𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐗. 𝐋𝐚 𝐩𝐢𝐫𝐚 𝐟𝐮𝐧𝐞𝐫𝐚𝐫𝐢𝐚
ATTENZIONE
Per leggere questo capitolo è necessario aver prima letto "Tredici Rose" e "Necromantia Averni", perché nel secondo "libro" è contenuta la scena e il contesto in cui essa si svolge, seppur da un punto di vista diverso e meno approfondito.
~ 𝟐𝟎𝟑𝟎 ~
Allontanò il cellulare dall'orecchio e per qualche istante rimase a fissarne lo schermo con aria perplessa e non poco preoccupata: per l'ennesima volta aveva cercato di chiamare Askan e di nuovo la chiamata non aveva conseguito l'effetto sperato. Reger, perlomeno quello che era dalla parte della Resistenza anziché uno psicopatico a tutto tondo, sembrava avere il cellulare spento o staccato da ormai fin troppo tempo e lui iniziava seriamente a pensare al peggio. Non che il vampiro in questione fosse mai stato chissà quanto affezionato alla tecnologia – in realtà la detestava proprio – ma quell'assenza aveva un sapore diverso. Qualcosa non andava, ne era sicuro. Aveva un talento naturale nel subodorare all'istante certe cose e in una situazione del genere non occorreva essere degli indovini per capire che Askan fosse probabilmente in qualche pasticcio.
Avrebbe potuto parlarne con Dario, certo, ma temeva la sua risposta o di allarmarlo in un momento in cui non era saggio fare una cosa simile. Tacere, tuttavia, sarebbe stato altrettanto sbagliato e controproducente per una miriade di motivi, fra i quali il mentire in sé per sé. Aveva già commesso quell'errore in precedenza e Dario era bravo come pochi altri a percepire la menzogna nelle parole del prossimo. Pareva quasi dotato di una sorta di radar biologico che lo allertava dell'imminente arrivo di una panzana, non era solo una questione di abitudine relativa al lavoro che aveva svolto per tanto tempo nel corpo della Polizia regia dei non-morti. A quell'uomo era impossibile o quasi mentire e quando ci si riusciva, invece, lo si faceva a proprio rischio e pericolo. Se c'era una cosa che a Dario non piaceva era che gli si mentisse spudoratamente guardandolo dritto negli occhi e senza una ragione abbastanza valida da giustificare una menzogna, grande o piccola che fosse.
Era decisamente meglio dirgli come stavano le cose e sperare che non si mettesse in testa idee balorde e sconsiderate come, tanto per fare un esempio, scegliere di occuparsi lui stesso del problema. Il timore di Max era che quell'uomo persino sul letto di morte sarebbe stato talmente testardo e incurante di se stesso da strisciare fuori dal letto e almeno tentare di fare qualcosa pur di non rimanere con le mani in mano. Wildbrook si era domandato spesso se Dario non soffrisse di una sorta di complesso dell'eroe potenziato e portato al massimo dell'auto-distruzione e abnegazione. Dario era in poche parole incapace di rimanere semplicemente a guardare in panchina e permettere agli altri, che fosse anche solo per una volta, di imparare a cavarsela da soli senza che lui come al solito si occupasse di ripulire il casino. Grace, proprio per quell'aspetto del suo carattere che negli ultimi anni era emerso con prepotenza, specialmente da quando Leda se n'era andata per sempre, lo aveva soprannominato sia con affetto che con una sfumatura critica "Papà Chioccia". Un ossimoro, certo, ma diamine se calzava a pennello a quel testardo vampiro.
Gli dirò che penserò io a dirlo a qualcuno della Resistenza. Così magari non si agiterà e non si comporterà da incosciente come al solito.
Si fece coraggio e si diresse nuovamente verso le stanze del Principe della Notte, ma non appena fu a poca distanza da esse arrestò il passo. In parte ancora ribolliva di rabbia per la recente e accesa discussione, pur sapendo di aver esasperato un argomento sul quale era inutile star a recriminare.
Rinfacciare a quell'uomo ogni sbaglio compiuto da tutti e due non avrebbe fatto riavvolgere il tempo né li avrebbe fatti tornare a essere una coppia, poco ma sicuro. La sola cosa che quel viaggio nel viale dei tristi ricordi poteva ottenere era di distruggere quel minimo di rapporto interpersonale che erano riusciti a estrarre dalle macerie della separazione, per quanto malconcio e forse in fin di vita proprio come lo stesso Dario.
E pensare, però, che quando lo aveva rivisto dopo anni in cui si erano ignorati a vicenda... per un istante aveva sperato di essere stato mandato a chiamare in vista di un miracolo, di un riavvicinamento del tutto imprevisto e scaturito da una sorte benevola. Gli ci era voluto davvero poco, purtroppo, per tornare coi piedi per terra quando, varcando la soglia della sala del trono, lo aveva visto affiancato dalla consorte amata praticamente da tutti e odiata da lui, Max. All'epoca il Regno della Notte era passato nelle mani di Dario solamente da pochi mesi e nessuno si sarebbe immaginato che il suo periodo di reggenza durato tredici anni sarebbe stato battezzato dall'orribile scomparsa e morte certa di Andrew, il ragazzo che lo stesso Maximilian era stato incaricato di proteggere e sorvegliare.
Consapevole di cosa fosse realmente Hanging Creek, ossia un territorio tutto fuorché neutrale per i Sovrannaturali, un terreno che per anni il sangue di innocenti aveva abbeverato per opera di Arwin Reger, Dario si era visto costretto a prendere delle precauzioni e aveva scelto di affidare quel compito tanto delicato quanto in parte personale a lui, fra tanti altri che avrebbe potuto scegliere. Non solo perché ne valeva dell'incolumità di un ragazzo innocente e ignaro di cosa Arwin avrebbe potuto fare a un Collins, nonché un Thorne, che si trovava alla sua portata e lontano da chi avrebbe potuto proteggerlo adeguatamente, ma anche perché era una questione talmente delicata e riservata da poter essere affidata solo a individui fidati.
Quella volta Max, all'inizio, era rimasto di sasso, specie nell'esser stato convocato di punto in bianco e in via per nulla informale.
Il ricordo di Wade e anche del povero Markus Thorne, ovvero il padre di Andrew, lo aveva spinto ad accettare il compito, pur non ritenendosi all'altezza di esso. La paura di vedere quel ragazzo fare la fine del nonno e del padre gli aveva dato coraggio e aveva riacceso in lui la scintilla della determinazione, ancor di più nel rendersi conto che Dario avesse scelto di tornare a riporre in lui un minimo di fiducia.
Mai avrebbe potuto immaginare il finale di quella faccenda né che la tragedia avrebbe deciso di colpire anche uno degli ultimi discendenti dei Thorne e dei Collins; mai avrebbe potuto figurarsi che l'allora diciottenne Alexander Woomingan sarebbe poi tornato dal bosco trafelato e pallido in volto per avvertire le autorità e convincerle a prestare soccorso al suo coetaneo scomparso.
Nessuno gli aveva creduto, come c'era stato da aspettarsi. Max ricordava ancora meglio l'angoscia di Daniel e Christian, i quali a un certo punto avevano scelto di abbandonare la città per il bene del ragazzo ancora non del tutto ripresosi dallo shock. Pur di tentare di farlo tornare alla normalità e fargli superare il trauma, dunque, avevano abbandonato tutti e tre l'Oregon e si erano spostati in California, a Los Angeles.
Da quel che si era potuto vedere, tuttavia, le cose erano solo peggiorate, finché non erano culminate nei fatti perpetratisi mesi addietro.
Dopo aver rischiato di perdere Jake e averlo visto tornare profondamente cambiato e non del tutto pronto a essere il padre della piccola Vera, nata durante la sua assenza e a sua insaputa, e dopo tutto quello che era avvenuto in seguito alla scomparsa di James Peterson o, meglio ancora, Wolf... era successo l'impensabile, ciò che nel profondo per anni Maximilian aveva temuto, persino nei momenti in cui si era convinto di aver dimenticato Dario, di non amarlo più o addirittura di odiarlo. Era accaduto spesso che, gran parte delle volte in cui negli ultimi mesi aveva tentato di approcciarlo per parlargli, gli avessero riferito che il Principe della Notte fosse sempre stato troppo impegnato altrove o comunque irreperibile per ignote ragioni, e Max ogni volta si era detto che quelle non fossero altro che scuse mirate al non voler avere a che fare con lui di persona. Si era convinto che Dario, semplicemente, non volesse vederlo né stare ad ascoltarlo, e ciò aveva causato nel suo animo un turbine di emozioni contrastanti.
Quelle emozioni, però, erano state messe a tacere e si erano unite in pura angoscia non appena tutto era crollato.
Alla fine uno dei suoi incubi peggiori si era realizzato e non c'era stato niente che lui avesse potuto fare per evitare la disgrazia. Aveva visto per anni Dario resistere ad ogni tempesta che la collera divina gli aveva lanciato contro; lo aveva osservato restare saldo nonostante le avversità e sfidare la tradizione in virtù del progresso, di nuove prospettive, poi ecco che un Ghoul aveva vanificato tutto quanto. Due semplici e venefici morsi avevano concretizzato la caduta che Max in passato tante volte, ahilui, aveva profetizzato. Diamine, troppe erano state le volte in cui aveva ripetuto a quell'uomo che a lungo andare sarebbe andato a finire molto male e non appena era venuto a sapere dell'attuale stato di salute dell'ex-fidanzato, si era odiato a morte e convinto che a furia di chiamare la sfortuna quest'ultima avesse deciso di colpire e punirlo per aver detto tante, troppe cose di cui poi, negli anni, si era pentito.
Se si trovava lì era solo grazie a Grace e alla sua testardaggine, e ancora grazie a Virginia che lo aveva implorato di non abbandonare proprio in un momento del genere l'uomo col quale, nel bene e nel male, aveva trascorso undici anni di esistenza immortale. Undici anni volati via con la stessa velocità di un battito del cuore.
Anche se le cose tra loro non erano più tornate a posto dopo la separazione, non voleva che Rio morisse, perché nel profondo sapeva bene che la perdita sarebbe stata grande e dolorosa, definitiva, priva di un finale aperto che magari, col tempo, avrebbe portato con sé una sorpresa finale.
Volente o meno, gli aveva cambiato la vita, aveva cambiato il suo modo di guardare il mondo e la realtà; al fianco di Rio era maturato come vampiro e anche come uomo, una cosa che dal momento in cui era diventato immortale mai era riuscito a fare prima della sera in cui era giunto uno sconosciuto dai lunghi capelli e con uno sfacciato completo rosa pastello ad aprirgli sul serio gli occhi, a dargli la spinta di cui aveva bisogno per trovare un valido motivo per rinnovare se stesso e pretendere di più dalla vita.
Per molto tempo aveva dato la colpa a Dario e al suo improvviso allontanamento, ma in realtà, se proprio doveva puntare il dito contro qualcuno, non doveva far altro che guardarsi allo specchio e indicare il proprio riflesso. In fin dei conti era stato lui l'artefice dei sentimenti che prima lo avevano elevato e fatto sentire quasi un dio e poi, con l'abbandono di Dario, si erano tramutati in una maledizione e in un tormento. Lui aveva insistito; lui era andato a cercare Dario e non si era arreso di fronte ai suoi caparbi tentativi di allontanarlo, di scoraggiare la sua infatuazione. Lui lo aveva convinto a dargli una possibilità con la stessa testardaggine di un bambino petulante. Era stato lui a desiderare di essere amato da quell'uomo, a pretendere il suo cuore, non il contrario. Dario non aveva mai preteso niente da parte sua né chiesto alcunché, se non trasparenza e sincerità, lealtà, un motivo valido per fidarsi e non pentirsi della possibilità che gli aveva concesso, malgrado le prime rimostranze.
Era stato lui, Max, a tradire la sua fiducia, ad andare contro la promessa che non molto tempo prima del tradimento gli aveva fatto: di stargli accanto in quel periodo difficile, che ne sarebbero usciti insieme, più uniti che mai. Entrambi avevano creduto a tale giuramento, ma tutto si era infranto come vetro quando Dario aveva aperto la porta di quella camera da letto e lo aveva visto tra le braccia di un altro vampiro il cui nome ormai si era perso nell'oblio del tempo, così come il viso o qualunque altro particolare avesse indotto Max, all'epoca, a scavarsi da solo la fossa.
Quella sera aveva portato a casa con sé un conoscente qualsiasi, uno dei tanti; avevano bevuto e c'era stato un vergognoso, volgare e licenzioso corteggiamento di massimo un quarto d'ora, poi era stato proprio Maximilian a far alzare il tipo e a trascinare il tizio in camera da letto.
Quella notte aveva ceduto alla rabbia e alla frustrazione, snervato dopo l'ennesima partenza del fidanzato che, secondo la sua visione, aveva preferito tagliarlo fuori come al solito; si era convinto che in realtà lo avesse sempre considerato inferiore e più debole, inadatto a certi compiti rischiosi e all'azione in generale, anche se probabilmente non era affatto vero e a parlare era stato il senso di inadeguatezza germogliato in lui come erbaccia durante gli ultimi anni della loro relazione.
Era stato orribile separarsi dal bacio infuocato che si era scambiato con quel tipo e voltarsi, spinto dalla sensazione di essere osservato; ricordava che il suo cervello aveva smesso di funzionare quando aveva scorto il fidanzato sulla soglia, immobile e pressoché privo di espressione, svuotato di qualunque emozione e al tempo stesso scioccato, seppur affatto sorpreso, come se in fin dei conti se lo fosse sempre aspettato e Max semplicemente avesse confermato le sue peggiori paure.
In quel momento Wildbrook aveva ricordato ciò che Dario anni prima gli aveva chiesto: di non farlo pentire della fiducia che gli era stata concessa né dell'essersi aperto con lui. Gli aveva solo chiesto di essere onesto nei sentimenti e nelle azioni, di fargli cambiare idea sul mondo e riguardo all'amore, soprattutto. Max, quella sera, gli aveva tuttavia sbattuto in faccia il resoconto finale, la risposta che aveva posto fine una volta per tutte al quesito rimasto sospeso per tanto tempo.
Dei molti sbagli compiuti con Dario, quello era stato il peggiore, certo, ma non quanto l'aver sparato fuori la giustificazione più stupida e balorda che avesse mai propinato a qualcuno: ‟Scusa, io... io non credevo saresti tornato così presto! Hai detto che avevi ancora un bel po' da fare!". In tanti anni non era mai riuscito a comprendere cosa lo avesse spinto a pronunciare una simile, ignobile fesseria. Più ci ripensava e più si convinceva di aver rovinato tutto da solo, senza l'aiuto di chicchessia e il peggio era che quel tradimento fosse stato compiuto con la chiara volontà di ferire Dario.Ricordava in quegli attimi di pura mancanza di ragione di aver voluto agire per semplice ripicca, per infantile vendetta, perché all'epoca era un emerito stronzo travestito da agnello e forse non era poi cambiato più di tanto, se ancora continuava a farlo soffrire come aveva visto poco fa.
Lo torturava con questioni in sospeso che di certo non potevano essere risolte nel giro di qualche ora o qualche giorno. Il futuro non era più incerto, aveva una scadenza precisa e come un bambino viziato stava rendendo l'agonia di Dario un reale inferno. Forse Grace e Virginia si erano sbagliate a scegliere proprio lui per stargli accanto. Probabilmente anche il povero e compianto Wade Thorne si era sbagliato fino all'ultimo sul suo conto.
Si convinse ad aprire le porte, ma rimase dov'era e fissò con aria comicamente stralunata il Principe della Notte che si era rivestito ed era intento a cercare di allacciare gli ultimi bottoni della camicia scura che aveva tratto fuori probabilmente dal proprio guardaroba. «Ma che...», Max scosse la testa ed entrò. «Dove diavolo pensi di andare, di' un po'?»
L'altro vampiro sollevò brevemente gli occhi scuri in sua direzione, poi tornò a guardare altrove. «Non mi seccare» ribatté laconico, la voce terribilmente flebile, affaticata e velata di risentimento. «Non ho intenzione di restare qui un minuto di più e non puoi impedirmi di uscire da questa stanza.» La cosa peggiore era che fosse maledettamente, chiaramente lucido. Magari i secoli alle sue spalle gli davano un margine di vantaggio sul veleno di Ghoul che continuava a propagarsi nel suo corpo e forse il suo organismo stava ancora ingaggiando una strenua, quanto inutile, lotta contro le mortali tossine.
Max sbuffò e imprecò sottovoce, poi esclamò: «Diamine! Sei proprio uno stronzo fortunato! Stai per crepare e hai ancora la forza di fare i capricci! Scommetto che non sarebbe capace di fermarti neanche Lucifero in persona!»
«Probabilmente sarebbe d'accordo con me, se ora fosse qui!» sbottò Dario, rifilandogli una delle sue temibili e inconfondibili occhiate che negli ultimi anni poche volte erano state rivolte al prossimo. Con Wildbrook, però, quella era sì e no divenuta una specie di abitudine.
Il vampiro più giovane roteò gli occhi. «E sentiamo, Signor Sono-Troppo-In-Alto-Per-Morire-Tranquillo-Come-Tutti, dove vorresti andare?»
Dario terminò di abbottonarsi l'indumento e fece per muovere qualche passo, ma barcollò in maniera evidente e fu costretto ad appoggiarsi a una delle maestose e bianche colonne che sorreggevano il soffitto a volta. «Non ti riguarda» replicò secco. «Sto morendo, ma intendo farlo a modo mio e rendendomi almeno utile.»
Maximilian alzò gli occhi al cielo, rifacendogli il verso in silenzio, e poi lo raggiunse, deciso a non permettergli di andarsene in giro con il rischio che potesse capitolare nel posto sbagliato al momento sbagliato. A Obyria si stava celebrando un matrimonio e lui davvero pensava che avrebbe offerto a Skyler e agli altri un bello spettacolo presentandosi con quella chiara aria da moribondo? Sinceramente non sapeva se quell'uomo stesse cercando di prendere in giro lui o se stesso. «Non credo che la tua misteriosa meta possa essere più importante di ciò che stai attraversando in questo preciso momento» lo rimbeccò risoluto. «Santo Dio! Non riesci neppure a stare in piedi. Guardati, Dario!»
Il Principe della Notte si scostò con veemenza non appena l'altro non-morto cercò di posargli una mano sulla spalla. «Meglio che stare qui ad ascoltarti mentre mi incolpi di ogni singola cosa successa in passato» rispose rancoroso. «Se devo aspettare la fine, allora vorrei almeno andarle incontro come più mi aggrada!» Scosse la testa e serrò le palpebre. «Tu... tu non capisci. Qualcosa non va, Max! Me lo sento nelle ossa, perciò smettila di guardarmi in quel modo!» cercò di spiegare mentre, costretto dall'affaticamento, tornava a sedersi sul letto e si sfiorava il torace. Gli pareva quasi di percepire il veleno propagarsi dentro di lui, infilarsi in ogni sua cellula, avvelenargli le vene, i muscoli, ogni singolo tessuto possibile e immaginabile. Lo sentiva mentre, un po' alla volta, risaliva le arterie e poco a poco riversava dentro il suo cuore dosi sempre più letali di tossine. Sapeva che era quasi finita, proprio come sapeva che nel Regno delle Streghe stava accadendo qualcosa di strano, se non tremendo.
Aveva un presentimento che non riusciva a togliersi di dosso né ad ignorare. Ci aveva provato, ma niente, e ormai aveva imparato ad ascoltare l'istinto. Non poteva star lì senza muovere un dito, senza neppure provare ad assicurarsi che le sue paure fossero infondate e di star semplicemente perdendo lucidità.
Max sospirò. «Qualunque cosa ti stia preoccupando così tanto, ci sono gli altri a tenere sotto controllo la situazione.» Gli si avvicinò di nuovo e gli impedì di alzarsi. «Non puoi farcela, non in queste condizioni. Per una volta nella tua vita, Dario, dammi retta e resta qui. Non fare anche questo a te stesso, ti prego.»
«Non hai il diritto di dirmi cosa posso fare o meno, va bene? Non più!»
L'infermiere cercò di restare calmo. Aveva sempre poco tollerato la caparbietà di Dario, ma al momento gli avrebbe volentieri rifilato un bel ceffone. Possibile non volesse capire che stava agendo solo per il suo bene?
Quando lo vide far per alzarsi una seconda volta, di nuovo riuscì a fermarlo in tempo e si vide infine costretto a tenerlo bloccato. A furia di chinarsi e, nel frattempo, di opporre resistenza ai tentativi dell'altro di spingerlo via, però, ottenne il risultato di ricadergli praticamente addosso.
Maledisse il fiato che gli venne di colpo a mancare nell'averlo vicino e per giunta in una posizione così intima e sensuale dopo tanti anni. Era senza dubbio una situazione fuorviante e spinosa, una di quelle che avrebbe rimpianto alla stessa maniera in cui rimpiangeva molto, molto altro ancora.
Deglutì a vuoto, per nulla rassicurato dall'occhiata obliqua e scontenta che Dario gli scoccò. Si ritrovò a esser stupito nel non essersi ancora tramutato in pietra o in una statua di ghiaccio davanti a tanto gelo.
Quel che era sicuro, era che l'agitarsi di Rio nel tentativo di sgusciare via dalla sua presa non migliorava nulla. «Allontanati subito, Max, non te lo ripeterò!»
Max non demorse e continuò a tener fermi i polsi del vampiro bruno sulle lenzuola, proprio come aveva fatto la seconda notte in cui avevano giaciuto insieme, tanti anni prima, ma al momento il suo unico intento era di fargli risparmiare quel po' di vita che ancora vedeva danzargli dietro agli occhi. Voleva salvarlo dalla sua stessa testardaggine, niente di più.
Quando sono venuto a sapere che eri stato scelto tu per succedere ad Atlas, sarei dovuto correre qui e convincerti a rinunciare a tutto quanto, anche a costo di caricarti in spalla e rapirti. Avrei dovuto salvarti, invece non ho fatto niente.
Gli faceva male vedere nei suoi occhi una tale dose di belligeranza e di astio malcelato quando c'era stato un tempo in cui quelle iridi scure lo avevano guardato con rispetto e amore sinceri, con un calore che persino al sole sarebbe stato estraneo. Quanto aveva amato quegli occhi e quanto ancora li amava. Li amava, proprio come amava il loro possessore. Negarlo sarebbe stato da sciocchi ed era stanco di mentire a se stesso, di far finta che ormai fosse acqua passata.
Gli faceva male che non si fossero almeno lasciati in rapporti civili o, con un po' di fortuna e di pazienza, amichevoli. Faceva male guardarsi indietro e desiderare disperatamente di aver compiuto scelte diverse, di non esser stato un tale idiota da mandare tutto alle ortiche.
Lo trattenne con maggiore determinazione, conscio di essere per una volta nel giusto. «Non puoi darmi ordini, non adesso. Sai meglio di me che quando siamo da soli non conta ciò che siamo là fuori. La tua è sempre stata una recita, Dario, e lo sai benissimo. Lo sai e so anche che non sono il solo ad avere tanti, troppi rimpianti. Dimmi se ho torto, avanti. Dimmelo e fallo guardandomi dritto negli occhi.» Era consapevole di essere un gran masochista, ma aveva bisogno di sentirsi dire la verità, solo per una volta. Aveva bisogno che Dario, dopo tutti quegli anni, per un solo secondo fosse sincero con lui. Voleva la verità prima dell'arrivo dell'estremo attimo, quello in cui tutto sarebbe cambiato e il mondo, il suo mondo, avrebbe perso molta, troppa luce. «Non fare così, ti prego.»
«Mi stai facendo male!» protestò Dario, ignorando il resto del discorso appena udito.
Forse era vero e la stretta di Wildbrook era troppo ferrea, forse invece quello non era che un banale tentativo per allontanarlo.
Max restrinse lo sguardo. «Hai parlato anche troppo, oggi!» Agì d'impulso e fece per accostare le proprie labbra alle sue, ma a quel punto il Principe riuscì a liberare una mano e a posarla sul torace dell'altro non-morto, così da fermarlo e tenerlo a distanza. «No! Non farlo!» esclamò in pieno panico.
Il biondo per un secondo lo fissò inebetito, poi si sentì gelare e qualcosa in lui andò in pezzi nel vedere un puro e autentico guizzo di terrore negli occhi dell'uomo che ancora popolava i suoi sogni più rosei e, talvolta, per nulla casti.
Davvero ti spavento? Davvero ormai hai così poca stima di me?
La sua espressione dovette parlare al suo posto, perché Dario, pur con reticenza, gli spiegò: «Il veleno di Ghoul non si diffonde solo nel sangue. Sai cosa intendo e sai che le tossine ti stroncherebbero nel giro di pochissimo tempo». Lo allontanò un altro po' da sé. «E comunque non puoi venire qui e fare a Jake quello che facesti a me. Rispetto quell'uomo come rispetto poche altre persone, è fra i miei amici più cari e non rinuncerò alla sua fiducia solo per dar retta a certi bassi istinti. Sono meglio di così.» Gli aveva fatto appena intendere, in breve, che anche un bacio avrebbe potuto trasferire il veleno di Ghoul nel corpo di un altro vampiro, proprio come accadeva con altre malattie mortali che tormentavano gli umani, ma... quella era una questione di principi morali ed etici, non solo di salute: Max era fidanzato con Jake, adesso, e si era trovato a un passo dal tradire quell'uomo e ripetere gli errori che gli erano già costati fin troppo, in passato. Da ciò si poteva dedurre quali fossero i pensieri di Rio a riguardo e quanti significati nascosti vi fossero dietro alle azioni di Maximilian.
L'infermiere deglutì, avvolto nelle spire di una cocente vergogna nei confronti di se stesso. «M-Mi dispiace. Non so cosa mi sia preso» biascicò, davvero costernato. Un breve attimo di cedimento e aveva di nuovo peggiorato la situazione. «Scusami.»
Dario si massaggiò i polsi mentre lo scrutava dall'alto in basso con durezza e con un velo di severa disapprovazione nello sguardo. «Il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Mi sembra chiaro.»
«So di aver sbagliato, ma non c'è bisogno di farmi sentire un cane fino in fondo!» Non ottenendo risposta, Max si passò una mano sul viso e aggiunse: «Mi sembra di avertelo già detto: una sola parola e tornerei da te! Cos'altro ti serve per capire la verità? Perché non vuoi ammettere che qualcosa fra noi c'è ancora? Se davvero provassi indifferenza nei miei riguardi, allora avresti agito spesso in maniera molto differente.» Sussultò e si volse di scatto non appena lo udì venire assalito da un altro attacco di intensa tosse assai più violento dei precedenti. Si sentì mancare nello scorgere le lenzuola macchiarsi di gocce scarlatte, spie del sangue che filtrava attraverso le dita del Principe della Notte mentre questi, invano, tentava di contenere le convulsioni.
Buon Dio, stava peggiorando a vista d'occhio. Ormai era in piena caduta libera.
«Dario?» Gli batté una mano sulla schiena nel vano tentativo di fargli riprender fiato, di liberargli le vie aree da ciò che le ostruiva. Lo sentiva tremare e non solo per l'affaticamento, ma forse anche per un accesso di paura involontaria e primordiale: la paura della morte, quel terrore orribilmente speciale che solo coloro che ne percepivano il gelido fiato sul collo riuscivano ad avvertire nell'animo.
Non sapendo proprio cosa fare, non quando era lì non solo in vesti di infermiere, ma anche di amico ed ex-fidanzato, si alzò con la chiara intenzione di cercare aiuto, ma rimase immobile quando percepì qualcosa nell'aria e, soprattutto, dentro di sé. Un autentico campanello d'allarme. Il cuore gli balzò nel petto e si volse lentamente a guardare con orrore l'altro vampiro.
Dario, respirando a fatica, si terse come poteva le labbra dal sangue e ricambiò l'occhiata di Wildbrook. Nei suoi occhi v'era funerea consapevolezza, quasi come se in quella stanza fosse appena comparsa la Morte in persona al fine di reclamare la sua anima. Conoscevano fin troppo bene quella sensazione, quella presenza, e poteva significare una sola cosa.
Che lui lo volesse o meno, la fine sarebbe giunta e avrebbe avuto il viso di qualcuno che Dario si era augurato di non rivedere mai più.
«Non può essere» esalò Max. Avrebbero riconosciuto ovunque e in ogni momento quella sensazione, ma lo stesso si augurava che si stessero sbagliando entrambi. Le cose non potevano terminare a quella maniera.
«Arwin è qui» mormorò rauco Dario, dando voce ai pensieri di tutti e due. «Max, devi... devi andare. Se è riuscito ad arrivare fino a qua vuol dire che qualcosa è andato storto. Non guardarmi così e fa' come ti dico! Non sei al sicuro!»
Wildbrook scosse il capo con orrore. «No! Non me ne vado senza di te! Sei matto se pensi che ti abbandonerei proprio ora!»
«Non è il momento di discutere! È qui per uccidermi! Ha giurato di farlo anni fa!» sbottò il Principe, più affaticato che mai. Ricordava ancora le parole di Reger: "Saprai riconoscere la tua fine nel momento in cui la sentirai arrivare. Sarà allora che ti renderai conto di non avere scampo e di dover arrenderti". Aveva quasi profetizzato tutto quanto ed era palese che fosse giunto lì per terminare quel che aveva iniziato secoli addietro. Mai si sarebbe spinto così lontano, in territorio ostile e nemico, se non per uno scopo ben preciso ed estremo.
Dario, senza poter far nulla, vide Max scattare in piedi, dirigersi alle porte e uscire. Lo udì parlare con qualcuno, ma da dove si trovava non riusciva a scorgere bene l'interlocutore del vampiro più giovane, eppure conosceva quella voce. Aveva imparato ad odiarla con tutto il cuore.
Non può affrontarlo. Non voglio che uccida anche lui. Questa storia deve finire! Basta così!
Per cosa gli restava da lottare, d'altronde? Sarebbe morto in ogni caso. La sua ora era arrivata, la morte lo avrebbe ripreso con sé così come lo aveva di nuovo spinto fuori dal proprio abbraccio nelle vesti di vampiro.
Il cerchio stava finalmente per chiudersi e pur consapevole di come sarebbe terminato tutto quanto, si sorprese nel non aver più paura. D'altra parte cosa c'era da temere, ormai? Cosa avrebbe mai potuto fargli Arwin di quel che già non gli aveva fatto? Aveva attraversato un terribile inferno fino al giorno in cui non aveva deciso di troncare ogni rapporto con il suo Creatore e nulla avrebbe potuto stupirlo né coglierlo impreparato. Sapeva a cosa andava incontro e sapeva che la vendetta di Arwin, la sua rivincita, la sua punizione, sarebbero state terribili, e v'erano momenti nei quali bisognava semplicemente arrendersi, dichiararsi sconfitti e abbassare il capo. Non sempre si potevano vincere le guerre e lui ne aveva vinte fin troppe, dopotutto.
Max, in fondo, aveva ragione su una cosa: non voleva più lottare, era stanco di farlo, stanco di scappare, di fuggire dal passato e dai propri demoni. Non ne poteva più e desiderava solamente che tutto terminasse. Arwin, recandosi lì, lo aveva messo con le spalle al muro, intrappolato in un angolo, e ben poco poteva un topo di fronte alle fauci spalancate del gatto che stavano per stritolarlo. Non poteva farci niente, se non morire con dignità, senza versare una sola lacrima né implorare pietà. Mai lo aveva fatto e non sarebbe comunque servito a un bel niente. Aveva trascorso un anno intero, subito dopo la trasformazione in vampiro, a pregare Arwin di smetterla di fargli del male, di torturarlo, e aveva sempre ottenuto l'effetto contrario.
Le sue suppliche avevano sempre aizzato Reger, lo avevano deliziato e spinto a fare di peggio, a privarlo della dignità in tutte le maniere possibili, perciò no... non avrebbe pregato quel mostro di risparmiarsi proprio alla resa dei conti. Che facesse pure del suo peggio. Non gli importava. Gli bastava che non torcesse un solo capello a Max.
Devo fare qualcosa...
Gli ci volle qualche tentativo per tirarsi su e trovare stabilità; non appena la recuperò, si diresse alle porte e intravide l'alta figura di Arwin confrontarsi con quella di Maximilian. Vide quest'ultimo fronteggiare quel serpente a sonagli e nonostante tutto un sorriso lieve fece capolino sulle sue labbra. Non poteva che essere fiero di Max e del suo sfrontato, ostinato coraggio. Jake è riuscito a fare quello in cui io ho fallito. È riuscito a farti diventare l'uomo che dentro di te sei sempre stato sin dal principio. Sapendo tutto questo, sarebbe stato meno doloroso farsi da parte e uscire di scena definitivamente. Non hai bisogno di me per essere forte, Max. È questo che non riesci a capire, ma io lo vedo. Lo sto vedendo ora.
Appena tornò a guardare Arwin il calore nelle sue iridi svanì, ma non venne rimpiazzato dall'odio o dal gelo, bensì dalla rassegnazione e da una composta consapevolezza di un condannato a morte che da tempo attendeva il capestro.
I loro sguardi si incrociarono e Arwin, con un mefistofelico ghigno sulle labbra sottili, lo squadrò e in silenzio si beffò di lui, ma solo per un secondo prima che il suo sorrisetto cedesse il posto alla stizza e all'indignazione.
Dario capì all'istante il motivo di tale cambiamento: non stava dando a Reger ciò che egli si era spesso immaginato, ciò che sempre aveva preteso da lui. Voleva vedere nei suoi occhi la paura, il senso di orribile impotenza, lo sguardo di una preda costretta in un angolo, ma non avrebbe ottenuta nulla di tutto questo.
Gli diede solo ciò che meritava, ovvero l'indifferenza più totale, e si concentrò piuttosto su Wildbrook. Il suo ex-amante, ma anche uno degli amici più cari che gli erano rimasti. Alla fine di tutto, malgrado i loro trascorsi, era Max ad essergli rimasto vicino, ad averlo accompagnato verso l'orizzonte, e ora doveva lasciarlo andare, permettergli di proseguire da solo e di andare lì dove finalmente avrebbe trovato un po' di pace e di silenzio, magari anche un minimo di redenzione.
Grazie per non avermi abbandonato. Grazie di tutto, dolce Max. Vorrei non averti trattato con durezza, ma in fin dei conti è sempre andata così fra di noi: io che ti tratto male, ti allontano e respingo, e poi, puntualmente, me ne pento quando è troppo tardi per rimangiarmi tutto.
«Max, lascialo passare. Va tutto bene.»
Naturalmente lo colse impreparato. Il giovane vampiro, infatti, si volse per guardarlo con aria sconvolta. «Ma sei impazzito? Questo vuole ammazzarti e tu mi dici di farlo passare?»
Dario gli lesse negli occhi che voleva restare, ma non poteva permettergli di farlo. Sarebbero morti entrambi. Per un attimo ebbe l'impulso di stringergli una mano, ma lo ricacciò indietro. Avrebbe solo peggiorato le cose. Fece per convincerlo, per tentare di rassicurarlo in qualche modo, ma Arwin lo precedette col suo solito, poco tatto: «Hai sentito anche tu cos'ha detto, ragazzino impertinente. La sua volontà è chiara e limpida e tu, ora come ora, sei d'intralcio a entrambi. Lascia che ora siano gli adulti a sbrogliarsela fra di loro. Va' pure a dare l'allarme, se lo credi opportuno. Nessuno arriverà in tempo, di questo puoi essere certo».
«Dario, ti prego, scappa! Non permettergli di farti questo, ti prego!» continuò Maximilian, deciso a non lasciare al proprio destino proprio Dario, fra tanti altri. Non poteva abbandonarlo. Non poteva e basta.
Dario scosse la testa. Era chiaro che l'infermiere ribollisse di rabbia e odio, ma non era il momento giusto per dar loro sfogo. Avrebbe avuto altre occasioni per farlo, occasioni che sarebbero valse tanto disturbo e tanto rischio. Non ne valgo la pena, pensò, con una stretta al cuore soffocante. Mai gli era piaciuto vedere qualcuno sacrificarsi per lui, ancor meno dopo quanto che era successo a Wade per il semplice fatto che in realtà l'imboscata in cui il nonno di Andrew aveva trovato la morte fosse stata escogitata per lui, non per Thorne. Wade era morto al suo posto per una tragica fatalità, per un errore di calcolo, perché lui lo aveva mandato al macello in maniera deliberata, ansioso di trovare una via d'uscita da quel disastro di anni prima e ora stava finalmente per regolare i conti.
Era giusto che andasse così. A pensarci bene, su una cosa lui e Arwin erano d'accordo: meritava di morire, glielo ricordavano gli incubi che fino all'ultimo lo avevano tormentato, le grida delle sue vittime, le suppliche che tante volte in passato non aveva voluto ascoltare, così come gli innocenti uccisi per spianare la strada a Richard.
Quante anime aveva mietuto in tutti quei secoli? Quanto ancora si sarebbe macchiato le mani, se solo quel Ghoul non lo avesse azzannato? C'era giustizia nel destino al quale stava andando incontro e la giustizia spesso era imbevuta di tragica ironia.
Non meritava le lacrime che vedeva luccicare negli occhi disperati di Max né aveva il diritto di incolparlo e di avercela con lui. Aveva compiuto azioni molto più crudeli e disumane, non era nessuno per giudicare. Quella era una delle tante ragioni per cui invano aveva cercato di non salire sul famigerato trono maledetto sin dai tempi di Richard, il trono che aveva sempre reclamato la vita di tutti coloro che vi avevano preso posto.
Spero solo che Grace riesca a spezzare questa catena una volta per tutte. Si avvicinò a Max e gli strinse una spalla, poi lo guardò negli occhi. Non so se ci sarà qualcosa per me dopo la morte, ma in caso vi fosse: mi mancherai.
«Va' pure. Avvisa gli altri, come ha detto lui. Non preoccuparti, è tutto a posto.» L'affetto nella sua voce colpì Max in profondità come un dardo infuocato. Come se avesse sperato in qualcosa di più, specialmente quando si stavano in fin dei conti dicendo addio. Dario gli parlò ancora, ma lo fece nel modo che ben pochi altri conoscevano: la telepatia. Un altro dono di natura psichica che dopo la morte e in seguito alla rinascita come vampiro era venuto allo scoperto. A volte si era rivelato utile, altre invece una condanna. «Non pensare più a ciò che ci siamo detti fino a poco fa. Non ti serbo più rancore e non voglio che tu soffra per colpa mia. È così che sarebbe comunque finita, perciò non preoccuparti. Salvati, tu che puoi farlo. Lasciami andare.»
Arwin, nel frattempo, li aveva superati ed era entrato nella stanza.
Dario, dunque, asciugò rapidamente le guance a Max, poi fece per Reger parlò e lo fece di nuovo con tono beffardo e subdolo: «Oh! Io non lo incoraggerei a cercare riparo laggiù dalla mia mano assassina, sai?»
La sua parve sì e no una spregevole cantilena e sia Dario che Max si volsero a guardarlo, entrambi con un brutto presentimento addosso. «Cosa?» esalò il Principe, percependo intanto un brivido di terrore percorrergli la colonna.
Il sorrisetto del crudele vampiro si fece più esteso e perfido. «Oh, dimenticavo! Nessuno è riuscito a correre fin qui per cercare aiuto! Guarda fuori dalle finestre, scosta le tende e ammira l'opera di André, piccolo!» disse, vezzeggiandolo crudelmente con quel termine che aveva usato sin dal principio per ricordargli che era e sempre sarebbe rimasto il suo Creatore, il vampiro che lo aveva trasformato a sua immagine e somiglianza.
Max cercò di trattenere Dario, ma lui si sottrasse alla sua presa e corse alle finestre per scostare le tende.
In un attimo desiderò di non averlo mai fatto, perché ad attenderlo trovò la distruzione, forse l'apocalisse stessa. Nei suoi occhi lucidi e spalancati si riflessero i bagliori fiammeggianti di una città divenuta un'enorme pira funeraria nella notte.
Obyria era distrutta. Obyria era caduta. Questo era ciò che l'istinto, fino all'ultimo, aveva cercato di comunicargli.
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