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乇ㄩㄒㄖ卩|卂 || Ep. 11. Svolta







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I suoi occhi si aprirono lentamente e richiusero di scatto appena vennero a contatto con una luce fredda, bianca e fin troppo intensa per la sua vista ancora debole.

Lo accolse un suono lontano e ritmico, metallico. Un brusio ovattato di sottofondo.

Dopo quella che gli parve un'eternità riprovò a sollevare le palpebre e riuscì a tenerle aperte. Mise a fuoco e si convinse che era solo un sogno quando vide per prima cosa due occhi scintillanti color argento, un viso d'avorio impreziosito da labbra simili a petali di rosa e, attualmente, impegnato a presentare un'espressione tesa e impaziente.

«Andrew?»

Quella voce...

Era lui. Era lui e forse, invece, non stava sognando.

Lo guardò volgere altrove lo sguardo e parlare con qualcun altro. Non ce la fece a seguire la breve conversazione.

Finalmente, però, trovò la forza di articolare una parola, la prima che gli venne in mente: «Lexie...»

Il giovane Omega tentò di sorridergli, ma le labbra gli tremavano, sembrava a un passo dallo scoppiare a piangere. Mosse un braccio e Andrew subito riconobbe il tocco delle sue dita affusolate sui propri capelli. Una carezza gentile, un po' gli ricordava quelle che sua madre era stata solita regalargli quand'era stato bambino.

Intravide delle lacrime sul viso quasi florido e più bello che mai del ragazzo. Sembrava diverso, in un modo che stentava a comprendere. Davvero era reale?

Gli tornò poco a poco la memoria e ricordò di non essersi rappacificato affatto con lui. Avevano litigato e Andrew, invano, poi aveva provato a farsi perdonare dopo aver fatto lo stronzo.

Gli mancava un pezzo mancante degli eventi, lo sentiva.

Avrebbe voluto muoversi, sporgersi e abbracciarlo, dirgli che era felice di rivederlo, che gli era mancato, che si sentiva un idiota, ma il corpo non rispondeva ai suoi comandi, era rallentato e indolenzito.

Lexie, intanto, da quasi due mesi aveva dimenticato l'accaduto, l'aveva fatto quando, non sopportando più quella situazione, si era recato da Andrew per scusarsi e ammettere di aver esagerato. Da quel momento in poi rimembrava tutto in maniera confusa: aveva trovato la porta dell'appartamento insolitamente aperta, socchiusa, anzi, e subito un brutto presentimento lo aveva assalito. Si era fiondato dentro e invano lo aveva chiamato a gran voce, finché non lo aveva visto in soggiorno, riverso a terra, il tappeto impregnato di sangue, il viso del detective esangue.

Non si era fermato a riflettere, a pensare che potesse esser stato aggredito da poco o da una settimana e che ormai forse fosse troppo tardi. Aveva chiamato l'ambulanza e la polizia e gli avevano detto che l'aggressione doveva essere avvenuta da una ventina minuti prima del ritrovamento.

Lexie per ore era rimasto in ospedale, in attesa di conoscere l'esito del ricovero, e nel frattempo lo sceriffo Peterson si era presentato di corsa e lo aveva tempestato di domande, prima di lasciarsi cadere accanto a lui su uno dei divanetti e attendere.

Andrew ce l'aveva fatto, ma per il rotto della cuffia e, purtroppo, era andato in coma e vi era rimasto per quasi due lunghi mesi. Lexie e James ogni giorno erano andati a trovarli, Peterson aveva convinto l'ospedale a fare un'eccezione e ad accettare il ragazzo anche se non era un parente di Andrew né erano sposati o ufficialmente fidanzati.

L'unica buona notizia? Quella vecchia canaglia di Thorne, fra otto mesi, sarebbe diventato per la prima volta padre. Lexie, vedendo il risultato del test di gravidanza, aveva pianto e deciso definitivamente di tenere il bambino e sperare che il padre del piccolo sopravvivesse e si risvegliasse in tempo per la nascita. Era accaduto, per fortuna, e il giovane Omega, vedendo i suoi occhi verdi di nuovo aperti, capì di non essere mai stato così in ansia né di essere mai stato così felice di rivedere qualcuno.

Quei due mesi di coma non contavano, perché Andrew era rimasto appeso a un filo, ignaro della presenza costante del ragazzo al suo capezzale, della mano stretta forte a una delle sue.

