di fidanzati ne aveva avuti tanti, che fossero i reietti del liceo o i muscolosi e avvenenti sportivi della squadra di calcio scolastica, ma nessuno aveva avuto l'effetto devastante che Jones, di ben undici anni più vecchio di lui e fuori dalla sua portata, aveva avuto.

Un tempo erano stati gli altri a cadere ai suoi piedi, ma le cose erano cambiate. Desiderava un uomo che non poteva sperare di raggiungere, se non nei propri sogni più proibiti e torbidi.

Eppure... avrebbe ucciso pur di poter, anche solo una volta, baciare la persona che il suo cuore smaniosamente bramava.

Solo un bacio, non avrebbe osato chiedere di più né andare oltre. Un bacio e sarebbe anche potuto morire l'istante successivo, sapendo che sarebbe morto felice.

Magari era una persona orribile a pensarlo e a sperarlo, ma pregava tanto che si presentasse un'occasione, una qualsiasi, che potesse dar luogo al miracolo dell'ultimo minuto, all'impensabile, e far avverare il sogno che da mesi lo tormentava. Una possibilità, un segno dall'alto. Chiedeva solo questo.

Chiedeva che un giorno si aprisse uno spiraglio col qualche avrebbe forse potuto addirittura raggiungere il cuore dell'uomo a meno di un metro di distanza da lui e, allo stesso tempo, anni luce lontano.

Deglutì a fece un cenno. «Cercherò di fare in fretta. Non la deluderò, promesso.» Si congedò e uscì dall'ufficio. Mentre tornava alla propria postazione i suoi occhi incontrarono quelli della sua amica, una sarcastica e giovane donna di nome Grace Linderson, la stessa che gli aveva detto di togliersi una volta per tutte dalla testa Dante.

Lei scosse la testa, poi si alzò e si fermò accanto alla scrivania del coetaneo. Si appoggiò ad essa e incrociò le braccia sotto il seno. «Paparino ti ha dato il benservito? Hai una faccia!»

I tirocinanti chiamavano tutti in quel modo Jones per via del suo modo di fare autoritario e del fatto che, quando era richiesto, sapeva tutelare e guardare le spalle a ognuno di loro e risolvere i loro eventuali pasticci.

Godric, imbronciato e sull'orlo di una crisi di pianto senza precedenti, finse di riordinare i fogli sul tavolo, ma in realtà non ci stava capendo più niente e agiva in maniera confusa.

«N-No, v-voleva che mi occupassi di una cosa per il caso Ennis» balbettò. Sospirò e lasciò perdere. «Da quel che ho capito, tra non molto avrà un altro figlio.»

Grace inarcò un sopracciglio e lentamente si voltò a guardare in direzione dell'ufficio dalle pareti trasparenti, poi fischiò tra sé. «Perbacco! È davvero uno stallone, allora!»

«Grace!» squittì l'altro, rosso in faccia come un papavero.

La ragazza sogghignò e gli assestò una gomitata. «Di' la verità: faresti carte false pur di esser tu ad avere la sua pagnotta nel forno!»

«Cielo» biascicò Godric, nascondendo il viso fra le mani.

La Linderson sghignazzò. «Ah, se lo vorresti!»

«Non mi aiuti, così.»

Lei smise di sorridere e gli batté una mano sulla schiena. «Piantala di sognare ad occhi aperti un bel po' di cosacce da fare col tuo capo e trovati un Alfa in carne e ossa! Non puoi farci niente e non puoi sperare che arrivi la manna dall'alto a risolvere il problema. E poi è troppo vecchio per te, dai! Il punto è che sei frustrato! Esci, rimorchia qualcuno e folleggia un pochino! Almeno sarai meno teso!»

La vita, pensò Grace, non era come in uno di quei romanzi d'altri tempi in cui gli amori proibiti o non corrisposti, grazie all'intervento di qualche divinità, venivano resi possibili.

