𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐗𝐕. 𝐂𝐨𝐧𝐝𝐚𝐧𝐧𝐚𝐭𝐨
Non ebbe alcuna esitazione quando, recuperata una pillola, subito la ingerì aiutandosi con un sorso d'acqua e, fatto ciò, richiuse il flacone prima di riporlo nell'armadietto di marmo finemente scolpito del bagno.
Gli era stato detto e ripetuto fino alla nausea di assumere quel farmaco che lo avrebbe aiutato a riprendersi il prima possibile e aveva scelto semplicemente di farlo senza discutere. Una parte di lui avrebbe semplicemente voluto infischiarsene, ma non poteva permettersi una lunga convalescenza e il lavoro da fare era ancora tanto, troppo per mollare sin da subito la presa.
Prima di andare alla porta e tornare in camera non poté far a meno di dare una veloce sbirciata nello specchio e osservare il riflesso che esso restituiva. Beh, cosa dire? Non aveva un bell'aspetto. Stava da far pietà, a voler esser crudi e sinceri.
Non erano trascorsi neppure due giorni da quando era stato a un passo dalla morte e da quel che gli avevano detto, gli ci sarebbe voluto molto tempo per tornare a essere quello di sempre e togliersi di dosso quell'aria fin troppo emaciata e moribonda che al momento urlava in faccia a chiunque quanti giorni migliori avesse visto in passato.
Non era la vanità a parlare. Se l'era lasciata dietro da tempo, quella. Non gli andava che qualcuno potesse porgli domande alle quali rispondere gli avrebbe procurato enorme disagio. Era raro che un vampiro venisse ferito da un Ghoul e lui era il primo a essersi salvato per semplice miracolo dal finire come chiunque fosse incappato in quei mostri, ed era dunque ancor più inusuale vedere un non-morto nelle condizioni in cui lui attualmente versava.
Grace, non appena lo aveva visto, l'altro giorno, come al solito era stata spaventosamente schietta e, un po' per scherzare, un po' per mostrare a modo proprio un velo di preoccupazione nei suoi riguardi, gli aveva detto che se un becchino lo avesse incrociato, sicuro come l'oro che lo avrebbe subito trascinato nel cimitero più vicino per farlo tornare subito nella tomba.
Dario aveva provato a riderci sopra, ma da allora aveva fatto di tutto e di più per starsene chiuso in quelle stanze e aspettare di riprendersi.
L'ultima cosa che voleva era far spaventare qualcuno con quelle occhiaie e quel colorito grigio e da autentico cadavere sgusciato via da un sudario.
Fu proprio Grace che vide non appena fece ritorno in camera e si sforzò di trattenere un lungo e stanco sospiro. Al momento non gli andava di parlare né di interagire con anima viva. Pur non essendo un amante della solitudine, al momento la cercava disperatamente. L'istinto lo induceva a isolarsi più che poteva, eppure, per uno scherzo del destino, di colpo le persone si erano intestardite nel non voler lasciarlo in compagnia di se stesso per più di un'ora consecutiva, quasi temendo che potesse fare qualche stupidaggine o avere una ricaduta.
Fece per parlare, ma Grace lo precedette: «Virginia mi ha detto che l'hai pregata perché ti permettesse di uscire. Sono due giorni che fai di tutto e di più per isolarti e ora, invece, ecco che te ne esci sparando fesserie sul voler sgranchirti le gambe. Che cosa bolle in pentola? E non provare ad appiopparmi qualche scusa cretina, Dario. Ormai so capire subito quando cerchi di mentire e sei un pessimo bugiardo di default!» Era chiaramente sospettosa e trasudava disappunto da tutti i pori. «Non dovresti uscire. Ti hanno detto tutti che devi restare a letto e riposare e per una volta nella tua vita potresti anche dar retta a qualcuno che non sia te stesso!»
Lui si strinse nelle spalle e cercò di apparire il più innocente possibile. «Voglio solo prendere un po' d'aria fresca, tutto qui. Non sono costretto a rimanere in una specie di quarantena o altro, dopotutto, e sono stanco di rimanere fra queste quattro mura.»
«Come se non ti conoscessi, vero?» Grace si rimise su, agile come una gatta, e lo raggiunse con poche falcate; incrociò le braccia e tamburellò le dita della mano destra sull'avambraccio sinistro, soppesandolo con i suoi occhi chiari e penetranti. «Non hai ancora recuperato le forze e là fuori potrebbe scoppiare il pandemonio da un momento all'altro. Non è detto che il Regno della Notte non potrebbe finire nel mirino di quel pazzo. Non ti pare un po' strano che da queste parti non sia accaduto niente di niente fino ad ora? Non sei neanche un po' preoccupato? Sei debole e l'ultima cosa di cui hai bisogno, è andartene là fuori e offrire a qualche traditore l'occasione giusta per consegnarti ad André, Grober o come diavolo si chiama quel bastardo!»
«Grace, per favore...»
«Io lo dico solo per te!» sbottò lei, incredula di fronte alla sua testardaggine. «Lascia a Virginia il compito di preoccuparsi di questo e quest'altro! Ora è lei la Principessa e ormai sa badare a se stessa! Per una volta resta al sicuro e curati di te stesso, non soltanto degli altri!»
«N-Non è per questo.»
«E per cosa, allora? Parla, una buona volta!»
Dario si trattenne a stento dal ritrarsi e fare un passo indietro, dal mettere un minimo di distanza fra se stesso e Grace. Ultimamente odiava farsi urlare addosso dagli altri e dopo tutto quel che era accaduto con Max due giorni prima, lo odiava ancora di più. Parlare con lui, interagire con lui, litigare come se in fondo i tempi bui della loro storia non fossero mai passati, aveva riaperto tante ferite e innescato, al tempo stesso, reazioni a catena che lui invano aveva provato a rallentare e ritardare. Aveva provato a tenere quella porta sigillata, a impedire alla voragine di inghiottirlo come un mostro della fiabe in un sol boccone, ma ogni sforzo era stato inutile.
In cuor proprio aveva già lasciato andare la presa sulla fantomatica porta e ora... ora aspettava e, nell'attesa, voleva nel frattempo tentare di risolvere le questioni che aveva lasciato in sospeso. Risanare il poco rimasto da risanare.
Dopo aver ripreso conoscenza, in certi momenti si era chiesto più volte perché si fossero ostinati a salvarlo quando invece aveva espresso una volontà del tutto contraria. Aveva chiesto di esser lasciato andare, di esser libero di trovare finalmente un po' di pace e abbandonare finalmente la scena, ma poi si era ricordato di non avere ancora il permesso di tirare le cuoia, di avere ancora molto lavoro da sbrigare.
Per anni era stato convinto che sarebbe finito come tutti gli altri Principi, che sarebbe morto, e invece non era andata così e... aveva bisogno di un po' di tempo per metabolizzare la questione, per far pace con la realtà di esser ancora vivo nonostante tutto, malgrado non volesse più quella maledetta vita e avesse visto abbastanza, persino troppo per i suoi gusti. Non voleva vivere, era stanco di farlo, di andare avanti, ma la sorte aveva scelto ancora una volta al suo posto. Non sufficientemente paga aveva intenzione di strapazzarlo un altro po', scagliandolo nella tempesta da una parte all'altra, ora contro uno scoglio, ora contro un altro. Il supremo baluardo di suddetto infelice avvenire era rappresentato senza dubbio da Lorenzo, da suo figlio che lo voleva morto e lo odiava con tutto il cuore.
Pur consapevole che dietro a tanto disprezzo vi fossero Arwin e le sue doti da abile manipolatore, sapeva anche che l'odio di Lorenzo nei suoi riguardi non fosse totalmente mal riposto. Aveva ragione a detestarlo e forse era questa verità a far male, a esser dura da digerire.
Esalò un sospiro tremante e si decise a fare una cosa che non aveva mai avuto il coraggio di fare, neppure quando Leda era ancora viva: si portò le mani al collo e slacciò la catenella, poi prese una mano a Grace e su di essa posò il filamento d'argento con appeso l'anello. «Tieni. P-Prendilo tu, ti prego.»
Lei osservò il ninnolo e subito lo riconobbe. Spalancò gli occhi, incredula. «M-Ma è...»
«Sì, è proprio quello» tagliò corto Dario. «Non ce la faccio più a indossarlo, perciò te lo cedo. Magari in mano tua si rivelerà più utile e avrà maggior fortuna. A cosa potrebbe mai servirmi, ormai? Non ha più senso indossarlo e ogni volta che ricordo di averlo al collo è come se recassi addosso il peso di un macigno. Sono stanco dei pesi che mi trascino dietro, Grace. Sono... sono stanco di tutto, quindi... abbi pietà e liberami almeno di questa incudine in particolare, ti prego.» Grace fece per parlare, ma lui le chiuse le dita sull'anello. Fra tutti gli scrigni nei quali avrebbe potuto porre quel cimelio, nessuno sarebbe mai stato sicuro e degno come la mano di una sua cara amica. La più cara che avesse mai avuto. «Fanne quel che desideri.»
La donna lo fissò attonita e addolorata. Aveva capito. Eccome se aveva capito. Non poteva nasconderle niente, mai c'era riuscito. «Io... i-io credevo che tu... v-voglio dire... ora sei vivo, no? Siete vivi entrambi e qualcosa c'è ancora, lo sento! Non puoi... non puoi rinunciare così! Non puoi mollare la presa proprio ora!» Era a un passo dalle lacrime. Quant'era vero che avesse recepito il messaggio fra le righe dietro alla consegna di quell'anello, tanto lo era che non fosse più capace di comprendere il suo punto di vista né chi o cosa lo trattenesse dal tornare da Max e porre fine a uno strazio che, a distanza di tanti anni, non era mai terminato. Non capiva o forse non voleva accettarlo. «Ha detto che ti ama ancora! Insomma, Dario, smettetela con questa specie di guerra e... non lo so, baciatevi, fate quel che vi pare, ma smettetela di farvi del male così! C'è ancora speranza e non devi far altro che afferrarla!»
«No, Grace. Non è così e non ho più niente da dare a nessuno. Solo perché sono ancora qui, non vuol dire che io ci sia davvero; non vuol dire che la stanchezza se ne sia andata, che mi sia tornata la voglia di vivere; quello che cerco disperatamente da quando questo inferno di sangue e notti eterne mi ha inghiottito, non lo troverò mai in questa vita. Mi ci sono voluti secoli per capirlo, ma ora è palese. È una verità che fa troppo rumore per essere ignorata. Ogni... ogni volta che credevo di aver trovato la pace e la felicità, mi è stato portato via tutto, sempre, senza che potessi far niente per evitarlo. Ogni volta è stato come se una belva mi avesse azzannato e sottratto un pezzo di carne dopo l'altro. Una lenta tortura che per un momento, soltanto uno, ero convinto che sarebbe terminata.»
