𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐗𝐈𝐕. 𝐒𝐩𝐞𝐫𝐚𝐧𝐳𝐞
~ 𝟐𝟎𝟑𝟎 ~
Benché avrebbe voluto alzarsi, se non altro per sgranchirsi le gambe e non lasciare che i muscoli gli si atrofizzassero, aveva cambiato ben presto idea quando si era reso conto di non avere ancora la forza necessaria per sgusciare fuori dalle coperte. Come se già l'inerzia non fosse già stata di per sé tediosa, tante cose del passato erano riaffiorate. Tante parole che lui stesso in momenti di rabbia e sconforto aveva pronunciato e che ora si ritrovava a rimpiangere.
Mentre era incosciente aveva rivissuto molti momenti della propria vita, eppure, a un certo punto, quei ricordi erano divenuti incubi.
A distanza di secoli aveva rivisto in sogno un viso che nulla aveva avuto a che fare con la sua esistenza da vampiro. Un volto che mai aveva dimenticato e sempre lo aveva nel profondo tormentato. Rimembrava ancora il nome legato ad esso: Elena.
Elena Bernardi.
Si sforzava di pensare che fossero soltanto gli strascichi delle debilitanti condizioni in cui aveva versato per mesi a giocargli qualche ultimo brutto tiro, ma in cuor proprio era consapevole che vi fosse ben altro dietro al ritorno di un nome così a lungo relegato in angolo della mente e ora di nuovo presente nel crogiolo di pensieri torbidi e mesti che era divenuta la sua testa nel corso del tempo, specie negli ultimi anni.
Sensi di colpa, ecco la giusta denominazione per i demoni che attualmente lo stavano divorando vivo. Sensi di colpa, rancore verso Arwin più forte che mai, sconcerto e dolore.
Arwin, in un modo o nell'altro, aveva vinto fino alla fine la battaglia personale che avevano ingaggiato secoli addietro. Prima di venire trafitto dalla lama azraelita che Dario gli aveva sottratto di mano, Reger aveva pronunciato parole che erano esplose nella testa dell'ex-Signore di Athanasia come terribili e dolorosi anatemi. D'altronde non succedeva tutti i giorni di sapere, a distanza di secoli, che suo figlio, quello concepito fuori dal matrimonio proprio con la povera Elena, non fosse mai nato morto; per tanto tempo aveva creduto di avere sulla coscienza due vite innocenti, ma la verità era sempre peggiore di quella che si narrava sempre a se stessi: il bambino era sopravvissuto e a morire era stata solamente la madre che, nel vedersi sottrarre subito dopo il parto il piccolo affinché venisse fatto sparire in qualche modo, era crollata nella disperazione più totale. Elena aveva trascorso una settimana intera rinchiusa contro la propria volontà nella medesima stanza in cui aveva dato alla luce il figlioletto; in quel lasso di tempo aveva pianto e gridato, come Arwin aveva mostrato a Dario tramite i propri ricordi e un breve contatto fisico. La ragazza aveva implorato i genitori, gli stessi servi della casa, di farla uscire, di riportare indietro il suo bambino e poi, ancora, di mandare a cercare proprio lui, Dario, affinché avesse pietà di lei e della povera creatura e si adoperasse per rimediare, per salvarli entrambi accettandoli e prendendoli con sé. Aveva rivolto tutte quelle suppliche proprio ad Arwin che si era recato da lei e il crudele vampiro, per darle il colpo di grazia, le aveva detto che il neonato fosse ormai passato a miglior vita. A quanto pareva era stato il padre di Dario a ordinargli di occuparsi della situazione e di risolverla con discrezione e Arwin gli aveva fatto credere di aver rimediato liberandosi del bambino nato bastardo.
«Il padre di quella creatura non può aiutarti, bambina» aveva detto Reger ad Elena. «Gli ho riferito già cos'è successo e ha ripetuto di non voler saperne nulla né di te né di suo figlio. Mi ha solo pregato di occuparmene per suo conto, quindi... è per ordine suo che il tuo bambino ha cessato di soffrire, Elena. Non disperare, comunque. Avrai altri figli con un uomo magnanimo e in grado di accettare una donna che ha rinunciato come un'incosciente alla propria purezza.»
Era stato allora che una rabbia crescente si era risvegliata in Dario. Sapere che Arwin fosse stato capace di mettergli in bocca parole così terribili, di scaricare su di lui una colpa del genere, lo aveva fatto infuriare e tutto era peggiorato quando poi aveva visto nelle rimembranze del suo Creatore l'immagine vivida, terribile e angosciante di Elena che, giunta al limite e priva di speranza, si era avvolta delle lenzuola attorno al collo, le aveva issate sulle travi del soffitto servendosi di una seggiola e, infine, così era stata rinvenuta: penzolante e priva di vita, appesa come una donna qualsiasi condannata al capestro. Quella ragazza si era uccisa e se n'era andata convinta che lui, Dario, fino alla fine l'avesse ripudiata e trattata con crudeltà, addirittura ordinando, nel frattempo, una cosa abominevole come l'assassinio di un neonato innocente.
Parlare col senno di poi era facile, ma dentro di sé sapeva che se solo qualcuno gli avesse detto la verità, se solo gli avessero rivelato che il piccolo era sopravvissuto alla nascita e con lui Elena stessa, avrebbe fatto la cosa giusta, pur consapevole che in tal modo avrebbe rinunciato alla libertà che per gli anni seguenti alla tragedia aveva in qualche maniera sempre inseguito. Mai avrebbe abbandonato Elena a un destino simile e anche se lei avesse scelto comunque di uccidersi, avrebbe fatto in modo di poter esser lui a crescere il bambino, a dargli il proprio cognome e trattarlo come un figlio legittimo. Benché la paternità lo avesse sempre terrorizzato, specialmente da ragazzo, si sarebbe fatto forza e si sarebbe assunto le dovute responsabilità. Un piccolo bastardo egoista, questo era stato all'età in cui aveva commesso quell'enorme cazzata di sedurre Elena prima del matrimonio già comunque stabilito dalle loro famiglie, ma c'era un limite a tutto e anche all'epoca ne era consapevole.
Quando era venuto a sapere della duplice perdita all'interno del nucleo familiare dei Bernardi, d'altronde, non c'era stato un giorno in cui non avesse pensato e ripensato al comportamento scorretto e infantile che aveva mostrato nel negare di essere il padre di quel bambino, di aver mai avuto rapporti intimi con la fanciulla. Non v'era stata notte in cui non si fosse svegliato di soprassalto e non avesse udito l'immaginario eco del pianto di un neonato proveniente dalle tenebre notturne. All'epoca si era convinto che suo figlio fosse tornato dalla morte per tormentarlo, per punire la sua codardia e ricordargli a vita che forse, se Elena avesse trascorso il periodo della gravidanza in serenità, né lei né il bambino sarebbero andati incontro alla fine.
Aveva versato lacrime di disperazione e intrise di colpa, spesso fatto visita alla cripta in cui Elena era stata sepolta e lasciato sulla tomba della ragazza una rosa nella speranza che lei, nella morte, potesse sentire il suo rimorso e perdonarlo per averla lasciata da sola.