«Cos'è successo?» chiese il detective. Per quanto avrebbe voluto fare e dire un bel po' di altre cose, gli premeva sapere come avesse fatto a finire in ospedale.

Lexie guardò James e cedette a lui il compito oneroso di riferire quanto si era scoperto. Lo sceriffo schiarì la voce e incrociò le braccia. Ci mise un po' a replicare, come se lui per primo ancora stentasse a credere ai fatti che poi, un minuto dopo, decise di rievocare: «Diciamo che io e te non abbiamo fatto in tempo a tornare dall'ospedale per cercare di sapere in che condizioni versava Jones, che siamo entrambi stati aggrediti. Io mentre stavo per salire in auto, tu quando sei tornato a casa. Nel mio caso, beh... il tizio se l'è vista brutta. Abbiamo lottato e lui ha avuto la peggio. Stecchito a suon di pugni, per farla breve. Me la sono cavata con qualche costola incrinata e un bel po' di rabbia repressa. A te è andata peggio: ti hanno pugnalato più volte. Lexie ha detto che sembravi un colapasta, tanto per rendere l'idea. Ti hanno ripreso per un soffio, ma anche tu hai deciso di farti un bel sonnellino. Sei rimasto in coma per quasi due mesi, lo saranno fra un paio di giorni. Ah, giusto per rinfrancarti: congratulazioni, amico!»

Andrew non ricordava niente dell'aggressione e tutte quelle informazioni gli facevano girare la testa. Si accigliò. «Per cosa?» chiese rauco.

«Oh, giusto!» Lexie frugò nella tasca dei jeans e poi gli tese un pezzo di carta traslucida. Sorrise. «Diventerai padre e se sarà maschio, ho deciso che lo chiameremo Milo!»
James roteò gli occhi. «Oh, ma andiamo! Che razza di nome è?»

«Ne abbiamo già parlato, stronzo, quindi sta' zitto!»
Andrew, però, si estraniò dal battibecco dei due e continuò a fissare quel piccolo riquadro in bianco e nero che ritraeva una minuscola forma simile a un fagiolo, un iniziale abbozzo di quello che nei mesi a venire sarebbe sicuramente stato uno sbraitante neonato.

Milo, eh?, pensò, riuscendo a sorridere per la prima volta da quando si era svegliato. Si rese conto di star piangendo, di singhiozzare come una ragazzina emozionata, e non se ne vergognò.

Tornò a guardare quei due che sembravano aver fatto amicizia, anche se in un modo piuttosto strano, manesco e bisbetico. «Io credo sia un nome bellissimo, sempre che si tratti di un maschio.»

James sbuffò. «Neanche sappiamo se lo sarà.»

Lexie gli rifilò un'occhiata impettita, mise le mani sui fianchi, il naso per aria. «Io invece dico che lo è. Me lo sento nella pancia.»

Peterson soffocò una risata. «E dove altro dovrebbe stare, fammi capire?»

«Sta' zitto!»
«Vi adorate proprio, eh?» osservò Thorne.

«Già» bofonchiò il ragazzo. «Come il gelato e la salsa piccante.»

Andrew gli strinse una mano, anche se lo fece con un bel po' di sforzo. Gliela strinse più che poté per dirgli, in silenzio, che era felice di vederlo e che per lui il passato non contava.

James schiarì la voce e, con la scusa di andare a informare qualcuno del personale, li lasciò da soli.

Il giovane Omega esitò. «Se non avessi fatto l'isterico, forse ora non ti troveresti qui. L-Lo sai... quella sera ho deciso di venire da te perché... in un certo senso sentivo dentro di me che qualcosa non andava. Tutti i giorni mi telefonavi almeno due volte, ma quella notte non era accaduto. Non ce l'ho fatta più e in qualche maniera sono riuscito a venire da te e poi... poi ho visto la porta mezza aperta e mi sono detto ‟cazzo, sono arrivato tardi". T-Tu eri lì, a terra, e non ho capito più niente. Mentre aspettavo l'ambulanza ti ho sentito il polso: eri ancora vivo, ma chissà per quanto ancora. Per fortuna ti hanno salvato.»

«Lexie...»

«F-Fammi finire, ti prego.» Il ragazzo si asciugò velocemente le guance con la mano libera. «Non dirò che non intendevo dire quel che ho detto quella sera. Sarebbe una bugia e odio mentire. È da stronzi e da immaturi. Ti meritavi quella lavata di capo, ma non meritavi di venire pugnalato e lasciato lì a dissanguarti come il peggiore dei criminali. Sei un brav'uomo, solo che hai il maledetto complesso dell'eroe o... non lo so, cavolo! Forse ti piace fare il padre surrogato con le persone alla deriva come me e ti senti in dovere di fare questo o quest'altro. Il punto è che anche se non rispondevo quasi mai alle tue chiamate e mi ostinavo a non voler vederti, quando poi sei andato in coma... mi sono reso conto che mi mancavi e che sono stato uno stupido a tenerti il broncio. Mi dispiace, Andrew. Parlo, parlo e parlo, dico di essere grande e poi mi comporto come un bambino. Magari sono io che dovrei crescere.»

Andy sorrise, scosse la testa e gli disse di guardarlo. «È tutto a posto, sul serio. Mi sono comportato male anch'io. Cercavo di proteggerti, ma nel modo sbagliato. Non volevo che corressi dei pericoli e  non ho saputo fartelo capire nella maniera corretta. E sì, un po' ho il complesso dell'eroe.»

Più che mai odiava vederlo piangere e quando il ragazzo si rifugiò fra le sue braccia e pianse sulla sua veste da ospedale, inzuppandola di lacrime, lo strinse a sé e gli baciò i capelli biondi. Era grato di essere ancora vivo e che non tutto il male fosse venuto per nuocere.

Quando finalmente Lexie si calmò, il detective si decise a passare a cose più serie. «Che tu sappia, ci sono notizie riguardo al caso delle aggressioni e dei predatori che impazziscono?»
L'Omega tornò a sedersi sulla seggiola accanto al letto e sospirò. «Beh... la scorsa settimana è terminato il processo iniziato una cinquantina di giorni fa contro il governatore Reger.»

Andrew non si sorprese a quella notizia. Lui e James, la sera in cui erano stati attaccati, avevano raccolto abbastanza informazioni ed erano giunti alla conclusione che forse quell'uomo avesse davvero avuto un ruolo in quanto successo al capitano Jones.

«Dunque?» incalzò.

«In pratica... è entrato in scena il fratello di Jones che, per sfortuna di Reger, è un avvocato, uno di quelli veramente stronzi e che fanno di tutto pur di mandarti al patibolo senza troppe cerimonie. James è riuscito a farmi assistere al processo e... cavolo, ci saresti dovuto essere! Quella belva ha fatto a pezzi a suon d'arringhe il povero Reger! Lo ha messo all'angolo e alle strette, tanto che nel bel mezzo di una delle udienze, davanti a tutti, è riuscito a fargli sputar fuori la verità e a fargli ammettere di aver ordinato, tramite delle conoscenze all'interno della polizia, ovvero agenti corrotti, di far uccidere te e James, anche se poi è andato tutto a rotoli. Tu e lo sceriffo eravate i soli, oltre a Jones, a conoscere la realtà dei fatti. Doveva mettervi a tacere in qualche modo, ma non c'è riuscito. La giuria ha emesso la sentenza di morte, ma stranamente, per qualche ragione, la pena è stata commutata e ridotta a sessant'anni di reclusione. Suppongo che qualcuno dei piani alti ci abbia messo lo zampino.»

Andrew avrebbe fischiato, se solo non fosse stato ancora mezzo intontito. «Porca puttana. Però... voglio dire... se l'avvocato era parente di Jones, teoricamente non avrebbe potuto occuparsi del caso. Sarebbe un grosso conflitto d'interessi.»

«In realtà pare sia stato il re a dargli il permesso di occuparsene. Francamente io sono solo felice che quel bastardo abbia avuto quel che si meritava, anche se avrei preferito lo avessero condannato a morte.»

«E... tanto per restare in tema... si sa niente del mio capo? Era messo piuttosto male.»

«Si è ripreso e poco dopo è iniziato il processo. Ha testimoniato e ciò che ha detto è stato confermato da due testimoni, uno dei quali aveva sentito con chiarezza almeno due spari provenire dall'ufficio del governatore. Non so dire come stia o meno, però... aveva un'aria un po' strana durante l'udienza in cui è stato chiamato alla sbarra, ma d'altra parte gli avevano sparato e si era appena ripreso dal coma. Un bel po' di gente è rimasta scioccata quando si è saputo che avrebbe testimoniato. Nessuno se lo aspettava. Comunque... ha abbandonato ufficialmente il corpo di polizia. Da quel momento in poi James non ha più saputo niente.»

Andrew sospirò. Si era immaginato quel finale. «Probabilmente vuole starsene per i fatti propri. Ha subito un trauma e tutto il resto.»

Lexie gli accarezzò una spalla. «Comunque, dopo che è stato scoperto quel laboratorio segreto, i medici sono riusciti a ricavare dalle tossine utilizzate per far impazzire i predatori un antidoto. Da qualche giorno hanno cominciato a somministrarlo a tutte le vittime. Il fidanzato di James ora sta meglio ed è tornato a casa, se te lo stavi chiedendo.»

Andy si tirò su lentamente e sbuffò piano. Era felice, ovviamente, però...

«Ancora non capisco chi abbia macchinato tutto quanto. Insomma... a che scopo fare tutto questo? Perché?»

Il ragazzo si strinse nelle spalle. «Non lo sa nessuno. Il caso ora è in mano ai federali, dicono, quindi... non è più di competenza della polizia.» Lo vedeva che Andrew era un po' deluso e innervosito. «So che avresti voluto arrivare fino in fondo alla faccenda, ma quello che conta è che molte vite verranno salvate e che l'emergenza è rientrata. Eutopia sta tornando a vivere, un po' alla volta. Senza di te, forse, là fuori ci sarebbe ancora un casino infernale, ma hai saputo leggere i segni e so che Rachel, in qualche maniera, ti ha guidato fino a quel laboratorio. Dicono che forse era venuta a conoscenza di quel segreto per caso e che... c-chiunque si trovasse lì di guardia abbia deciso di rintracciarla e farla tacere.»

C'erano ancora molti interrogativi, molte cose da chiarire.

Drew tornò a stendersi, leggermente di umore incupito. «Tutto quel lavoro per poi farci soffiare da sotto il naso ogni cosa da quei stronzi dei federali» mormorò. «E Reger sapeva tutto e ha avuto la faccia tosta di cercare di eliminare me, James e il capo della polizia in persona. Era così ansioso di restare sulla poltrona da aver barattato le nostre vite in cambio del potere.»

Era stato proprio l'istinto tanto condannato da Jones ad avergli sussurrato, mentre invano aveva atteso il ritorno del suo superiore, che riferire tutto quanto al governatore si sarebbe rivelato un errore madornale.

Lo avevo avvertito, ma col cazzo che mi ha dato ascolto. Non lo fa mai.

«I federali lo sapevano già» si permise di ricordargli Lexie. «Reger ha confessato che la polizia aveva solo il compito di tener sotto controllo Eutopia e dare la parvenza di non star brancolando nel buio. Credo che non immaginassero che poi saresti arrivato tu a guastare tutto.»

«Già» borbottò Thorne. «E guarda cos'ho avuto in cambio.»

Il ragazzo scosse la testa. «Tu hai solo fatto il tuo dovere e hai messo a rischio te stesso fino alla fine. La colpa è la loro che non sanno neppure dove abiti la trasparenza. Non darti colpe che non hai.»

Andy decise di lasciar cadere il discorso. Si era appena ripreso dal coma ed era troppo stanco e arrabbiato per voler rimuginare ancora su quella questione. Guardò il giovane Omega. «Tu stai bene, sì?» chiese. «Insomma... a parte il...», gesticolò e indicò in modo impacciato il suo ventre. 

Lexie sbuffò una risata. «Ho la nausea tutti i santi giorni e lotto contro l'istinto di divorare qualsiasi cosa mi si pari di fronte, ma sto bene. Ora sto ancora meglio, visto che sei tornato fra i vivi e avrò qualcuno contro il quale inveire quando arriverò al parto. Ho una soglia del dolore non proprio alta, perciò aspettati insulti rivolti a te e a tutto il tuo albero genealogico. Stando agli ultimi esami che ho fatto... beh... si tratta di un piccolo Alfa. Neanche stavolta mi è andata bene. Un altro testone da partorire, roba che non auguro a nessuno.»

Le guance di Andrew si colorirono di colpo. «Guarda che sei stato tu a dire che non avevi problemi nel caso fossi rimasto fregato» bofonchiò. 

«Sì, ma cerca di capirmi, gioia: speravo che almeno stavolta avrei dato alla luce un piccolo Omega o al massimo un innocuo Beta. Invece niente, metterò al mondo un Alfa che sarà sicuramente scemo quanto il padre. Roba da espatrio, dico io.»

Andy esitò. «Perciò... uhm... siamo una coppia, adesso?»

«Forse. Non lo so. Vedremo, dai.»

«Che vuol dire?»

«Provo qualcosa per te, questo lo ammetto, ma visto che per due mesi siamo rimasti in pausa, di strada da fare ne abbiamo ancora tanta.»

Andrew cercò di non sorridere e si finse indispettito. «Sentito, Milo? Ecco come mi tratta» finse di lamentarsi.

Lexie restrinse lo sguardo. «Non ti azzardare a tirare già dalla tua parte il bambino, Andrew Thorne! Almeno aspetta che venga al mondo!» replicò inviperito. «Già ti immagino a viziarlo e a non dargli un minimo di disciplina!»

«Oh, sì! Sarà il marmocchio più viziato, coccolato e riverito di Eutopia e dintorni! E quando avrà dieci anni gli regalerò la sua prima moto!»

«ANDREW JONATHAN THORNE!»

Finì di indossare la maglietta e tornò a sedersi davanti alla scrivania del medico, le mani giunte sopra le ginocchia. «Allora?» incalzò con voce atona. 

Il dottore sorrise. «Le ferite chirurgiche si sono rimarginate ormai del tutto. Non le ha fatto male quando le ho rimosso i punti, vero?»

«No. Non ho sentito niente.»

«Eccellente. È rimasto a riposo come le abbiamo consigliato io e la dottoressa Gables?»

Si strinse nelle spalle. «Non ho molto altro da fare, non crede?»

Il dottor Smith sospirò e smise di scrivere sul foglio dove si appuntava i progressi dell'attuale paziente ad ogni visita di controllo. «Signor Jones, io sono esperto di polmoni, ma sono pur sempre un medico e... mi scusi se sarò schietto, ma non mi sembra che lei stia bene.»

Persino l'individuo più ignorante e meno istruita del globo non avrebbe reputato quell'Omega di fronte a lui una persona in salute smagliante, e non si riferiva solo a quella fisica.

«Mangia regolarmente? Nelle sue condizioni è doppiamente importante. È sopravvissuto a una sparatoria ed è in dolce attesa. Deve prendersi cura di se stesso e... beh... farsi aiutare, se non è riuscito a superare ancora l'accaduto. Mi creda, questi problemi possono solo ingigantirsi col tempo. Non spariscono da soli. Si faccia aiutare. Non se ne pentirà.»

Dario tornò a guardare il medico. «Sta dicendo che sono andato via di testa?» chiese, mettendosi subito sulla difensiva. 

«No» lo contraddisse con calma Smith. «Sta soffrendo dopo esser uscito da un coma durato più di un mese e dopo essersi salvato per miracolo da un tentato omicidio.»

«Non sto soffrendo.»

Eppure Smith lo vedeva più dimagrito rispetto all'ultima volta che lo aveva visto in quello studio, ovvero un paio di settimane addietro. Era vestito, ben curato nell'aspetto, ma comunque sciupato. Sembrava un guscio vuoto, lasciava quasi presagire l'imminenza del peggio, specie quando si trattava di qualcuno che era sopravvissuto. Alla fine il dottore scelse di scrivere su un post-it il nome e il numero di uno dei suoi colleghi del reparto di psichiatria dell'ospedale. Lo fece scivolare sulla scrivania. «Le chiedo solo di provarci. Lo faccia per se stesso e per nessun altro.»

Dario evitò di roteare gli occhi e prese il foglietto, ma neppure lo guardò. «Va bene. Ci penserò» mentì. 

Non sapeva come stava. Né bene né male, probabilmente. Aveva lasciato il lavoro, non rispondeva alle telefonate né di Rebecca né di Dante che, dopo un bel po' di tempo, chissà come si era ricordato che lui esisteva. C'era voluto l'intervento di Reger, ironicamente. Ascoltava i messaggi che gli lasciavano in segreteria, ne aveva trovato persino uno di sua madre e un paio di suo padre, al quale di recente aveva fatto visita. Non era stato bello, per niente, e una decina di giorni in seguito all'incontro il poveretto era spirato. Lui non si era presentato al funerale. Considerava quelle cerimonie inutili. A cosa servivano? Erano l'occasione perfetta per gli ipocriti di sfoggiare lacrime false e vuote parole di commemorazione. Non aveva neppure pianto, non riusciva più a farlo da quando era uscito dal coma. I primi giorni era sprofondato in una sorta di mutismo, finché non aveva scelto di interrompere il silenzio davanti alla giuria di un tribunale. Reger aveva reagito, alla fine, scattando in piedi con tutta l'intenzione, forse, di correre da lui e fargli la festa. L'aveva insultato, aveva detto che era solo un bugiardo. Puttana, aveva usato anche quel lusinghiero epiteto, ma lui non aveva battuto ciglio.

Era come se dopo esser stato così vicino alla morte, in parte non fosse più riuscito a scrollarsela di dosso.

Non sentiva niente, non come avrebbe dovuto. Non usciva quasi mai, si rifiutava di vedere chicchessia, accampava scuse su scuse pur di stare da solo ed estraniarsi dalla società.

Diverse volte l'aveva sfiorato l'idea solleticante di ingerire una scatola intera di sonniferi che gli erano stati prescritti e farla finita per sempre. Forse era la consapevolezza che due vite dipendevano dalla sua e che non aveva il diritto di decidere anche del loro destino. 

La morte, a volte, era come una droga: una volta che era stata assaporata, quasi abbracciata, poi si desiderava di tornare al più presto fra le sue gelide braccia, come se lei stessa cercasse di richiamare a sé le anime che le erano sfuggite.

In quanto al suo ex marito... beh, Gareth ci aveva messo poco per sostituire lui con un compagno più giovane di ben dieci anni, forse più bello, più socievole, tutto quello che lui invece non era stato. La ragione del tempestivo arrivo delle carte del divorzio ben presto era stata chiarita: Gareth da più di un anno aveva iniziato una relazione extraconiugale con quel tale, uno stronzetto quasi da copertina di una rivista di moda, il ritratto della giovinezza e della perfezione.

Dario si era reso conto di esserselo sempre aspettato in quegli ultimi anni. Non era rimasto sorpreso, anzi... aveva compreso la scelta del suo ex, l'aveva giustificato e gli aveva dato ragione.

Gareth comunque non sapeva niente della nuova gravidanza. Che senso avrebbe avuto dirglielo?

Non riusciva più neppure a odiare, a provare sul serio un'emozione o un sentimento, e questo lo aveva spinto a fare restare un altro po' Rosie con la zia. Non si sentiva in grado di occuparsi della piccola e per quanto riguardava i due nascituri... doveva ancora riflettere sul da farsi. Forse li avrebbe dati subito in adozione, senza neppure voler guardarli e vedere com'erano fatti. Magari a quel punto avrebbe anche scelto su quale sorte dare a se stesso.

In tanti gli avevano detto che poteva ricominciare da capo, cogliere quell'opportunità per rinnovare la propria esistenza, ma cosa diavolo volevano che rinnovasse a trentaquattro anni, dopo aver passato tanto tempo a lavorare come poliziotto, a fare a spintoni pur di salire di grado e arrivare in cima, solo per poi cadere rovinosamente e rendere ogni sforzo vano?

Ufficiosamente aveva abbandonato il lavoro per questioni personali, ma in realtà era stato il dipartimento a dargli il benservito dopo uno scandalo come quello di Reger. Quando il polverone si era abbassato, la stampa aveva iniziato a fare a pezzi lui, a definirlo un incompetente, persino un poliziotto corrotto e menefreghista, uno a cui era solo importato di mantenere alta la reputazione e agire spinto solo dai propri interessi personali. Tanti saluti al resto, al tempo che aveva trascorso a tentare di lottare per rendere migliore Eutopia. La ricompensa erano stati lo scherno e la rovina, e la prospettiva di quando, un giorno, avrebbe ricevuto una pensione magrissima, visto che aveva lasciato il lavoro anzitempo. La spartizione dei beni non c'era stata quando aveva divorziato ufficialmente. L'avvocato di Reth aveva fatto in modo che non ce ne fosse alcuna perché, a quanto pareva, forse Rosie presto sarebbe stata affidata esclusivamente al padre, visto che all'ultima udienza Dario non aveva fatto una grande impressione al giudice e aveva dovuto rivolgersi a un avvocato d'ufficio, non potendo permettersi qualcosa di meglio e non volendo chiedere aiuto al fratello. Quella sottile minaccia, in effetti, un po' lo aveva scosso, strappato in minima parte al vuoto, ma non del tutto. Forse per Rose era molto meglio in quel modo.

Di motivi per i quali sarebbe valsa la pena spararsi in testa ce n'erano tanti, a conti fatti.

Smith intanto gli parlava, ma lui non sentiva cosa gli stava dicendo. Era come se gli stesse parlando in una lingua lontana e sconosciuta. Blaterava sul reagire davanti alle difficoltà, all'importanza del dover a volte ammettere di aver bisogno di aiuto. Gli ricordava di non farsi venire idee strane e di concedersi dell'altro tempo. Diceva che tutto prima o poi sarebbe tornato a posto.

Lui, intanto, rimpiangeva solo che Reger si fosse dimostrato un pessimo tiratore. Lo incolpava solo di non aver saputo mirare meglio e se stesso per non aver saputo accettare la sconfitta e la chiara salvezza che gli era stata offerta. Se fosse potuto tornare indietro a due mesi prima, sarebbe rimasto in quell'ufficio e avrebbe permesso al governatore di sparargli e ucciderlo sul colpo. Aveva testimoniato solo perché diversa gente aveva insistito perché lo facesse, non per reale desiderio di vendicarsi.

A cosa era valso sopravvivere? Non riusciva più nemmeno a camminare bene, visto il danno riportato dal femore che era stato spezzato a metà dalla pallottola che aveva reciso l'arteria. Non avrebbe in ogni caso potuto continuare a lavorare, non in quello stato.

Decise di alzarsi. Era stufo di stare lì e non sopportava il sentore di ospedale che avvertiva ovunque.

«Grazie dei suoi consigli» disse. «Come ho già detto prima, ci penserò.»

Smith non era sicuro se fosse una buona idea lasciarlo andare in quelle condizioni. «Aspetti...»

«Arrivederci.»

Jones si diresse alla porta e abbandonò lo studio. Il solito caos presente in ospedale lo riaccolse e gli fece quasi venire un attacco d'ansia.

Stritolò nel pugno il foglietto e proseguì, maledicendo la gamba che faceva ancora un male cane ogni volta che trasferiva su di essa il peso del corpo. In un modo o nell'altro ce la fece a uscire da quell'inferno e a fermare un taxi quando si ritrovò fuori dal parcheggio. Sospirò di sollievo soltanto nell'attimo in cui si chiuse la porta di casa alle spalle.

Avanzò nel corridoio e notò che la casella dei messaggi telefonici era di nuovo piena. Avendone abbastanza, strappò la presa elettrica dalla parete e, per buona misura, gettò nella spazzatura l'apparecchio. Il mondo intero poteva pure impiccarsi, per quanto gli riguardava.

A metà aprile la primavera pareva ormai pronta a cedere il passo ai primi accenni d'estate. Molti fiori da tempo erano sbocciati, ma nessuno di essi avrebbe eguagliato in bellezza e in rigogliosità con il fiore che si trovava accanto a Andrew, seduto sul sedile passeggero.

Ancora una volta il detective passò in rassegna quello che era a tutti gli effetti il suo fidanzato, almeno per il momento. 

Più i mesi passavano e più gli sembrava splendido, come se anche lui avesse scelto di sbocciare insieme alla natura e alla stagione.

Al momento pareva tranquillo e perso nell'osservare il paesaggio al di là del finestrino, ma in realtà era nervoso.

«Andrai alla grande, credimi» disse Andrew, strappandolo ai pensieri. 

Lexie lo guardò. «E come la mettiamo con questo?» Indicò con l'indice il ventre. Era al sesto mese, nasconderlo alla famiglia di Andrew sarebbe risultato impossibile. «Gli diremo che ho ingoiato per sbaglio un'anguria intera?»

Andy non poté non ridere. «Proprio per evitare questo ho deciso di accennare qualcosina a mia madre, giusto per non farle venire un colpo. Te lo dico in anticipo: diventa insopportabilmente apprensiva in questi casi e... le ho anche parlato un po' di te. Non vede l'ora di conoscerti. Ha detto che fai bene a trattarmi male di tanto in tanto.»

Lexie sghignazzò. «Oh, beh, se la pensa così, allora saremo buoni amici!» Sussultò appena quando Michael sgusciò fra i sedili anteriori con la testolina e disse, a gran voce, che aveva fame.

«Ho fame! Mamma, ho fame!»

Il giovane Omega dovette coprirsi le orecchie, poi si girò: «Tesoro, tra poco arriviamo. Sta' buono, su.»

«Ma io ho fame!» protestò di nuovo il bimbo, imbronciato. 

Andy esitò. «Almeno uno biscotto può mangiarlo, no?»

«Andrew, non ti ci mettere anche tu. Deve imparare a...»

«Voglio il biscotto!» strillò il bambino. 

Lexie rivolse un'occhiata penetrante al fidanzato, poi alzò gli occhi al cielo. «Va bene, va bene.» Frugò nello scompartimento davanti al sedile e recuperò la piccola scatola dei biscotti. «Solo uno, capito?», si raccomandò col figlioletto, il quale però gli strappò dalle dita il bottino e se ne ficcò una buona parte in bocca.

Michael all'inizio non aveva subito accettato Andrew come patrigno, ma dopo un po' quei due erano diventati sì e no soci nel cercare di far impazzire Lexie. Si erano praticamente alleati!
Benché il piccolo avesse pian piano preso in simpatia il nuovo compagno della ‟madre", non si poteva dire lo stesso del fratellino in arrivo.

Da quando avevano provato a spiegargli che presto sarebbe arrivato un altro bambino in casa, Michael aveva iniziato a fare capricci d'ogni sorta e a voler attirare in ogni maniera l'attenzione di tutti quanti, come a voler sottrarla al nascituro. Il pediatra aveva consigliato a Lexie e a Andrew di concedergli le attenzioni che desiderava e di fargli capire che non lo avrebbero messo da parte solo perché stava arrivando un nuovo membro della famiglia, ma a volte Michael pareva approfittarsi del loro essere accomodanti.

Per avere quattro anni suonati, appena compiuti, era senza dubbio scaltro. Troppo scaltro.

Il ragazzo si sfiorò il ventre e fece un respiro profondo. Gli era stata raccomandata molta calma, ma il medico che lo seguiva non aveva capito che con Michael mantenere la calma a volte era impossibile.

Non gli parve vero quando poi, finalmente, l'auto si fermò  e il viaggio finalmente si concluse.

Il sole ormai stava per tramontare, il cielo era tinto d'arancio, di porpora e oro; l'aria era calda, ma spirava una leggera brezza estiva capace di scacciare l'afa.

Le cicale cantavano energicamente, l'erba del prato di fronte alla grande e rustica casa di campagna che Lexie stava guardando verdeggiava come un mare profumato e sibilante.

Sul portico di legno dell'abitazione vide, seppur da lontano, due figure sedute sui gradini, l'una accanto all'altra.

Andrew sorrise fra sé. «Loro sono mio cugino Asher e Samantha, la sua fidanzata» disse all'Omega. 

«Somiglia molto a Skyler» osservò Lexie.

«Sono gemelli, infatti.» 

Il giovane annuì fra sé e deglutì a vuoto, poi si fece coraggio e disse a Michael: «Dai, scendiamo e andiamo a conoscere i tuoi zii!»

Il cuore gli fracassava le costole, la paura di non piacere alla famiglia di Drew era tanta, così come quella di non essere all'altezza della situazione.

Temeva soprattutto i genitori di Andy, specie la madre. E se fosse rimasta delusa? Se si fosse fatta un'idea troppo ideale di lui e poi avesse dovuto ricredersi non appena si sarebbero incontrati?

Scese dalla macchina, aprì la portiera posteriore e liberò dalla cintura di sicurezza Mickey, lo prese in braccio e seguì Andrew.

Asher e Samantha vennero loro incontro e a turno stritolarono in un affettuoso abbraccio il detective. Seguì una breve conversazione che Lexie non recepì né riuscì a seguire, nervoso com'era, finché Andy non lo guardò e gli fece cenno di avvicinarsi. «Lui è Lexie.»

Sam lo superò e sorrise al ragazzo. «Finalmente ti conosco di persona! Scarlett non la piantava di parlare di te e di quanto non vedesse l'ora di incontrarti!» Gli tese una mano e lui, quasi timidamente, si scambiò con la giovane una stretta. Sam poi lo passò in rassegna. «Beh, sei decisamente troppo per Andrew» sentenziò.

«Ehi!» protestò alle sue spalle Thorne, ma lei lo ignorò e aggiunse, concentrandosi su Michael: «E quest'ometto chi sarebbe?» 

Mickey si voltò per guardare la ragazza e farfugliò il proprio nome in modo adorabile, poi subito si girò e parve voler sparire fra le braccia di Lexie.

Appena vennero fatte le presentazioni anche con Asher, i cinque entrarono in casa.

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