Sorrise amaramente, con ironia.
«Voi vedete un corpo che si nutre di sangue e che per secoli è rimasto intatto, ma io vedo solo un fragile scheletro che si sta sgretolando. Non è rimasto nient'altro che quello e so di poter dare la colpa a me stesso e a nessun altro. Sono stato io a cercarmi tutte le sventure possibili e immaginabili. Io ho permesso al disastro di varcare la soglia di casa mia. In fin dei conti Arwin non aveva completamente colpa: ero morto da prima che venisse al mio capezzale. Altri al mio posto avrebbero fatto chissà quante cose per cambiare il mondo in tutti questi secoli, fatto tesoro del tempo che era stato loro concesso, ma io non ho fatto niente. Mi è stata restituita una vita che non merito, che non volevo più. Ero pronto a lasciarmela alle spalle, a dire basta, ma...»
Grace lo guardava, attonita e spiazzata, incapace di proferir parola. Che fosse dannata in eterno, se lo aveva mai sentito parlare in quel modo!
«Sono qui, sono ancora qui, e a questo punto non ho niente da perdere. Lotterò per le ragioni per cui ho lottato fino ad ora, ma quando tutto sarà terminato, la fine arriverà anche per me. Se non per mano altrui, per mano del sottoscritto. È una decisione di cui non intendo discutere, Grace. È una scelta che ho fatto da tempo e che rispetterò, comunque vada a finire questa faccenda. Per me sarà quello il lieto fine. Ero pronto a morire quando ho visto Arwin entrare qua dentro e lo sarò quando capirò di aver tenuto fede ai miei doveri e alle promesse che ho fatto. Ne ho abbastanza, sono stanco e voglio che il calvario termini una volta per sempre. Non chiedo poi molto.»
Grace singhiozzò. Non riusciva a credere a quel che stava sentendo. Non poteva credere che proprio Dario avesse intenzione di prendere la strada peggiore di tutte. Come poteva esser così cieco? Come poteva non vedere quanto una decisione simile avrebbe ferito tante, troppe persone? Come faceva a guardarla e a dire di non aver mai fatto nulla di concreto per il prossimo e di voler arrendersi?
«Tu sei un egoista» disse infine con voce spezzata. «E quel che è peggio, è che hai paura e stai permettendo a quella paura di vincere. Non ci provi neanche a combatterla, a lottare. Ti vuoi arrendere perché è più facile, ecco qual è la verità!»
Giurava di non averlo visto in quello stato sin dal periodo appena seguente alla dipartita di Leda.
No, in realtà neppure allora Grace aveva scorto nei suoi occhi una tale dose di rassegnazione, come se ormai si fosse perso in una foresta talmente intricata da render impossibile una qualsiasi forma di soccorso. Si era addentrato in una selva popolata da tenebre e brutti pensieri e non era intenzionato a tornare indietro. Quando, d'altronde, Dario si era mai guardato alle spalle con la tentazione di far ritorno a sentieri già battuti?
Le fece male realizzare tutto questo e vedere il vampiro che l'aveva trasformata non mostrarsi per nulla offeso né arrabbiato nell'esser appena stato definito un codardo e un egoista. Di nuovo quella rassegnazione, quell'espressione malinconica oltre ogni soglia di sopportazione. Grace aveva imparato a detestare tale malinconia, almeno in parte. Il legame fra vampiro e Creatore, nel loro caso, non era mai venuto meno né si era mai infranto, si era semmai rafforzato e ramificato, così tanto da consentirle di avvertire l'eco lontano e sordo della tristezza di Dario, della sua silenziosa mancanza di speranza. Era difficile sostenere quello sguardo, se non impossibile.
«Vedila come ti pare. Sei libera di fare le tue scelte e di allontanarti da me, se lo desideri. Non ho mai tenuto nessuno al guinzaglio, Grace. Lo sai bene, perciò... fa' quel che ritieni più giusto per te stessa e il tuo avvenire» fu l'unica risposta di Dario, semplice quanto demoralizzante.
Lei lo squadrò, indecisa tra l'esser incollerita o mostrarsi ferita. «Davvero pensi che ti volterei le spalle in un momento del genere? Pensi che potrei andare per la mia strada e infischiarmene di te? Allora non mi conosci così bene come pensavo. Non mi conosci, altrimenti sapresti benissimo che non sono una che molla. E perché tu lo sappia, Dario, non ti permetterò di mandare a puttane la tua esistenza. Non rimarrò a guardare senza far niente mentre ti lasci andare. Hai capito? Non lo farò.»
«Grace, ti prego, non insistere. Io ti ho sempre permesso di scegliere liberamente per te stessa, di vivere come desideravi e di commettere degli sbagli, di tanto in tanto. Ti sto soltanto chiedendo di essere altrettanto comprensiva con me, adesso, e di permettermi di prendere una decisione, anche se per te può apparire dolorosa e immotivata. È della mia vita che si sta parlando e voglio solo esser libero di decidere cosa farne senza essere accusato di egoismo o di codardia. Non è molto, se ci pensi bene.»
«Invece lo è!» sbottò la vampira. «E non è affatto giusto! Non è giusto nei miei confronti né in quelli di te stesso! È un autentico torto e mi stai chiedendo di non fare niente mentre getti via ciò che sei stato solo per un momento di sconforto! È solo un brutto periodo, Dario, e non appena passerà sarai tu a dire alla sottoscritta di esser stato uno sciocco per aver pensato, solo per un istante, ad arrenderti!»
Lui sorrise amaramente. «E da quanto va avanti questo brutto periodo, mh? Cinquant'anni? Cento? Due secoli? Vuoi davvero sapere cosa ho sempre pensato dell'esser diventato un vampiro, Grace? Che avrei preferito di gran lunga bruciare all'inferno per l'eternità. Lo avrei preferito a tutto questo. L'immortalità non mi interessava quand'ero ancora una persona viva e mi è interessata ancor meno dopo che sono tornato indietro nei panni di un mostro travestito da umano. Ho odiato ogni singolo minuto della mia esistenza per secoli interi, odiato me stesso per essermi perso un po' alla volta, per esser cambiato fino al punto da non riuscire più a riconoscermi allo specchio. Tu hai scelto di essere così, Grace. Tu mi pregasti di trasformarti, di consentirti di diventare immortale, ma io non ho mai acconsentito a un bel niente. Mi hanno forzato a scegliere questa strada e a percorrerla e per quanto ho provato a darle un senso, a migliorare la vita di chi mi era vicino, alla fine ho sempre peggiorato le cose. Le persone che ho amato sono morte o si sono allontanate in tempo per salvarsi ed evitare la fine. L'impegno che ho cercato di mettere sempre in quel che facevo si è risolto in una notte di sangue e di fuoco. È bastato poco per vanificare tutto quanto e io... io sono stanco, davvero stanco di sentirmi così. Lo tollero da anni, da secoli, e voglio solo avere il diritto di dire basta. Se questo mi rende egoista, allora così sia. Non importa. Non chiedo di esser capito, ma solo di non essere ostacolato. È una mia scelta e se mi vuoi bene, Grace, allora devi accettarla.»
Il vuoto che sentiva dentro da tanti anni non se n'era mai andato, mai la voragine si era richiusa. e mai l'avrebbe fatto. Un vuoto come quello gli impediva di vivere, di respirare, di essere grato di essere vivo, e non sarebbe sparito se lui avesse continuato a fingere, a mostrare una forza che in realtà non aveva. Persino amare ed esser amato non aveva potuto nulla contro un buco nero di tale portata che continuava, un po' alla volta, a trascinarlo sempre di più nel buio. Un'oscurità fredda e inospitale dove si sentiva più solo ogni giorno che passava. Qualcosa da cui non v'era ritorno.
Grace gli stava chiedendo di ignorare ogni cosa, di credere che prima o poi la situazione sarebbe migliorata, ma ne aveva abbastanza di essere ottimista. Non ce la faceva più a reggere quel teatrino, la parte del vampiro incrollabile che non si dava per vinto e perseverava, cercava sempre una soluzione a ogni problema.
Se era ancora in vita, probabilmente era solo perché aveva dei conti in sospeso cui far fronte, due anime in particolare da salvare e proteggere fino alla fine dello scontro con forze che definire malvagie sarebbe stato riduttivo.
Non avrebbe gettato le armi fino a quando non avesse visto i suoi figli al sicuro. Solo quando sarebbe finalmente riuscito ad allontanare Lorenzo dalla morsa venefica di Grober e a farlo tornare sui propri passi prima che fosse troppo tardi si sarebbe dato pace.
Che quel ragazzo avesse tentato di ucciderlo più volte non gli importava, rimaneva pur sempre suo figlio e finalmente comprendeva la pena di Petya e la sua testardaggine nel voler salvare André ad ogni costo. Petya che si ostinava a scorgere una luce laddove tutti gli altri vedevano solamente le tenebre. Se quell'uomo ne era capace, allora anche lui avrebbe provato a farlo. Lo avrebbe fatto per il bene di Lorenzo, per trovare un modo per salvarlo ed essere il padre che sin da subito avrebbe dovuto avere accanto.
Aveva abbandonato suo figlio una volta, non l'avrebbe fatto una seconda. Lorenzo poteva continuare a odiarlo, in fin dei conti se lo meritava, ma doveva fargli capire che stava percorrendo un sentiero pericoloso che lo avrebbe portato solo alla fine.
Fatto ciò, avrebbe posto fine a quella lunga tragedia che era stata la sua esistenza. Lo avrebbe fatto prima di diventare quello che, a furia di vivere troppo a lungo, si trasformava in quel che sempre aveva disprezzato e odiato. Non ci pensava neppure a lasciare che il tempo e altre mille delusioni lo tramutassero in un Atlas o, peggio ancora, in un ennesimo Arwin. Di fronte a un simile destino preferiva, sempre avrebbe preferito Madonna Morte.
Quando finalmente Esther giunse nel fitto della Foresta dei Sussurri e vicino alle sponde del Fiume delle Anime, vide che nonostante l'indebolimento seguito agli sforzi per salvare Skyler era riuscita a localizzare con successo suo padre.
Mentre si avvicinava con passo lieve e calmo, non seppe se esser semplicemente sollevata nell'aver finalmente rintracciato Dario o essere davvero, davvero preoccupata nell'averlo trovato ancora una volta proprio lì. Quando nell'anno successivo alla scomparsa prematura di Leda si era recata a fargli visita per accertarsi di persona che stesse meglio, le avevano detto di come fosse ormai diventata un'abitudine per lui quella di addentrarsi nella Foresta dei Sussurri e rimanervi per ore intere a fare chissà cosa.
Quel giorno rimembrava di essersi sbrigata a raggiungere suo padre, temendo che fosse caduto in preda alla disperazione di nuovo e che magari, per un tremendo scherzo del fato, avesse scelto di commettere un atto irreparabile proprio in quell'occasione. Quando finalmente lo aveva intravisto fra gli alberi in una posizione simile a quella del Dario del presente, lo aveva raggiunto di corsa e gli aveva chiesto a bruciapelo cosa diamine ci facesse lì.
Lui le aveva detto di aver semplicemente bisogno di un posto tranquillo dove schiarirsi le idee e trascorrere delle ore in santa pace, ma Esther sapeva di aver ascoltato una semplice bugia. Aveva scorto negli occhi del padre adottivo lo scintillio di lacrime non versate, l'eco del dolore e del desiderio di smettere di lottare contro di esso, di arrendersi nel peggior modo possibile. Da allora, fino a poco prima degli eventi di Hanging Creek e tutto ciò che era scaturito da quest'ultimi, si era data da fare pur di rompere a Dario le scatole, affettuosamente parlando, e impedirgli di indugiare troppo nella tristezza che gli si era cristallizzata addosso come la brina avrebbe fatto con un ramo in pieno inverno. Lo aveva spronato a tornare a impegnarsi sul serio come Principe della Notte, gli aveva ricordato che non poteva semplicemente lasciare che a occuparsi di certe faccende fossero i suoi funzionari o gli altri membri del Consiglio Obyriano. Insomma, le aveva provate un po' tutte e si era illusa che in tal modo fosse riuscita a farlo risollevare dalla polvere, ma dopo aver parlato con Grace che, in lacrime, le aveva riferito parola per parola tutta la conversazione avuta con suo padre, amaramente aveva dovuto riconoscere le ottime doti da dissimulatore di quell'uomo e con quanta bravura fosse riuscito a fregarli tutti quanti, a far credere loro di non star semplicemente rimandando una scelta che aveva probabilmente fatto sin dal giorno in cui Leda era stata deposta nel mausoleo di Reggia della Luna.
Se solo non gli avesse voluto un gran bene e non si fosse sentita incapace di biasimarlo fino in fondo, di fargli una colpa di qualcosa che in fin dei conti non dipendeva completamente da lui, poco ma sicuro che gliene avrebbe dette quattro coi controfiocchi, ma... buon Dio, vederlo in quel preciso istante lì, seduto in totale solitudine sulla riva di quel fiume spettrale e, in un certo senso, infido, le toglieva la voglia di fargli un bel discorsetto e dirgli che a parer suo stava mandando a rotoli tutto quanto e rifiutando per pura testardaggine le tante mani che in molti gli avevano teso. A volte non si aveva la forza di sporgersi e afferrare suddette mani, quella era la terribile e dolorosa verità. Si era troppo deboli, troppo stanchi o il senso di sconfitta era troppo soverchiante per poter sollevare la testa e tornare a correre lungo il sentiero della vita.
Non era una colpa stare male. Non si poteva colpevolizzare una persona solo perché soffriva troppo e desiderava che il dolore si arrestasse. Urlare in faccia a qualcuno che era a un passo dall'afferrare la gelida e pietosa mano della morte era inutile e controproducente, anzi disastroso. Si dava solamente maggior credito alle voci nella testa di quella persona che andavano ripetendo che fosse solamente un peso per il prossimo, un motivo come un altro di disagio e problemi e che sarebbe stato molto meglio farla finita e smettere di essere un problema ambulante.
Era questo ciò che la maggior parte delle persone depresse e con tendenze suicide pensavano ed Esther non osava immaginare cosa dicessero, invece, quelle nella mente di suo padre. Cattiverie a non finire alternate a rinfacci rivolti ad eventi e cose passate che non potevano esser cambiate.
Alcuni dicevano che il Fiume delle Anime tendesse non solo a intonare una straziante melodia che pochi riuscivano a comprendere, ma anche a sussurrare ai cuori più tormentati e dilaniati dal dolore o dalla rassegnazione cose capaci di indurli a cedere alla sofferenza, ad abbracciarla. Si narrava che richiamasse a sé specialmente coloro che avevano perduto qualcuno di importante e Dario, purtroppo, recava con sé una lunga lista di cari defunti, perciò era motivo di grosso allarme che ancora una volta fosse stato sorpreso in quel luogo. Alla fine tornava sempre lì, quasi fosse per lui un rifugio. Tendeva a isolarsi sin da quando era divenuto vedovo, ma stava peggiorando a vista d'occhio. In generale non era un buon segno quando una persona in bilico rifuggiva il contatto con il prossimo e spesso si rivelava l'anticamera dei peggiori timori di chi le stava attorno.
Con il cuore in gola Esther si sedé accanto a lui. «Non dovresti stare così vicino alla riva, sai?» lo apostrofò, cercando di suonare scherzosa, ma diamine se era impossibile per lei star serena quando suo padre si trovava nei pressi del fiume.
Dario la guardò, ma non rispose. Il suo viso ancora segnato dal recente malessere era illuminato dal riverbero iridescente e azzurrino del Fiume dei Morti e l'effetto che ne scaturiva era al contempo suggestivo e spettrale. Il suo incarnato era più pallido e opaco che mai e la luce del Fiume delle Anime sembrava renderlo un autentico fantasma, l'ombra di chi se n'era andato da tempo e, perso nell'eternità, non poteva far altro che indugiare nel luogo dove tutto era finito.
Com'erano spenti i suoi occhi...
Quasi vitrei come quelli di un manichino.
Esther si fece coraggio e si schiarì la voce: «Papà, io... so che stai male da quando Leda è morta, so che ti manca da morire e so che la situazione che stiamo vivendo tutti quanti ti sta logorando, ma non puoi gettare la spugna così. Sei sopravvissuto a qualcosa che ha ucciso tanti altri vampiri, hai sconfitto di nuovo la morte e questo non può essere un caso, no? Deve pur esserci un significato, non pensi?»
«È stato solo merito di Dante, Esther» fu la laconica e monocorde risposta del vampiro. «Inizio sul serio a credere che abbia scelto di accontentarvi e di salvarmi per poter ridere un altro po' della mia miseria. Nessuno meglio del mio Efialte può conoscermi, nessuno meglio di lui può sapere come ragiono e come funziona la mia mente. Sapeva che non gli sarei stato affatto grato per esser intervenuto. Sapeva che non mi avrebbe fatto un favore, ecco perché ha acconsentito ad aiutarmi. Lo devo ammettere: in quanto a perfidia è un autentico maestro.»
La donna sentì il cuore stringersi a quella risposta appena sussurrata, pronunciata con una voce così vuota e spenta. Deglutì a fatica. «Neanche per me ti convinceresti a restare in questo mondo? Neanche per affetto nei miei riguardi proveresti a ritrovare la speranza e la voglia di andare avanti? Davvero vuoi abbandonarci tutti non appena avremo risolto la questione di Grober? Dopo tutto ciò che hai fatto per contrastarlo è questa la ricompensa che vorresti dare a te stesso? Sei buono e comprensivo con gli altri, ma appena si tratta di aver compassione di te stesso volgi altrove lo sguardo e pecchi di indifferenza. Non è giusto, papà, e lo sai.»
«Ti prego, Esther, non voglio parlarne.»
«Io sì, però, e sappi che non ti permetterò di arrenderti così. Non lo hai mai fatto e di periodi peggiori ne hai attraversati. Ti ho visto crollare in ginocchio tante volte e alla fine risollevarti, rifiorire dalle tue ceneri. Questa non può essere la tua fine, non quando hai ancora molti motivi per rimanere, per concederti un'altra possibilità.» La donna fece un respiro profondo e non si fece scoraggiare dal silenzio del proprio tutore. «Può darsi che alla fine cambierai idea. Non possiamo sapere cosa succederà, dopotutto. È troppo presto per piangere o sorridere, questo è vero, quindi... confido nel domani.»
Lui spostò gli occhi scuri dalle acque del fiume e la guardò. «Ho visto abbastanza, Esther. Ho vissuto abbastanza. Una fine arriva per tutti e per tutto, prima o poi. Tu hai fatto una scelta e io ho fatto la mia. Credevo che almeno mia figlia avrebbe capito, fra tanti altri che ultimamente non fanno che dirmi cosa devo o non devo fare, a cosa devo pensare o meno, cosa provare e come sentirmi, se vivere o morire. Voglio essere padrone della mia esistenza, di dire finalmente basta a tutto quanto e ottenere un po' di pace. Cosa c'è di sbagliato o egoista in questo? Perché non potete semplicemente accettare la mia volontà? Non ho diritto a essere libero di agire come meglio credo?»
«È sbagliato perché tu puoi ancora essere felice. Adesso sei abbattuto e non riesci a vedere altro che tenebre, ma prima o poi ti guarderai indietro e capirai che ora si tratta solo di un brutto momento, nient'altro che quello.»
«Il brutto momento, Esther, va avanti da due anni, anzi da ben prima, e continuerà fino alla fine dei tempi se non troverò il modo di farlo cessare. Ne esiste solamente uno, non importa quanto tutti voi siate convinti del contrario. Un tempo avevo paura della morte, per quanto in parte la desiderassi, ma non è più così. Sono pronto a fare l'ultimo passo e così farò, a prescindere da ciò che gli altri vogliano o meno che faccia.»
«Il solo modo per far cessare il dolore, tutto quanto», insisté caparbia Esther, «è tornare a voler bene, papà! Ricordare quanto sia bello amare e lasciarsi amare. Sei stato tu a insegnarmelo. Mi hai sempre detto che l'amore è la forza più grande che ci sia, quindi non andare contro i tuoi principi morali proprio adesso, non quando ne hai più bisogno! C'è ancora speranza, sempre ci sarà per chi ha il coraggio di prenderla per mano e guardarla negli occhi!» Vide che lui stava per ribattere, ma lo indusse a tacere con un cenno della mano. «Non sei solo. C'è qualcuno che ti ama, che farebbe di tutto per vederti tornare a stare bene. Io... io so che gli errori di entrambi vi hanno fatti soffrire, in passato, ma hai sempre dato una seconda occasione a tutti. Sei il primo a dire sempre che le persone possono cambiare e migliorare se stesse con l'esperienza e con l'aiuto del tempo. Max è cambiato almeno la metà di quanto abbia fatto tu! Sono passati tanti anni e non siete più quelli di una volta.»
Dario scosse il capo. «È rimasto tale e quale a decenni fa, sotto tanti aspetti, Esther. Mi è bastato trascorrere qualche ora con lui per capirlo.»
Esther sorrise senza riuscire proprio a trattenersi. «Oh, papà! Non prendermi in giro! Se tu davvero non lo avessi voluto accanto, avresti trovato il modo di farlo allontanare, anche se stavi male. Sei persino riuscito a uccidere Arwin, mentre eri praticamente in fin di vita. So bene come agisci quando una persona non ti interessa o ti risulta una presenza sgradita e Max non rientra nell'elenco.» Gli diede una spinta giocosa. «Se avete discusso per ore e ore, vuol dire che fra di voi c'è tutto, tranne che l'indifferenza! Lui di certo non ti odia e dubito che tu, nonostante tutto, sia arrivato a detestarlo. Ha insistito per proteggerti da Arwin finché non sei stato tu a costringerlo a scappare a Obyria! Non credi che un dettaglio del genere significhi qualcosa?»
«Non è così semplice, Esther. Non si tratta di odio o amore, si tratta della fiducia che non riesco più a concedergli, così come il perdono. Io... ho tentato di perdonarlo, te lo giuro, ma non ce l'ho fatta e non ce la faccio neanche adesso. Non credo che ce la farò mai.» Benché fosse abbastanza onesto intellettualmente da evitare di biasimare Max per averlo tradito nuovamente, poco prima della loro separazione, quando lo aveva udito confessare l'ennesima scappatella verificatasi in un momento così delicato, ad appena un passo dal precipizio, una parte di lui si era sentita morire di nuovo. Malgrado a quel punto avesse commesso a propria volta il peccato di infedeltà trascorrendo una notte intera con Leda, a differenza del suo ex-fidanzato aveva se non altro tradito la propria metà con una persona per la quale aveva sviluppato dei forti sentimenti. Non era andato con la prima donna che gli era passata davanti per strada o accanto in discoteca; non aveva fatto promesse e giuramenti che poi, alla fine, non era riuscito a mantenere. Max, invece, lo aveva fatto eccome. Irritato per come stavano andando le cose fra di loro, frustrato sessualmente e non solo, aveva nuovamente indugiato nello sbaglio che già in passato aveva minacciato di porre fine alla loro storia.
Come se poi, Leda o meno, tradimenti reciproci oppure no, il risultato non sarebbe stato alla fine sempre il medesimo. Come se entrambi non avessero avvertito l'olezzo dell'imminente rovina nell'aria fino a quando non era diventato talmente fetido ed evidente da non poter più essere ignorato. Qualcosa fra di loro si era incrinato e per quanto si fossero impegnati con tutte le forze a risanare la situazione, a ricostruire un rapporto sano e duraturo, gli sforzi non erano stati premiati. Al minimo accenno di tempesta Max, anziché affrontare lui e parlare apertamente di cosa non andasse più fra di loro, aveva pensato bene di soffocare i propri dispiaceri fra le braccia di uno sconosciuto.
La verità era che probabilmente, in un certo senso, il fatto che a quel punto fosse già innamorato di Leda e pronto a voltare pagina lo aveva salvato dal ritrovarsi ancora una volta col cuore infranto. L'amore per quella donna lo aveva allontanato dal baratro, gli aveva sussurrato che non ne valeva più la pena e aveva deciso di dargli retta, di scegliere per una volta, una soltanto, se stesso a discapito del dolore di qualcun altro. Se ne era pentito? Mai. Aveva addirittura chiesto a Leda di sposarlo, lui che in passato se l'era data a gambe non appena aveva sentito parlare di matrimonio. Si erano sposati e nonostante tutto era stata un'unione felice e non soltanto delineata dalla passione, ma anche dall'amicizia e dall'affetto, da quella complicità speciale e unica che era raro costruire e facile da distruggere. Avevano litigato, diamine se l'avevano fatto, e nessuno dei due si era mai risparmiato in quanto a schiettezza e onestà, anche a costo di esser brutali, di consentire a parole pesanti di rimbalzare nella stanza in cui si trovavano.
Leda gli aveva salvato la vita in maniere in cui nessun altro era mai riuscito a fare. Gli aveva impedito di diventare una persona arida e incapace di amare ancora, di perdonare, di consentire alla felicità di tornare a sfiorargli con dolcezza il viso.
Lo aveva capito sin dal principio, così tanto da comprendere, anche, che la questione con Maximilian mai si fosse realmente conclusa ed era per tale motivo, forse, che aveva insistito a più riprese affinché si confrontassero, ma lui ogni volta si era rifiutato di prendere in considerazione la cosa ed era incapace di pentirsi fino in fondo della propria cocciutaggine.
Diamine, come avrebbe mai potuto acconsentire a un confronto nel vero senso della parola con Maximilian quando, la volta in cui lo aveva mandato a chiamare in via ufficiale per incaricarlo di tenere d'occhio Andrew e assicurarsi che non corresse pericoli, non era neppure riuscito a guardarlo negli occhi, e di certo non per questioni di coscienza sporca?
Ancora peggio era andata, poi, quando si era visto costretto a precipitarsi a Hanging Creek non appena era stato palese a tutti che il giovane figlio di Markus e Scarlett fosse scomparso nel nulla. Ricordava in modo confuso quei momenti di panico e terrore crescente. Il suo cervello era andato in tilt e se solo Leda non fosse stata lì al suo fianco, sicuro come l'oro che all'epoca sarebbe saltato alla gola di Max e non in senso figurato. Avrebbe voluto strappargli gli occhi dalle orbite e lanciargli addosso ogni genere di maledizione, ma si era limitato ad afferrarlo per i vestiti e a chiedergli come fosse stato possibile che malgrado tutte le precauzioni prese Andrew lo stesso fosse finito in seri pasticci.
Prima la faccenda del pestaggio, dell'Obyr che aveva indotto il giovane mago a uccidere, senza volerlo, i ragazzi responsabili di tale episodio di violenza e poi... poi quello.
Era stata la batosta finale la storia di Hanging Creek. Aveva inferto il colpo di grazia al loro rapporto che mai più si era risanato. Magari era stato ingiusto e precipitoso nell'affibbiare ogni colpa e responsabilità a Max, ma accidenti... gli aveva affidato la sicurezza di una persona a lui immensamente cara, una persona dalla quale era stato costretto a distanziarsi per cause di forza maggiore, e poi ecco che le cose erano andate com'erano andate.
Se da un lato spesso era stato tentato, se non altro, di concedergli il proprio perdono, la propria amicizia, dall'altro ripensava alle ripetute delusioni, alle tante volte in cui quell'uomo aveva mancato di tener fede alle promesse che gli aveva fatto.
«Non mi fido di lui completamente, non come facevo tanti anni fa» aggiunse, sconfitto e stanco di parlare di quella faccenda. Ne aveva parlato spesso e proprio con Esther senza risultati concreti e non ne poteva più di ancorarsi al passato.
La sua adorata figlia adottiva, nonostante le parole appena udite, sorrise di sbieco. «Allora vuol dire che per te era davvero importante» gli fece notare con arguzia, sempre pronta a trovare il lato positivo in ogni situazione e in ogni persona. «La fiducia e il perdono sono difficili da ottenere e da ricostruire, ma non è impossibile riparare una situazione come la vostra. La speranza di rado muore in modo definitivo.»
Dario esitò. «Ha cercato di baciarmi» rivelò poi, la voce ancor più flebile. «Era molto vicino a farlo, ma gliel'ho impedito. Mi sono giustificato dicendo che sarebbe rimasto avvelenato per via delle tossine di Ghoul, ma non era l'unico motivo per cui l'ho respinto. L'ho fatto anche perché... non lo so, avevo quasi il terrore che lo facesse, ed ero arrabbiato perché lui continua a provare sentimenti per me malgrado sia ormai legato a un'altra persona. È tornato in un baleno il disgusto che provai nei suoi confronti anni fa, quando... quando ha...»
Non ce la fece a terminare la frase. Ripensarci bastava a farlo stare più male che mai.
«Non ha perso il vizio di tradire le persone che lo amano e non posso semplicemente ignorare tutto quanto e far finta che non sia mai accaduto niente, e non voglio che Jake soffra per colpa non solo di Max, ma anche mia. Il suo cuore si spezzerebbe invano.»
Cosa provasse o meno per Maximilian, oramai, non aveva più importanza. Quell'uomo stava insieme a un'altra persona, per giunta un suo caro amico, e a giudicare da quel che aveva affermato era come se gli fosse sempre stato in minima parte infedele. Non nella carne, bensì nello spirito, nei sentimenti, e questo forse era più grave del giacere con chicchessia.
Lui non era uno sciupafamiglie, mai stato e non aveva alcuna intenzione di diventarlo di punto in bianco per qualcosa che, lo sapeva, non avrebbe avuto vita lunga. Fra lui e Max le cose erano già andate male una volta e nulla di quanto accaduto sino ad allora lasciava intendere un finale alternativo e roseo. Tutto, quando si parlava di loro due, prometteva solamente un doloroso fallimento.
Esther, rattristata, cercò di rincuorarlo ma lui, per la prima volta, sull'orlo delle lacrime la implorò di lasciarlo da solo.
Lei, però, non lo fece e, anzi, lo abbracciò forte e non disse una parola quando lo sentì scoppiare a piangere, versare lacrime come un fiume in piena, riversare fuori tutto quello che fino ad allora aveva ricacciato indietro.
Le faceva male vederlo in quelle condizioni, rendersi conto di quanto ormai fosse diventato fragile; carne viva ed esposta che alla minima sollecitazione vibrava di sofferenza. Suo padre, sempre stato così forte, pieno di energia e di spirito di iniziativa, di resilienza assoluta, pareva aver scelto di gettare le armi.
L'aver assistito alla caduta di Obyria e all'orrendo massacro svoltosi durante l'aggressione doveva esser stato di sicuro il fatidico colpo di grazia.
Suo padre stava soffrendo ed Esther, per la prima volta, non sapeva come aiutarlo, come alleviare la sua sofferenza. Aveva promesso a Grace che sarebbe riuscita a fargli cambiare idea, ma la verità era che solo lui poteva salvare se stesso, lui e nessun altro.
Se rinunciava a salvarsi, allora era condannato. Dario era fatto in quel modo, ormai lei lo sapeva bene perché lo conosceva letteralmente da secoli e lui era una di quelle persone che non consentivano a nessun altro di assumersi la responsabilità di salvarle, di allontanarle dal baratro.
Era in se stesso che doveva trovare la forza di reagire, ma a quanto pareva quella forza iniziava a venir meno, a spegnersi come una candela rimasta troppo a lungo in balia di un gelido vento.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro