𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐗𝐈𝐈𝐈. 𝐀𝐭𝐥𝐚𝐬
Lanciò una rapida occhiata al Principe Atlas che in silenzio osservava Reger venir scortato dalle guardie fuori dalla sala del trono. Dario odiava Reggia della Luna, la odiava da ormai molto tempo e mai si era sognato di tornarci, eppure ultimamente era costretto a farlo di continuo e a dover fare rapporto all'attuale Signore di Athanasia di persona. Va da sé che la prospettiva di aver a che fare a tu per tu con quell'individuo lo stomacasse oltre ogni dire, visti i loro trascorsi e il fatto che Atlas, in generale, mai gli fosse piaciuto più di tanto.
Un bastardo ampolloso, ecco come lo avrebbe descritto a chiunque non lo conoscesse.
Quando tutto finirà dirò addio per sempre al Regno della Notte e a questo stronzo, si ripromise. Era l'ultima volta che si faceva coinvolgere in una cosa del genere. Ne aveva piene le tasche delle minacce non solo di Atlas, ma dell'intero Consiglio Obyriano che si ostinava a trattarlo come un cane da guardia. Era stanco di tutto quanto.
Si volse e incrociò per qualche secondo lo sguardo del proprio crudele Creatore. Solo per pochissimi secondi i loro occhi si incrociarono e indissero una silenziosa lotta. Si erano fatti la guerra sin dal principio, dopotutto, e Dario aveva imparato a conoscerlo talmente bene da non poter rallegrarsi né fregiarsi di esser stato un bravo cacciatore di taglie nell'esser finalmente riuscito a consegnare Arwin al Principe della Notte su un piatto d'argento. Era stato troppo facile, troppo provvidenziale. Qualcosa non lo convinceva e benché si fossero scontrati ferocemente, fino all'ultimo secondo, quella strana sensazione non accennava ad abbandonarlo.
Ho quasi l'impressione che si sia fatto catturare appositamente.
Quando mai, d'altronde, Arwin si era arreso? Quando aveva mai gettato le armi e ammesso la propria sconfitta? Non era tipo da fare una cosa simile e questa consapevolezza spinse Dario ad armarsi di tutta la propria buona volontà, a schiarirsi la voce e rivolgersi al Principe: «Vi esorto a fare attenzione a quell'individuo. È un tipo combattivo, per usare un eufemismo, e diabolico nel migliore dei casi. Sarebbe meglio non abbassare la guardia.»
Atlas gli piantò addosso i freddi e imperscrutabili occhi che sembravano talvolta verdi, altre invece azzurri, a seconda della luce che li colpiva e dove si trovava il loro proprietario. «Conosco fin troppo bene quella creatura» lo rimbeccò senza troppi fronzoli. «Che resti fra me e te: io feci l'errore madornale di trasformarlo, tanto tempo fa. Arwin Reger è la personificazione di ogni mio singolo rimpianto.»
Dario lo fissò a bocca aperta. Che cosa aveva appena udito? Possibile che avesse capito male?
«Ma... come... voglio dire...» balbettò, troppo scioccato per dire cose sensate. Non riusciva a crederci. Doveva essere uno scherzo, ma quell'uomo non era uno al quale piaceva fare battute. Praticamente non era dotato del benché minimo senso dell'umorismo.
Atlas represse un lungo sospiro, ma non accennò a scomporsi. «Ad aver saputo prima cosa avrebbe fatto a fin troppe persone, alla sua stessa famiglia in primo luogo, lo avrei dissanguato come ho fatto con tanti, tanti altri prima e dopo di lui. Meritava la morte, non l'immortalità, e a questo presto rimedierò, per fortuna. Farò ciò che avrei dovuto fare sin dal principio.»
Benché fra lui e Arwin Dario non sapesse chi odiare di più, non riuscì a non rabbrividire di fronte alla gelida, calma, sicura e composta indifferenza del Principe della Notte. «Ma... ma se siete stato voi a crearlo... insomma... dovrà pur avere una valenza, un simile legame, no?» disse incerto. Arwin era un essere deplorevole, anzi abominevole, e lui lo sapeva molto bene, ma era mai possibile che Atlas non fosse disturbato in alcun modo di fronte alla prospettiva di uccidere il vampiro che egli stesso aveva un tempo creato? Se a lui fosse toccato di dover giungere a tanto con Grace, come minimo sarebbe stato in preda alla disperazione e al tormento, tuttavia... lui voleva bene a Grace. Atlas, invece, apertamente era disgustato al solo dover vedere Arwin.
«E con questo?» replicò infatti l'altro immortale con tanto di un'occhiata penetrante, quasi di sfida. «So bene che sono stato io a crearlo, di essere in un certo senso suo padre, ma si dà anche il caso che la mia stoltezza abbia generato un mostro. Figlio o meno, un mostro va annientato. Solo perché ho scelto di agire diversamente con te un tempo, non vuol dire che allora debba sempre risparmiare ogni singolo vampiro dissennato che ho di fronte a me. La tua non fu che un'eccezione, Dario, e se ti ostinerai a voler affrontare l'argomento è possibile che scelga di rivedere la mia posizione anche per ciò che riguarda la tua libertà e la tua incolumità.»
Dario si incupì nell'udire una minaccia così esplicita e diretta. «Per quel poco che si sa della faccenda, forse qualcuno o qualcosa potrebbe averlo spinto a diventare il mostro che è oggi» replicò astioso, senza riuscire a frenare in tempo la lingua. Si pentì solo un attimo dopo di aver avanzato un'insinuazione ben precisa e diretta al Principe della Notte stesso. Pessimo, Dario. Pessimo, si rimproverò nervosamente mentre guardava Atlas restringere in modo preoccupante lo sguardo e scendere gli scalini che conducevano al trono. Per quanto l'istinto gli stesse urlando di fare un passo indietro o addirittura di darsela a gambe all'istante, non osò muoversi. Non era così scemo da mettere alla prova le capacità di cacciatore di un vampiro millenario, che diamine, e non gli garbava neanche fare la parte del coniglio.
Nella penombra della sala i capelli di Atlas sembravano ancor più corvini, incorniciavano un viso esangue che pareva esser stato scolpito nel duro e solido marmo. Un viso che i mortali di certo avrebbero classificato come appartenente a un uomo di al massimo quarant'anni, ma che a uno sguardo attento rivelava un'età ormai imprecisa e persa nelle ere. Lui era uno dei Millenari, uno dei pochi che avevano visto molte, innumerevoli epoche susseguirsi, tanto da aver ormai rinunciato quasi del tutto alla propria umanità, a ciò che un tempo lo aveva aiutato a passare per un uomo comune. Erano occhi freddi e calcolatori quelli incastonati nel suo volto impassibile, in un certo senso crudeli e privi del benché minimo sentimento.
«Chiedo scusa?» domandò lentamente, senza smettere di fissare il vampiro più giovane che, suo malgrado, non riuscì a trattenersi dal rabbrividire. Era come se un inverno siberiano fosse di colpo calato su entrambi. Oramai era tardi per rimangiarsi quanto detto. Dario era da sempre convinto che il suo più grande difetto fosse il non esser mai capace di tener la bocca sigillata. L'insolenza era stata in più di un'occasione all'apice dei suoi svariati talloni d'Achille e minacciava seriamente di metterlo in grossi pasticci, stavolta. Mai come in quel preciso momento si era ritrovato a desiderare di esser nato muto. Se non altro non avrebbe sparato scemenze di continuo né si sarebbe cacciato nei casini un giorno sì e l'altro pure. Parlava sempre nei momenti meno opportuni e un giorno o l'altro ci avrebbe rimesso le penne, poco ma sicuro, ma non voleva che fosse proprio quella la volta buona.
Mantenne la calma e decise di non rimangiarsi alcunché. Inutile nascondere la mano quando il sasso era stato lanciato e il bersaglio aveva già scelto di reagire. «Nessun mostro nasce come tale. Qualcosa che lo fa scattare c'è sempre, lo sanno tutti. Neppure l'uomo più abbietto del pianeta viene al mondo già colpevole.»
«E suppongo» replicò secco Atlas, «che il probabile artefice di quel qualcosa tu lo abbia individuato nel sottoscritto. Ho ragione?»
«Beh, tutto è plausibile» lo rimbeccò Dario sostenendo il suo sguardo. «Sono tante le cose che non ho mai saputo sul suo conto e il tuo, d'altra parte. Ho appena scoperto che sei stato tu a trasformarlo, no? Quindi... chissà quante altre cose sono rimaste per secoli taciute.»
Il Principe piegò le labbra in un lieve, enigmatico e sinistro sorriso: «Il legame fra Creatura e Creatore! Avevo quasi dimenticato i suoi ironici effetti!» commentò con una dolcezza nella voce solamente apparente. Grattando la superficie risultava subito palese lo scherno racchiuso nella sua pungente e provocatoria osservazione.
Dario si irrigidì. «Non lo sto difendendo» rispose brusco.
«Ah, no? Eppure le tue parole sembravano quelle di un perfetto avvocato del diavolo. Come la mettiamo, dimmi?»
«Lungi da me voler giustificare un essere spregevole come Arwin» insisté il vampiro più giovane, altrettanto glaciale. «Sto solamente dicendo che magari sia stato qualcuno a risvegliare il drago che dormiva dentro di lui. Il solo pensare o supporre che il male sia insito in un essere vivente a prescindere, sin dalla nascita, è un lurido luogo comune, un pretesto che nei millenni ha fatto comodo a tanti individui la cui occupazione preferita era puntare il loro santo dito contro chiunque fosse diverso o semplicemente spezzato. Mi rifiuto di credere che non ci sia stato un tempo in cui Arwin non fosse ancora una persona innocente e priva di istinti omicidi. Non è umanamente possibile, d'accordo? Non mi berrò mai una simile idiozia!»
Malgrado fosse ben consapevole di star sollecitando corde pericolose, non voleva saperne di restarsene zitto e buono mentre Atlas gli propinava quella ridicola storiella secondo cui chi era malvagio nasceva come tale. Era più forte di lui il voler in qualche maniera infrangere la superbia che avvolgeva quel vampiro millenario e, soprattutto, scoprire finalmente qualcosa in merito al nebuloso passato di Arwin. In parte era curioso, lo era sempre stato, ma voleva anche far capire ad Atlas che era ora di scendere dal santo piedistallo e farsi magari un esame di coscienza, viste le circostanze.
Diamine, se Atlas era davvero il Creatore di Arwin, di colui che aveva poi trasformato lui, allora questo, in termini vampireschi, li rendeva imparentati. Volgarmente parlando, era come se il millenario immortale fosse suo nonno o qualcosa del genere, il che era un bel po' inquietante e demoralizzante. E pensare che avesse sempre ritenuto la propria famiglia biologica disfunzionale!
«Se Arwin è ciò che è, vi è almeno l'ottanta per cento di possibilità che lo sia diventato strada facendo. Queste mie idee nulla hanno a che fare con il legame che purtroppo io e lui condividiamo» terminò con rinnovata decisione nel tono di voce.
Atlas strinse le labbra. Era infastidito, parecchio infastidito. «Io gli ho insegnato ciò che sapevo, ma a lui non bastava e non ha mai voluto saperne di ascoltarmi. Ha preso solo quel che gli pareva e gettato via il resto. Non sono responsabile per le sue scelte né per quelle dei suoi fratelli.»
«Non mi riferivo a quello.» Dario si acciglio. «Fratelli? Ne aveva uno, se non sbaglio» aggiunse insospettito.
Il Principe della Notte alzò gli occhi al cielo. «Che tu ci creda o meno, Arwin non fu l'unica persona che trasformai. Consideravo lui e gli altri dei figli, una famiglia, ma si sono rivelati l'uno più fallimentare dell'altro. Teste dure nelle quali è stato inutile cercare di infilare il sale della conoscenza.»
«E chi sono, di grazia? Sai, giusto per poter stringere loro la mano!» lo provocò Dario, partito per la tangente.
«Attento, ragazzino» sibilò Atlas, gli occhi che mandavano pericolose faville. «Hai già sfidato la mia pazienza, in passato, e non è andata a finire bene. Vogliamo vedere cosa succede stavolta?»
Suo malgrado Dario si ritrovò a sorridere debolmente. «Bingo» flautò. «Ho appena capito chi abbia insegnato ad Arwin a minacciare e intimidire come solo lui sa fare. Ha avuto un ottimo maestro, devo riconoscerglielo.»
«Non sono stato io a farlo diventare in quel modo!» tuonò Atlas, perdendo la pazienza. «Non gli ho detto io di fare tutto quello che ha fatto! Non gettarmi addosso colpe che non mi appartengono!»
«Allora, forse, sei stato un pessimo insegnante e padre! Ci hai mai pensato o eri troppo impegnato a ripeterti quanto tu sia sempre nella ragione e non abbia mai commesso un solo errore nella tua esistenza?» sbottò a sua volta Dario, dimenticando con chi stava parlando. «Sapevi che ha sterminato la sua famiglia, dimmi? Sapevi cos'è stato capace di fare al sottoscritto? Lo sai cosa ha combinato in tutto questo tempo, eh?!»
«Certo che lo sapevo, marmocchio!» latrò in risposta il Principe. «Evidentemente certe abitudini sono ereditarie, se ricordo bene!»
Dario serrò un pugno, pronto a caricarlo in faccia all'altro vampiro, ma alla fine riuscì a controllarsi.
«Non venire a farmi la predica, Oscuro Carnefice! Sei stato capace di azioni crudeli e vergognose finché non sono stato io a intervenire e a farti rinsavire, se la memoria ancora mi assiste, perciò hai solo il diritto e il dovere di restare in silenzio!» Il Principe della Notte tacque, ritrovò un po' di calma e aggiunse: «E sì, sapevo che aveva trasformato qualcuno e sapevo che si trattava di te. Sapevo ogni cosa perché fu suo fratello Askan a informarmi di quanto si stava verificando in quel castello, ma non c'era nulla che potessi fare. Tentai di imporgli di darti un giusto trattamento, dato che eri diventato una sua precisa responsabilità, ma da quello che so servì a ben poco. E prima che tu me lo chieda, no: non ho mai provato il minimo rimorso. Era una faccenda fra di voi e la mia autorità come Creatore di Arwin non poteva estendersi sulla persona che aveva trasformato. Odiami, lanciami contro ogni sorta d'anatema, se lo credi bene. Non mi interessa e ti ripeto che non ho colpa alcuna per le sue deprecabili azioni!»
L'immortale più giovane sentì il disprezzo nei riguardi di Atlas aumentare a livelli storici. Se prima di quel momento lo aveva sempre trovato insopportabile, un vero rettile, adesso si ritrovava a odiarlo con tutto se stesso. «Che figlio di puttana vigliacco» commentò d'istinto, fregandosene di aver offeso l'ultima persona che gli sarebbe convenuto inimicarsi. Non gliene importava niente, non dopo aver saputo che Atlas, molto tempo prima, avrebbe potuto eccome fare qualcosa e invece non aveva mosso un solo dito per impedire ad Arwin di torturarlo e sottoporlo a umiliazioni quotidiane. Si era voltato dall'altra parte e raccontato ogni genere di favoletta pur di non fare i conti con la coscienza che, probabilmente, neppure possedeva più. «Beh, sai cosa? Askan provò fino all'ultimo a fare quel che tu neppure provasti a fare, e così pure Dracomir. Solo quando intervenne lui Arwin cedette. Due vampiri più giovani di te, meno potenti e rinomati di te, si sono rimboccati le maniche e hanno dato ascolto alla coscienza. Non importa se poi Askan finì per perdersi a sua volta. All'epoca era una brava persona e io per questo l'ho sempre rispettato.»
Atlas fece una smorfia sprezzante. «Oh, so bene del tuo profondo legame con Dracomir. Immagino tu abbia saputo sdebitarti a dovere per quel suo accesso di cavalleresca pietà! Specialmente quando decidesti di schierarti con Richard e di aiutare gli Esper a rovesciare il regno di Dracula per favorire l'ascesa di un ragazzino spocchioso che non ti mostrò mai la benché minima ombra di gratitudine per aver vestito i panni del Giuda di turno.»
Quelle parole fecero male a Dario. «Tu non sai come andarono davvero le cose. Non ebbi altra scelta.»
«Ne so quanto basta a darmi il diritto di definirti un abile traditore. Sei ancora convinto che ti convenga alzare la cresta proprio con me e venire a parlarmi di verità o chiudiamo qui la faccenda, mh?» Atlas, vedendo una ben precisa e silenziosa domanda campeggiare nello sguardo dell'altro vampiro, sorrise appena. «Me lo ha raccontato proprio lui. Ci siamo incrociati, non molto tempo fa, a un evento galante. Uno dei tanti cui devo presenziare per puro dovere. Quella faccenda sembra bruciargli ancora un bel po', perciò ti consiglio caldamente di non provare a riallacciare con lui eventuali contatti. Poverino! Credo proprio che riuscisti a fare quel che nessun altro ha mai avuto il coraggio né la stupidità di realizzare, ossia spezzargli il cuore. Che tu fossi una piccola serpe lo realizzai già quando ti conobbi durante il tuo movimentato periodo di New York e durante la terapia riabilitativa cui scelsi di sottoporti, ma fino a questo punto...!» Il Millenario fece schioccare piano la lingua a mo' di disapprovazione. «Mi domando come abbia potuto Richard fidarsi ciecamente di te quando sapeva bene cosa fosse accaduto al suo predecessore e solo perché non ti era più garbato. Al suo posto mi sarei trovato un Capo della Polizia dal passato meno compromesso! Uno che, se non altro, non fosse stato lo scaldaletto del suo acerrimo rivale.»
Rise fra sé. «Ho appena cercato di immaginare cosa sarebbe successo se Dracomir fosse rimasto al potere e se il risentimento che gli ho letto tempo fa negli occhi era eguale a ciò che provava per te secoli fa, sono sicuro che ti avrebbe voluto al proprio fianco nelle vesti del suo sposo. Francamente non riesco a figurarmi uno spettacolo peggiore di questo. Saresti stato pessimo come co-regnante e vista la tua indole volubile, con molta probabilità te lo saresti tolto di torno comunque, prima o poi. Mi chiedo quando succederà al dolce e innocente Max.»
Dario dovette ricorrere a tutto l'autocontrollo di cui disponeva pur di non caricare sul muso di quel bastardo un proverbiale cazzotto. Dio, però, se volentieri gli avrebbe fatto passare i cinque minuti peggiori di tutta la sua esistenza...!
«La sola differenza fra te e Arwin è che uno dei due ha una corona sul capo» si limitò a ribattere a denti stretti.
«Oh! Ti ho forse offeso? Povero piccolo Dario.»
«Ti trovo solamente noioso e disgustoso.»
«Ferisce di più la spada.»
Quando Atlas fu sul punto di fargli un cenno con la mano che lo invitava a dileguarsi, Dario decise di dire un'ultima cosa prima di congedarsi e lo fece con voce sterile: «Volevo solo dire, prima che andassimo fuori tema, che Arwin mi abbia dato la netta impressione di essersi lasciato catturare a bella posta. Ha in mente qualcosa, a parer mio, perciò è meglio se ti guardi le spalle. Fossi in lui mi divertirei un bel po' ad approfittare della vicinanza con te per staccarti un arto alla volta fino a quando non ti sarai ridotto a un torso sanguinolento. Dico solo per dire, ovviamente!» Non si disturbò a inchinarsi, si volse e fece per tirar dritto fuori dalla sala.
«Non osare voltarmi le spalle, Dario, o stavolta...», cominciò furibondo Atlas. Era chiaro che le parole dell'altro immortale lo avessero sia messo in allarme che fatto imbestialire.
Il più giovane si fermò e tornò a squadrarlo. «Altrimenti cosa farai, dimmi?» Scosse il capo, sprezzante. «Avrai pure migliaia di anni, ma sai cosa vedo? Un bambino capriccioso e superbo che si diverte a bastonare il prossimo, sapendo di farla sempre franca! Sono centinaia di anni che sopporto quelli come te e a questo punto ne ho piene le tasche! Risolvi da solo i tuoi problemi! Voglio restarne fuori e non sei nessuno per impedirmelo!» Ormai era tardi per tornare indietro, per scusarsi, lo sapeva. Aveva messo in chiaro come stavano le cose, una volta tanto, e per tale ragione tornò indietro, deciso a vuotare il sacco fino all'ultimo. «Per quello che mi riguarda» sibilò, «questo intero regno e Obyria stessa potrebbero cadere in pezzi, bruciare o venir colpiti da un cataclisma! Non batterei ciglio né proverei la minima compassione. Anzi, forse ne sarei persino contento! Abbiamo fallito tutti quanti! Doveva essere il rifugio dei diversi, di quelli come noi, e invece è diventato un ipocrita e corrotto covo di vipere! Forse questo impero merita solo di essere raso al suolo, ormai, e io non muoverei neppure un dito per evitare la catastrofe!»
Atlas restrinse lo sguardo. «Dunque ti ritiri e accetti le conseguenze del tuo fallimento?»
Dario sentì la rabbia divampare fino in fondo. Gli puntellò il petto con l'indice: «Se proverai a toccare Max o a minacciarlo ancora, Arwin non sarà l'unico dei tuoi tanti problemi! Ne avrai un altro alle costole e assetato di vendetta! Considerala una promessa!»
Non gli avrebbe permesso di uccidere Max o di fargli del male in alcun modo e non avrebbe mai più sacrificato ciò che amava in nome di un'autorità che in fin dei conti disprezzava. Aveva arrestato Arwin ed era stato il suo ultimo atto in quella tragedia. Il suo compito era finito. «Non voglio più saperne niente. Ho sacrificato abbastanza a lungo la mia esistenza per persone come te.» Si volse di nuovo, si allontanò e uscì sbattendosi le porte alle spalle.
Appena fu fuori dalla sala del trono, però, percorse solo qualche metro di corridoio prima di fermarsi a riflettere.
Voglio sapere per quale ragione si è fatto catturare.
Sapeva che se non avesse almeno provato a interrogare Arwin, avrebbe trascorso i giorni seguenti a dannarsi fra mille domande e dubbi, solo per poi cedere alla curiosità. Non poteva far a meno di cercare sempre delle risposte. Era una delle sue abitudini peggiori. «Accidenti a me» sibilò a bassa voce, imboccando il corridoio a sinistra.
L'interno della Prigione per Vampiri Pericolosi, conosciuta fino a un secolo addietro col nome di Galera dei Dannati, non era minimamente cambiato dall'ultima volta che lo aveva visto e di tempo ne era passato un bel po'. A inizio del Ventesimo secolo era stato uno dei tanti sfortunati ospiti di quelle umide, orride celle e non si era trattato di un errore, ma di una semplice questione di giustizia. Lo avevano messo là dentro per impedirgli di continuare a far del male al prossimo.
Gli sembrava trascorso appena un battito di ciglia dall'attimo in cui Atlas aveva varcato la pesante porta di metallo rinforzato da incantesimi, passando in impassibile e severa rassegna il mostro soprannominato "Macellaio di New York". In quel preciso istante Dario rimembrava di aver fissato di rimando il Signore di Athanasia e di averlo fatto con negli occhi disprezzo a non finire, scherno e totale assenza di paura o inquietudine. La verità era che non gli fosse importato un bel niente di esser stato infine catturato e, come poi aveva scoperto, di esser stato tradito da Carmilla, venduto a colui che gli stava dando la caccia come sarebbe potuto accadere a un membro della malavita diventato troppo scomodo per tutti, compresi gli alleati. Carmilla lo aveva consegnato ad Atlas in cambio della grazia e della totale estraneità al giudizio del tribunale che aveva invece sentenziato lui come colpevole di ogni singolo crimine che gli era stato imputato.
Atlas gli aveva chiesto se esser venuto a conoscenza dei retroscena della sua cattura avesse suscitato in lui qualcosa, un'emozione qualsiasi, ma il senso di abbandono, il dolore per esser stato pugnalato alle spalle da quella che era stata in fin dei conti la sua compagna, la donna che lo aveva trascinato in quell'inferno di sangue e orrori, quella che in primo luogo gli aveva fatto un enorme lavaggio del cervello approfittando di un periodo in cui era fragile ed esposto, erano arrivati solo in seguito. Soltanto dopo aver patito la sete per mesi e mesi, fin quasi ad impazzire, aveva iniziato a realizzare in che razza di situazione si trovasse e di come effettivamente il tradimento di Carmilla lo avesse ferito; Atlas aveva fatto in modo di metterlo alle strette per farlo uscire in primo luogo dal girone sanguinario nel quale era piombato a un certo punto della sua esistenza, questo era chiaro, ma anche per spingerlo a riaccendere i neuroni e a capire di esser stato niente più che un tenero sollazzo per una vampira di gran lunga più anziana e astuta, una che non si faceva problemi a salvare sempre e comunque se stessa quando capiva di essere in pericolo.
Per quanto il metodo stabilito da Atlas fosse barbaro e affatto privo di rischi collaterali, alla fine il percorso di disintossicazione aveva funzionato; non c'era altro modo, d'altronde, per far tornare in sé un vampiro che si era lasciato trasportare dalla sete, se non privarlo del sangue e sperare che sopravvivesse abbastanza da rinsavire. Resistere al richiamo del massacro o venire del tutto schiacciati da esso era uno dei bivi più pericolosi e traumatici che un immortale potesse fronteggiare. Faceva molto meno male venire torturati con mille, piccoli e appuntiti paletti di legno conficcati ovunque nel corpo o persino esser esposti alla luce del sole e poi venire tirati via dal riverbero diurno appena un attimo prima che la morte sopraggiungesse. Ogni singolo nervo pian piano pareva un po' alla volta andare in fiamme; ogni cellula del corpo, ogni tessuto, ogni muscolo, gridavano in preda a una silenziosa agonia man mano che la deprivazione dal sangue si prolungava. Ci si ritrovava a sperare di morire presto, a volere che il tormento finisse all'istante e, cosa peggiore di qualsiasi altra, a venire sommersi da una marea caotica nella quale ricordi, fantasmi del passato o evocati dalla coscienza appena riemersa emergevano dal nero abisso come mostri marini. Ben presto non si era più in grado di distinguere i voraci morsi dei sensi di colpa da rimembranze che purtroppo non si potevano in alcun modo cambiare.
Un giorno ricordava di aver visto dentro la propria cella la spaventosamente vivida figura di una delle sue sorelle, Beatrice, con la gola orribilmente squarciata e l'abito con cui era morta macchiato di sangue. Lei era stata sin da quella maledetta notte di secoli addietro uno dei suoi più grandi e sofferti rimorsi, specie considerando che avesse in un colpo solo sottratto la vita sia a una delle persone che più aveva amato che a suo nipote, il bambino che mai era venuto al mondo e se n'era andato mentre ancora si trovava nel grembo materno. Era stato tremendo rinsavire e scoprire di aver assassinato tutta la sua famiglia al completo, persino Beatrice che gli aveva voluto così bene e suo fratello minore, l'innocente Federico dallo sguardo buono che appena lo aveva visto entrare in casa era corso ad abbracciarlo. Lui era stato l'ultimo ed era stato proprio dopo averlo afferrato e averlo morso che Dario era pian piano tornato in sé. Aveva ritratto le zanne e si era scostato solo quando aveva sentito il battito del cuore di suo fratello arrestarsi di colpo, senza che lui avesse potuto ferirlo troppo gravemente o dissanguarlo. Federico era deceduto per via del tremendo spavento nell'aver prima rinvenuto i cadaveri del resto dei parenti e poi nell'esser stato aggredito dall'ultima persona che credeva avrebbe potuto fargli del male o diventare un autentico mostro.
Aveva rivisto tutto ciò e tanto, tanto altro ancora. Come avesse fatto a non impazzire sempre sarebbe rimasto per lui un insondabile mistero.
Passato il burrascoso intermezzo costellato da crisi di astinenza e da allucinazioni disparate, era giunta la piena consapevolezza dei crimini che aveva commesso, così come dell'atteggiamento indisponente e per nulla d'aiuto alla sua causa che aveva mostrato in tribunale. Era stato Atlas a raccontargli per filo e per segno tutto quanto, visto che la sua mente aveva relegato in una coltre di nebbia ogni singolo ricordo precedente alla disintossicazione, solo per poi informarlo che fosse a un solo passo dal rischiare la condanna capitale, se non avesse dimostrato di poter migliorare.
«Di fronte a te hai due strade, Dario: la prima ti condurrà fuori da qui in catene e poi al ceppo del boia. La seconda, invece, ti permetterà di uscire da qui da vampiro libero» aveva aggiunto Atlas, più serio che mai. «O la morte definitiva o vivrai e aiuterai me e il resto del Consiglio a portare giustizia dove non ce n'è alcuna. Mettiti al nostro servizio e in tal maniera sconterai la tua punizione. Potrai espiare ogni tua colpa senza trascorrere tutta la tua esistenza chiuso qua dentro.»
Dario non aveva voluto starlo a sentire, in un primo momento; non era del tutto tornato in sé e rimembrava fin troppo bene gli strascichi di ferocia sanguinaria dietro all'apparente recupero di calma e compostezza. Aveva riso in faccia ad Atlas e detto che non gli importava niente né della giustizia né di vivere. Dentro di sé, in realtà, aveva realmente sperato di crepare per una buona volta e di smettere per sempre di condurre un'esistenza per lui protrattasi per fin troppo tempo. Ci aveva sperato davvero, ma ancora una volta la Morte gli aveva detto no e lo aveva rispedito indietro, rimandando il loro fatidico appuntamento a una data ignota.
Atlas si era recato da lui ogni giorno per settimane e settimane finché non aveva ceduto. In un certo senso il Principe della Notte non gli aveva dato una vera e propria scelta. Lo aveva convinto tramite una specie di raggiro mentale a dire di sì e si odiava per esserci cascato come uno scemo. Aveva sfruttato i suoi sensi di colpa, verissimo, ma oltre a questo... beh, lo aveva condotto all'esasperazione più totale. Malgrado gli avesse ricordato sempre che la morte fosse dietro l'angolo, era come se non avesse mai avuto in programma di farlo giustiziare, bensì di fargli chinare la testa e ottenere la sua obbedienza, la sua sottomissione.
Nell'attimo in cui aveva detto sì, tuttavia, era allora che il vero inferno aveva avuto inizio. Nonostante fosse a quel punto rinsavito del tutto e piombato piuttosto nella prostrazione fisica e mentale, in quella che in tempi odierni sarebbe stata riconosciuta come depressione, Atlas aveva detto chiaramente di non fidarsi abbastanza, di voler assicurarsi che mai più gli sarebbe passato per la testa di combinare un altro disastro come quello a New York. La riabilitazione era iniziata appena il giorno seguente al fatidico sì e in poche parole era stato addestrato tramite metodi logoranti e disumani a ripudiare il sangue, il suo sapore, il suo sentore, la brama per esso che lo aveva condannato alla galera. Lo avevano spinto ad associare l'unica fonte di sostentamento per i vampiri al dolore nella forma più pura e radicale, alla sofferenza e al disagio, finché, poco a poco, non aveva cominciato ad avere i conati, a mostrare sincero terrore e disgusto nel venire esposto a un semplice bicchiere con all'interno la linfa scarlatta. Esposizione al sangue e farmaci iniettati e appositamente creati per incoraggiare reazioni fisiche spiacevoli avevano fatto fronte comune e imposto su di lui una vittoria schiacciante.
Solo allora Atlas lo aveva fatto rilasciare e tornare nel mondo civile, un mondo che nel frattempo era già cambiato e andato avanti senza di lui. Il periodo più triste e solitario di tutta la sua esistenza. Non ne ricordava uno peggiore. Aveva fatto ritorno in una delle proprie residenze e si era barricato là dentro per settimane intere senza mai avvertire lo stimolo di nutrirsi né di uscire per cacciare o, semplicemente, fare nuove conoscenze e sentirsi meno solo. Aveva dormito, scivolando in uno stato per certi versi comatoso, ed era stato poi Atlas a rintracciarlo e a dirgli senza troppi fronzoli che non era stato rimesso in libertà per battere la fiacca.
Appena Dario si era però rifiutato di uscire e obbedire, Atlas aveva mandato a quel paese la già poca comprensione nei suoi riguardi ed estratto dalla tasca del soprabito una siringa di vetro con all'interno una piccola dose di sangue. Era stato inutile cercare di ritrarsi, tremare come una foglia e implorare il Signore di Athanasia di non iniettargli ciò che ormai ai suoi occhi era peggio del veleno. Aveva disobbedito e Atlas lo aveva punito di conseguenza, ottenendo subito dei risultati, fra cui fargli tornare una nausea pazzesca e risvegliare nel suo animo una paura ormai ben radicata.
Col tempo le cose erano migliorate, certo, ma mai tornate come una volta. Si nutriva solo quando non poteva più farne a meno e non osava mai bere dosi eccessive di sangue. Due sorsi e poi si ritraeva subito, distoglieva dallo stato ipnotico la persona dalla quale aveva scelto di prelevare un po' di linfa e poi gli toccava star lì ad aspettare che la voglia di vomitare quel po' che aveva ingerito passasse. E poi Grace e Max ancora osavano chiedergli perché preferisse di gran lunga bere alcolici o fare sesso sfrenato fin quasi allo stordimento. Meglio ubriaco o definito da certuni una puttana sotto mentite spoglie del dover tollerare per giorni il malessere legato all'assunzione di sangue.
Si domandava, tra l'altro, cosa sarebbe accaduto ora che aveva chiaramente mandato a quel paese il Principe della Notte in persona. Non importa. Che faccia pure del suo peggio, sapendo che poi risponderò per le rime.
Voleva solo tornare da Max, tornare davvero da lui, alla loro vita insieme. Non ce la faceva più a tollerare una situazione simile e in fin dei conti non poteva caricarsi le spalle sempre dei problemi altrui né voleva sacrificare il suo fidanzato per... dannazione, neanche lui sapeva che cosa!
Ormai aveva pagato a sufficienza per i crimini passati, aveva espiato ogni colpa possibile e immaginabile fino allo stremo delle forze e rischiato in più di un'occasione di rimetterci le penne. Si era guadagnato un po' di pace, di poter passare più tempo con l'uomo che amava e di ricominciare da zero. Ne aveva abbastanza di brandire armi e spargere sangue; era stanco di operare sotto copertura, di esser costretto a mentire a Max quando gli eventi, la paura nei riguardi di Atlas, lo costringevano a sedurre individui poco raccomandabili o potenti e dei quali non gli importava un bel niente. Era per questo che poi, quando tornava a casa, non riusciva a condividere con Wildbrook il letto per fare qualcosa di diverso dal dormire. Si sentiva talmente corrotto, macchiato dai residui di quanto fatto altrove, da ritenersi indegno di esser sfiorato da quel ragazzo che lo amava e lo considerava una persona migliore di quanto non fosse realmente.
Non ce la faceva più a continuare una vita del genere, ecco perché aveva scelto di rischiare e di ritirarsi. Se Atlas avesse poi cercato di far del male alle persone alle quali teneva, poi sarebbe toccato a lui rispondere al fuoco col fuoco e a quel punto sarebbe stato il Signore di Athanasia a bruciarsi a dovere.
Parlerò con Arwin e poi la chiuderò qui, si ripromise di nuovo.
Non appena fu giunto a pochi passi dalla cella in cui Reger era stato rinchiuso, incrociò due guardie ai lati della porta dotata di un sottile spioncino. Si trattava di due vampiri, nonché di un paio di facce tutt'altro che estranee. Conosceva gran parte del corpo militare che orbitava attorno alla figura centrale di quel regno, visti i suoi trascorsi. «Devo parlargli» disse loro diretto.
I due esitarono. Fu quello più alto e appena più spavaldo a replicare: «Il Principe ha detto che non dobbiamo far entrare nessuno né consentire ad anima viva di avere con lui interazioni di qualche tipo» snocciolò, palesemente attento a non suonare irrispettoso. Gli si leggeva negli occhi che non osava alzare la cresta alla presenza di un immortale più anziano di lui.
Dario restrinse lo sguardo. «Sbaglio o sono stato io ad addestrarvi, tanto tempo fa? Non vi conviene farmi arrabbiare» ribatté autoritario, incapace di distaccarsi fino in fondo da chi era stato una volta agli occhi dei soldati. «Voglio solo fargli qualche domanda e poi sarà tutto vostro. Sono solo di passaggio, mettiamola così. Curiosità accademica e personale.»
I due si scambiarono un'occhiata incerta e, nel frattempo, gli lanciarono occhiate timorose e inquiete.
«I-Il punto è che... n-non possiamo disobbedire» biascicò l'altro soldato.
Dario alzò gli occhi al cielo. Non rimembrava di averli addestrati a esser così ottusi. «Sul serio?» borbottò fra sé. «Ma andiamo! Come se potesse mai passarmi per l'anticamera del cervello di aiutarlo a fuggire! Piuttosto mi mozzerei le mani da solo!»
«N-Non intendevamo quello!»
«E allora fatemi passare.»
La guardia più alta deglutì. «Se... se la facciamo entrare, n-non lo dirà al Principe Atlas, poi, vero?»
«Il giorno in cui mi sarò rimbecillito fino a questo punto, Jürgen, è ancora ben lontano. Sono il suo mastino, non la sua concubina del cazzo che fa la spia. Chiaro?»
«C-Chiarissimo.»
I due si decisero a dargli accesso alla cella e uno di loro, con dita tremanti, aprì la porta. Prima di entrare, però, Dario li squadrò a turno. «Schiene dritte e sguardo all'erta, per Dio! Siete soldati che sorvegliano i prigionieri, non una coppia di scemi usciti da un club per fumare una sigaretta.» Non poté far proprio a meno di abbaiare quell'ordine. Una parte di lui, in fondo in fondo, ci teneva che anche dopo il suo ritiro come Capo della Polizia i soldati tenessero bene a mente quanto aveva loro insegnato. Rigore ed efficienza erano due abitudini difficili da abbandonare.
Li vide obbedire all'istante e, celando un debole sorriso sfumato di nostalgia e, sì, anche di un po' di affetto, fece un respiro profondo e varcò la soglia della cella. Tornò immediatamente serio non appena posò gli occhi su Arwin, seduto a terra e incatenato. Reger sollevò lo sguardo e sorrise di sbieco. «Sei qui per gongolare, presumo» lo accolse beffardo.
«In realtà no» ribatté il vampiro più giovane, secco. «Sono qui per farti qualche domanda, nulla di più. Spero tu non abbia altri impegni!»
Il suo Creatore, per un momento, lo squadrò con autentico livore in risposta al suo accesso di sarcasmo. «Insolente e irrispettoso come al solito, vedo.»
«Nah. Ti sto trattando semplicemente come meriti, Arwin. Il trattamento di favore te lo sei giocato sin dalla prima volta in cui mi hai messo le mani addosso.»
«Le mani addosso, dici» fece Reger, soppesando meditabondo quelle parole. «E chi mi ha costretto ad arrivare a tanto, secondo te? Ricordi quanto eri ostinato e lamentoso, Dario? Ricordi quanto ti impegnasti a fondo pur di portarmi allo stremo della pazienza? Le mani addosso te le andasti a cercare.»
«Sul serio?» Dario fu sul punto di ridergli in faccia. «Ti risulta che io scelsi consapevolmente di essere trasformato?»
«Stavi morendo, ingrato che non sei altro. Io ti dissi che c'era una cura e tu rispondesti che avresti fatto qualsiasi cosa pur di continuare a vivere.»
«Appunto, Arwin! Continuare a vivere, non trascorrere l'eternità intera a essere un mostro succhiasangue! Volevo restare con Jacopo, ma neppure questo mi venne concesso! Mi hai portato via da lui, dalla mia casa, da ogni cosa che adoravo della mia vita e, come se non bastasse, la mia non fu affatto una morte naturale!»
Il vampiro biondo sbuffò e roteò gli occhi. «Oh, ma insomma! Morto per la tisi o grazie a una piccola spintarella che differenza avrebbe mai potuto fare? Tossivi sangue a profusione e avresti comunque tirato le cuoia entro la mezzanotte. Mai sentito parlare di eutanasia?»
«Eutanasia un corno! Avrei potuto dire addio con calma a Jacopo, ma neanche questo mi venne concesso!»
«Disse l'uomo che rispose al prete venuto a dargli l'estrema unzione di non voler avere più nulla a che fare con Dio e che sarebbe stato lui e nessun altro a scegliere se e quando andarsene. La cruda verità, Dario, era che se non ci avessi pensato io ad accorciare le tue pene, lo avresti fatto tu di tuo pugno. Sotto il tuo cuscino c'era un pugnale. Lo trovai mentre ti prelevavo dal letto per portarti via. Dubito fosse per semplice autodifesa!» Dario ammutolì. e Arwin sorrise di sbieco, soddisfatto. «Guarda guarda! Ho trovato il modo per farti stare zitto, anche se mi ci sono voluti letteralmente secoli. Questo sì che è un miglioramento. Quasi quasi ti porterei a prendere un gelato insieme per festeggiare, da bravo padre, ma sai com'è... sono rinchiuso qua dentro!»
«Fottiti» sputò fuori il più giovane con rinnovato livore. «Non osare definirti un padre per me. Non ti sei mai comportato come tale.»
«Come se tu me lo avessi mai realmente permesso.»
«Quale padre viola quotidianamente e a più riprese il proprio figlio? Quale genitore, mi chiedo, chiude in una torre la propria prole, condannandola a patire gli stenti della fame e a rimanere schiacciato in un angolo della cella per non venire incenerito dal sole? Quale genere di persona farebbe tutto quello che tu hai fatto a me, eh?!» esplose Dario, furioso come poche volte lo si era visto. «Io ti odio e neppure fra altri mille anni potrei mai perdonarti!»
Vide Reger esitare per la prima volta da quando si conoscevano, e si parlava di un periodo di tempo estremamente lungo e sofferto. «L'unica cosa che volevo, che ho voluto sin da quando io stesso divenni una creatura della notte, era una famiglia. Pensavo che tu potessi essere questo, per me. Pensavo che risvegliandoti mi avresti mostrato gratitudine per averti salvato dalla miseria e dalla malattia, da un'esistenza in fin dei conti noiosa e priva di avventura. Era ciò che volevi, te lo si leggeva negli occhi, ma quando mi offrii di darti tutto quanto tu, superbo e testardo come al solito, volgesti altrove la testa e ti rifiutasti a priori di accettare cos'eri diventato e cosa potevo insegnarti.» Fece una pausa. «È vero, non mi comportai come un padre e questo per il semplice fatto che non ero alla ricerca di un figlio, ma di un compagno con cui condividere l'eternità. Tuttavia... beh, sai come andarono le cose, no? Ti convincesti sin da subito che io fossi il mostro tremendo della fiaba venuto a rapirti per rinchiuderti e farti del male e rivolgesti la tua attenzione sul principe azzurro di turno. Un classico, suppongo.»
Dario fece una smorfia disgustata e annoiata. «Ah, dunque è di questo che si tratta!» esclamò sarcastico. «Meritavo ogni cosa solo per essermi affezionato ad Askan anziché...»
«Non sto parlando di Askan, Dario. Mi riferisco a Dracomir.»
«Beh, ancora peggio, allora! E se solo potesse sentirti mentre lo definisci un principe azzurro, penso proprio che potrebbe torcerti il collo e io gli darei felicemente una mano! Stai sparando una sequela infinita di assurdità e quel che è peggio, Arwin, è che ti sto persino a sentire! Sei assurdo!»
«Assurdo, eh? Era il mio più caro amico e tu riuscisti in ciò che tutti, nessuno escluso, mai avevano avuto successo: far sì che mi si rivoltasse contro. Era come un fratello per me, ma non appena ti vide fu come se di colpo gli avesse dato di volta il cervello. Sicuro che sia stato io a portarti via tutto e che non sia invece il contrario, Dario? Ricordi Richard, non è vero?»
«Lo ricordo bene» sibilò l'altro immortale. «E ricordo ancora meglio il suo cadavere che giaceva nella sala del trono. Ricordo benissimo come poi tutti per anni e anni mi guardarono come se fossi stato io ad assassinarlo. In fin dei conti è così che tratti le persone alle quali spergiuri di tenere, Arwin: le distruggi, quando non puoi più averle e si azzardano a voler andare avanti per conto proprio.»
«Se ne andò solo perché arrivasti tu a parlargli dei suoi fratellastri e di come desiderassero che si unisse a loro nella creazione della fantomatica Obyria. E cosa dire di Dracomir? È così che tu, invece, tratti coloro che streghi con il tuo corpo e con la tua voce? Prima li seduci e poi li pugnali alle spalle per favorire l'ascesa al potere di persone nelle quali sei il primo a non credere, delle quali sei tu stesso a non fidarti?»
Dario ne aveva seriamente abbastanza di esser additato come colui che aveva tradito il primo e unico Principe della Notte che avesse mai abdicato nella storia di Obyria. «Richard lo avrebbe ucciso in duello. Non potevo permetterlo. Volevo salvarlo e così feci. L'orgoglio viene dopo l'incolumità, quando la vita è appesa a un filo!»
«Sicuro che non lo facesti per mera vendetta? Perché lui ti aveva abbandonato? Non sei il primo né l'ultimo amante che in un momento di rancore estremo decide di versare di proprio pugno il veleno nel calice dello sfortunato spasimante che ha osato deluderlo. La storia è piena di tali siparietti.»
«Sarei morto piuttosto che lasciarlo al suo destino o esserne io stesso l'artefice. Amavo Dracomir e lo sai benissimo, ma in quella situazione non c'era altro che potessi fare per proteggerlo e salvarlo. Chi se ne importa se il suo orgoglio virile e di guerriero dovette risentirne un pochino!»
«Sai cos'è divertente? Che tu, in quel momento, fossi realmente convinto che poi sareste vissuti felici e contenti, e questo mentre prestavi i tuoi sanguinari servigi presso il temibile Principe della Notte in carica. L'uomo che, ci tengo a sottolineare di nuovo, era stato umiliato di fronte al Regno della Notte al completo per un tuo capriccio, perché eri saldamente certo che l'amore avrebbe prevalso sulla politica, sulla dignità di un vampiro abituato a combattere e a vivere con onore da prima che tu nascesti.» Gli occhi di Arwin scintillavano astuti. «Tuttavia, come ho detto prima, il tuo obiettivo non era affatto questo. Io ti conosco bene, Dario, e so come ragiona la tua perfida testolina, quando è il tuo di orgoglio a esser stato messo alla berlina. La tua fu una punizione, piccolo mio, non un gesto magnanimo né d'amore. Fu la mera e fredda rivalsa a tenerti per mano mentre distruggevi Dracomir nel solo modo che sapevi avrebbe lasciato un segno. Non solo lo umiliasti pubblicamente, ma gli spezzasti il cuore facendogli capire che non eri mai stato realmente dalla sua parte e che mai ti era passato davvero per la testa di rovesciare Richard dal trono. Eravate stati tu e i suoi fratellastri a mettercelo, dopotutto, e non avrebbe avuto senso fare marcia indietro. Eri compromesso e probabilmente ti dicesti che tanto sarebbe valso proseguire fino alla fine.» Si alzò, camminò e si fermò solo quando a impedirgli di muoversi ancora furono le catene. Fra lui e Dario c'erano quasi due metri di distanza. «Ora prova a dire che ho torto, se ne hai il coraggio e la spavalderia.» Sogghignò vittorioso e squadrò con deliziato divertimento il vampiro più giovane fissarlo con aria assassina, più pallido del solito per la rabbia cocente che gli ribolliva negli occhi. «Guarda che faccia! Sei un vero capolavoro, in termini di colpevolezza e indignazione! Guarda che faccia, sul serio! Macellaio, sei passato a farci di nuovo un saluto, per caso?» Sghignazzò con sincera ilarità. Per lui era come guardare un micetto intento a voler farsi passare per un gatto adulto cercando invano di soffiare in faccia a qualcuno. «Sei così tenero! Ora ricordo cosa mi convinse davvero a trasformarti! Come resistere a un così bel faccino? Sarei stato un folle a non agire.»
Lo vedeva di aver sbattuto in faccia a Dario una verità molto scomoda e sapeva che il suo piccolo fiore aveva capito all'istante come avesse fatto a colpire con tanta sicurezza. Sapeva che lui e Dracomir avevano parlato, anche se poi si erano persi subito di vista un'altra volta e mai più incrociati. Lo sapeva e forse era questo a fargli male, a farlo arrabbiare, non l'esser stato colto con le mani nella marmellata.
«Smettila.»
«Perché? Ti ho forse turbato, tesoro? Perdonami, non volevo.»
«Tu non mi conosci affatto! Hai ragione, lo feci perché ero ferito e volevo vederlo, solo per una volta, soffrire quanto avevo sofferto io quando mi abbandonò senza neppure dirmi addio! Raggiunsi il culmine della tolleranza nel momento in cui fece ritorno e mi parlò di congiure, di tradire l'uomo per il quale ero stato costretto a parteggiare! Se avessimo fallito saremmo morti entrambi e allora sai che allegria! Io fui prudente e coscienzioso, a differenza sua. Si mise da solo nei pasticci e anche se volentieri sarei rimasto comodo a guardare mentre Richard lo trasformava in uno spiedino, non volevo che Dracomir morisse e in fin dei conti lo amavo ancora. Non furono né la pietà né il rimorso a impormi di trovare per lui una scappatoia. Sciacquati la bocca prima di parlare di certe cose, Arwin. Tu non eri lì!»
«Ci sarei voluto essere, però. Avrei voluto esserci solo per vedere la delusione stampata sul viso di quell'idiota che si fidava di te ciecamente. Quando parlammo era davvero sottosopra, lo sai? Impensabile che uno che poi si fece conoscere come il temibile Dracula si fosse trovato un giorno a piagnucolare su come tu gli avessi voltato le spalle, tu che lui avrebbe voluto al proprio fianco come consorte. Mi sono sempre domandato quale momentanea follia lo indusse a credere che avresti accettato di esser suo e di nessun altro, tu che detesti i legami sopra ogni altra cosa da quando hai seppellito il tuo amato e perduto Jacopo. Davvero Dracomir pensava di ricolmare quel cratere immenso che ti porti dietro sin dall'inizio? Povero illuso. Quando lo udii snocciolare quella storia del tuo tradimento a suo danno, giuro che fu una delle rare volte in cui provai autentica e sincera pena per qualcuno. Lo avevi fregato a regola d'arte e quel che è divertente, caro Dario, è che non parve importartene chissà quanto, col senno di poi. Ti fregiasti per secoli della tua bella divisa nera e del tuo diritto inalienabile ad amministrare la giustizia, a interpretare il cagnolino infernale ammaestrato di un ricco bambino viziato al quale finisti persino per voler bene, anche se a lui di te non fregava assolutamente niente. Se ti volle fuori dai piedi prima che giungessi io per punirlo a dovere, fu solo per via della piccola bastarda che chiamava figlia e che tu, da quel che si vocifera in giro, non riuscisti lo stesso a salvare. Corre voce che si ammalò poco dopo aver abbandonato il Regno della Notte. È vero?»
Dario si sentì gelare, ma non diede a vedere alcun segno di vacillamento. Non poteva permetterselo, non quando si trattava di Esther. «La principessina venne a mancare a tredici anni. Per un crudele scherzo della sorte a ucciderla fu lo stesso male che condusse il sottoscritto a incrociare di nuovo la tua strada» snocciolò gelido, ben attento però ad aggiungere una sincera e naturale sfumatura tremante e addolorata nella voce. Era talmente abituato a mentire, quando si parlava di Esther, da esser ormai in grado di fregare chiunque, persino un segugio come Arwin che, palesemente, credette senza mezzi termini alle sue parole. «Non chiedermi dove riposano le sue spoglie, perché non ho intenzione di dilungarmi circa tale faccenda.»
Arwin sorrise di sbieco. «Mi chiedo cosa penserebbe oggi di te Richard, sapendo cosa sei stato capace di fare e di come tu abbia fallito nel proteggere la sua preziosa bambina. Sono quasi certo che ti avrebbe ucciso di suo pugno.»
«Già, ci ho pensato spesso e probabilmente glielo avrei lasciato fare. Magari sarebbe stato meglio per tutti così.»
«E dimmi...» Arwin abbassò la voce, assumendo un tono da cospirazione. «Sei stato tu a porre fine alle sue sofferenze, proprio come ho fatto io con te? Non dirmi che le hai premuto un cuscino sul viso fino a quando non ha smesso di dibattersi!»
«Lurido figlio di puttana!» Il vampiro più giovane, con un ringhio ferino, gli riversò un pugno dritto in faccia. Reger si riprese nel giro di un secondo e come al solito approfittò al volo della situazione per serrargli le dita simili a tenaglie attorno alla gola. Rise piano fra sé. «Quanto puoi essere stupido e avventato quando ti salta la mosca al naso!» lo provocò, rafforzando la stretta e azzerando del tutto la distanza fra di loro. «Se provi tutta questa rabbia nei miei riguardi, allora toglimi una curiosità: perché non mi hai ucciso, invece di trascinarmi qui? Cosa c'è, piccolo? Volevi fare il gradasso e mostrare ad Atlas di essere il bravo cagnolino che riporta sempre indietro il ramoscello?»
Malgrado stentasse a respirare, Dario non diede segno di avere paura. «C'era una taglia ragguardevole sulla tua testa» ansimò con aria beffarda. «Ho pensato che saresti valso molto di più da vivo anziché da morto! Sai com'è, Arwin: i soldi sono pur sempre soldi!» Deciso a non farsi strapazzare come un tempo, sollevò in alto le ginocchia e con lo stivale sinistro rifilò a Reger un calcio sullo sterno grazie al quale poté darsi la spinta necessaria a balzare indietro, di nuovo fuori dalla sua portata.
Si massaggiò il collo e dovette aspettare un minuto buono prima di sentire la cartilagine della trachea tornare completamente a posto. Diamine, c'era mancato poco. «Pensavi ti avessi risparmiato perché non ero capace di ammazzarti o per pietà?» sibilò poi disgustato. «Cazzo, Arwin. Qualunque droga tu prenda, a questo punto la voglio anch'io. Deve esser roba un bel po' buona!»
Arwin si rimise in piedi. «Vedo che hai imparato a difenderti, a furia di prenderle di santa ragione. Domanda spassionata: dov'era questa grinta quando ci siamo incontrati qualche anno fa, mh? Hai lasciato che ti tagliuzzassi e riducessi a un colabrodo sanguinolento per semplice noia?»
«Mi si coglie alla sprovvista una sola volta, Arwin Reger. Non sono così idiota da abbassare la guardia, quando so cosa aspettarmi.»
«Dovette esser tremendo per la tua cara amichetta Grace e il tuo spasimante vederti in quelle condizioni e sapere che ero stato io a farti tutto quanto.» Negli occhi cerulei del vampiro teutonico vi fu un rapido e bieco guizzo di soddisfazione. Aveva notato eccome la debole smorfia sul viso dell'altro immortale. «Oh, loro non lo sanno» intuì deliziato. «Pensavi che altrimenti avrebbero cercato di vendicarti e sapevi che se lo avessero fatto, poi avresti avuto un gran bel daffare a recuperare tutti i pezzi dei loro corpi smembrati che io mi sarei preso la briga di spargere in tutta l'Inghilterra. Lo riesco a immaginare, visto il bel caratterino del caro Maximilian. È stato tremendamente sgarbato quando sono venuto a farvi visita, l'anno scorso. È così che si tratta uno di famiglia?»
«Uno di famiglia un paio di palle» lo liquidò Dario. «E sappi che non ti avrei mai permesso di torcere un capello a lui o a Grace. E se anche tu lo avessi fatto o solamente avessi pensato di farlo, ti avrei fatto io a pezzi, Arwin. Lasciali fuori da tutto questo, chiaro? La questione è fra me e te.»
Per un po' il silenzio calò fra di loro e, tanto per non cambiare, continuarono a lanciarsi sguardi di fuoco da lontano, come due pugili agli angoli del ring prima del round finale. Assurdo pensare come le dinamiche fra di loro non fossero mai, mai mutate. Al massimo erano peggiorate.
Reger tornò a sedersi a terra, gli occhi sempre fissi sull'altro vampiro. «Siamo sempre stati come Zeus e Crono, tu ed io: destinati a farci la guerra e a distruggerci a vicenda. Io ti ho persino divorato, dopotutto. Certo, ti ho solamente dissanguato fino alla soglia della morte, ma tant'è! E tu, a modo tuo, da allora non hai fatto altro che pensare alla vendetta. Non importa cosa tu faccia, in quale maniera tu tenti di ingannare l'attesa ed evitare di annoiarti mentre aspetti la tua rivincita. Nulla ha importanza per te quanto avere finalmente la rivalsa che aspetti da una vita intera. Sei come Edipo, piccolo: destinato a uccidere prima o poi il tuo vecchio padre. Forse accadrà, forse invece sarò io a porre fine alle tue sofferenze. Qualcosa mi dice che sarà il sottoscritto a spuntarla di nuovo, comunque!»
«Tu non sei mio padre. Non lo sei mai stato» gli ricordò per l'ennesima volta Dario, rancoroso. «Onestamente, Arwin, non so cosa tu sia mai stato ai miei occhi, ma so per certo che di errori ne hai compiuti tanti col sottoscritto. Non parlo solo degli abusi, del tormento perpetuo che hai giurato di darmi in eterno. Mai avrai la mia comprensione e compassione. Mai otterrai da me il rispetto. Non meriti nulla di tutto ciò.»
Arwin sospirò quasi con aria afflitta. «Hai ragione su una cosa, piccolo: avrei dovuto lasciarti morire di tubercolosi, invece di prendermi il disturbo di guarirti dalla malattia che contraesti prostituendoti per saldare i debiti del tuo amante.» Sogghignò di nuovo all'espressione dell'altro, chiaramente preso alla sprovvista. «Credevi non lo sapessi? Ti ho tenuto molto d'occhio e osservato prima di decidermi a trasformarti. Restavo in silenzio e in disparte mentre ti guardavo gettare via la dignità che ti era rimasta, far uso di qualche goccia di laudano per stordire i tuoi sensi, per non pensare alla vergogna del dover vendere il tuo corpo a persone sconosciute, a uomini brutali. Conducevi una vita che non ti avrebbe portato molto lontano con l'età e ho semplicemente atteso che la morte bussasse alla tua porta. Tutto per amore del tuo amato pittore che, tra l'altro, ti tradì ripetutamente quando iniziasti a stare davvero male, ma eri troppo innamorato e lasciavi correre! Forse tu, invece, sei degno della compassione di chiunque, da figura tragica quale sei. A un certo punto penso di aver sinceramente provato pena nei tuoi riguardi. Era come incrociare per strada sempre quel povero gatto malandato e malato che vedevi giorno dopo giorno deperire. Uno spettacolo penoso, in breve, e affascinante nella sua ironica crudeltà.»
Giocherellò con le catene.
«Dal canto mio, come ti ho già spiegato, desideravo un po' di compagnia, qualcuno che potesse diventare la mia famiglia, e unendo l'utile al dilettevole ho deciso di preservare la bellezza che vedevo in te, di immortalarla e avere finalmente qualcuno al quale insegnare e tramandare certe conoscenze. Qualcuno con cui condividere l'eternità e notti sensuali di sfrenato piacere e orrore, ma a te non importava. Eri deciso a restare umano anche quando non lo eri più. Volevi qualcosa che avevi in realtà perso per sempre. È sempre stata la tua condanna, questa, e alla fine ti ha fregato a meraviglia: tu che desideravi restare umano, alla prima occasione ti sei trasformato in un mostro perverso assetato di sangue, sesso e morte. Ironia delle ironie! Hai sempre detestato ciò che ero io e poi, ubriaco delle moine di una donna, hai lasciato andare la presa su quella porta e permesso al tuo lato peggiore e bestiale di uscire, di seminare distruzione ovunque. Piangerei per la commozione al pensiero di quanto potessi esser all'epoca magnifico nella tua malvagità! Una vera opera d'arte!»
Il vampiro più anziano cambiò leggermente posizione e nel farlo causò un debole tintinnio di catene.
«Saresti potuto essere il grande fra i grandi, se solo fossi rimasto in quel modo. Avresti potuto sputare persino in testa a gente come Atlas, ma hai scelto di vivere da reietto, senza la minima ambizione, tu che potresti avere tutto il potere del mondo nelle tue mani grazie ai contatti ramificati ed estesi che possiedi. Avresti potuto prenderti il trono dei vampiri in qualsiasi momento, se solo avessi avuto le palle di calciar via dal seggio quella ragazzina isterica di nome Richard, ma scegliesti di servire un uomo che ti derideva e guardava con superbia dall'alto in basso; un uomo che ti spinse persino a uccidere quel licantropo di cui ti eri invaghito. Che stupido fosti a credere di avere una scelta, di poter avere chissà quale vita smielata e rosea con quel cane vestito da uomo! Fu tra le poche volte che provai compassione per te: così cieco di fronte a una cosa insulsa e sorpassata come l'amore, e sei solo peggiorato nel tempo. Come faccio a saperlo? Beh, ho visto questo e tanto altro ancora nella tua mente, fra un taglietto qui e là e un'iniezione di argento e linfa di quercia. Le tue difese mentali erano talmente alla deriva che... beh, non ho dovuto far altro che chinarmi sotto la fonte e raccogliere nelle mie mani tutta la verità che fluiva a cascate.»
Dario non disse niente. Sentirsi rinfacciare tante cose del suo passato, sia come umano che come vampiro, faceva male, ma non avrebbe ceduto di fronte ad Arwin come aveva fatto fino ad allora, non gli avrebbe dato di nuovo una simile soddisfazione. La questione di Gareth era ancora per lui un immenso dolore ed era già un miracolo che avesse avuto la forza di parlarne a Grace e a Max.
Reger inspirò rilassato, come se si trovasse seduto in caffetteria a conversare tranquillamente con un vecchio amico. «Quel tuo nuovo gingillino mostra come tu sia chiaramente peggiorato anche in fatto di gusti, comunque. Cosa mai potrebbe darti un vampiro di neanche un secolo di vita? È un peso che io, onestamente, non mi sarei mai accollato. Tutta quell'energia snervante dei giovani immortali farebbe venire il mal di testa a chiunque abbia più di duecento anni, parola mia! Come fai a stare al passo coi suoi appetiti voraci, dimmi?»
«Io non sono come te» replicò a tono Dario. «E Max è una persona meravigliosa. Ha reso la mia esistenza splendida e continuerà a farlo. Uno come te non può capire certe cose. Riesco a soddisfarlo pienamente e lui mi ama tanto da esser capace di tener a freno quelli che tu definisci "appetiti voraci".»
Arwin alzò gli occhi al cielo, come se non fosse la prima volta che sentiva quella cantilena. «Dammi retta, prima o poi ti ricrederai e allora ti ritroverai col cuore spezzato, a piangere come la ragazzina sentimentale che sei sempre stato. Accadde con Dracomir, perché mai dovrebbe esser diverso con quel signor nessuno?»
«Non sono affari che ti riguardano e comunque, Arwin, ti sbagli di grosso. Non giudicare qualcuno che neppure conosci. Max e Dracomir sono persone del tutto differenti e il ragazzo che amo non mi ha abbandonato nel momento di maggior bisogno. Mi è rimasto accanto e mi ha aiutato quando ormai pensavo non avessi più un briciolo di speranza. È un autentico angelo, perciò sciacquati la bocca con l'acido prima di denigrarlo a questa maniera.»
Reger sbuffò annoiato mentre studiava con attenzione le proprie unghie ben curate. «Che tu ci creda o no, ti sto dando un sincero consiglio, in quanto tuo Creatore. Quello là è troppo immaturo per uno come te, così serio e poco propenso al gioco. Ti sei preso un cucciolo quando avresti dovuto optare per un cane già bello che cresciuto. Errore da principiante, se posso permettermi.»
«Puoi anche tenere per te i tuoi consigli, grazie tante.»
«Così testardo e cieco...!» Il biondo alzò gli occhi al cielo. «Non riesci a vedere un bel niente neppure quando ce l'hai sotto il naso. Ho visto una sola volta quella tua sottospecie di fidanzato e mi è bastata per trarre le dovute conclusioni: non hai bisogno di lui ed è solo un peso che prima o poi ti trascinerà a fondo, se non saprai recidere la corda al momento opportuno. Non sei uno che si accontenta di un ragazzo di campagna, Dario, siamo seri! Jacopo, Dracomir, Gareth, Carmilla e tanti altri illustri soggetti degni di nota e poi chi arriva? Un marmocchio che è stato al massimo capace di donarti in segno d'amore quel misero anello che porti al dito. Tu che stravedi per i diamanti costosi! Ma per favore!»
«Che fai, Arwin, mi spii nel tuo tempo libero?» lo canzonò Dario minaccioso.
«Nient'affatto. Diciamo solo che la tua frivolezza è ben risaputa in giro.»
L'altro immortale storse le labbra. «Beh, sappi che da quando l'ho visto tenerti testa e trattarti come meriti, mi sono innamorato più che mai di Max. È stato addirittura troppo gentile. Al suo posto ti avrei fatto saltare i bulbi oculari dal cranio a furia di serrarti le dita attorno alla gola.» Quando Reger, una sera, si era presentato alla porta del loro appartamento, Maximilian aveva mostrato inquietudine solamente per pochi secondi prima di rifiutarsi categoricamente di far accedere alla loro dimora l'ultimo individuo che si sarebbe mai sognato di far avvicinare a se stesso e a Dario. Certo, per il resto di quella nottata erano rimasti barricati là dentro e all'erta, pronti al peggio, ma non appena era giunta l'alba si erano rasserenati e avevano deciso di andare finalmente a riposare. La paura era stata molta, ma erano rimasti uniti e avevano fatto fronte comune in una situazione in cui perdere la calma o farsi domare dal timore, addirittura mostrarsi troppo ingenui e consentire l'accesso alla loro casa ad Arwin, sarebbe potuto risultare fatale.
Dario non aveva la più pallida idea del motivo per cui Arwin, quella notte, avesse fatto visita a lui e a Max, e sinceramente non gli andava neppure di scoprirlo. Era solamente grato di aver avuto il fidanzato accanto, perché altrimenti dubitava che sarebbe riuscito a superare quelle ore di angoscia.
«Perché ti sei arreso?» chiese infine a bruciapelo, non volendo più discutere dei propri affari né rimanere là dentro un secondo di più. Odiava quella prigione e trovarsi in uno di quegli angusti cubicoli minacciava sempre di condurlo a una crisi di panico o, peggio ancora, a innescare la sua peggiore paura, ovvero quella dei luoghi ristretti e soffocanti. Incappare in uno stato di fragilità simile con Arwin nei paraggi sarebbe stato come gettarsi tra le fauci del mostro.
Reger batté le palpebre con aria di innocente stupore, ma mentiva. Dario sapeva che stava mentendo. «Prego?»
«Andiamo, non fare il finto tonto. Come se non ti conoscessi, poi!» sbottò a bassa voce il vampiro più giovane, avvicinandosi solo di due passi al proprio Creatore. «Ero in svantaggio e poi d'un tratto ecco che ho avuto la meglio su di te, nemmeno fosse intervenuta qualche entità superiore scesa direttamente dal cielo! La tua è stata una finta, Arwin.»
«Suvvia! Hai semplicemente superato il sottoscritto. Al tuo posto mi vanterei» rilanciò Reger.
«Le vanterie sono per gli sciocchi e per le puttane» tagliò corto il moro, gli occhi ridotti a fessura.
«Appunto» ghignò Arwin. «Vedo che per una volta viaggiamo sulla stessa lunghezza d'onda. È un miglioramento!»
Dario agì d'impeto e gli mollò un manrovescio. «Rispondi!» tuonò, perdendo la calma. «Dimmi che cos'hai in mente!»
«Non mi sono arreso» insisté il prigioniero. «Non è colpa mia se hai sempre avuto così poca stima di te stesso, sai? Mi incolpi per aver minato la tua psiche, per averti tormentato e mille altre lagne da bambino capriccioso, ma la verità è che eri un autentico zerbino umano da prima che io bussassi alla porta del tuo amato pittore. Lo sai, ma non lo vuoi ammettere.»
«Falla finita con queste stronzate da psicologo mancato! Non provocarmi!»
«Eppure sai che ho ragione e non ti disturbi a negare.»
«Parla, avanti! Voglio una risposta!»
«E io te ne ho data una.» Arwin intercettò il braccio dell'altro immortale prima che potesse colpirlo di nuovo e serrò le dita della mano attorno al suo pugno. «Se te lo sei chiesto, la risposta è sì: sono stato io a organizzare l'imboscata che avrebbe dovuto spedirti nell'Aldilà per sempre. Te lo ricordi il povero, vecchio Wade Thorne? Beh, quella era opera mia e anche se mi ha fatto immensamente piacere veder crepare il tuo amico del cuore, non nascondo di esser rimasto deluso quando ho saputo che eri ancora vivo! Era la volta buona per liberarmi di te per sempre, ma si sa: non si può avere sempre tutto.»
Dario non arretrò né batté ciglio. Non lo fece neanche quando iniziò ad avvertire un dolore formicolante alle articolazioni della mano che avevano iniziato a scricchiolare nella ferrea presa di Reger. «Per caso c'entrava qualcosa anche André Langford? Dimmi la verità!»
«Mai sentito quel nome prima d'ora. Non so di chi stai parlando.»
«Sciocchezze» ringhiò il moro, ritraendo di scatto il braccio e facendo qualche passo indietro. «Comunque stiano le cose, d'ora in avanti non avrai più la possibilità di avvicinarti a lui e metterlo su una pessima strada. Non farai a lui quello che facesti a Richard o a chiunque altro abbia avuto la sfortuna di incontrarti!»
Arwin gli rise di cuore in faccia. «Oh oh! Stiamo ancora rosicchiando quell'osso, eh?»
«Finiscila! Non c'è niente da ridere!»
«E chi te lo dice?» replicò criptico Reger. «Ti faccio ancora presente che il tuo lavoro da cagnolino di Atlas non è terminato: mio fratello è ancora là fuori, sai? È in libertà e prima o poi verrà a risapere della mia cattura.»
«Se ne parli così alla leggera ho i miei dubbi in merito al suo reale coinvolgimento. Ti odia quanto ti odio io, dopotutto. Dubito si esporrebbe fino a tal punto per te.»
«Tu dici? Resto pur sempre suo fratello, nel caso l'avessi dimenticato. Siamo gemelli e che piaccia o meno a entrambi, siamo legati a filo doppio dalla sorte.»
«Non si alleerebbe mai con te. Smettila di prendermi in giro!» Dario mosse una mano come a voler scacciare la questione. Arwin gli stava solo facendo perdere tempo, era chiaro, eppure non sapeva se esser convinto riguardo all'attuale posizione di Askan in merito alle malefatte dell'altro Reger oppure prestar l'orecchio al sottile dubbio da tempo infilatoglisi nella mente come un tarlo. Arwin era noto per saper manipolare il prossimo a regola d'arte, questo era vero, ma poteva pur sempre star dicendo la verità, consapevole che lui mai gli avrebbe creduto. Che stesse giocando con lui a bella posta per confondergli le idee, come se già non fossero abbastanza alla deriva da sole?
Diamine, c'era da diventar matti!
Respirò profondamente. «Sai cosa? Ormai è finita. Atlas ti farà giustiziare e tutto terminerà con te. Torneremo alla normalità in men che non si dica e tu, molto presto, non rimarrai che un brutto ricordo per tutti quanti.»
«Non sarò di certo io a privarti delle tue rosee illusioni» cinguettò Arwin in tono fintamente amorevole. «Sogna pure, mi hijo. Sogna finché non sarai costretto a risvegliarti in una realtà grigia e oscura.»
«Sta' pur sicuro». sibilò in risposta Dario, «che Atlas ti farà sputare la verità a suon di torture e forse io sarò lì a godermi lo spettacolo! Avrei giusto bisogno di farmi quattro belle risate!»
Reger sorrise ancora e sospirò con teatralità, sbattendo le ciglia. «Ah! Sei proprio sangue del mio sangue! Poco importa quanto tu voglia discostarti dal sottoscritto. Quella piccola fiamma di perfido sadismo che arde da qualche parte dietro ai tuoi occhi l'hai presa decisamente da me!»
«Non farmi vomitare. Non ho nulla da spartire con un rettile come te e non mi diverte affatto bistrattare il prossimo. A parte te, si intende.» Il vampiro più giovane gettò la spugna, conscio che non avrebbe ottenuto niente, e si fece aprire la porta dalle guardie. Non appena fu sul punto di uscire, Arwin lo richiamò e lui si volse per guardarlo. «Che altro vuoi, adesso?»
«Oh, nulla, davvero. Volevo solamente suggerirti di indossare più spesso questo bel colore cremisi. Si intona molto coi tuoi occhi iniettati di sangue, Oscuro Carnefice.»
Dario fu sul punto di tornare indietro e solo per far scempio della sua faccia, ma di nuovo ingoiò quel boccone davvero difficile da digerire e replicò, rauco: «¡Adiós, desgraciado hijo de puta!»
Uscì e disse alle guardie che potevano pure chiudere la porta. Non aveva ottenuto le risposte che cercava, purtroppo, e forse aveva ottenuto altre domande con cui arrovellarsi fino alla fine dei tempi. Avrebbe voluto chiedere ad Arwin di Atlas, di come e quando fosse stato trasformato, del rapporto fra i due, ma avrebbe solo fatto una domanda che più volte aveva ottenuto in risposta tutto, fuorché la verità. Ci aveva già provato, all'inizio di tutto, a conoscere i retroscena sul conto di Arwin. Ci aveva provato per avere un motivo, uno soltanto, con il quale giustificare le maniere brutali e perverse di colui che lo aveva trasformato in una creatura della notte, ma poi si era reso conto che fosse inutile voler vedere del buono, persino l'antico spettro di una vittima mutata in carnefice, in qualcuno che aveva per sempre rinunciato alla propria umanità.
Non era servito a niente arrestare Arwin e sentiva di aver preso, per l'ennesima volta, la decisione sbagliata.
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