𝐏𝐫𝐨𝐥𝐨𝐠𝐨. 𝐍𝐞𝐦𝐢𝐜𝐨 𝐝𝐢 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐢
NOTA
Per rendere un effetto migliore, consiglio la modalità di lettura notturna, ossia quella su sfondo nero!
☾𑁍☽
~ 𝟐𝟎𝟑𝟎 ~
«Mi dispiace non essere venuto prima, ma non mi andava di lasciare da sole Rose e Vera.»
Mentre parlava, seguiva attraverso i corridoi la donna dai capelli rossi e un lungo vestito dello stesso colore del cielo notturno, guardandosi di tanto in tanto in giro. Non lo sorprendeva vedere il doppio delle guardie a palazzo, non con cosa stava accadendo di quei tempi e in un giorno del genere: le nozze di Skyler con Samantha, nonché la loro incoronazione come nuovi Imperatori di Obyria, era un evento tanto storico quanto possibilmente pericoloso, con André che pareva deciso a rovinare la festa a tutti quanti.
La donna si fermò a guardarlo e abbozzò un piccolo sorriso, tanto mesto quanto comprensivo. «Non sentirti in colpa, Max. Abbiamo tutti paura per i nostri cari e tu, come chiunque altro, stai solo cercando di tenere al sicuro la tua famiglia.» Gli accarezzò una spalla, un gesto dettato dalla gentilezza genuina propria del suo carattere.
Max fece un lieve cenno di assenso. Sapeva che lei aveva ragione e di non avere torto; d'altra parte, anche con Rose ormai aveva un legame molto forte, per non parlare della piccola Vera, che era più o meno una figlia per lui.
Aveva cercato di proteggere tutto quello a cui teneva Jake, cercando di non perdersi d'animo e di sperare di rivedere prima o poi l'uomo che amava tornare a casa sano e salvo dal lungo rapimento al quale Jake era stato sottoposto anni prima, e nello stare accanto a Rose durante la gravidanza, il parto e la crescita di Vera, aveva perso la gelosia che provava nei confronti di quella donna e imparato a convivere con lei pacificamente.
Quando Jake era tornato, tuttavia, le cose si erano complicate: si era presentato un uomo molto, molto diverso da quello che lui e Rose ricordavano, un uomo distrutto dalle torture e dagli abusi, ma che nonostante tutto era riuscito a rimettersi poi in piedi e a reagire al dolore e alla vergogna.
Era stato proprio Jake a intavolare il discorso circa i propri sentimenti abbastanza confusi e bilaterali: aveva detto di amare Rose con tutto il cuore, ma di aver sviluppato qualcosa di molto forte e radicato anche nei confronti di Max. La cosa divertente? Proprio Rose aveva proposto, dopo qualche altro giorno, di tentare di instaurare una relazione ‟aperta" nella quale ci sarebbero stati vincoli elastici e libertà di scelta ed espressione. In poche parole: Jake avrebbe potuto avere entrambi accanto, senza dover per forza escludere uno dei due.
Max quella sera si era quasi sentito male, inizialmente, e non perché bigotto o chissà cos'altro, ma per il semplice fatto che una situazione di quel tipo era già capitata in passato e sempre a lui. Non proprio uguale fino in fondo, ma in ogni caso simile. Era già successo che lui si fosse ritrovato a dover dividere con qualcun altro la persona che amava e, alla fine, che tale persona avesse preferito il cosiddetto intruso a lui. Sempre una donna aveva distrutto l'equilibrio, una donna con la quale Max, per tanti motivi, non aveva potuto competere.
Aveva odiato quella donna fino all'ultimo giorno di vita di quest'ultima. L'aveva odiata come era sicuro di aver detestato poche altre persone in tutti i suoi anni di esistenza, sia come uomo che come vampiro. Pur sentendosi in colpa per tale odio, non era riuscito a sopire quell'aspro sentimento.
Proprio per via di quella brutta esperienza passata era stato sul punto di perdere le staffe e mandare al diavolo sia Jake Andersen che la sua amante, poi tuttavia ci aveva ripensato e capito che non sarebbe mai riuscito a dire addio a Jake e allora aveva accettato, rassicurato anche da lui che gli aveva promesso che non lo avrebbe mai messo da parte a favore di Rose, la sua vecchia fiamma mai del tutto spentasi e poi tornata ad ardere.
Glielo aveva promesso, certo, eppure conosceva molto bene le promesse, soprattutto quelle degli altri uomini, uomini simili a Jake dai sentimenti confusi o fin troppo elastici e avidi. Già qualcun altro gli aveva spezzato il cuore e non avrebbe tollerato di venir di nuovo messo via come un vecchio giocattolo troppo usurato e malridotto.
Negli ultimi tempi, comunque, Jake era molto più propenso a trascorrere del tempo con Rose e la figlia, lo stava un po' trascurando, la verità era quella e lui... lui semplicemente lo lasciava fare, perché in fin dei conti non cambiava mai, era il solito stupido che si lasciava soffiare la persona amata da sotto il naso senza fare un bel niente né reagire in alcun modo. Magari era lui a non essere abbastanza per nessuno e per questo veniva sempre abbandonato.
La voce della donna, Virginia, lo riportò al presente. «Jake dove si trova, ora?»
Max trattenne un sospiro. «Onestamente non lo so. L'ultima volta che l'ho visto stava uscendo e andava molto di fretta. Penso si trovi al Palazzo Imperiale come gli altri. Più persone ci saranno a tenere sotto controllo l'incoronazione e più probabilità avremo di far finire tutto senza versare sangue innocente. D'altro canto, è pur sempre un parente di Skyler.» Dal tono di voce era palese la sua grande preoccupazione per la sorte non solo dei suoi amici, ma soprattutto di Jake, che era diventato un po' troppo spericolato e dedito all'azione in quegli anni. Del tranquillo professore di biologia contrario alla violenza, agli affari di Obyria e dei Sovrannaturali, sembrava non esser rimasta più alcuna traccia.
Virginia gli rivolse un lieve sorriso incoraggiante. «Sono sicura che comunque vadano le cose, Jake ne uscirà sano e salvo. È scaltro e capace, sa farsi valere.»
«Tutti noi sappiamo farci valere, eppure ho una brutta sensazione, Virginia» insisté Max. «Forse non dovresti andare e lasciare incustodito il Regno della Notte, non ora che lui...», non riuscì a proseguire. Non voleva neppure pensare alla possibilità che quello che tutti ancora consideravano il Principe in carica potesse morire. Non era morto in quasi cinque secoli di esistenza, aveva affrontato le situazioni più infernali e disparate, e non sarebbe stato un semplice morso di uno schifoso Ghoul a sbarrargli la strada per sempre. Doveva farcela, doveva per forza!
«Non posso fare altrimenti, Max» rispose Virginia, amareggiata. «L'incoronazione sarà valida solo se l'autorità massima del Regno della Notte sarà presente e parteciperà attivamente al rito. È una tradizione che risale sin dagli albori di Obyria e non posso essere di certo io a infrangerla, specialmente ora.»
«Lo so, ma lui sta male e non riuscirebbe a difendere il regno, se venisse attaccato» le ricordò il vampiro, perdendo un po' la pazienza. «Credo che a quel punto si ucciderebbe di suo pugno per i sensi di colpa! Sai com'è fatto e non è che non abbia già tentato una volta di...»
«Lo ricordo meglio di te» lo interruppe lei, la voce di colpo dura e severa, gli occhi azzurro pallido intrisi però di tristezza e apprensione. «Conosco la sua fragilità, so che non ha più la forza di andare avanti e so che per lui ogni singolo giorno trascorso in questa vita è solo un giorno di sofferenza in più. Non c'è bisogno di ricordarmelo, Max. Lo so bene, ma lui mi ha ceduto il posto perché voleva, prima di tutto, che proteggessi in sua vece Skyler e gli altri. Non sai quanto darei per restargli vicino, ora che è debole e agonizzante, ma la sua volontà mi è chiara e intendo rispettarla, anche se con enorme sforzo.»
Max deglutì a vuoto, cercando di darsi un po' di sano controllo.
Niente da fare. Nonostante fossero passati tanti anni, nonostante nel suo cuore ci fosse ormai qualcun altro di speciale, lui si sarebbe sempre preoccupato per quell'uomo. Lo conosceva da quarantaquattro anni, un periodo relativamente breve per un vampiro, ma lungo quanto bastava, nel loro caso, per aver imparato a conoscersi a vicenda fin nei minimi particolari.
Sapeva com'era fatto, delle sue molteplici sfaccettature caratteriali, dei periodi di calvario e desolazione, o ancora di smarrimento e perdita di coscienza e moralità. Era una fase che purtroppo tutti i vampiri attraversavano quasi ciclicamente durante l'esistenza: umanità, bestialità, ferocia, compassione, vergogna, amarezza, rimpianto e desiderio di espiare i peccati commessi. Lui stesso ci era passato e proprio in seguito alla prima grande delusione d'amore.
Dario, tuttavia, era molto più antico di lui, tollerava quella triste condizione di dannazione eterna da fin troppo tempo e non era poi così assurdo che avesse attraversato periodi decisamente diversi e agli antipodi. Era normale perdersi, di tanto in tanto, perché con l'immortalità sopraggiungeva la noia, così come il male di vivere, ma forse il suo vecchio amico, nonché amore perduto, aveva appena raggiunto il capolinea finale.
A volte si ritrovava a pensare che se avesse cercato di tenerlo stretto a sé con maggiore impegno, anziché lasciarlo andare, forse tante cose sarebbero andate diversamente; magari lui non sarebbe mai diventato Principe della Notte né avrebbe messo a costante repentaglio la sua vita in cambio del più totale niente. Era un Principe amato, questo era vero, eppure c'erano anche tanti suoi oppositori, alcuni dei quali si erano ribellati e messi contro la sua autorità.
Il problema era che, in fin dei conti, quasi nessuno aveva voluto comprendere le buone intenzioni e i principi morali sopraggiunti con l'esperienza e tante riflessioni. I vampiri più giovani se ne infischiavano della maggior parte delle questioni sociali e quelli più anziani, spesso, restavano fermi a concetti vecchi di secoli e ormai superati, come la Supremazia dei Non-Morti e il fatto che secondo loro gli umani fossero solamente prede, animali da cacciare e di cui nutrirsi alla pari di vitelli e maiali da allevamento. Gli umani erano inferiori, sia dal punto di vista mentale che evolutivo, e per tale motivo meritavano un trattamento simile a quello adottato da loro con il bestiame: messi in grandi recinti chiamati città, Paesi, e lasciati a scorrazzare liberamente per il puro e sadico piacere della caccia prima del pasto. Era questo ciò che pensavano alcuni vampiri, dimenticando di esser un tempo stati loro stessi degli esseri umani.
Dario aveva ereditato una situazione sull'orlo del precipizio ed ecco che lui per primo rischiava di finire nel baratro. Per colpa dell'indifferenza del suo predecessore, Atlas, aveva dovuto apportare molti cambiamenti che troppo spesso alcuni vampiri avevano accettato con un bel po' di ritrosia e scetticismo. Qualcun altro, diversamente da Max, avrebbe osato persino dire che Dario si fosse andato a cercare quella pessima fine. Max, però, non la pensava così. Pensava molte cose sul conto di quel vampiro, ma non di certo che era andato a cercarsi un morso di Ghoul o la ribellione di un bel po' di suoi simili. Aveva cercato di migliorare le cose e portare finalmente il progresso, ma aveva peccato di ottimismo. Ecco tutto.
Decise, con molto giudizio, di non provocare oltre Virginia e di cambiare argomento. «Come sta, comunque? C'è qualche speranza che possa migliorare e rimettersi?» Voleva concentrarsi su quella questione anche per evitare di pensare assiduamente a Jake e ai rischi che quell'incosciente stava correndo.
Lei scosse la testa. «Nessun miglioramento. Continua a peggiorare, non l'ho mai visto soffrire così.»
Si fermarono di fronte alle porte che conducevano agli appartamenti del Principe e Virginia guardò Max negli occhi. «Voglio essere sincera con te: ormai potrebbe... potrebbe andarsene da un momento all'altro. Godric è partito per cercare di rintracciare qualcuno che potrebbe aiutarlo, ma non credo tornerà in tempo. È troppo grave e siamo rimasti troppo a lungo senza far niente. Avremmo dovuto insistere sin da subito, invece di permettergli di peggiorare. Abbiamo scelto di rispettare la sua volontà, all'inizio, ed ecco cos'abbiamo ottenuto.»
Maximilian rischiò quasi di sentirsi male e si appoggiò con la schiena alla parete di marmo. Una mano sulla fronte e l'altra sul petto. Quelle parole avevano causato una specie di profonda fitta nel suo cuore, come un violento strappo. «Q-Quindi... quindi vuoi dire che lui...»
Non poteva essere. No!
«Temo di sì» ammise addolorata la donna, sull'orlo delle lacrime. «Sai qual è la parte peggiore dello stargli accanto?»
«Cosa?» chiese Max, senza voler realmente saperlo. Quale che fosse la risposta, gli avrebbe spezzato il cuore, ne era certo.
«Il modo in cui sta prendendo questa situazione: lui è tranquillo, sembra sollevato alla sola idea di morire e ora fa di tutto per non tornare sull'argomento. Non so più come comportarmi, non quando si tratta di lui. Per me è come un padre e vederlo così...», Virginia scosse il capo. «Sarà meglio che vada. Ricorda: lo affido alle tue cure. Sei un infermiere, d'altra parte. Non avrai problemi ad assisterlo.» Non gli diede il tempo di rispondere, si sbrigò ad allontanarsi e Max, dunque, nel giro di poco rimase da solo, di fronte a porte che non aveva il coraggio di varcare.
Non voleva vedere proprio lui soffrire né tanto meno vederlo andarsene per sempre, ma non poteva neppure voltargli le spalle. Aveva bisogno di un supporto morale e lui glielo avrebbe dato. In fin dei conti, una minima parte del suo animo sapeva che se Dario gli avesse chiesto di tornare al suo fianco, lui avrebbe accettato subito, forse persino scavalcando i sentimenti per Jake.
Il primo amore non si scordava mai, era proprio vero, e la storia con Dario era stata folgorante e unica nel suo genere. Era stato il primo in tutto e per tutto: il primo con il quale si era fatto coraggio e aveva deciso di esporsi; il primo ad averlo stretto in un intimo abbraccio e ad avergli insegnato l'arte della seduzione, del saper prendere e dare fra le lenzuola di un talamo; il primo a farlo sentire amato e sì, anche desiderato da ogni punto di vista, sia fisico che spirituale.
A volte quei momenti gli mancavano, provava una forte nostalgia nei confronti di un passato che sapeva mai sarebbe tornato, e con la nostalgia sopraggiungevano spesso i rimpianti. Sapeva che Dario si era allontanato non solo per via di Leda che, chiaramente, gli aveva fatto girare la testa, ma anche perché era stato Max a sbagliare una volta di troppo con lui, ad aver infranto troppe promesse e ad averlo fatto pentire di aver riposto in lui fiducia.
Si convinse ad entrare, ad attraversare il breve vestibolo e poi aprire le porte della camera da letto. Le tende erano tirate, una fioca luce aleggiava in quegli appartamenti che, anziché maestosi, risultavano lugubri e soffocanti. Non era mai entrato là dentro, ovviamente, ma una cosa era certa: si vedeva che l'arredamento non era stato scelto da Dario. Lui non aveva gusti così audaci e, in un certo qual modo, da spaccone narcisista, eppure c'era un tocco personale là dentro: il lieve, inebriante e piacevole sentore di gelsomino. Quei fiori erano in assoluto i preferiti del Principe della Notte ormai prossimo all'abbandonare tale carica per sempre, proprio com'era accaduto ai suoi predecessori. Se ricordava bene, come era certo di rimembrare, Dario stesso era solito usare un profumo e un unguento ricavati da quei fiori, ma a dirla tutta... quella fragranza Max l'aveva avvertita e assaporata anche nel suo sangue.
Per un breve, fugace momento, gli si parò di fronte una scena proveniente dal passato di quasi quarant'anni. Rivide il primo amore della sua vita circondato da una luce soffusa, dal vapore di un bagno caldo; la sua pallida schiena in contrasto con una fluente e scura chioma. Lo vide voltarsi a guardarlo e sorridergli appena, in modo enigmatico e seducente, le iridi tanto scure da sembrare nere, scintillanti come onici incastonate nell'alabastro del bellissimo viso. Le labbra simili a rosei e morbidi petali. Ricordava bene cos'era accaduto quella volta: lo aveva raggiunto nella vasca da bagno, non resistendo al richiamo di quella specie di sirena sotto mentite spoglie, e avevano fatto l'amore, cullati dallo sciabordio dell'acqua calda, dal profumo estasiante di gelsomino che si era ritrovato a inspirare ripetutamente nel baciare ogni centimetro di pelle del suo amante.
Lo rivide guardarlo da sotto le lunghe e scure ciglia, le palpebre socchiuse, proprio come le labbra, un erotico ritratto dell'abbandono nella forma più pura di tutte.
Quante volte Max lo aveva fatto suo? Quante volte aveva stretto a sé il suo corpo con la cieca convinzione di aver conquistato un autentico spirito libero, come un moderno Aladino avrebbe potuto fare con un Jinn? Troppe da contare, eppure alla fine aveva capito di non averlo mai avuto fino in fondo, che nessuno lo avrebbe mai posseduto completamente. Aveva capito che Dario, sopra ogni altra cosa, amava la propria libertà. Non c'era da sorprendersi che l'esser stato nominato Principe della Notte lo avesse tutto fuorché rallegrato o fatto sentire speciale e onorato. Lui non era così, disposto a tollerare le briglie, il giogo imposto dal prossimo. Era come un purosangue nato allo stato brado che non aveva mai concesso ad anima viva di mettergli sella e briglie né di farsi montare. L'unico cavaliere che aveva resistito fino a non venir più disarcionato era stato Atlas, il quale lo aveva stretto in corde soffocanti e costretto in un recinto, a prendere il suo posto. Quella nomina come capo dei vampiri era stato il primo colpo fatale e il morso di Ghoul, invece, l'ultimo, il più estremo. Accadeva questo quando si voleva far vivere dietro a un recinto una creatura libera e amante di spazi sconfinati: o la povera bestia si adattava o soccombeva.
Gli occhi castani di Max spaziarono fino a fermarsi sul letto a baldacchino le cui tende erano anch'esse tirate, proprio come quelle che celavano la vista su Athanasia; riuscì a intravedere le lenzuola di seta bianca e vagamente un viso affaticato, di un pessimo e cereo colorito del tutto inconsueto per un vampiro. Di solito il loro pallore era evanescente, di un bianco puro e incontaminato come quello delle statue di marmo, ma il minimo cambiamento suggeriva una salute non proprio ottimale. Anche da lì Max riusciva a vedere quanto il viso del Principe fosse smagrito e sciupato, quanto il suo respiro fosse irregolare. Probabilmente faticava a respirare perché il veleno di Ghoul, in poche parole, faceva impazzire il corpo di un vampiro fino al punto che quest'ultimo iniziava presto ad aggredire se stesso, a suicidarsi, in un certo senso. Gli organi andavano fuori di testa e l'organismo, in generale, sembrava divorare pian piano se stesso credendo di star invece proteggendosi dall'attacco delle tossine di Ghoul.
Si fece coraggio e si avvicinò, poi scostò le tende e non riuscì a trattenersi: gli sfiorò lo zigomo con le nocche, poi gli accarezzò i capelli scuri e di nuovo la nostalgia lo colse; era da un bel po' d'anni che non faceva una cosa come quella, fin troppo era passato da quando lo aveva sfiorato a quel modo per l'ultima volta.
Erano rimasti tali e quali a un quelli di un tempo, tutti e due, eppure erano diversi: lo erano dentro. Dario non era di certo l'uomo che Max aveva conosciuto in un locale nell'Ottantasei e Max, poco ma sicuro, non era il giovane e maldestro vampiro che poi si era aggiudicato il vanto di essere stato uno degli storici amanti del Principe del Popolo. Dario era talmente cambiato che persino Maximilian stentava a credere che fosse lo stesso vampiro di decenni addietro.
Non era sempre stato così serio, calmo e posato negli atteggiamenti; Max ricordava di aver avuto a che fare con una persona molto esuberante e volubile, a volte persino civettuola, spesso promiscua e sfacciata, quasi sempre impegnata a divertirsi e a trascorrere l'esistenza come se ogni notte fosse l'ultima. Lo ricordava come lo spirito libero che era stato, con tutti i pregi e difetti di una vita trascorsa dietro alla fuga quasi ossessiva dalla noia, dall'apatia e dall'assenza di validi motivi per andare avanti. Max aveva conosciuto una persona in apparenza forte, frivola e a volte arrogante e superba, piena di sé, solo per poi rendersi conto della fragilità dietro a quella facciata scintillante, a tratti sardonica e all'occorrenza dotata di pungente sarcasmo. Atlas doveva averlo ammaestrato a regola d'arte. Bastava leggere un qualsiasi libro di Storia di Obyria per sapere che il Principe della Notte, quando un erede finalmente veniva nominato, prima dell'incoronazione vera e propria faceva in modo di preparare il successore affinché potesse rappresentare al meglio il popolo e mostrarsi come la guida perfetta, una sorta di padre adottivo per tutti i vampiri del regno, nonché un illustre e potente alleato del Consiglio Obyriano e, dopo quella sera, dell'Imperatore. Se fosse scoppiata una guerra a Obyria, il Principe della Notte sarebbe stato in prima linea al fianco degli altri capi dell'impero. Per fortuna, fino a quel momento, a Dario non era mai toccato combattere in una guerra, ma di grane ne aveva avute comunque parecchie e i giochi erano iniziati sul serio da quando a Hanging Creek pareva essere tornato il Mostro, il quale si era però rivelato essere Andrew, il ragazzo che Max era stato incaricato di sorvegliare e all'occorrenza proteggere, ma che lo stesso era finito in pasto ad Arwin Reger.
Non voleva ripensarci. Era stato orribile chiamare a Reggia della Luna, chiedere di parlare con il Principe e prima conversare con Leda e poi pregarla di passargli Dario. Max ricordava di aver esitato a lungo, di aver pianto per tutta la durata della breve telefonata. Gli aveva spezzato il cuore l'assenza di reazione dell'altro vampiro, sentire solo un pesante e denso silenzio, poi la sua voce spezzata e incredula chiedere tante, troppe cose. Chiedergli come fosse potuto accadere, come mai lui non fosse stato lì a proteggere Andrew e poi, ancora, se il ragazzo ne era uscito illeso o, peggio, morto. Non aveva ancora compreso la gravità della situazione, quanto Arwin si fosse spinto lontano, ma poi... poi aveva capito, senza che Max dicesse alcunché. Aveva capito che Andrew era sparito nel nulla, senza più esser stato visto, né vivo né morto. Sette anni più tardi, infine, erano venuti a risapere del ritrovamento del cadavere. Dario e sua moglie avevano presenziato al funerale, così come Max e quest'ultimo aveva intravisto nello sguardo dell'ex-fidanzato, solo per un momento, una certa acredine nei riguardi di Alexander Woomingan. Per un attimo aveva temuto che avrebbe strapazzato davanti a tutti il ragazzo, perché ovviamente aveva letto sul suo viso l'ombra di un segreto inconfessabile, di una silente colpa, e poi Leda, puta caso, aveva stretto un braccio al marito, come a imporgli di calmarsi e di non agitare acque già burrascose e torbide. Forse Dario, segretamente, non aveva mai perdonato del tutto Alex per aver abbandonato Andrew a un orrendo destino. Il caso, all'epoca, era tuttavia già caduto in prescrizione, Andrew era stato infine ritrovato, seppur privo di vita, e nessuno del Consiglio aveva voluto proseguire con le indagini e i membri avevano spinto affinché Dario smettesse di fare domande e di provocare le persone sbagliate. Omertà a tutto spiano, ecco cosa aveva significato quella faccenda, e Alex proprio per questo si era salvato, anche se sei anni più tardi aveva dovuto affrontare un'ira ancora più funesta e assassina di Dario, il quale era conosciuto per aver saputo far scempio di molti umani come neppure Jack lo Squartatore sarebbe stato capace di fare. Andrew era tornato dalla tomba, era diventato un vampiro e il caso era di nuovo passato in mano al Principe, il quale, ovviamente, scaltro come una volpe, era riuscito a far prevalere una giustizia diversa dal solito e a far tornare in libertà il ragazzo.
Max era andato subito a trovare Dario in seguito alla fuga di Andrew dalla prigione e aveva visto il Principe della Notte sorridere davvero dopo tanto tempo passato a fingere per via della morte della moglie. Aveva sorriso, quasi sull'orlo delle lacrime, e detto che il ragazzo ce l'aveva fatta, che aver convinto Alex era stata una scelta vincente. Per lui era stato un sollievo sapere Andrew finalmente fuori da quell'inferno e non gli era importato un bel niente di esser stato definito dai media un idiota che si era lasciato sfuggire da sotto il naso un criminale pericoloso come Collins. Aveva riso di gusto e scacciato tutto con una stretta di spalle, dicendo che per quel che gli riguardava, avrebbero potuto continuare con gli insulti anche fino al prossimo millennio. Forse, in un certo modo, era come se aver salvato Andrew gli avesse in parte tolto il peso della morte di Leda e del bambino nato morto che lui pensava di aver condannato. In fin dei conti Andrew era speciale per lui e per tanti anni Dario aveva continuato a ricordarlo come un fragile neonato che solo per un breve attimo era riuscito a stringere fra le braccia, dopo esser stato insignito come suo Padrino e protettore. Non immaginava neppure quale reazione avesse avuto quando Askan era andato da lui e gli aveva detto cosa era successo a Hanging Creek e per mano di chi. Era stato sicuramente uno shock, ma gli aveva anche dato uno scossone, uno schiaffo morale.
Non tutto il male veniva per nuocere, era proprio vero.
Maximilian con un sospiro allontanò quei ricordi e tornò a guardare il Dario attuale, quello morente, privo del solito splendore. Una stella cadente che si apprestava a terminare la discesa e a schiantarsi. Dio, se era diverso...
Lo ricordava coi capelli lunghi, abiti dagli stili più disparati ma molte volte sui toni pastello, almeno fino agli anni Novanta; un sorriso beffardo e uno sguardo ricolmo di sicurezza e tanti segreti, ecco cosa aveva catturato davvero Max quella sera, oltre all'aspetto di Dario che chiaramente era e sempre sarebbe rimasto indimenticabile e di rara bellezza.
Quel periodo, composto da quasi dodici anni di relazione, era stato burrascoso, ma anche felice, forse il migliore che Max potesse ricordare. In fin dei conti Dario era stato la sua prima storia seria e piena di alti e bassi, la persona che gli aveva insegnato ad amare un altro uomo e anche a sopravvivere in un mondo che continuava da sempre a cambiare e nel quale pareva esserci sempre meno posto per quelli come loro, le creature della notte per eccellenza.
Con un altro sospiro si tolse la giacca e recuperò il panno umido dalla bacinella posta sul mobile accanto al letto, poi rinfrescò la fronte a Dario, chiedendosi se sarebbe riuscito ad alleviargli l'agonia.
A volte sentiva la mancanza soprattutto del vampiro del quale si era un tempo innamorato e che poi, da quando Leda era comparsa, lentamente si era trasformato fino a diventare chi era al momento. Non poteva non chiedersi se ne fosse valsa la pena, dato che lei era morta e Dario... be', non era un mistero che la scomparsa della sua consorte lo avesse abbattuto parecchio, forse in maniera definitiva. I primi tempi erano stati davvero difficili, quasi insostenibili. Gli sembrava solo ieri quando Grace, a un certo punto, si era recata da lui e lo aveva sì e no implorato di fare qualcosa, qualunque cosa, pur di salvare dal baratro il suo adorato Creatore. Max, nonostante un'iniziale reticenza, aveva alla fine risposto subito a quella richiesta di aiuto e... Dio! Il cuore gli era andato in pezzi quando aveva visto il suo ex-fidanzato in balia del dolore e non solo di quello. Quando lui e Grace erano entrati in quella stanza, due anni prima, avevano visto Dario con in mano un pugnale, uno di quelli che uccidevano qualsiasi creatura ed erano definiti Lame Azraelite. Non era stato semplice convincerlo a non compiere quel gesto estremo, né vederlo poi piangere come un bambino, affrontare il periodo di lutto e la perdita sia della moglie che del figlioletto nato morto.
Max ricordava pochi altri episodi nei quali aveva provato così tanto dolore e dispiacere, nonché impotenza.
La verità era che quel vampiro non si era più ripreso da quando Leda se n'era andata per sempre, poco importava se agli occhi esterni sembrava esser tornato quello di sempre.
Dario conosceva bene la cruda realtà secondo la quale il prossimo non perdonava il dolore e, soprattutto, i deboli; per andare avanti in un mondo di lupi era necessario indossare a volte una maschera, mostrarsi forti quando si era deboli, specialmente se si era un Principe della Notte. Aveva dovuto metter da parte i propri dispiaceri per far fronte ai doveri.
I pensieri di Max smisero di correre quando i suoi occhi incrociarono quelli dell'altro vampiro, il quale si era ridestato e lo stava guardando in piena confusione; probabilmente non ci vedeva bene, o era talmente stanco e provato dagli effetti del morso di Ghoul che ormai faticava a restare cosciente. In ogni caso, era proprio come aveva detto Virginia: non mancava molto all'inevitabile. Presto se ne sarebbe andato anche lui, proprio come la sua rimpianta sposa, come i suoi predecessori.
Nessun Principe della Notte smetteva di esser tale di sua spontanea volontà, questo era risaputo. Neanche un vampiro di quella lunga e antica stirpe di regnanti era mai sopravvissuto in seguito alla fine del mandato; era come se essere eletti come capi supremi dei vampiri comprendesse poi, come atto finale, il sacrificio del Principe precedente.
Per creare bisognava distruggere. Il sole, per rinascere, doveva prima tramontare.
Max, però, non voleva che il sole tramontasse su Dario. Non voleva che morisse, che se ne andasse anche lui per sempre. Nonostante tutto gli voleva ancora bene, era ancora una parte importante e indispensabile del suo cuore, cuore che proprio lui per primo aveva risvegliato.
Lo udì domandargli, con un filo di voce, cosa ci facesse lì e Max non seppe cosa gli diede la forza di non ridere amaramente di fronte a tale domanda. Non sarebbe bastata un'intera risma di carta per spiegar fin nei minimi dettagli cosa lo aveva spinto a presentarsi, a vegliare su di lui e affiancarlo un'ultima volta. «Virginia mi ha mandato a chiamare. Ha detto che non stavi bene e di aver bisogno di qualcuno che restasse qui con te in sua assenza» spiegò, stringendosi nelle spalle.
«Dovresti stare accanto a Jake e agli altri. Servi più a loro» disse il Principe, e il peggio era che faceva sul serio.
Max lo fissò con una nota di durezza nello sguardo. «Siamo onesti: non sono fatto per l'azione, e questo lo sai meglio del sottoscritto. Senza contare che resto un infermiere e tu, amico mio, adesso stai male e necessiti di assistenza. Arrenditi e basta, perché non mi muoverò da qui. Piantala una buona volta di pensare agli altri e pensa un po' anche a te stesso. Non sei il padreterno, fino a prova contraria, e non mi sembra giusto che tu voglia soffiargli il lavoro o caricarti le spalle delle sue responsabilità.»
Ignorò i tentativi di Dario di allontanare il braccio sul quale spiccava con prepotente e crudele chiarezza il morso di Ghoul che ormai aveva infettato gran parte del resto del suo corpo, poi esaminò la ferita e trattenne un sospiro. «Cristo santo... Virginia ha detto che sei stato morso due volte, come se non bastasse» commentò a mezza voce. «Si può sapere com'è successo? Sei sempre stato scattante come una lucertola! Non vorrai farmi credere che di colpo hai perso i tuoi riflessi, vero?»
L'altro vampiro ritrasse l'arto disseminato di venature violacee, simboli inequivocabili dei vasi sanguigni contaminati. «Godric era rimasto indietro e per difenderlo ho dovuto affrontare alcuni Ghoul che stavano per saltargli addosso. Si è trattato di pochi secondi. Nessuno sarebbe riuscito a sfuggire in tempo a una creatura del genere.»
«Non pensavo che quello stronzo di un Efialte fosse così imbranato.»
«Stavamo fuggendo, Max. Avevano ucciso gli altri e noi eravamo gli unici sopravvissuti. Non potevo permettere a quei mostri di prendere anche lui, non me lo sarei mai perdonato. In fin dei conti era mia la responsabilità di aiutarlo in caso di pericolo.»
Max per qualche istante tacque, finché: «Sai, a volte penso che saresti dovuto restare l'uomo che eri una volta, quello che conobbi io» disse, facendosi coraggio. «Se ci pensi bene, Dario, l'esserti responsabilizzato e l'aver messo la testa a posto ti hanno solo dato in cambio il morso di un essere schifoso e tanti rimpianti. A te sembra un baratto equo? A me no, francamente. Che razza di ricompensa è stata, considerando tutti i sacrifici che hai dovuto fare?»
Dario non rispose e guardò altrove.
«Hai accettato di concedere del tempo a Godric per trovare una soluzione, ma sai benissimo che non riuscirà ad arrivare in tempo. Non provare nemmeno a negarlo, ti conosco troppo bene e so quando ti limiti semplicemente ad accontentare gli altri. Quando lo fai sorridi sempre in quella maniera, con una disarmante dolcezza, come a voler addolcire una pillola amara e convincere tutti che ogni singola cosa andrà per il meglio.»
«Hanno bisogno di credere che ci sia ancora un minimo di speranza. Hanno bisogno di speranza, Maximilian» si limitò a rispondere l'altro. Con Max non aveva la forza di fingere una serenità che non c'era. Lo conosceva come le sue tasche, forse più della stessa Grace o di Virginia, o persino di sua moglie. Con lui la sua maschera crollava quasi immediatamente.
Il vampiro più giovane fece un profondo respiro. «Ad aver saputo prima dove ti avrebbero portato le elezioni, sarei piombato qui anni fa e ti avrei sì e no rapito finché non avessero trovato qualcun altro a cui passare questo casino di regno. Ecco cosa accade a ingabbiare un uccello raro cresciuto allo stato brado: si finisce solo per ucciderlo.»
Probabilmente Dario, in circostanze normali, avrebbe fatto un sorriso storto e difficile da decifrare, ma non in quel momento, non con le tossine di Ghoul che parevano corrodere il suo corpo dall'interno come il più pericoloso e potente acido esistente. Era una sensazione agghiacciante, ma c'erano sintomi peggiori, come ad esempio le allucinazioni, il passato e il presente che andavano confondendosi di tanto in tanto, le emozioni ridotte a un turbine confuso, a montagne russe dalle quali non si poteva scendere in alcun modo: un attimo prima magari era tranquillo, quello dopo in preda all'angoscia, alla rabbia o alle lacrime, o al dolore. Soprattutto il dolore. Il veleno di Ghoul portava i vampiri a qualcosa che si avvicinava molto alla pazzia, li rendeva instabili e un facile bersaglio per chiunque, anche l'avversario più inetto o inesperto.
Dario, famoso per aver sorriso in faccia a qualsiasi situazione gli avesse posto di fronte la vita, non aveva proprio alcuna voglia di sorridere, che fosse anche un accenno, una semplice curvatura delle labbra. Sembrava stanco di farlo, di ricambiare il sadico ghigno della morte imminente con il suo sorriso più bello. In realtà si augurava solo che l'agonia finisse presto, perché in ogni caso sapeva che Dante non avrebbe mai accettato di aiutare fra tutti proprio lui. Aveva avuto modo di conoscere quell'Efialte, il suo Efialte, e di gente con una tale dose di menefreghismo nel DNA ne aveva incrociata poca. Chi non rientrava nelle sue grazie poteva anche morire a venti centimetri di distanza senza che lui muovesse un solo dito. Era la tipologia di Efialte peggiore, anche se in realtà lui non era la persona adatta a giudicare chicchessia. «Nessuno ha mai detto che sarebbe stato facile» disse, dopo quella che era parsa un'eternità.
«Avresti potuto rifiutare.»
«Max, non voglio discutere. Non adesso, ti prego. Non ce la faccio.»
Il vampiro più giovane, d'impulso, disse qualcosa che nulla aveva a che fare con l'argomento di cui stavano parlando: «Ti amo ancora, sai?»
Fu una frase repentina, chiaramente pronunciata in un attimo di debolezza nel quale Max aveva abbassato la guardia senza rendersene conto. Repentina e, purtroppo, sincera. Si portò una mano al cuore. «Ormai è inutile che io continui a fingere, non pensi? Voglio dire... mi trovo qui, al tuo capezzale, forse tra non molto tu non ci sarai più e allora tanto vale farla finita ed essere onesto. Sono innamorato di Jake, cazzo se lo sono... ma qui dentro ci sei anche tu, ci sei da un bel po' di tempo e non te ne sei mai andato e credimi, ci ho provato a strapparti via! Ho provato a farlo, solo per rendermi conto che in quel modo mi sarei privato anche del cuore! Ormai sei un marchio indelebile!»
Si sentiva uno stronzo a tirare fuori roba del genere in un momento come quello. Era risaputo che certe questioni non andavano sollevate quando si trattava di una persona sul letto di morte, ma in quegli ultimi anni non avevano avuto molte occasioni per parlare a quattrocchi.
C'era sempre stato un problema altrove da risolvere, una faccenda più importante a cui pensare, l'incosciente di turno da rimettere in riga, ma altre volte Max aveva avuto l'impressione che Dario avesse appositamente inventato delle scuse pur di non restare da solo con lui, tanto per fare un esempio. Quella era l'ultima chance per dire ciò che andava detto da un bel po' di tempo.
Si sentì sprofondare non appena vide lo sguardo sofferente e a tratti risentito, sdegnato, del Principe. «Perché mi fai questo? Perché?» esalò Dario. Parlare per lui non era più così semplice, era un dispendio di energie come un altro, eppure c'era sotto molto di più; magari era il veleno di Ghoul a farlo sragionare, ma aveva quasi l'impressione che Max avesse intenzione di vendicarsi per via di qualcosa successo molti anni prima, qualcosa per il quale in fin dei conti non aveva mai avuto alcuna colpa. Non si sceglieva chi amare o chi smettere di amare; non aveva mai scelto di innamorarsi di proposito di Leda in un periodo in cui la relazione fra lui e Max aveva cominciato a dar segni di cedimento; non aveva scelto di spezzare il cuore al vampiro che aveva di fronte né di esser stato magari volubile all'epoca.
Sapeva benissimo di non esser sempre stato propriamente uno zuccherino, qualcuno facile da amare e col quale stare, ma anche Max aveva le sue colpe e responsabilità. Se qualcosa in una coppia si incrinava, non era mai a causa di un polo soltanto. Gli sbagli si commettevano in due, quando si parlava di certe cose.
Max guardò altrove, poi ancora lui. «Ti feci la stessa domanda, ma tu non rispondesti, mi pare.»
«Non c'era bisogno di rispondere. Lo sapevi il perché.»
«Vuoi la verità? La rispettavo come persona, era una gran donna, una maga come poche altre, ma per un bel po' di tempo ho odiato Leda come credo di aver odiato poche persone in tutta la mia esistenza. L'ho odiata, va bene? L'ho fatto. Cazzo se l'ho odiata!»
Dario lo squadrò duramente, pareva davvero arrabbiato. Come al solito reagiva male quando qualcuno tirava in ballo sua moglie, e in fin dei conti era una reazione lecita. «E dire che ti ho visto piangere al suo funerale» si limitò a commentare, la voce insolitamente gelida.
«Non sono così stronzo da restare indifferente alla morte di una persona come lei» replicò Max, cominciando a scaldarsi. «Ho solo detto di averla odiata per averti sottratto a me! È un crimine anche la gelosia, adesso? È un crimine avercela con qualcuno che mi ha portato via la persona che amavo da sotto il naso, o avercela con te perché mi tradivi con lei mentre stavamo ancora insieme?»
«Perché io ti tradivo con...», era ovvio che se Dario fosse stato in salute, si sarebbe messo a ridere pur di non piangere o andare su tutte le furie. «Neanche tu sei stato chissà quanto fedele, gli ultimi tempi prima che ci separassimo, mi pare!» perse le staffe. «E perché tu lo sappia, io me lo feci un bell'esame di coscienza, al contrario tuo! A te è bastato molto poco per allontanarti e iniziare a fare né più né meno quel che ti pareva, ovviamente alle mie spalle!» Era una fortuna che non avesse le forze necessarie per scattar su o lanciargli contro qualcosa.
Discussioni di quel genere non erano estranee a nessuno dei due, purtroppo, ma ormai erano decenni che non ne capitava una come quella.
Max contrasse la mascella. «Quindi Leda era una specie di vendetta?»
«Non lo era affatto, invece. Te lo dissi prima di andare via e ora te lo ripeto per l'ennesima volta: non ho scelto di stare con lei per ripicca. Non ho mai avuto bisogno di simili espedienti! Ti ho lasciato perché era chiaro che ormai eravamo ai ferri corti! Non aveva senso prolungare l'agonia!»
Wildbrook si mise in piedi e prese a camminare per la stanza, seguito dagli occhi furenti e allo stesso tempo stanchi e provati del Principe. «Forse è sempre stato questo il problema fra noi: io ti amavo, ma ai tuoi occhi ero solo un amico, a volte un passatempo. Siamo sinceri per una volta e ammettiamo che tu non sei mai stato veramente mio. Eravamo una coppia, ma alla fine ero solo io a comportarmi come se lo fossimo, forse ero l'unico a tenerci veramente. Andiamo, Dario, guardiamoci in faccia: se non avessi insistito, tu non mi avresti mai reso partecipe di ciò che facevi per conto di Atlas e gli altri membri del Consiglio! Mi avresti lasciato all'oscuro fino all'ultimo! Dicevi di dover partire, andavi e tornavi, e più di una volta rischiando di lasciarci le penne! A questo punto, scusa se lo dico, non posso non pensare che non ti importasse più di tanto di essere fidanzato con me!»
«Non ti permettere! Non osare ripeterlo! Non ci provare, Max!» sbottò Dario, ben oltre il limite di sopportazione. La smorfia che subito dopo si palesò sul suo volto, il modo in cui fece pressione con una mano sul torace, servirono a riportare alla ragione Max e a spingerlo a tornare da lui e farlo rimettere giù. «Va bene, credo di aver esagerato. Scusami.»
«Non mi dire!» sibilò in risposta Dario. «Neanche fosse la prima volta, questa.» Gli erano state dette tante cattiverie da un bel po' di persone, ma quel che aveva sentito poco fa superava ogni sua rassegnata e cupa aspettativa. «Se non ti avessi amato né considerato importante per me, fidati che non avrei retto per quasi dodici anni al restare sempre con la stessa persona, ogni singolo giorno. Hai proprio un bel coraggio ad accusarmi, considerando quello che tu hai fatto a me per primo.»
Wildbrook non rispose, lungi da lui voler farlo arrabbiare di nuovo nelle condizioni in cui versava, tuttavia la tregua durò poco. «Volevo solo dire che se tu mi chiedessi di tornare al tuo fianco, lo farei subito. Probabilmente Jake neanche se ne accorgerebbe. Ultimamente ha solo occhi per Rose e Vera, è come se io fossi stato messo da parte come un giocattolo troppo usurato. È stato bello finché è durato, la verità è questa, e so che prima o poi verrò dimenticato del tutto. Alla fine va sempre così.»
Dario fece un respiro profondo, o almeno tentò di farlo. «Jake ti ama, Max, ma al momento è concentrato su ben altre cose e preoccupato, soprattutto per suo fratello. Vuole bene a Petya, anche se pare il contrario, e Petya è nell'occhio del ciclone. Non puoi fargliene una colpa. Non fare come al solito e cerca di metterti nei suoi panni.»
«Eppure, quando si degna di tornare, a volte quasi mi ignora. Tu cosa penseresti, al mio posto?»
«Gli parlerei e chiarirei la situazione. Lamentarsi con gli altri serve a poco. Io sono il tuo ex-fidanzato, perciò sono di parte. Non credi?»
«E gira che ti rigira, non hai risposto a quello che ho detto prima.»
Il Principe serrò le dita sulle lenzuola. Invidiava Max e la sua capacità di non saper mai darsi per vinto, specialmente nelle situazioni più sconvenienti. «Io sto morendo, Max. Quali che siano i miei pensieri, ormai hanno ben poca importanza. Non cambierebbe niente.»
«Be', io so solo che per quanto ami Jake, mi manca provare quello che provavo per te, qualcosa che non si è più ripetuto per nessun altro. Vorrà pur dire qualcosa se il profumo che sento in questa stanza ancora è capace di darmi i brividi e farmi ricordare ogni singolo istante trascorso fra le tue braccia.»
A volte, se ripensava a lui, lo ricordava come lo aveva visto la prima volta in assoluto: lo rivedeva in mezzo a tutte quelle persone intente a divertirsi, sotto quelle luci cangianti e colorate, mentre la musica risuonava ovunque. Quel sorriso enigmatico che inizialmente lo aveva disorientato, la sua figura impossibile da non notare e che fin da subito aveva attirato la sua attenzione.
Ricordava persino com'era vestito, il suo aspetto, ogni particolare.
Le cose da allora erano cambiate tanto, forse troppo, ma in fin dei conti si era trattato di qualcosa di inevitabile.
«Avevi un completo rosa pastello e una maglietta verdazzurra. Portavi i capelli lunghi e liberi sulle spalle. Per un attimo mi sembrasti uno dei tanti attori che all'epoca facevano impazzire le teenager o un cantante che ancora non avevo avuto il piacere di ascoltare alla radio o vedere dal vivo. Pensai di non aver mai visto una creatura più bella in tutta la mia vita e tu... tu eri...», Max sbuffò una risata. «Lo ammetto: un po' sembravi uno stronzo, uno che se la tirava parecchio! Ti presi per uno spaccone, di quelli feroci e boriosi!»
Nonostante quel che si erano detti fino a poco fa, quel che avevano continuato a ripetersi per tanti anni, quando Maximilian allungò una mano e strinse quella di Dario, lui non rifuggì il contatto e, anzi, intrecciò le loro dita. Le sue labbra tremavano, come se fosse sul punto di piangere o finalmente sorridere. «Tu, invece, avevi un giubbotto di pelle e gli occhiali da vista. Non ho mai capito perché li indossassi! Il vampirismo cura cose come la miopia!» cercò di scherzare.
Max rise appena. «Se è per questo, di tanto in tanto li porto anche al giorno d'oggi! Mi ricorda di quand'ero ancora vivo, ci sono affezionato!»
Ben presto si ritrovarono a parlare del passato, a rievocarne ogni singola sfumatura e a desiderare che il tempo si riavvolgesse in qualche maniera. Il Tempo che era nemico di tutti, persino dei vampiri.
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