Si era flagellato per secoli a suon di rimpianti, ignaro di aver permesso a suo padre e ad Arwin di manipolarlo e averlo fatto passare per la persona crudele che non era, e ora era furioso per essersi fatto ingannare come un idiota, per aver perso del tempo prezioso che altrimenti avrebbe potuto fare la differenza e servirgli a ritrovare suo figlio. Era in collera con se stesso per questo e per non esser stato lì, la notte prima, a lottare per proteggere Obyria e i suoi abitanti. Forse alla fine avrebbero comunque avuto la peggio, ma almeno non avrebbe mai e poi mai provato tanta vergogna e senso di puro fallimento. Aveva giurato di proteggere quell'impero, ma aveva fallito su tutti i fronti: come vampiro e come uomo, come marito, come padre e anche come ex-Principe della Notte. Si guardava attorno e vedeva solo una distesa di fallimenti.
Ciò che lo faceva stare peggio che mai, però, era sapere che Arwin avesse preso con sé suo figlio sin dall'inizio e lo avesse cresciuto facendosi passare per il padre di quella creatura innocente. Quel bambino era diventato un fanciullo, poi un ragazzo e infine un uomo, e poi... poi un vampiro, proprio come Arwin e come lui, il suo vero padre.
Il ricordo dello sguardo vittorioso di Arwin mentre questi gli mostrava l'attimo in cui quel giovane uomo, Lorenzo, aveva scelto consapevolmente di vivere per sempre e vivere come un immortale succhiatore di sangue, gli era rimasto impresso e lo avrebbe tormentato per il resto dei suoi giorni. Lorenzo era ancora vivo e, come aveva aggiunto Reger prima di venire colpito con la lama che lo aveva ucciso, era cresciuto odiandolo, convinto che fosse in suo dovere vendicarsi di un rifiuto che solo in parte era avvenuto. Lo odiava e stava attualmente crescendo in segreto il bambino che Leda tanto aveva desiderato e che si pensava fosse venuto al mondo già morto e deforme.
Così tante bugie...
Ogni singola menzogna aveva condotto a un immane disastro, alla fine, e Dario sapeva che prima o poi avrebbe dovuto ritrovare e affrontare Lorenzo. Una parte di lui desiderava semplicemente conoscere quel ragazzo, sapere che tipo di voce avesse e, anche, se quello che era a tutti gli effetti il suo piccolo fratellastro fosse in buona salute e rimasto fino ad allora lontano da eventuali angherie da parte dell'ormai defunto Arwin. C'erano tante, tante domande che avrebbe voluto porre a Lorenzo, ma sapeva che probabilmente non avrebbe avuto il tempo materiale per aprir bocca. Sapeva che se mai avesse osato presentarsi al suo cospetto, Lorenzo lo avrebbe ucciso senza mezzi termini. Se era vero quel che si diceva da sempre, ovvero che padre e figlio fossero spesso l'uno lo specchio dell'altro, e che da una tigre non potesse che nascere un'altra tigre altrettanto feroce, allora forse lui, presto o tardi, avrebbe conosciuto il futuro artefice della sua sconfitta definitiva. Come lo sapeva? Come faceva a esserne così certo? Era semplice e banale la risposta: non avrebbe avuto la forza né il cuore di torcere un solo capello a quel ragazzo. Non avrebbe fatto come suo padre che lo aveva tirato su a suon di maltrattamenti e crudeltà. Avrebbe accettato la sua collera, la sua sete di vendetta e rivalsa, così come la morte che Lorenzo pareva esser determinato a infliggergli.
Quale genitore, dopotutto, poteva serenamente accettare di sopravvivere alla propria prole? Chi mai dotato di una coscienza avrebbe ucciso il proprio figlio pur di salvarsi, specie quand'era consapevole di aver sbagliato sin dal principio e di essere nel torto?
Già il mero pensiero che Lorenzo, a ventiquattro anni, avesse di sua spontanea volontà scelto di esser trasformato in vampiro pur di poter un giorno regolare i conti e, intanto, godersi una vita immortale e priva di regole, lo faceva dannare. Da ciò poteva dedurre quanto egli fosse magari una persona impulsiva, una di quelle che prendevano una decisione a caldo, senza rifletterci troppo, senza badare alle conseguenze. Dubitava che pretendere di esser perdonato e ascoltato da un soggetto dotato di un carattere simile fosse una cosa saggia o realizzabile, ma lui voleva parlargli, voleva almeno fargli capire che Arwin gli aveva mentito e che se solo avesse saputo, se solo avesse avuto il sentore di cos'era realmente successo secoli prima, molte cose sarebbero andate diversamente e la culla che lui aveva visto durante il sonno indotto dalla convalescenza mai sarebbe stata vuota e riecheggiante del pianto di un bambino inesistente.
La verità era una e una soltanto: non era capace di proteggere niente e nessuno, poco importava quanto si ostinasse a provarci, a voler essere una persona migliore e utile al prossimo. Falliva sempre e comunque, come se il disastro e il fallimento fossero talmente in simbiosi con lui da seguirlo ovunque si recasse.
Volse lo sguardo verso Grace e Virginia, o meglio Esther. Anche loro avevano sofferto spesso, in passato, e non sempre era stato capace di salvarle dal dolore. Quel che era accaduto a Grace era ben risaputo, purtroppo, ed Esther, nei primi anni di vita e addirittura oltre la maggiore età, era stata costretta a vivere sotto una falsa identità, a nascondersi per la paura che in quanto in parte figlia di una Creatura Celeste potesse venire annientata o catturata. Quelli come lei erano definiti "abomini" anche quando non facevano nulla di male e, anzi, provavano in ogni maniera a far del bene a coloro che li circondavano. Lui l'aveva cresciuta dopo che Richard, il suo vero padre adottivo, gliel'aveva affidata prima di morire, e Dario aveva sempre tenuto fede al proprio compito di tutore. L'aveva tenuta con sé e fatta passare per sua figlia agli occhi degli esseri umani e anche a quelli degli altri sovrannaturali; l'aveva viziata e coccolata quand'era stata una ragazzina e spronata continuamente verso il miglioramento e la conoscenza, verso nuove esperienze nel mondo esterno, quando era cresciuta. Lui che prima di ritrovarsi con una bambina alla quale pensare costantemente non aveva mai ritenuto i bambini teneri né congeniali alla sua vita solitaria e scevra di legami, alla fine si era ritrovato a non poter fuggire più da certe responsabilità e aveva imparato ad avere più pazienza con il prossimo, a consentire alla propria umanità di avere di nuovo un ruolo determinante nel suo modo di agire e di pensare. A conti fatti era stata Esther a salvarlo dal baratro e la sola cosa di cui si incolpava e vergognava era l'aver perso la bussola comunque e aver seminato il terrore a New York. Non si sarebbe mai perdonato per aver permesso a Carmilla di fargli il lavaggio del cervello né di esser stato un tale mostro da aver fatto giungere le voci sul proprio conto fino alle orecchie della figlia adottiva.
Ci aveva impiegato anni prima di ritrovare il coraggio di guardare nuovamente negli occhi Esther e ancora, nel presente, non sempre ci riusciva.
Si massaggiò la fronte e inspirò profondamente. «Ditemi che gli altri stanno bene, vi prego» disse con un filo di voce, ponendo fine al denso silenzio calato nella stanza dopo che gli era stato riferito a grandi linee quel che era successo a Obyria. Fino ad allora Grace e Virginia si erano ostinate a non voler dirgli niente e iniziava a stancarsi di essere trattato a quel modo, come se fosse troppo debole per sapere la verità. Trovava quell'atto di pietà inutile, per quanto fatto in buona fede.
Fu Virginia ad avvicinarsi al suo capezzale e a parlare. Era chiaro che non fosse ancora sicura di metterlo a parte della situazione attuale. Non ancora, almeno. «Purtroppo non tutti...»
«Virginia!» la riprese a denti stretti Grace. «Non mi sembra il momento! Avevamo detto di aspettare che si riprendesse completamente! Così non lo aiuti!»
«Ne sono consapevole, ma ha il diritto di saperlo» le ricordò la nuova guida dei vampiri di Athanasia. «Ha chiesto di sapere tutto quanto, Grace, e non me la sento di nascondergli la situazione attuale. È giusto che lo sappia.»
«Smettetela» le redarguì Dario, stanco di sentir litigare gli altri, stanco delle liti in generale. «Dimmelo e basta, Virginia.»
«I-Il fatto, papà, è che... i-insomma... L'Oltrespecchio è stato attaccato. Quei mostri senz'anima hanno messo Specula a ferro e fuoco. Quasi nessuno è riuscito a fuggire. Godric ha detto che Petya ha permesso a lui di scappare con Nicholas, Viktor e Jane, però. Loro sono salvi, per fortuna. Pare che lo stesso Dante abbia dato una mano a Godric durante la fuga.»
«... Ma?» incalzò il vampiro, serrando le palpebre e attendendo l'arrivo delle vere cattive notizie. Ormai sapeva riconoscere all'istante una frase che precedeva il disastro.
«Alcuni sono rimasti indietro. Petya non ha voluto abbandonare la città e ha deciso di affrontare Grober; Desya stava fuggendo con gli altri, ma sembra che sia stato alla fine catturato. Non abbiamo saputo più niente di loro né di tutti quelli che si trovavano lì e facevano parte della Resistenza. Attualmente brancoliamo nel buio più totale e ho disposto che nessuno si recasse laggiù, neppure per fare una stima dei danni.»
Grace borbottò tra sé qualcosa, sicuramente rivolto a Virginia e a quanto aveva appena raccontato. Le rifilò, infine, un'occhiataccia delle sue.
«Quanti sono morti a Obyria?» incalzò intanto Dario, sempre più vicino a una crisi di pianto. Diamine, a dar retta all'istinto se ne sarebbe infischiato delle proprie condizioni e sarebbe corso a Specula per aiutare Petya e chiunque fosse stato fatto prigioniero, ma nessuno gli avrebbe permesso di farlo. Doveva riposare e rimanere tranquillo, poco importava se là fuori regnava il caos totale!
«Allora?» chiese ancora, innervosito. «Quante vittime, in maniera approssimativa?»
«Migliaia, se escludiamo gli animali, e il numero continua ad aumentare. Tanti sono ancora sepolti sotto le macerie o sono rimasti feriti in maniera talmente grave che non siamo sicuri se riusciranno a farcela. E... beh, Obyria è stata rasa al suolo o quasi. Ci vorranno anni di ricostruzione, come minimo.»
«Ma brava, dico davvero!» intervenne Grace, irritata. «Dagli altri ottimi motivi per deprimersi e sentirsi uno schifo, coraggio!»
«Grace, per favore!» la rimproverò Dario, stufo di quei vani tentativi di proteggerlo dalla verità. Faceva male, ma era sempre meglio del rimanere all'oscuro di tutto quanto.
«Al diavolo» sibilò lei in risposta, per poi abbandonare la stanza.
Dario tornò a rivolgersi dunque alla figlia adottiva. «Skyler e gli altri? Dimmi che sono in salvo e al sicuro, ti prego. Dimmi che Andrew, soprattutto, non è rimasto ferito.»
«Stanno tutti bene, papà, anche se sono scossi. Il punto, però, è che Skyler è stato aggredito dalla donna che viene soprannominata l'Incantatrice. La visione di Alex si è quasi avverata, ma sono intervenuta in tempo per salvarlo. Skyler presto tornerà a stare bene completamente, non temere. Non è più in condizioni critiche.» Virginia tacque per qualche istante. «Samantha ha descritto quella donna e pare che lei e James condividano gli stessi poteri e la medesima natura: anche lei è una Padrona della Vita e della Morte e... insomma... è spaventosa, una vera furia.»
Esitò di nuovo. «Ho parlato con Samantha e le ho chiesto di condividere con me i suoi ricordi di quegli attimi. L'ho fatto perché volevo mostrarteli. Magari riuscirai a scoprire qualcosa in più su quella donna, però... sarebbe meglio aspettare che tu ti riprenda del tutto. Non mi va di farti affaticare così.»
«Non c'è tempo per questo, Esther» insisté Dario, chiamandola col suo vero nome ora che erano da soli. «Sai che non rimarrò con le mani in mano e che non posso restare qui ad aspettare che gli altri facciano tutto il lavoro. Non posso pensare a riposare mentre siamo nel bel mezzo di un'emergenza.»
«M-Ma papà...»
«Sto bene» la rassicurò. «Ce la posso fare.»
Lei, incerta, alla fine decise di fare come le era stato detto: gli strinse una mano e chiuse gli occhi, lasciando fluire i ricordi nella propria mente così che lui potesse carpirli al meglio e senza dispendere troppe forze. Chiuse le palpebre anche lui e si ritrovò immerso nei ricordi che in origine erano appartenuti a Samantha e fu così che vide l'Incantatrice, i suoi occhi azzurro-violetti diventare cremisi e spaventosi; la vide avanzare mentre il suono di una città in preda al panico e al caos lo attorniava, così come il pianto di un ragazzino. La vista si abbassò sul viso terrorizzato del piccolo Jonathan. Solo per un istante la visuale si concentrò sul corpo immobile e in una pozza di sangue di Skyler. Dario si sentì male di fronte a quell'orribile spettacolo e tremando riaprì le palpebre mentre cercava di riguadagnare fiato come se fosse rimasto sott'acqua per tanto tempo. Non ce l'aveva fatta oltre, non dopo aver visto Skyler ridotto così male.
Il viso della donna, comunque, aveva un che di familiare e già visto, e così pure gli occhi. Non la conosceva, poco ma sicuro, eppure era come se quel viso gli ricordasse terribilmente qualcun altro. Qualcuno che invece conosceva bene.
Era assurdo e improbabile, eppure...
«Quali altre informazioni abbiamo su di lei?» chiese rauco mentre il suo cervello già iniziava a macinare supposizioni e teorie. Potevano pure imporgli di rimanere a letto, ma con la mente poteva ancora lavorare e far tesoro del tempo che aveva riguadagnato guarendo dal morso di Ghoul. Ogni secondo era prezioso, ormai. Era questione di un autentico conto alla rovescia prima che Grober tornasse a colpire e non potevano farsi cogliere nuovamente impreparati.
Esther sospirò. «Non molte, in realtà. Sappiamo solo che è terribilmente potente e capace, e anche molto determinata e disposta a sporcarsi le mani, se deve. Non si è fermata di fronte a niente ed è stata proprio lei a guidare l'attacco a Specula insieme a qualcun altro che crediamo essere un vampiro. Grober ha persone potenti dalla sua, questo è sicuro, e quel che è peggio è che potrebbe trattarsi di un tuo simile qualsiasi, anche se ritengo poco probabile che ad agire sia stato un signor nessuno. Forse ci sono dei traditori all'interno del Consiglio Obyriano e non ce ne siamo resi conto.»