«Paparino non è il signor Rochester e tu non sei di certo Jane Eyre. Smettila di farti tutti questi castelli per aria. Certo, è sexy, insomma... uno sugar daddy perfetto! Però è sposato, aggiungerei felicemente, quindi c'è ben poco da fare. E comunque, scusa... se anche per assurdo tornasse single e tu riuscissi a conquistarlo, come te la caveresti coi suoi figli? Credimi, dovresti sudare sette camicie per guadagnarti la loro approvazione e per te sarebbe un inferno. Troppi casini, Ric.»

Roteò gli occhi e si spiaccicò una mano sul viso quando si accorse che lui neanche la stava a sentire, impegnato com'era nel guardare in direzione dell'ufficio di Jones con aria disperatamente trasognata.

Niente da fare. Era un caso perso.

Sospirò. «Prima o poi ci sbatterai il muso, Ranson» commentò amareggiata, tornando alla propria scrivania.

Rigirò fra le dita l'ecografia e passò in rassegna le due piccole figure che vi erano raffigurate. Due neonati ormai perfettamente formati di sette mesi e due settimane. Anche se in un primo momento aveva detto alla dottoressa di non voler sapere il sesso dei nascituri, alla fine aveva ceduto alla mera curiosità: un maschio e una femmina.

Erano passati sei lunghi mesi e ancora non aveva deciso cosa fare di quelle creature. Se darle in adozione appena fossero nate o crescerle e sperare in tempi migliori.

Già, così poi mi toccherà sposare un ricco bastardo più vecchio di me di trent'anni.

Di opzioni ne aveva poche e un Omega già faticava in circostanze normali a trovare lavoro, figurarsi uno nella sua posizione. La gente dimenticava, certo, ma a Eutopia si parlava ancora un bel po' di quanto accaduto alcuni mesi addietro.

Lasciò cadere l'ecografia sul basso tavolino di fronte al divano e sospirò. Meno male che quello stupido di Smith aveva detto che col tempo le cose si sarebbero aggiustate.

Balle, solo balle.

Trasalì quando il campanello trillò e interruppe il silenzio che regnava in casa. In un primo momento fu tentato di restare dov'era e attendere che lo scocciatore si stancasse e girasse a largo, ma quando quel suono fastidioso si ripeté per tre volte, sibilando maledizioni su maledizioni Dario si alzò, raggiunse il corridoio principale e aprì. Malgrado l'apatia che l'aveva colpito mesi addietro ed era andata espandendosi fino a quel momento, rimase di stucco non appena si rese conto di aver già visto quella faccia altrove.

Non poteva essere. Non aveva alcun senso.

«Lei?» esalò scioccato.

L'inatteso ospite deglutì e fece un lieve cenno con la testa. «Si ricorda di me, a quanto pare» osservò incerto.

Dario lo ricordava eccome: era il medico nel quale aveva confidato affinché la storia della gravidanza restasse nascosta il più possibile. Lo stesso dottore che poi aveva spiattellato tutto quanto a Reger sotto minaccia.

L'ex-capo della polizia incrociò le braccia. «Non è il benvenuto. Come ha fatto a trovarmi, poi?»

Il dottor Wildbrook gesticolò. «Mi ci è voluto un po' per rintracciarla. Ho chiesto ai suoi ex-sottoposti e alla fine ho convinto la segretaria a riferirmi il suo indirizzo. Ha ceduto quando le ho detto che forse era stato mandato via dalle forze dell'ordine anche per colpa mia. Forse... forse, se non avessi detto niente al governatore, ora le cose sarebbero diverse e... sono qui per chiederle scusa, signor Jones. Non sa quanto mi dispiace.» Era ovvio che si sentiva responsabile un po' della faccenda e Dario si stupì di se stesso quando si rese conto che... non gli importava più niente di quella faccenda, non fino al punto da poter arrabbiarsi con quell'uomo e fare una sceneggiata.

«No...» mormorò. «Non è stata colpa sua. Reger avrebbe agito in quel modo lo stesso, mi creda. Non voleva che raccontassi la verità e mettessi a rischio la sua posizione al governo. L'idiota sono stato io a non aver dato ascolto al detective Thorne. Mi aveva pregato di non andare, mi aveva avvertito che sarebbe finita male e non gli ho dato retta.» La verità era quella, nuda e cruda, e nessuno poteva cambiarla.

Quel medico non aveva avuto molta scelta, d'altronde. Reger era bravo quando si trattava di far parlare qualcuno tramite la coercizione e le minacce.

Evidentemente Wildrbrook aveva avuto le proprie ragioni per vuotare il sacco, ragioni che Dario non poteva permettersi di affermare di conoscere.

«Non ce l'ho con lei, si rassereni» concluse. «Grazie per esser venuto fin qui per scusarsi, comunque. Lo apprezzo. Le auguro una buona giornata.» Fece per chiudere la porta, ma si fermò quando il medico gli chiese se stava bene. «Mi sembra... non lo so... pallido.» Di solito le persone in dolce attesa avevano un aspetto sano e florido, sprizzavano vita e salute da ogni poro, ma non Jones. Lui... sembrava malato, privo di forze.

Una persona in tali condizioni lui l'avrebbe fatta ricoverare da un pezzo.

«Non esco molto» buttò lì Dario. «Preferisco stare in casa e... non lo so, dormire o leggere un libro. Roba così.»

«Non era sposato?»

«Sì. Lo ero, appunto. Adesso il mio ex-marito è fidanzato con un ragazzo più giovane di lui di almeno dieci anni che sicuramente farà realizzare tutti i suoi sogni. Ogni tanto bisogna rinnovare la mobilia, giusto?» replicò sarcastico Jones, forzando un sorriso sghembo.

Max era attonito. Tentò di riprendersi e si aggiustò gli occhiali. «Bene, uh... pensavo che sarei venuto qui a scusarmi e poi l'avrei lasciata in compagnia della sua famiglia e tutto il resto, ma... considerando la situazione... penso sarebbe un errore lasciarla da solo.»

Sentiva che andarsene sarebbe stato disumano e crudele. Di fronte a lui c'era una persona che era stata lasciata a se stessa, per giunta in delicate condizioni. Non poteva fregarsene. Forse era deformazione professionale, forse invece era la coscienza a urlare di essere ascoltata.

Dario, intanto, non aveva la forza di muoversi e tantomeno di chiudere la porta e rintanarsi di nuovo in casa, come ormai faceva ogni singolo giorno. Era paralizzato e qualcosa aveva fatto breccia dopo sei mesi nella bolla di silenzio e apatia in cui aveva confinato se stesso.

Credeva che la solitudine non sarebbe stata un peso, ma aveva capito di essersi sbagliato.

Faceva schifo, ecco qual era la verità.

«Avrà di meglio da fare» mormorò. «Non voglio essere d'impiccio per nessuno.»

«Nessun impiccio» chiarì Max, convinto. «Davvero, se... se ha bisogno di parlare, io sono qui.»

«Va bene.» L'Omega si spostò e permise al medico di entrare. Intanto si torturava le maniche del leggero golf che indossava. Ultimamente sentiva quasi sempre freddo e aveva spesso i brividi.

No, in effetti non stava bene e si era accorto di dormire troppo.

«Non ho granché da offrirle, a parte un bicchier d'acqua» buttò lì. «Mi dispiace, non... non ho più ricevuto molte visite.»

«Non si preoccupi» lo rassicurò con calma Maximilian. «Senta... le dispiace se le do una breve occhiata?»

«Sono stato visitato stamattina. I soliti controlli di routine» replicò Dario, tornando nel frattempo in soggiorno, seguito però stavolta da Wildbrook. Il giovane medico insisté comunque e volle concentrarsi sul polso. Ne contò la frequenza aiutandosi con l'orologio. «È piuttosto bradicardico, sa?»

Jones lo squadrò con aria persa. «Parli come un comune mortale, non sono un esperto.»

«Ha il polso più lento del consueto» snocciolò Max, chinandosi poi in avanti e sollevando un indice. Volle fare un'altra prova e disse all'Omega di seguire la direzione del suo dito con lo sguardo. I riflessi risultarono rallentati e ritardatari.

Così da vicino poteva anche constatare uno stato di denutrizione. «Mangia regolarmente?» chiese, tornando in piedi e incrociando le braccia.

«Sì. Credo. Io... non lo so, ultimamente non faccio che dormire. Mi sento solo stanco.»

Maximilian decise di essere franco. «Non si spaventi, ma di questo passo mi sentirò in dovere di farla ricoverare finché non avrà riacquistato le forze e soprattutto il necessario a far sopravvivere non solo i suoi figli, ma anche se stesso.» Si sedé al suo fianco. «Andando avanti per questa strada... mi creda, finirà davvero male. A quale mese si trova, adesso?»

«Settimo.»

Accidenti, pensò costernato il dottore. «Non avrà le forze di sostenere il parto, non così.» Odiava essere diretto, ma in certe occasioni era impossibile non esserlo. «Rischia di morire.»

«Non sarebbe granché una tragedia.»

«Va bene, prenderò queste sue parole come uno scherzo mal riuscito.»

Dario abbassò lo sguardo e annuì. «Non sono mai stato un asso in quanto a simpatia» ammise.

Max prese una decisione: «Le va di andare a fare quattro passi? Le farà bene uscire e prendere un po' d'aria fresca.»

Ci volle un po' per convincere Jones ad accettare, ma alla fine, in un modo o nell'altro, si ritrovarono fuori, intenti a camminare per i marciapiedi della città di Eutopia che era tornata alla solita, frenetica quotidianità.

Il medico si decise a fare una domanda che lo assillava sin da quando l'altro aveva aperto la porta. «Si è chiuso in se stesso per via di quanto accaduto al municipio quel giorno o... insomma, per colpa di quello che è successo con suo marito?» Voleva davvero capire come una persona come Jones avesse potuto subire un cambiamento così radicale. Anzi, una retrocessione.

Dario fece spallucce. «Francamente non mi sono mai posto questa domanda. Forse sono sempre stato così, solo che per anni ho cercato di adeguarmi a ciò che gli altri volevano che fossi. In fin dei conti la mia è un po' una famiglia di matti.»

«Nah, non penso che lei sia mentalmente instabile» commentò Maximilian. «E penso che la sua sia una reazione comune. Molti, quando perdono il lavoro e magari vedono il proprio matrimonio andare in pezzi, finiscono per chiudersi in se stessi e lasciarsi andare.»

«Quindi... dovrei dar ascolto a chi mi dice di andare da uno strizzacervelli? Perché mi creda... mi ci mandarono quando ero un ragazzino e non servì a un bel niente. E comunque la mia famiglia non poteva permettersi il costo delle visite. Cercavo di dire a quello psicologo come mi sentivo, cosa accadeva in quella casa, e poi il resto della mia famiglia smentiva e diceva che ero un bugiardo e raccontavo frottole.»

Max deglutì. «Le andrebbe di parlarne con me? Non sarò uno psicologo, ma sono comunque un dottore e stando a quello che dice mia sorella... beh, sono bravo ad ascoltare.»

Dario ignorò in un primo momento quella proposta. «Credevo fosse figlio unico.»

«Magari» commentò per scherzo il medico.

«Quindi quanti fratelli ha?»

«Mia sorella, Elizabeth, è la più grande, poi è arrivato mio fratello, Michael, a seguire io e infine Theodore. Mamma e papà purtroppo hanno perso parecchi colpi negli ultimi anni e tutti noi abbiamo le nostre vite a cui pensare. Non è stato facile affidarli a una struttura, ma ho controllato personalmente e mi sono assicurato che li trattassero con ogni riguardo. Comunque... ho un po' di esperienza con gli esaurimenti nervosi e la sindrome da stress post-traumatico. Michael è un ex-militare ed è andato in guerra. Quand'è tornato non è stato più lo stesso e... oltre a ciò, ha perso l'uso delle gambe, ha scoperto che sua moglie lo tradiva col suo migliore amico ed è rimasto da solo. Betty è riuscita a convincerlo a trasferirsi da lei e dalla sua compagna, così non sarebbe rimasto da solo con i brutti pensieri che lo avevano ultimamente assalito.»

«Accidenti» commentò Jones, non essendosi affatto aspettato simili retroscena. «La sua famiglia è incasinata quanto la mia.»

«Abbiamo tutti i nostri problemi» replicò con molto giudizio il dottore. «E mi creda, so cosa vuol dire venire da una famiglia che non può permettersi chissà quale lusso.»

«E Theodore come se la passa, invece? Lui è scampato alla tragedia?»

«Oh, lui sta benissimo! Pensi che ha deciso di studiare per diventare medico come me!»

«Oh, wow. Non vorrei essere nei panni di Michael ed Elizabeth alle rimpatriate di famiglia, con voi che sì e no non farete altro che parlare di medicina e sanità!»

Max sghignazzò. «L'ultima volta che siamo stati insieme, una sera, in effetti Elizabeth a un certo punto ci ha pregati di smetterla di parlare delle differenze fra il sistema nervoso simpatico e parasimpatico!»

Dario strabuzzò un po' gli occhi. «Francamente ci capisco poco anch'io, perciò sto dalla sua parte.»

«Oh, andiamo! Non è poi così difficile!»

«Voi medici siete una razza a se stante, mi creda. Vivete nel vostro mondo fatto di paroloni che a volte sembrano insulti e in certe situazioni sembrate l'anello mancante fra dei macellai e dei serial killer mancati.»

«In effetti alcuni assassini avevano conoscenze in campo medico» puntualizzò Max.

«Ecco, appunto.»

Il giovane dottore sospirò. «Posso essere sincero?»

«Fino ad ora non lo è stato, dunque?»

«Beh, sì, ma... cioè...»

«Sputi il rospo e basta» incalzò Jones, ma non come avrebbe fatto una volta. Il tono era indulgente. Uscire e parlare sembrava avergli fatto bene, in fin dei conti.

«Penso che suo marito sia un pazzo, se ha preferito alla persona che ha sposato e che diceva di amare un... non lo so, probabilmente un bamboccetto qualsiasi che forse ha scelto solo per sentirsi più giovane e rivendicare la propria virilità.»

Il lieve sorriso che poco fa era comparso sulle labbra piuttosto incolori di Jones sparì poco a poco. «Non me la sento di giudicarlo. Io non ero un granché, dopotutto. Lavoravo sempre, l'ho lasciato da solo a occuparsi di nostra figlia. Ha rinunciato ai suoi sogni pur di portare avanti i miei e sostenermi. Forse ha avuto ragione a voler prendersi una rivincita e riavere indietro il tempo che ha perduto stando con me. Non era più felice, lo avevo capito anni fa, e alla fine ho scelto di lasciarlo andare. Se ami qualcuno e questo qualcuno si sente in trappola al tuo fianco... è meglio permettergli di volare via. In gabbia si diventa matti e poi si muore.» Fece una pausa. «Non ero neanche sicuro di amare il mio ex-marito. L'ho sposato solo per andarmene di casa e scappare dall'incubo di una madre alcolizzata, un patrigno stronzo e fratelli che si erano presi tutta la mia infanzia. Forse non ci so fare coi bambini perché non sono mai stato tale. Non mi è stato permesso. Dovevo crescere in fretta e così ho fatto, ma questo... questo non giustifica che sono stato egoista con Gareth. L'ho usato, in un certo senso. Vedevo in lui solo la chiave che avrebbe aperto finalmente la cella in cui ero rinchiuso. Mi importava di scappare, non di cosa avrei fatto in seguito.»

«Per quanti anni siete rimasti insieme?»

«Abbiamo sfiorato per un soffio i quindici. Quindici anni di bugie.»

«Le bugie hanno vita breve» si permise di sottolineare Max. «Dovrà pur esserci stato qualcosa di reale se siete stati sposati per tutti questi anni, no?»

«Forse c'era, ma ci siamo allontanati e abbiamo finito per odiarci a vicenda. Siamo cambiati e abbiamo capito di non andare più d'accordo e di volere cose diverse dalla vita. Lui voleva la famigliola felice e numerosa e io non sono stato in grado di dargliela, per un motivo o l'altro. Un investimento del cazzo, ecco come definirei il nostro matrimonio. Voleva che fossi una persona che non potevo essere. Prima di divorziare ci siamo detti cose terribili, lui per ferirmi si è addirittura dato all'alcol, sapendo che odio sin da quando ero piccolo vedere qualcuno ubriacarsi e annegare la dignità in una bottiglia. Sono stato io a volere il divorzio. Non l'ho detto apertamente, ma dentro di me ero sicuro di volerlo.»

Era assurdo pensare che fosse riuscito a scappare alle grinfie di Reger che aveva tentato di ucciderlo, ma non fosse invece riuscito a salvare il matrimonio almeno per il bene di sua figlia. Cos'erano una lite, dei fraintendimenti e qualche brutta parola di troppo, se confrontati con una pistola puntata alla testa?

«Pensavo di fare schifo come compagno e come genitore, ma di salvarmi almeno come poliziotto, e invece faccio schifo e basta» ammise. «Avrei... avrei dovuto fare di più da ogni punto di vista, invece ho rallentato proprio quando avrei dovuto schiacciare l'acceleratore e rischiare fino in fondo. Ho corso a rotta di collo verso il precipizio e all'ultimo mi sono arrestato come un codardo.»

Max stentava a credere che quella persona fosse la stessa che aveva conosciuto mesi addietro. Jones sembrava qualcun altro, non di certo lo stesso capitano della polizia diretto e coi nervi d'acciaio intento ad abbaiare ordini ai propri sottoposti da mattina a sera.

Forse, però, quella persona non era mai esistita. Forse il vero Jones era quello che gli camminava di fianco, lo era stato tutte le volte in cui, tornando a casa, si era tolto la divisa ed era tornato a essere un cittadino qualsiasi.

I poliziotti, d'altro canto, non erano diversi dai medici e da altri che lavoravano in ambiti pubblici importanti. Per le persone erano solo una divisa o un camice, pochi si fermavano a riflettere e ricordavano che dietro a quegli abiti c'era un cuore che batteva.

Dario si fermò e guardò il dottore. «Lei... lei ha qualche anno in meno di me, giusto? Ha iniziato sicuramente a lavorare da poco, quindi... quindi è ancora in tempo, perciò... le do un consiglio: non faccia i miei stessi errori. Non metta il lavoro al primo posto, perché poi si finisce come me. Io ho distrutto la mia famiglia perché tenevo alla mia carriera e adesso non mi resta niente. Rallenti ora che può farlo o si ritroverà nella fossa.»

Max si sentiva quasi male alla vista di tutto il dolore che leggeva negli occhi castani del suo interlocutore. Esitò, poi: «Io... io seguirò il suo consiglio, ma solo se in cambio mi permetterà di aiutarla a risalire dalla fossa. Lo sa, Michael mi ha detto che in guerra... chi lascia indietro anche solo uno dei suoi compagni... non è altro che feccia. Io non voglio lasciarla indietro, perciò mi permetta di darle una mano».

Ormai si sentiva troppo coinvolto per fregarsene. Non poteva e basta, che fosse deformazione professionale o meno. Solo un mostro sarebbe rimasto impassibile.

Lo stupore lo colpì a tradimento quando Dario, inaspettatamente, accettò la mano che gli era stata tesa.

Mi ripetevo che non avrei inserito Godric, invece alla fine ho fatto quello a cui avevo pensato, fregandomene se sarebbe risultato prevedibile e poco originale. L'ho fatto, perciò aggiungete anche me alla lista dei pagliacci 🤡 😂
Comunque qui ho intenzione di appaiare i Danric, qui, perché ne ho bisogno ç_ç
AuroraTheOtakuGirl ti ho dedicato il capitolo proprio per loro u.u

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