Dario sospirò. Di nuovo aveva un orrendo presentimento, ma scelse di tenerlo per sé, almeno per il momento. «Non pensavo che sarebbe finita così. Mi aspettavo qualche mossa balorda da parte di Grober, ovviamente, ma non un simile disastro. Ci è andato giù pesante anche quando ero convinto che avrebbe atteso di essere più forte.»
«Non è stata colpa di nessuno» disse Virginia. «Non potevamo sapere che...»
«Invece sì, Esther. Sapevamo che avrebbero attaccato o che ci avrebbero in ogni caso provato. Avremmo dovuto prendere precauzioni maggiori, prepararci di più. L'errore è stato il nostro. Siamo stati troppo ingenui.» L'ex-Principe della Notte cercò di tirarsi un po' su nel letto, ma fallì quasi completamente e ciò fece non poco male alla sua autostima che stava già subendo una spietata aggressione dopo che gli era stata riferita la verità. «Come ho fatto a sopravvivere, comunque? Hai solo detto che...», si chetò udendo le porte aprirsi e una voce tale e quale alla sua e sfumata di arroganza esordire con: «Indovina, Principe Azzurro». Esther sobbalzò e Dario, se solo non fosse stato un vampiro, sarebbe certamente impallidito. «Cosa ci fa lui qui?» chiese a Virginia, senza celare l'angoscia.
«Ringrazia Godric e la sua capacità di essere una creatura estremamente pedante e insopportabile» intervenne Dante, facendo qualche passo in avanti con alle spalle una Grace più che mai irritata e che volentieri avrebbe preso a calci il nuovo arrivato. «Vedo che sei già tornato a struggerti per la triste sorte del mondo intero. Dev'essere estenuante essere te, dico bene?»
«Sai com'è», gli ringhiò dietro un'impettita Grace, «per fare da contrappeso a te che sei un menefreghista della malora! In qualche modo l'universo sa sempre come mantenere l'equilibrio!»
Dante si volse per guardarla. «Ti ho forse interpellata, megera? No, non l'ho fatto, perciò fa' un favore al mondo intero e chiudi la bocca. Chiacchieri troppo per i miei gusti.»
«Non parlarle così!» sbottò Dario. Non si sognava lontanamente di starsene zitto mentre quel lestofante maltrattava una sua cara amica.
«Altrimenti cosa fai, femminuccia? Mi annienterai sbattendo le tue lunghe ciglia?»
«Tu, brutto stronzo figlio di...!» Grace fece per caricargli un pugno in faccia, ma Virginia li raggiunse e si frappose tra loro. «Basta, vi prego!»
«È lui che deve farla finita!» le ruggì contro la Linderson. «Non fa che provocare tutti da quando è arrivato! Merita una lezione!»
Dante alzò gli occhi al cielo, tediato. «Perché non ti metti buona in un angolino e non la finisci di scocciare? Non sei degna neanche di baciare dove cammino, succhiasangue da strapazzo.»
«Ma lo sono abbastanza per riempirti di botte!» Grace di nuovo fece per dare addosso all'Efialte, ma venne sì e no placcata da Virginia. Dante, alle spalle di quest'ultima, fece ciao ciao con aria beffarda alla vampira.
«Guarda come prende in giro, questo bastardo! Adesso ti faccio vedere io!»
Dario intanto li osservava esasperato. Era peggio che avere in stanza tre bambini che non superavano i quattro anni, il che rendeva perfettamente l'idea della situazione attuale.
Prese un bel respiro. «FATELA FINITA!» tuonò, poi si sforzò di mettersi su e di posare la schiena contro il cuscino. Fece un gesto con la mano rivolto alle porte. «Virginia, Grace... uscite, per favore. Subito.» Le vide esitare e sospirò spazientito. «Non ve lo sto chiedendo, chiaro? Vedetelo come un ordine!»
Appena ebbero obbedito, si concentrò sull'Efialte. «Come è saltato in mente a Godric di venire veramente a cercarti? E come ti permetti di presentarti, dopo aver rifiutato sempre e comunque di aiutarci? Sono anni che Valmar cerca di reclutarti e poi accetti di scomodarti per salvare me? Scusa, ma non me la bevo.»
Dante incrociò le braccia e arcuò le sopracciglia, anche se non era affatto così sorpreso. «Wow! Bel ringraziamento per averti salvato la pellaccia. La prossima volta ti lascio crepare, come in realtà avrei tanto voluto fare. Va' a far del bene ai somari, dicono.»
«E perché non hai fatto il bastian contrario anche stavolta, allora?» lo provocò Dario. Era come se quell'Efialte riuscisse a tirare fuori il peggio dalla sua indole. Il punto era che non sopportava quel suo modo di fare sì e no indisponente e subdolo. Il fatto che fosse un Efialte non significava niente perché conosceva molti altri di suddetta specie ben più gradevoli e a modo di Dante. C'erano elementi buoni ed elementi cattivi fra di loro, e poi c'erano quelli come Dante che risultavano impossibili da classificare fino in fondo e per tale ragione rappresentavano una possibilmente pericolosa incognita. Individui inaffidabili, in sintesi.
«Come già ho detto: non avevo molta scelta. Al tuo posto ripasserei un po' l'inglese, sai?»
Il vampiro lo squadrò gelido. «Non insultare la mia intelligenza e non prenderti gioco di me. Uno come te non fa mai niente per niente.»
«Ah, davvero? Che cattivone! Sono proprio una persona terribile!» Dante chiaramente lo stava prendendo in giro e nemmeno si disturbava a celarlo. «Sarò onesto, ora come ora sono un tantino offeso. Ah, no, dimenticavo che della tua opinione poco me ne curo!»
Dario scelse di lasciar perdere. Scendere al livello di Dante non avrebbe portato da nessuna parte e in quel momento non era abbastanza in forze per permettersi di provocare quell'Efialte. «Hanno detto che Petya non è tornato più da Specula. Suppongo sia stato imprigionato o...»
«Morto? Può darsi e lo spero vivamente. Sarebbe una notizia grandiosa.»
«Be', io ho intenzione di chiarire la faccenda, perciò andrò io stesso a salvare Petya e gli altri.»
Dante alzò nuovamente gli occhi al cielo. «E poi dicono che sono io quello matto! Beh, zannuto, non sarò di certo io a fermarti, anche se è chiaro che non tornerai indietro e io avrò fatto tanti sforzi per niente.»
«Nessuno ti ha chiesto di compierli, tanto per cominciare.»
«Sì, sì, lo so, lo so! Eri pronto a fare il grande passo e a entrare nella luce come Patrick Swayze in Ghost!» lo schernì l'Efialte gesticolando in maniera teatrale. «Farei di tutto per guastarti il quadretto, lo devo ammettere, e credo di averti salvato proprio perché sapevo che non volevi essere salvato. Mai una cosa sensata e semplice, tu, eh? Devi sempre scegliere la strada più arzigogolata pur sapendo che di quel che vuoi non importa un cazzo a nessuno.»
«Come se tu potessi capire certe cose. Critichi senza sapere.»
«Credimi, sono il primo a non voler restare più in un mondo dove il rock è morto e a regnare sono le boyband e le canzoni spazzatura! Posso capire benissimo.»
«Scusa se non riesco a provare la minima empatia per te, allora.»
Dante sogghignò. «L'empatia! Se vuoi ti dò un consiglio su dove puoi ficcartela. Ho molta fantasia, tra l'altro!»
«Sei spregevole» lo apostrofò il vampiro, disgustato.
«La cosa divertente», puntualizzò Dante, «è che stai insultando te stesso! Alla fine la pazzia ti ha raggiunto, a quanto pare.»
«Siamo due persone ben distinte. Nessuno potrebbe mai confonderci, fidati.»
«Grazie al cielo, aggiungerei» commentò l'Efialte mentre gironzolava per la stanza e senza alcun reale interesse si guardava attorno. «Da comare quale sono non ho potuto far a meno di ascoltare, mentre aspettavo fuori e mi trattenevo dal far diventare la tua cara figliola vampirica cibo per pesci rossi. Devo dire che tu e gli altri avete fatto proprio un bel casino! Sono curioso di vedere come andrà a finire tutto quanto.»
«Se manterrai invariato questo tuo atteggiamento, non so dirti se arriverai o meno a vedere quel finale» lo apostrofò Dario, tanto sibillino quanto sottilmente minaccioso. Il suo fu un chiaro monito che Dante, tuttavia, ignorò con la più spudorata noncuranza. In fin dei conti era uno di quelli che aveva ricevuto e riceveva ancora più minacce che auguri di compleanno, e di anni ne aveva davvero un bel po'. Se si aggiungeva questo al fatto che non provasse il benché minimo timore nei confronti della controparte, ecco che si otteneva un perfetto esempio di cinismo.
Sorrise di sbieco, ma i suoi occhi luccicavano in maniera a dir poco sinistra e pericolosa. Non aveva ignorato del tutto la minaccia di Dario. Lo aveva, in realtà, profondamente infastidito. «Lo sai con chi stai parlando, vero?» chiese lentamente, così da fargli assimilare bene una parola dopo l'altra e mettere un bell'accento sulla differenza abissale fra di loro e ricordargli la propria superiorità. In effetti non era una vanteria, quella, ma la verità. C'era una ragione valida se lui veniva temuto come pochi altri Efialti anche a distanza di secoli e, d'altronde, aveva dalla propria parte il vantaggio di essere un mago o, più precisamente, un negromante. Uno di quelli che non si risparmiavano quando si trattava di esser crudeli e infidi.
Dario, tuttavia, non era tipo da lasciarsi atterrire facilmente e quell'Efialte non era il primo stregone con la testa montata e la malvagità stampata in faccia che incrociava. «Lo so benissimo» rispose laconico. «So fin troppo bene con chi e con che cosa ho a che fare.»
«Ti consiglio di meditarci sopra, allora. Magari ci arrivi da solo.»
«Io, invece, ti consiglio di rigare dritto, Dante. Non tutti sono disposti a tollerare il tuo atteggiamento e se sei sveglio come millanti di essere, forse hai già capito a chi mi riferisco. I bastian contrari non sono ben accetti tra le fila del tuo popolo, attualmente.»
L'Efialte restrinse lo sguardo. «Non mi fa nessuna paura una divinità norrena ormai decaduta e io non sono come Misha: era un idiota ed è morto come tale, in fin dei conti se lo meritava.»
«Non sei nella posizione di elargire giudizi di alcun tipo.»
«Oh oh! Senti chi parla!» Dante si avvicinò e il vampiro, suo malgrado, vide la distanza di sicurezza annullarsi fino al punto da costringerlo a cedere all'impulso di ritrarsi nel letto, senza tuttavia perdere l'Efialte di vista neppure per errore. Non che avesse paura, ma era meglio mantenere una certa lontananza in caso le cose si fossero messe male. Avrebbe avuto il tempo e lo spazio per reagire.
L'Efialte rise appena, a tratti deliziato dalla sua reazione. «Quanto è bello vedervi tutti tremare come ragazzini non appena il lupo si avventa contro le sbarre e vi ringhia addosso.»
«Non ho paura di te.»
«Sicuro?» Dante non resisté e per semplice prova mosse appena una mano. Fu grande la sua soddisfazione quando non gli sfuggì un movimento brusco della sua controparte. Sorrise biecamente. «Non puoi mentire a me. Ancora non l'hai capito?» Dario non rispose né smise di fissarlo, tenendo ben alta la guardia. L'Efialte restrinse di poco lo sguardo. Diamine, sembrava di trovarsi a tu per tu con gli occhi neri e freddi di uno squalo. «Mi critichi tanto, eppure non sono altro che la versione peggiore di ciò che sei tu nel profondo. Sono quello che tu non sei mai riuscito a essere e lo sai.»
«Io non sono affatto come te.»
«Tu dici? Da quel che ho potuto vedere di tanto in tanto, cara la mia ombra, mi risulta l'esatto contrario. Sei addirittura peggiore di me. Fingi di essere ciò che non sei.»
«Non sono di certo io ad essermi cavato il cuore pur di sfuggire al dolore. Chi è il vero debole, dimmi?»
Il sorrisetto di Dante sparì e i suoi occhi si fecero più gelidi che mai. «Che cos'hai detto?»
Fu Dario a sorridere, soddisfatto dalla sua reazione. «Allora è vero. Pensavo fosse solo una fiaba nera per alimentare l'alone di terrore e disumanità che ti circonda.»
«Non so di cosa parli.»
«Certo, è come dici tu.»
«Un giorno di questi», sibilò l'Efialte, «farò sparire quel ghigno dalla tua faccia e dovrai pregare il demonio in persona che la tua si riveli un'agonia breve».
«Ci siamo scaldati, vedo!» continuò il vampiro, implacabile. «Non capisco perché tu ti stia arrabbiando così, se le voci sono soltanto delle falsità. E non comprendo neppure, a dirla tutta, il motivo per il quale tu abbia deciso di salvarmi la vita così come di risparmiare quella di Godric. Da ciò che mi ha raccontato lui ero convinto e avevo paura che lo avresti passato a fil di spada non appena si fosse palesato davanti ai tuoi occhi, invece... beh, eccoci qua. Questo quadretto mi impone di domandarti se non sia stato ben altro a convincerti a intervenire. Qualcosa che stai magari nascondendo a tutti quanti.» Quell'Efialte non era tipo da far niente per niente e se aveva dovuto metter da parte l'orgoglio e l'indifferenza che lo contraddistinguevano, allora doveva esser stato un motivo di vitale importanza ad avergli fatto chinare per una volta il capo. «Che succede, Dante?» continuò Dario. «Il gatto ti ha forse mangiato la lingua?»
Dante non rispose, ringhiò sottovoce parole decisamente offensive nei riguardi dell'ex-Signore di Athanasia e si diresse alle porte, uscendo dalla stanza come una furia. «Ben ti sta» mormorò tra sé il non-morto. Sentendosi già stremato e solo per aver dovuto ingaggiare quella lotta a suon di parole con il proprio Efialte, si rimise giù. Non era così semplice restare nella stessa stanza con uno come Dante, visto che le sue intenzioni mai apparivano chiare e sincere. Ad ogni buon conto e per quanto riguardava la faccenda del cuore, aveva appena avuto la chiara conferma che le dicerie corrispondessero alla verità; non era stata la reazione dell'Efialte a dar credito a quel macabro dettaglio sul conto di Dante, bensì l'aver constatato con le proprie orecchie la totale assenza di battito cardiaco. Non lo aveva avvertito neppure una volta da quando lo aveva visto entrare e neppure dopo che erano rimasti da soli e la stanza si era fatta più silenziosa. Niente di niente, come se si fosse trovato di fronte a una sorta di morto che camminava e proferiva spacconerie minacciose.
Come avesse fatto Dante a fare una cosa del genere restava un mistero e, per quel che riguardava Dario, poteva pur rimanere tale. Non ci teneva a scoprire quanto lontano si fosse spinto il suo Efialte con la magia oscura, ma era fuor di dubbio che una stregoneria di un simile calibro avesse richiesto un potere enorme, una volontà ferrea e ampie conoscenze nel campo della magia nera, antica e probabilmente originatasi nel grembo del popolo dell'Oltrespecchio cui Dante era un tempo appartenuto. Ci volevano, soprattutto, motivazioni solide e disperate pur di voler tenere il proprio cuore lontano dal petto per sempre, insieme a qualsiasi genere di sentimento ed emozione, tuttavia una domanda lo assillava: come si poteva fare un torto del genere a se stessi?
Più che un atto di pietà per la propria persona, Dario francamente lo concepiva come un'azione spaventosamente crudele e disumana. Vivere senza sentire davvero niente era peggio che esser morti. Era come condurre un'esistenza effimera e vestigiale, priva di un reale significato. Erano le emozioni a dare colore a ogni singolo giorno vissuto e senza di esse il mondo si riduceva a un deserto in bianco e nero.
Non riusciva a capire e mai lo avrebbe fatto, e forse era meglio che fosse così. Magari era un bene che la sua mente si ribellasse a quella che appariva esser un'autentica abominazione della dottrina magica. Qualcosa che nessuno dovrebbe mai e poi mai attuare nella pratica.
Vallo a capire, pensò tra sé, chiudendo gli occhi quando la stanchezza iniziò a farlo sentire di nuovo intorpidito e bisognoso di rifugiarsi nel dolce oblio del sonno. Nel dormiveglia che precedeva l'assopimento vero e proprio, però, a un certo punto udì quelli che gli parvero dei passi, poi avvertì il tocco tiepido di una mano sulla guancia. Il sonno profondo e mortale proprio dei non-morti, infine, lo reclamò e mise a tacere i suoi sensi e i suoi pensieri.
Max tirò piano una seggiola e vi prese posto, guardando in silenzio Dario riposare nel letto. Benché mai si fosse fermato a riflettere sul serio sul conto di quella particolarità dei vampiri, al momento non riusciva a non provare inquietudine e turbamento nel vedere l'altro immortale assopito, certo, ma in apparenza privo di vita: non respirava, non si muoveva, giaceva immobile come se...
È tutto finito. Si sta riprendendo.
Eppure c'era mancato davvero poco, troppo poco. Qualche minuto in più e in quel momento si sarebbe ritrovato a piangere la scomparsa definitiva del vampiro che in fin dei conti ancora gli faceva battere forte il cuore, per così dire.
Se solo non fosse riuscito a trovare in tempo Godric e se solo quest'ultimo non avesse avuto successo nel convincere quel testardo di Dante a dare una mano a Rio, tutti loro, specialmente lui, avrebbero dovuto dire addio a un altro membro della Resistenza, quello che aveva contribuito per anni a tenerla unita e a impedire che si disperdesse o lasciasse prendere dallo sconforto e dalla paura. Molti di loro non si sarebbero trovati a Obyria né avrebbero mai deciso di lottare contro il male allo stato puro se solo Dario non li avesse convinti a uscire allo scoperto e a rischiare il tutto per tutto nel nome di una buona e sacrosanta causa.
Lui per primo si sarebbe tirato indietro poco dopo aver capito che forse non avrebbe mai più rivisto Jake perché quest'ultimo era stato fatto prigioniero dal nemico. Dopo aver visto il falso James Wolf morire per mano dei Pagani e aver addirittura saputo dell'apparente dipartita di Petya, la paura per un po' aveva rischiato sul serio di avere la meglio sul coraggio e sul buonsenso. Vedere e provare tutto quel dolore lo aveva scoraggiato, così pure la consapevolezza che Rose, la compagna di Jake, avrebbe presto dato alla luce un bambino che quasi sicuramente mai avrebbe conosciuto il padre.
Poteva raccontarsi tutte le idiozie che voleva e poteva pur aver provato insofferenza nei confronti dell'atteggiamento di Dario all'epoca, ma era comunque stato proprio lui a presentarsi, un pomeriggio, alla porta di casa sua e a riportarlo alla ragione. Diamine, ricordava ancora lo sgomento nell'aver scorto davanti a sé l'ex-fidanzato, all'epoca già divenuto da tempo Principe della Notte, così come il tuffo al cuore che aveva avvertito nel rendersi conto che per una volta, una sola dopo anni e anni, fosse stato Dario a venire da lui e non il contrario.
Certo, lo aveva fatto in vesti ufficiali, non proprio per fargli una visita amichevole, ma per Max era stato comunque meglio di niente; meglio del silenzio che si era protratto fra di loro per tanto tempo come una voragine; meglio delle tante, tante volte in cui lui aveva cercato di parlare con quel vampiro e quest'ultimo aveva sempre trovato il modo giusto per liquidarlo o per evitare interazioni che andassero oltre la cortesia, quasi fossero stati due estranei o semplici conoscenti.
Quel giorno avevano avuto una conversazione normale e civile e quando Dario gli aveva promesso solennemente che avrebbe fatto di tutto pur di fare in modo che Jake tornasse a casa vivo e vegeto, Max gli aveva creduto all'istante perché aveva riconosciuto subito quello sguardo. Quello di uno che non si sarebbe arreso mai e poi mai fino a quando non avesse raggiunto il proprio scopo. Forse... forse era stato proprio in quel momento che una parte di lui aveva iniziato pian piano a vacillare, a cedere sotto il peso di sentimenti che non si erano mai sopiti del tutto.
Aveva sempre pensato, malgrado l'epilogo della loro relazione, che non fosse stato merito del semplice caso se una sera si erano trovati; non era stato un caso se poi Askan lo aveva soccorso né quanto accaduto da allora in avanti. Per quanto avesse cercato di allontanarsi, poi era finito di nuovo per riavvicinarsi a Dario, come se fossero stati un pianeta e un satellite la cui orbita imponeva a entrambi di fare il giro completo prima di riavvicinarsi ancora e ancora. Chi dei due fosse il pianeta e chi invece il satellite, ancora non gli era chiaro e forse sempre sarebbe rimasto un mistero, ma era così che vedeva il loro rapporto. Malgrado tutto, Max sentiva, sapeva che il suo posto era accanto a Dario o comunque nelle vicinanze. Non era una questione di sentimenti, bensì di istinto. Era così e basta. Non c'era un reale perché. Le cose stavano come stavano e anche se da quando aveva scelto di unirsi sul serio alla Resistenza c'erano stati più bassi che alti con Rio, il fatto che quest'ultimo, dopo avergli fatto quella promessa, non lo avesse respinto quando lui lo aveva abbracciato per semplice impulso, per ringraziarlo di quella rinnovata speranza, valeva più di qualsiasi altra discussione o qualunque altra barriera di silenzio oltre la quale Dario si era testardamente rifugiato in quegli ultimi anni.
Non aveva ricambiato l'abbraccio, ma era uno di quelli che, in caso di disagio o fastidio, erano trasparenti nel farlo capire al prossimo. Se avesse voluto respingerlo, lo avrebbe fatto e basta, ma non era andata così e per un po' Max aveva sperato in una rappacificazione, in un riavvicinamento e, almeno, nell'arrivo di una rinnovata amicizia, tuttavia nulla di tutto ciò si era concretizzato e Dario, anzi, si era mostrato ancora più categorico nell'evitare ogni contatto con lui ad ogni costo. Persino quando palesemente non era impegnato, aveva comunque accampato una scusa qualsiasi pur di evitare di scambiare anche solo quattro parole con lui e Wildbrook aveva scelto di incassare in silenzio perché sapeva che sarebbe servito a ben poco rincorrere qualcuno che volutamente non voleva rimanere.
Davvero ironico e triste che fossero stati il morso letale di un Ghoul, una missione di ricognizione e l'incrollabile abitudine di quel vampiro a fare l'eroe e a beccarsi il peggio del peggio al posto di chi aveva vicino, a concedere loro un po' di tempo per parlare sul serio, per confrontarsi e dirsi in faccia quel che per troppo tempo avevano scelto di tacere l'uno all'altro. Se solo Dario non si fosse trovato prossimo alla morte e Virginia Winters non fosse stata nelle condizioni di dover rivolgersi all'assistenza di qualcuno che avesse le giuste competenze per star vicino al padre adottivo, sicuro come l'oro che le cose non sarebbero mai e poi mai mutate. Forse, se Max un giorno non avesse deciso di prendere sul serio ciò che Rio gli aveva una volta detto, ovvero che sarebbe stato un eccezionale infermiere, e dunque di studiare per diventare tale, in quel preciso momento si sarebbe ritrovato a fronteggiare la distante, sterile e amara notizia della dipartita della persona che aveva amato di più da quando era stato trasformato in un non-morto.
Possibile, si chiese, che tutto ciò che lui e Dario avevano vissuto e condiviso assieme avesse infine dovuto ridursi e riassumersi in tanti, troppi "se" e "perché"? Davvero l'unica cosa sopravvissuta al tempo era stata il dolore della separazione e delle incomprensioni?
Non aveva mentito quando gli aveva detto che lo amava, nonostante gli anni fossero passati e tante cose fossero cambiate, malgrado loro stessi non fossero più quelli di una volta. Aveva detto la semplice verità che per un bel po' di anni aveva scelto vigliaccamente di celare. Certo, amava anche Jake con tutto il cuore e con tutta l'anima, ma una parte di entrambi recava ancora il marchio indelebile di Dario. Così tanto da avergli aperto gli occhi su cosa volesse da una relazione e cosa invece non desiderasse e gli faceva male ammettere di provare un crescente senso di insofferenza nei riguardi del palese divario tra la relazione sua con Jake e quella di quest'ultimo con Rose. Quell'uomo ormai trascorreva gran parte del proprio tempo con lei e si ricordava di lui solo se notava nei suoi atteggiamenti evidente scontentezza e delusione. Rose aveva portato fra di loro un evidente squilibrio sin dal primo istante e ora che Jake era padre... Maximilian sapeva bene che era solo una questione di tempo prima che il fratello di Petya si presentasse da lui un giorno per parlare a quattrocchi e dire quel che nessuno dei due, sino ad allora, aveva avuto il coraggio di dire ad alta voce, ovvero che tutto si fosse trasformato in un fiasco totale. Il loro rapporto era cambiato, non era più quello di una volta e forse avevano sbagliato in primo luogo a non fermarsi quando era chiaro che l'amicizia stesse mutando in qualcosa di diverso. Magari avevano commesso un errore madornale a non fare un bel passo indietro e a non rimanere semplicemente buoni e leali amici.
Da un lato vedeva Jake, un uomo che stava con chiarezza cercando in ogni maniera di tener stretti a sé sia lui che Rose e, nel frattempo, di essere un padre presente e un membro attivo della Resistenza, un suo militante; dall'altro lato, invece, la figura più solitaria e ultimamente sempre più in ombra e distante di Dario. Dario che gli era apparso in quegli anni più solo di quanto mai potesse esser stato in precedenza. Solo e stanco, vittima di una malinconia che si era cristallizzata in fondo ai suoi occhi e fusa alla sua anima una volta stata scoppiettante e allegra, in un certo senso. La persona sarcastica e dotata di un pungente senso dell'umorismo, quella che adorava godersi la vita e viverla appieno, pareva aver fatto da tempo le valigie e abbandonato per sempre quelle lande per terre lontane e dalle quali nessuno faceva mai ritorno.
Aveva sofferto non poco, in passato, nel vederlo spesso fare a pugni con la propria indole pur di tener fede al ruolo che gli era toccato ricoprire per cause di forza maggiore. Perché, ancora una volta, era stato Atlas o chi per lui, forse una sorte davvero crudele e subdola, a volerlo.
Quella volta in cui Dario si era recato a casa sua per parlargli e dirgli che avrebbe fatto di tutto pur di far liberare Jake, Max gli aveva chiesto, non resistendo proprio alla curiosità, chi diamine glielo avesse fatto fare di darsi tanta pena per tutti loro, di battersi per cause perse sin dal principio fino al punto da inimicarsi i propri sudditi per favorire la protezione degli umani dagli attacchi di vampiri troppo aggressivi e disumani. Perché, gli aveva chiesto, incapace di capire le sue ragioni, insisteva nel voler rimettere sui binari un sistema con evidenza corrotto e malato?
Cielo, gli pareva di poter rivederlo di nuovo lì, nel salotto imbevuto della luce di un grigio pomeriggio invernale, abbassare lo sguardo prima di riportarlo su di lui e replicare, con disarmante sincerità, di non aver mai dimenticato quel tale che tanti anni prima, una sera, non aveva fatto altro che intontirlo con discorsi sulla politica a Obyria e su come qualcuno avrebbe proprio dovuto far qualcosa per raddrizzare la situazione e contribuire al progresso sociale di ogni singola specie sotto la protezione dell'impero. Non se l'era affatto dimenticato, aveva detto, e ci aveva ripensato proprio qualche giorno seguente all'insediamento a Reggia della Luna. Ci aveva rimuginato fino a quando non aveva deciso che sarebbe stato lui a battersi per una causa che più che mai nel presente gli appariva giusta e sacrosanta, degna dei numerosi rischi che avrebbe comportato.
Max, che per decenni non aveva ripensato a quella sera in particolare, la prima in cui si erano visti e conosciuti, aveva sentito il cuore balzargli in gola e ricordato finalmente ciò che era stato proprio lui a dire a uno scettico e cinico Dario che le cose a Obyria non funzionavano e che qualcuno prima o poi avrebbe dovuto prendersi la briga di spianare la strada al cambiamento.
In poche parole, era come se Dario sottilmente gli avesse suggerito che tutto quel che aveva fatto e avrebbe fatto in futuro, era e sarebbe stato lui a suggerirglielo, a fornirgli una traccia da seguire e da ampliare.
Si era dato da fare a quella maniera perché, in primo luogo, era stato lui, in un certo senso, a dirgli di farlo. Lo aveva ammesso con una naturalezza che quasi era sembrata sconfinare nell'innocenza e nell'ingenuità.
Forse aveva sbagliato sin da allora, si disse l'infermiere, amareggiato. Aveva sbagliato nel non afferrare Dario per il colletto della costosa camicia grigia e baciarlo, sprezzante delle conseguenze di un simile atto, specie considerando che Leda era ancora viva.
Quante occasioni sprecate. Quante cose non dette e invano comunicate attraverso occhiate che Rio, spesso, aveva rifuggito appositamente.
Cosa sarebbe successo tra di loro, poi, ora che la morte era stata allontanata? Dario sarebbe tornato a ignorarlo, a non dar peso ai suoi sguardi e ai battiti nel suo petto che esistevano soprattutto grazie a lui, e non solo a Jake?
Max purtroppo temeva che lo avrebbe fatto, perché a differenza sua Dario era una persona perbene e sentimentalmente onesta. Non gli piaceva tradire né che gli altri tradissero la fiducia di coloro che amavano. Non gli avrebbe dato neppure mezza occasione di tornare sull'argomento né di indugiare in un passato del quale recavano ancora le cicatrici. Se Max avesse insistito, forse lui gli avrebbe a lungo andare detto di crescere una buona volta e di accettare che certe cose non potessero tornare ad essere quel che erano state. Conosceva bene le sue risposte, quelle che forse in apparenza sembravano all'acqua di rose e in realtà celavano una severità altera e al limite della brutalità. "Uccidili con la gentilezza" recitava un adagio che Dario, purtroppo, pareva aver fatto proprio sin nei minimi dettagli. Maximilian lo aveva spesso visto reagire con apparenti decoro e cortesia di fronte a enormi mancanze di rispetto da parte di altri membri della Resistenza e di aver al contempo scorto nei suoi occhi un veloce guizzo di minacciosa autorevolezza che, guarda caso, subito aveva riportato sui binari il tizio di turno con troppi grilli per la testa. Non aveva bisogno di urlare, ormai, per far sì che il prossimo ascoltasse e si cucisse nel frattempo la bocca a filo doppio.
Oltre a ciò, a Max era stato sufficiente vedere la reazione dell'uomo quando lui era stato sul punto di baciarlo: non si era trattato solo del veleno di Ghoul, dietro ad essa v'era stato un meccanismo puramente istintivo e di difesa, un rifiuto inconfondibile.
Avrebbe tanto voluto odiarlo per questo, incolparlo di tutto e scaricargli addosso ogni forma di biasimo immaginabile, ma sapeva che facendolo sarebbe stato in torto e di essersi meritato l'allontanamento. Non solo non aveva lottato abbastanza per tenerlo stretto a sé, ma aveva persino sputato sopra la loro relazione tradendolo con qualcuno di cui ormai neppure riusciva a ricordare il viso o il nome.
Aveva distrutto tutto proprio quando le cose erano sembrate iniziare a tornare a posto, proprio nel momento in cui Dario aveva scelto lui anziché il dovere e il resto del mondo. Aveva mantenuto la promessa di tornare fra le sue braccia sfidando l'autorità del Principe Atlas e rischiando conseguenze non poco gravi, e cos'aveva fatto lui, invece?
Era sempre stato di parola e di occasioni per mandarlo a quel paese e trovare una persona alla sua altezza, un uomo migliore, ne aveva avute a iosa, ma sempre le aveva respinte perché, citando una delle recenti massime di Grace non troppo scherzose, all'epoca aveva gli occhi a cuoricino solo e unicamente per lui. In lui aveva riposto una fiducia talmente cieca e incondizionata da risultare a un occhio esterno e malizioso degna di un bambino o di uno stupido, ma era andata in pezzi, dolorosamente in pezzi, non appena aveva aperto quella porta e pensato, poco ma sicuro, che avesse avuto ragione chiunque lo avesse definito un idiota per essersi fidato del bravo ragazzo della porta accanto.
Forse è giusto che lui non abbia intenzione di perdonarmi né ora né mai. Non me lo merito, diamine. Per due volte mi ha dato la possibilità di rimediare, di essere un compagno migliore, e per due volte l'ho deluso e ho lasciato che il silenzio fra di noi diventasse un muro invalicabile. Magari sono io che sto sbagliando anche adesso.
Non meritava il suo perdono e sapeva in cuor proprio di non essere stato perdonato per quel che aveva fatto. Glielo aveva letto negli occhi, lo aveva capito sentendolo parlare: sempre quella vaga sfumatura accusatoria e ferita nella voce, quello sguardo che a più riprese aveva rifuggito con testarda fermezza il suo. Tutto in Dario aveva segnalato un evidente atteggiamento di chiusura nei suoi confronti, di rifiuto al dialogo, a un'altra possibilità di fare ammenda per gli errori passati.
La verità, rifletté Wildbrook, era che avesse perso da un bel po' di tempo, ormai, quel fatidico treno. Quello che, se solo fosse saltato subito a bordo, se solo fosse corso fuori dall'appartamento e avesse raggiunto Dario, pregandolo in ginocchio e in lacrime di non andarsene, di mandare a quel paese Leda e di restargli accanto, lo avrebbe magari riportato a casa. Ne sentiva una disperata mancanza, avvertiva un vuoto tremendo ogni volta che ci ripensava, ma ormai quella porta era chiusa a chiave e nessuno, in ogni caso, sarebbe venuto ad aprire. Non c'era più nessuno là dentro, forse. Forse era vero che la persona che aveva un tempo amato fosse ormai morta e sepolta e lui si stava solamente aggrappando a un campanello destinato a suonare a vuoto in eterno.
Eppure, malgrado tale consapevolezza e pur sapendo di non esser meritevole di un briciolo di fiducia, di un'altra occasione, nonostante tutto quanto... non poteva far a meno di amare Dario. Una parte del suo cuore gli era appartenuta sin dal principio, sin da quando lo aveva visto in quel locale e sempre sarebbe stato così. Fin dal primo istante aveva avvertito un filo invisibile vibrare fra di loro e quel filo, anziché spezzarsi, per qualche motivo inspiegabile si era fortificato.
Non aveva nulla a che fare con l'attrazione fisica, con i sentimenti o il fatto che avessero bevuto l'uno il sangue dell'altro e viceversa in più occasioni. C'era dell'altro, qualcosa che non poteva esser spiegato con la logica, e quel qualcosa sempre lo avrebbe ricondotto a quell'uomo. Alla fine sempre si sarebbe ritrovato a rimpiangere ogni cosa e a sentire la mancanza di chi ormai se n'era andato.
Sapeva che magari a Dario non importava più di lui e che al massimo, a voler pensare bene, probabilmente nutrisse nei suoi riguardi affetto, ma in segreto avrebbe sempre continuato a sperare che un giorno, per volere del Fato, le dinamiche sarebbero cambiate. Magari finalmente si sarebbe compiuto un autentico miracolo e sarebbe giunto un inaspettato, dolce lieto fine.
Doveva solo tener vive le speranze, nient'altro, e nel frattempo ricordare di dover in ogni caso vivere e andare avanti. In fin dei conti, a quel punto contava solo che Dario fosse vivo, che fosse sopravvissuto al veleno di Ghoul. Nient'altro aveva importanza visto che una delle sue preghiere, la più accorata e disperata, era stata ascoltata.
Qualcosa o qualcuno aveva avuto pietà di lui così come di una persona che aveva dato tanto al prossimo e si era meritata la salvezza, la possibilità di lottare ancora.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro